mercoledì 24 marzo 2021

LA STREGA DAL CUORE SPEZZATO

 LA STREGA DAL CUORE SPEZZATO


 

La cavalcata è stata spossante sotto la tempesta. Impossibile respirare mentre la bufera si scatena. Serve un rifugio ma intorno è tutto deserto. La strega dei tuoni ha trasformato il suo rospo in uno splendido stallone nero come la notte che la circonda. Nessuno può vederli, nessuno può sentire il suo grido disperato. Sono passati anni da quando il suo unico grande amore è sparito mentre i lampi le trapassavano il corpo. Se una tempesta se lo è portato via, una tempesta lo farà ritornare, per questo rimane per ore sotto la bufera, immobile col cuore che corre ad ogni tuono. La calma dello stallone con la criniera  spettinata dal vento è l’unica sua compagnia. Non se ne andrà fino a che la tempesta non sarà passata e aspetterà che il cielo si rischiari per galoppare in cerca del suo amato. Lei gli ha donato metà del suo cuore e senza l’altra metà non può vivere ancora a lungo. E’ una strega sì, ma una strega innamorata, e la vita non è vita senza il suo amato al fianco. Vorrebbe strapparsi il cuore e gettarlo nel vento, e mentre i tuoni la fanno trasalire capisce che anche stavolta tornerà da sola alla sua tenda. Corri e galoppa nero destriero, riportami indietro prima dell’arcobaleno.

piccola cartolina scritta da Milena Ziletti - ispirata dall'immagine della pagina fb di Elfi, fate e mondo incantato

lunedì 22 marzo 2021

QUANDO ADAM SCONFISSE LE TENEBRE

 

QUANDO ADAM SCONFISSE LE TENEBRE



 

Quando Adam nacque, il mondo era impazzito da un po’.

Già era stata un’odissea poter portare a termine la gravidanza nascondendola a tutti, ed ora che il piccolo era nato, il pericolo era ancora maggiore.

Nessuna donna poteva concepire nel metodo che era sempre stato naturale, da anni non era permesso, e i bambini venivano al mondo clonati da cellule perfette e controllati fino a che fossero pronti, e alcuni venivano scartati come scarpe vecchie.

I suoi genitori lo nascondevano da due anni, era un bravo bambino e viveva fin dalla nascita in un freddo scantinato lontano dal centro abitato. Mamma e papà erano contadini che si spaccavano la schiena su terra dura e arida, non era facile far nascere le piantine che davano da mangiare a tutta la comunità.

Erano la comunità degli sfollati, di persone che si erano ribellate al sistema e che erano state circoscritte in un ampio terreno recintato con filo spinato. Ne era un migliaio circa, e diventavano sempre più vecchi e stanchi. Dovevano procurarsi da soli cibo, abiti e tutto quello che serviva. Fra di loro c’erano medici, e lavoratori di varie discipline. Erano una comunità molto unita e faticavano ogni giorno per conquistarsi un altro giorno di vita. Nessuno voleva arrendersi. Ogni settimana passavano gli inviati dei reggenti del nuovo mondo instaurato e chiedevano se qualcuno volesse ritornare di là dal recinto. Succedeva poche volte che qualcuno si arrendesse e nessuno sapeva che fine facessero.

Erano in pochi a sapere della nascita di Adam, e quei pochi facevano di tutto per aiutare lui e la sua famiglia.

Il giorno che Adam nacque fu un giorno particolare. Nel cielo un grande arcobaleno aveva colorato tutte le nuvole. Qualcuno diceva che era un segno, un portale che si apriva per portare di là le persone che stavano morendo.

Il predicatore della comunità li teneva uniti e convincendoli che le cose sarebbero cambiate, che la vita non era solo quello che loro stavano subendo, ma che presto sarebbe successo qualcosa che avrebbe cambiato i loro destini.

Era determinante infondere speranza. Quei visi rugosi, quelle spalle curve e piegate dal duro lavoro stavano lottando per sopravvivere nell’attesa di qualcosa che, nel loro subconscio sapevano che non esisteva. Eppure ascoltavano il loro predicatore che li arringava con messaggi di ottimismo e di attesa.

Adam quel giorno compiva due anni e non aveva mai visto la luce del sole, non aveva mai respirato all’aria aperta e giocava come fanno tutti i bambini con le poche cose che aveva.

