giovedì 28 febbraio 2019

ESTERINA


ESTERINA

P. QUATTRO





SECONDO CAPITOLO

La mia istruzione avviene in casa. Si alternano due insegnanti ed io sono molto brava. Sono arrabbiata con i miei genitori ma non per questo rinuncio a studiare, anzi, mi servirà quando potrò, finalmente, andarmene da questa casa.

Giugno è iniziato con giornate piacevoli e cerco di raccogliere sul viso il tepore del sole. Mi ricorda la sensazione dell’ultima volta che sono stata in bicicletta. Veramente ogni cosa mi ricorda quel giorno. Non ho dimenticato nemmeno il più piccolo istante, il mio cuore mi ripete la stessa canzone: amore, amore, amore…

I miei genitori sono stati di parola: non posso più uscire da sola, mio fratello o qualcun altro sono sempre al mio fianco. Hanno dato inizio ad una battaglia e sperano che io ceda con facilità, ma non sarà così.

Nei miei momenti liberi, prendo il mio diario e mi sfogo con lui come fosse il mio miglior amico. Lo tengo nascosto, come tengo nascosto nel mio cuore i miei più profondi segreti.

10 giugno 1914. Caro Diario, ci sono giornate così belle che vorrei correre come un leprotto nei campi, respirare aria di libertà e rifugiarmi fra le braccia del mio amore. Non riusciranno a tenermi prigioniera per sempre. Alberto, aspettami, io sono sempre con te e tu sei sempre con me nei miei pensieri e nel mio cuore.


Le giornate scorrono lente, io studio, leggo molto, passeggio nel cascinale e c’è sempre qualcuno che mi tiene d’occhio. Cerco la possibilità di una piccola fuga, ce la posso fare.

Questa sera, a cena, i miei genitori, come al solito, non mi hanno rivolto la parola. Hanno la loro tattica. Mi ignorano sperando che io faccia il primo passo e ceda dai miei propositi, ma io sono ancora troppo arrabbiata per cedere. Credono di ottenere la mia resa comportandosi così, non sanno che mi rendono ancora più decisa a perseverare.  Sarò anche quasi prigioniera, ma ho la mia meta da raggiungere e niente mi potrà fermare.

Il caldo comincia a essere insopportabile. Mi piacerebbe andare al fiume ed immergere i piedi nell’acqua fresca, quasi quasi chiedo a mio fratello di accompagnarmi. Anche lui ci va spesso.

Niente da fare. L’ordine è ancora di rimanere confinata ed io sono sempre più arrabbiata.

01 luglio 1914. Caro Diario, fra due settimane i miei genitori dovranno partire per dieci giorni ed io non vedo l’ora che se ne vadano. Senza la loro presenza, nessuno oserà tenermi rinchiusa ed io rivedrò il mio amore. Ho dato un biglietto a Mariuccia, cugina di Alberto, che lavora per noi, e gli ho detto di tenersi pronto al nostro incontro. E’ passato così tanto tempo da quando l’ho visto che forse non lo riconoscerò. Aspettami amore, presto sarò da te.


Finalmente! Sono fra le sue braccia. Ce l’ho fatta a rivederlo. Non mi sembra ancora vero. Abbiamo poco tempo, presto verranno a cercarmi, ma non mi importa niente.

“Ciao Esterina, sei bellissima.” Lui mi saluta sempre così.

“Anche tu sei bellissimo.” Ho perso la mia timidezza, non mi sento più una ragazzina, voglio essere la sua donna, io mi sento la sua donna.

“Ho saputo della punizione che ti hanno dato i tuoi genitori, e tutto per colpa mia. Cosa posso fare per te, piccola Ester?”

“Mantieni la tua promessa, solo questo devi fare per me. Lo sapevamo che non sarebbe stato facile, ma noi abbiamo la nostra promessa da mantenere. Adesso stringimi e baciami senza perdere altro tempo. Se i miei genitori scopriranno questa scappatella inaspriranno la punizione e chissà quando potremo rivederci.”