Il predicatore aveva intorno a sé tutta la comunità. Nel cielo ricomparve quel grande arcobaleno, le nuvole si colorarono di tutti i colori dell’iride e un vento leggero portava piccoli globi trasparenti che volteggiavano sopra di loro.

Il vento soffiava dolcemente e faceva danzare quei globi che si coloravano dei colori dell’arcobaleno, sembrava che la leggenda che accompagnava da sempre la comparsa del magnifico arco colorato si stesse materializzando. Era la terza volta in tre anni che succedeva la stessa cosa, era ora di capire di cosa si trattasse ma, nemmeno il predicatore aveva la risposta giusta.

La folla era in silenzio, estasiata da quello che vedeva e ancora maggiore fu la loro sorpresa quando videro un bambino arrivare in mezzo a loro.

Tutti pensarono che fosse stato portato dall’arcobaleno, il piccolo camminava a piedi nudi e sorrideva guardandosi intorno.

Adam vedeva per la prima volta la luce del sole, vedeva l’arcobaleno e allungava le piccole braccia come volesse toccarlo.

Nessuno si mosse. Nessuno parlò.

Il piccolo era estasiato da quello che vedeva, e per la prima volta sentì la carezza del vento sulle braccia e sul viso.

Poi successe una cosa del tutto inaspettata. Proprio al centro del grande arco ci fu un lampo e l’arcobaleno di spezzò piombando a terra ai piedi di Adam.

Si erano formati due arcobaleni e questo fu visto anche fuori dal recinto.

Arrivarono veloci due camionette con le guardie per verificare cosa stesse succedendo. Avevano le loro armi spianate pronte a sparare se ci fosse stato pericolo.

Adam era proprio nel mezzo dei due arcobaleni e le guardie rimasero impietrite, nessuno immaginava che potesse essere nato un bambino. L’unica cosa che proveniva da fuori dal campo era l’acqua potabile, e conteneva quello che serviva per rendere sterile quella comunità che doveva lentamente scomparire.

Il bambino sorrise ai nuovi arrivati. Raccolse una manciata di colori nella sua piccola mano e la donò ai soldati.

Erano soldati addestrati e modificati per non ascoltare l’anima, per non pensare e per non provare sentimenti, ma qualcosa penetrò nella loro mente ipnotizzata e fu come se si svegliassero da un lungo sonno.

Deposero le armi e raggiunsero la folla che li accolse in silenzio e si unirono a loro.

Tutto il campo fu immerso nella luce colorata dell’arcobaleno che soltanto loro riuscivano a vedere e a trarne tutta l’energia di cui avevano bisogno.

Arrivarono altre camionette con altri soldati ed ognuno abbandonò le armi per unirsi alla comunità.

Il governo era infuriato, non poteva accettare che un branco di mentecatti potesse ledere la sua autorità. Il capo di tutto il mondo decise di inviare vari droni e bombardare quel luogo che da sempre lo aveva irritato.

Mancavano pochi  minuti all’arrivo dei piccoli velivoli carichi di veleno e di missili quando l’arcobaleno, già spezzato in due si spezzò in varie parti e la comunità iniziò ad arrampicarsi in fretta. Fu questione di attimi e il portale si chiuse lasciando il campo vuoto mentre veleno e bombe cadevano rendendo invivibile l’intera area.

Fu la fine per il mondo impazzito. I fumi e le radiazioni continuavano a riprodursi e, in pochi giorni tutto fu morte, nessuno si era salvato.

La Terra era deserta e quelli che si erano salvati si ritrovarono in un posto che non conoscevano. Un mondo diverso, un mondo sconosciuto, un mondo che li attendeva da tempo.

“Il mondo che verrà” era lì, proprio per loro che non si erano arresi, per loro che avevano lottato a costo di grandi sacrifici, un nuovo mondo aperto dall’Anima pura di un bambino che aveva portato con sé la scintilla che era servita per rinascere.

Meravigliati si accorsero di non essere soli, una moltitudine di gente di ogni provenienza sorrideva mentre li accoglieva.

Non ci fu bisogno di dire niente. Tutto era pronto da tempo. Era per chi ci aveva sempre creduto, per chi non aveva mai abbandonato l’Anima e l’Amore.

Lì non esistevano le tenebre, soltanto luce.

racconto di Milena Ziletti - diritti e proprietà a lei riservati  - immagine dal web

 

 

venerdì 19 marzo 2021

NOI SIAMO LA LUCE

 NOI SIAMO LA LUCE



Il dolore scava nel cuore, la paura scava nel cuore e nell’anima. Già quando nasciamo emettiamo il primo vagito che è di dolore, è il distacco dal grembo che credevamo ci avrebbe sempre protetti.

E’ solo l’inizio di un lungo viaggio, dove la vita ci insegnerà a vivere e dove ognuno di noi troverà la propria strada e il proprio destino.

E’ la felicità che inseguiremo sempre, quella dolce e calda sensazione che ogni bambino mette dentro il proprio cuore e crede che durerà all’infinito. Famiglie felici, famiglie difficili, famiglie complicate e spesso distrutte. Bambini felici e bambini sbranati dalla dura realtà. Un mondo di fate e di orchi, dove tutto sembra possibile e dove tutto può crollare in un momento. In questo tempo così difficile, davanti a tanto dolore, paura, terrore ci chiediamo cosa sia davvero la vita. Immersi nelle tenebre rincorriamo la luce senza capire che siamo esseri luminosi, solo la nostra ombra è scura, ma se la osserviamo bene la vediamo bordata di luce. Non esiste il buio, siamo noi la luce che serve.

Riflessione di Milena Ziletti - immagine dal web

mercoledì 10 marzo 2021

COME UN FIORE DEL DESERTO

 

COME UN FIORE DEL DESERTO



 

E’ strano svegliarsi in pieno deserto, come un viandante solitario che non riconosce il mondo intorno a sé.

I piedi nudi affondano nella sabbia bollente, le caviglie sono circondate da un brulicare di granelli gialli che sembrano parlare. Eppure non sento il caldo che sale dal basso mentre un piede davanti all’altro cerco di capire perché mi ritrovo in questo posto. La lunga tunica bianca e il copricapo avvolto intorno ai capelli e al viso mi fanno sembrare una zingara del deserto. Il sole mi acceca e devo tenere gli occhi semichiusi, sento le rughe intorno agli occhi che paiono graffiare, e quelle che contornano le labbra anelano ad un goccio di acqua fresca.

Non porto niente con me, nemmeno un paio di sandali o una borraccia. L’infinito del deserto è l’unica cosa che vedo, che mi circonda.

L’immensità che mi avvolge mi fa capire il valore del silenzio, qui tutto tace, tutto è immobile, perfino la sabbia che sollevo con i miei piedi si riposiziona in pochi secondi.

E’ qui che troverò Dio? E’ qui che capirò il senso della mia esistenza? E’ qui che avrò gli insegnamenti che mi servono per vivere in pace con il mondo e con me stessa?

Quante domande fioriscono nel mio cuore, mentre le mie labbra sorridono nascoste sotto il velo.

Mi siedo e aspetto, non so nemmeno io cosa o chi. Gli occhi si chiudono mentre il sole, implacabile fa scorrere sulla schiena e sotto il seno pesanti gocce di sudore che mi rubano l’acqua che mi tiene viva.

Sono sola nel niente, indifesa e in balia di quello che Dio vorrà. Se sono arrivata fino a qui ci deve essere un motivo, ci credo. E aspetto.

Niente dipende da me, nemmeno la mia vita. Nel mondo dove vivo, e dove tutti vivono stanno accadendo troppe cose. Mentre le palpebre si fanno pesanti sento il cuore rallentare. Forse è arrivata la mia fine, e non c’è nessuno a tenermi la mano.

Come si fa a non trovare piacere nell’abbandonarsi all’oblio? Poi mi accorgo delle grida d’aiuto di gente disperata, del male che affligge l’umanità e che ho toccato con mano. Vedo la morte vicina e ne sento l’odore, gente che si spegne, giovani esasperati o spenti e genitori senza forze. Sento e vedo che la luce che tiene acceso il mondo si sta spegnendo. E’ troppo radicato il dolore, la rabbia, la delusione, la paura che tiene imprigionato il cuore e l’Anima, mentre la mente cade e cede alla voglia di lasciarsi andare.

Riapro gli occhi, sono ancora qui, seduta nel mezzo del niente e sento le lacrime che mi bagnano il viso. Ho sentito il dolore del mondo, ho visto la luce che si spegne e chiedo a Dio, a quello che ha creato tutto questo, e mi rivolgo a Lui, che non ha niente a che fare con le religioni terribili e nefaste che hanno contribuito a buona parte del disastro che c’è.