Io non avevo mai provato il calore di un uomo. Non ero mai stata baciata sulle labbra, voglio fare tutto, e tutto di corsa, non posso nemmeno fermarmi ad assaporare i teneri gesti d’amore che ho sempre sognato. Non facciamo altro che scambiarci baci e carezze e poi stiamo in silenzio, altro non possiamo fare.
“Hai sentito della guerra Esterina? Sembra che presto possa toccare anche a noi. Se dovesse succedere dovrò partire per il fronte, anche tuo fratello dovrà andare soldato.”


foto dal web - diritti e proprietà riservati di Milena Ziletti

mercoledì 27 febbraio 2019

ESTERINA


ESTERINA

P. TRE





Mio fratello viene a chiamarmi per la colazione. Mi guardo allo specchio e ancora si notano i segni degli schiaffi. Non mi importa. Mi faccio la treccia, mi vesto e mi preparo allo scontro.

Sono già tutti seduti. Mia madre col suo sguardo così torvo e cattivo sembra aver voglia di riprendermi a schiaffi. Mio padre è meno manesco ma molto severo e non l’ho mai visto sorridere nemmeno a noi che siamo i suoi figli. Alfredo è l’unico nella stanza che mi mostra un briciolo di comprensione, ma nemmeno lui si azzarda a dire qualcosa.

Tutti e quattro, in silenzio assoluto, facciamo colazione. Io ho molta fame, la cena che ho saltato ieri sera ha lasciato un grosso buco nel mio stomaco e mi riempio il piatto fino all’orlo. Non mi importa di quello che diranno o di quello che potranno farmi: io ho una promessa sacra da mantenere e non potranno fare niente per cambiarla.

“Tuo padre ti deve parlare, se hai finito di mangiare, lui non ha molto tempo.”

Allontano il piatto e aspetto.

“Tua madre mi ha messo al corrente delle tue scappatelle, che ti disonorano e disonorano il nostro nome. Visto che non possiamo fidarci di te, abbiamo deciso che non potrai più usare la bicicletta e che non ti allontanerai più da sola dal cascinale. L’istruzione verrà intensificata e non avrai molto tempo da perdere se non per studiare. Ti prepari per il tuo futuro, noi abbiamo deciso che sposerai solamente un uomo che risponda ai requisiti che noi vogliamo, pertanto, che ti piaccia o no, dovrai fare quello che ti chiediamo, oppure diventerai una zitella come tua zia Sofia. A te la scelta ora. Hai solo 15 anni e noi siamo i tuoi genitori, hai voluto lanciare la tua sfida, ma qui si fa come diciamo noi”.

“Avete finito? Questo è tutto?”

Li guardo tutti e tre con occhi fiammeggianti. “Se non c’è altro vado nella mia camera. Potete tenermi prigioniera, potete anche torturarmi, ma io aspetterò e non cederò. Alla mia maggiore età non potrete più costringermi a niente ed allora me ne andrò da questa prigione. Non affannatevi a cercarmi marito, io l’ho già trovato e non cambierò idea. Un’ultima cosa desidero che sappiate, ogni volta che mi picchierete o mi maltratterete io vi odierò sempre di più, e mi ricorderò di come mi avete trattato quando sarò libera di andarmene: non aspettatevi niente da me, qualunque sia il corso della vita, qualunque evenienza si verificherà non avrete da me nessuna considerazione, vi restituirò solo quello che avrò ricevuto. Come mi avete ricordato anche voi, sono una Celerini, e voi sapete quanto cocciutaggine c’è nella nostra famiglia, sarà davvero una bella battaglia.”

Guardo mio fratello che è rimasto con la bocca aperta. Lui a 20 anni non ha mai avuto il coraggio di contrariare né mamma né papà. Mi manda un tacito assenso e capisco che ho, almeno in lui, un alleato dentro casa. Ne avrò molto bisogno, se conosco bene i miei genitori non mi renderanno per niente la vita facile.
Volutamente giro loro le spalle e con la schiena dritta torno in camera mia a sfogare rabbia e lacrime, lacrime che loro non vedranno mai, e mi prometto di odiarli per sempre.

Nella mia camera, prendo il mio diario e scrivo:” Caro Diario, Oggi, 20 maggio 1914, parlerò solo con te, e solo con te mi confiderò, sono sola e tu mi terrai compagnia.”

E nella desolazione e solitudine della mia camera da letto mi accompagna il sorriso e la carezza di Alberto. Solo il suo pensiero mi rende felice, solo il nostro amore mi culla nella solitudine, solo la mia fermezza mi dà la forza di iniziare una battaglia che sarà lunga e piena di insidie.