Non è giusto tutto questo. E’ il mio pensiero che vola in alto.

Bisogna ritrovare la sorgente della nostra esistenza, abbeverarci e riprendere in mano i nostri destini. Lo dobbiamo a noi stessi, alle generazioni future, dobbiamo rialzarci e dare vita alla rinascita.

Mi alzo e riprendo il cammino, da qualche parte dovrò pur arrivare. Passo sopra basse dune mentre il sole cerca di trovare riparo e la mia ombra si allunga davanti a me. Mi fermo ad osservarla, unica compagnia in questo viaggio che ha il sapore del sale. L’ombra sembra avere vita propria come un ologramma che arriva da lontano e che mi vuole parlare.

E’ un periodo duro quello che l’umanità sta passando. Non c’è possibilità di scavalcarlo, bisogna passarci nel mezzo e come un fiore del deserto troverà la forza di spaccare la crosta per mostrare la sua bellezza e la sua volontà di vivere.

Non so da dove arrivano queste parole, continuo a camminare e poi, lì davanti a me lo vedo, un bellissimo fiore del deserto che col suo esempio, senza parole mi mostra la strada che ognuno di noi deve fare.

Ci vuole forza, volontà e perseveranza, e soprattutto non bisogna arrendersi mai, come io ho scavato nel terreno per ritrovare la luce, così può fare tutta l’umanità, e il deserto fiorirà profumando l’aria e sorridendo al sole cocente.

Ora capisco il motivo per cui sono arrivata qui. Mi spoglio di ogni pensiero triste e lascio la zavorra sulla sabbia e lentamente sprofonda. Osservo il fiore con occhi nuovi e non mi accorgo più nemmeno della fatica che ho fatto.

Anch’io mi sento come il fiore del deserto, tutti siamo come i fiori del deserto, siamo lì pronti a mostrare la nostra bellezza e la nostra forza come esempio per tutta l’Umanità.


racconto scritto da Milena Ziletti - diritti e proprietà a lei riservati - immagine dal web

martedì 2 marzo 2021

IL BAMBINO ROBOTTINO (fantascienza?)

 

IL BAMBINO ROBOTTINO

(fantascienza?)



 

Era primavera inoltrata. Il piccolo robottino passeggiava nel parco e, ad ogni margherita che calpestava l’aria si riempiva di piccoli petali bianchi svolazzanti

Aury,  era il bambino che il robottino sorvegliava. Ce n’erano tanti nei parchi in quella bella stagione. Tanti bambini accompagnati dai loro robottini e alcuni genitori seduti sulle panchine coi loro figli al fianco.

Alcuni bambini accompagnati dai genitori giocavano sullo scivolo o sull’altalena. Ridevano, ed erano risate di sana felicità. Era bello vedere quei sorrisi, quei capelli svolazzanti sotto i raggi del sole.

I bambini accompagnati dai robottini osservavano disgustati questi bambini selvaggi, non portavano guanti, nemmeno la mascherina, erano gli emarginati , quelli che durante la grande pandemia non avevano ceduto alla dittatura politica e sanitaria e che erano sfuggiti alla vaccinazione di massa. I loro genitori si erano opposti con tutte le loro forze, alcuni non erano ancora nati in quel periodo così avvolto dalle tenebre. Erano stati emarginati, rinchiusi in campi di isolamento, non potevano uscire da quella prigione, ma non avevano ceduto, nemmeno dopo anni di lavaggio del cervello.

Ora che il pericolo era passato li avevano lasciati andare, sicuri che non avrebbero potuto fare nessun danno.

Aury si fermò ad osservarli. Cercava di capire cosa stessero facendo. Correvano, saltavano, si sporcavano, si abbracciavano e perfino si baciavano. Si collegò alla mente del robottino e gli chiese spiegazioni. Il robottino rispondeva agli impulsi del micro chip che il bambino aveva sotto pelle, impiantato dietro la nuca. Non c’era bisogno di parlare, bastavano gli impulsi elettromagnetici che la rete mondiale del 7G rilasciava in tutti i posti del Pianeta.

Conosci la storia di quelle persone, non sono come te. Tu non ti ammalerai più, vivrai a lungo e senza problemi, avrai un posto di rilievo nella società, è tutto programmato. Quelli sono gli scarti della grande pandemia, diversamente da te si ammaleranno, non si sa quanto e come vivranno. Ricordi la storia che stai studiando? Ecco, tu e quelli come te siete quelli che comanderanno e renderanno questo pianeta il più pulito possibile. Loro verranno spazzati via dai loro stessi sentimenti ed emozioni. Gli trasmise il robottino.