Caro Diario, quante volte ricorrerò a te. A presto”.


foto dal web - diritti e proprietà riservati di Milena Ziletti

martedì 26 febbraio 2019

ESTERINA


ESTERINA

P. DUE






Adesso la timidezza mi è passata. “Lo sai vero che ti amo? Che per stare con te sto rischiando molto? E tu, mi ami anche tu?”

I suoi occhi parlano prima delle parole: “Ti amo Esterina, ma non sarà facile questo nostro amore. A volte ho paura di chiederti troppo. Siamo troppo diversi, e non so se potrà bastare la forza del nostro amore per arrivare dove vogliamo noi. “

Lo so anch’io che non sarà facile. Si tratta solo di avere la forza, e di aspettare la mia maggiore età; poi sarà sicuramente diverso. La strada è molto lunga e ci saranno molte, moltissime insidie, ma io sono pronta a superarle tutte perché so che il mio amore è forte e sincero. Sono molto giovane, ma mi conosco, io sono sicura di farcela, ma lui?

Lo guardo dritto negli occhi, gli prendo le mani e gli dico “dobbiamo scambiarci una promessa solenne, promessa che nessuno potrà sciogliere, come fosse un giuramento sacro, io ti prometto che qualunque cosa accada ti aspetterò, dovessi aspettare fino alla morte!”

Alberto mi stringe le mani e ripete “se è quello che vuoi, ti prometto e ti giuro sul mio cuore che qualunque cosa accada io sarò sempre tuo! Ricorda bene queste parole mia piccola Esterina, il mio cuore e il mio amore saranno sempre per te, qualunque cosa la vita ci riservi.”

Un timidissimo bacio a sfiorarci le labbra e poi devo tornare a casa. Il mio cuore esulta, ci siamo scambiati la promessa della vita e niente e nessuno potrà cambiarla.

“Ricordati la mia promessa e tu mantieni la tua, ora siamo uniti per sempre nei nostri cuori.” Prendo la bicicletta e lentamente pedalo verso casa.

Il fiume non mi canta più dolcemente come prima, il sole non è più così caldo come prima e un brivido mi penetra la mente. Dovrei essere felice, allora che cos’è che si insinua nei miei pensieri?

Non voglio tristezze a farmi compagnia. Ricomincio a cantare e vado verso casa con un dolce calore nel cuore. “Ti amo mio adorato Alberto, ti amo e non posso farci niente, nessuno può cambiare il mio sentimento, sarà così fino alla morte.” Questi sono i pensieri che riempiono la mia mente.

Mi sembra di essere l’eroina di sdolcinati romanzetti rosa, ma mi sento talmente felice che ho la forza per abbattere chiunque osi mettersi contro il mio amore. E ancora non so quanta davvero me ne servirà.

Un sonoro schiaffo appena varco la soglia di casa. Mia madre non è mai stata tenera, ma stavolta ha calcato la mano. Non faccio in tempo a riprendermi che mi prendo un altro manrovescio. I miei lunghi capelli ondeggiano come sospesi nell’aria. Porto entrambe le mani al viso che scotta come fossi stata toccata da braci ardenti. Il dolore è acuto e forte, e dagli occhi cominciano a scendere copiose lacrime, più di rabbia che di dolore.

“Sembri una sgualdrina! Guardati. Con quei capelli sciolti e spettinati si capisce benissimo dove sei stata. Quel maledetto Alberto, gli faccio passare la voglia di importunarti, e a te, d’ora in poi, è proibito prendere la bicicletta. Voglio sempre sapere dove vai e con chi stai. Ti devi dimenticare di quel mentecatto. Tu sei una Celerini, e ti accompagnerai con chi decide la tua famiglia, non con il figlio di un muratore. Sali e ricomponiti. Non scendere a cena, vai direttamente a letto e non presentarti fino a domani mattina a colazione. Parlerò con tuo padre e decideremo cosa fare.”

Salgo di corsa le scale, non voglio sentire altro. Come ha fatto mia madre a sapere del nostro incontro? Possibile che sia così trasparente che tutti riescono a leggermi nella mente? Ho il viso in fiamme, mi serve dell’acqua fresca, ho paura che i segni delle sue dita rimarranno a lungo a segnare le mie guance.
Mi sdraio sul letto e mi asciugo le lacrime. Premo un panno umido sul viso e aspetto che mi passi il dolore. Non so se è più forte il dolore sul viso o quello nel cuore. Il mio piccolo cuore, così colmo di amore ed ora così pieno di rabbia! “Ti odio mamma, ti odio anche se so che è peccato, ma non mi piegherai!”