A me sembrano felici. Cosa sono i sentimenti e le emozioni? Gli chiese Aury.

Sono quelli che fanno la differenza fra te e loro. Hanno una mamma e un papà, e quando uno di loro morirà proveranno talmente tanto dolore che rimpiangeranno di non essersi fatti vaccinare. Tu, invece non proverai niente e continuerai per la strada che ti è stata aperta, raggiungerai il traguardo prestabilito e vivrai senza dolore. Gli rispose.

Aury era perplesso. Gli sarebbe piaciuto parlare con qualcuno di loro, ascoltare una voce vera invece che pensieri nella mente. Il robottino si accorse della sua perplessità e cercò di allontanarlo. Era pericoloso che i privilegiati restassero troppo a contatto con gli emarginati.

E’ ora di tornare. L’ora d’aria è terminata. Hai cinque ore di lezione prima di tornare a casa. Gli comunicò il robottino.

Aury lanciò un ultimo sguardo ai bambini che giocavano felici e seguì, obbediente il suo robottino.

Entrarono in una grande struttura, c’erano centinaia di bambini/robottini di tutte le età. Grandi schermi che trasmettevano lezioni che andavano direttamente nella mente programmata per quel circuito.

Aury era distratto. Una leggera scossa lo riportò al presente. Osservò una fila di bambini senza i loro robottini che gli passava accanto. Avevano tutti gli occhi neri e un’espressione da circuito spento. Ogni tanto vedeva quelle file e si domandava dove li portassero, se lo stava chiedendo anche ora quando una seconda scossa, più forte della prima lo riportò al suo dovere.

Aury non poteva sapere che quei bambini sarebbero stati terminati, avevano dei difetti che in quel mondo perfetto non erano concessi. La “Cupola” costituita da sette persone era quella che prendeva ogni decisione, erano i comandanti di tutto il pianeta. Tutto era connesso e tutto veniva programmato, immagazzinato e studiato da piccoli robottini davanti a schermi minuscoli. Il vero potere era passato a loro, tutto dipendeva da loro, dai loro algoritmi e dai loro errori di valutazione, non erano perfetti, niente poteva essere perfetto.

Passarono alcuni giorni e Aury fu chiamato per la visita medica mensile. Si sottopose pazientemente a tutti gli esami e alla fine fu portato in una stanza dove c’erano altri cinque bambini. Oggi avrebbe scoperto cosa succedeva a quei bambini che vedeva passare. Si mise in fila, era l’ultimo di loro e seguì il robot che li precedeva. Aury non aveva paura, era solo curioso. Improvvisamente due forti braccia lo strapparono dalla fila e gli tapparono la bocca. Senza perdere nemmeno un minuto due mani esperte gli tolsero il micro chip dalla nuca e un fiotto di sangue imbrattò il pavimento.

I guerrieri della rivoluzione cercavano di salvare più bambini che potevano e quel giorno era toccato ad Aury. Un ago infilato nel braccio e lui si addormentò

Ci volle tempo prima che si svegliasse. Non capiva dove si trovava. Seduto accanto al suo letto un uomo dal sorriso gentile aspettò che aprisse gli occhi.

Per la prima volta nella sua vita, Aury conobbe il dolore fisico e la paura. Mat, l’uomo che gli era accanto gli prese le mani piccole e fredde. Gli parlò con gentilezza e gli spiegò dove si trovava. Arrivò anche Anna, una bambina dai capelli biondi e lunghi e gli sorrise. Aveva la bocca sporca di cioccolato e le mancava un dente.

Ci vollero alcuni giorni prima che imparasse a parlare, a mangiare, a correre e ad essere libero di ridere. Il sole sulla pelle gli fece sbocciare le lentiggini, gli occhi e le labbra impararono a sorridere. Capì ora di far parte degli emarginati e, alla fine conobbe anche la verità.

Solo la perfezione era ammessa nei privilegiati, ma erano gli emarginati che sapevano cosa si prova a vivere.

Il suo robottino fu dato ad un altro bambino e ognuno visse la propria vita.

L’importante è poter scegliere.

racconto di Milena Ziletti - diritti e proprietà a lei riservati - immagine dal web