E mentre ripenso alla mano di Alberto sul mio cuore e rivedo il suo viso mentre ci scambiamo la nostra promessa, mi addormento ancora vestita e con i capelli ancora sciolti e liberi come voglio essere io.

foto dal web - diritti e proprietà riservati di Milena Ziletti

lunedì 25 febbraio 2019

ESTERINA


ESTERINA




PRIMO CAPITOLO

E’ quasi estate ed è una giornata magnifica. Mentre pedalo in riva al “mio” fiume, sciolgo le trecce e lascio liberi i miei lunghi capelli dorati. Il sole mi scalda il viso e tutte le mie lentiggini colorate; e la gonna si alza e mi lascia scoperte le ginocchia. Sono sicuramente “peccaminosa” come direbbe mia madre, ma mi sento tanto libera e felice. Non c’è nessuno che mi può vedere e canto un motivetto allegro e di moda. Mi sembra di sentire gli uccellini che seguono il mio canto, ed il profumo dell’aria porta quasi i colori dell’iride.

Sono felice. E come potrei non esserlo? Ho un appuntamento! Un appuntamento con l’amore, il mio amore: Alberto.

Il mio giovane cuore si unisce al mio canto, e non voglio pensare a cosa succederebbe se i miei genitori mi scoprissero.

Mi chiamo Esterina, ho 15 anni. Ho un fratello più grande, Alfredo, ed i miei genitori sono molto severi con me. Siamo benestanti, non ci manca niente, ma io non mi occupo di queste cose, mi piace essere come sono.

Fra poco, dopo la prossima ansa del fiume, dovrei vederlo. Sono già emozionata. Il solo pensiero di stargli vicino mi fa sentire il coro degli angeli. Lo so, sono una inguaribile romantica, ma alla mia età come è possibile non esserlo? Intanto pedalo più veloce e i miei capelli sembrano rami frondosi che si piegano al vento.

Abbiamo scelto un posto nascosto, nessuno lo deve sapere. Alberto non fa parte del mondo che i miei genitori vogliono farmi frequentare. Lui è il figlio di un semplice muratore. Ha una famiglia numerosa e chiassosa e vivono in un borgo con tante altre famiglie. Da loro c’è sempre movimento, urla, bambini che giocano, a volte adulti che litigano, insomma sembra un mondo fatto apposta per loro.
Io, invece, vivo in un grande cascinale. Non ci sono altre famiglie ma ci sono molti lavoranti.

E’ meglio se non penso a casa mia, perché mi figuro la faccia di mia madre se mi vedesse in questo momento. La cancello dai miei pensieri e corro verso Alberto.

Adesso lo vedo e sento la sua voce cantare la mia stessa canzone.

Lo raggiungo e lascio la bicicletta. Mentre mi avvicino e lui mi sorride mi sembra di ritornare la timida bambina di un tempo. Tutti i pensieri, tutti i desideri che ho espresso su di lui, scompaiono e lasciano il posto ai nostri sguardi silenziosi.

Ci sediamo sotto la pianta del gelso e non riusciamo a parlare. Siamo improvvisamente timidi e consci del nostro isolamento e del nostro sentimento.

Per me è la prima cotta. Non so se Alberto ne abbia avute in precedenza. Lui ha tre anni più di me e non conosco niente del suo passato.

Ciao Ester, sei bellissima!” Lo sa che mi arrabbio se mi chiama così, e lui lo fa apposta.

Io non riesco a spiccicare parola e lui sorride come se riuscisse a leggermi nella mente.

“Ciao Alberto, chiamami Esterina, lo sai che non mi piace l’altro nome, mi ricorda troppo mia nonna, ed io non voglio assomigliarle nemmeno nel nome”.

Intanto cerco nella mia mente un argomento qualsiasi per iniziare la conversazione, non voglio fare la figura della sprovveduta. Dopotutto ho studiato, ho anche fatto alcuni viaggi, ma quando sono vicina a lui non riesco a sgarbugliare i pensieri.

Intanto Alberto mi sorride e mi prende la mano, la porta alle labbra e mi dà un caldissimo bacio!

E ride divertito. “La tua faccia è diventata del colore delle tue lentiggini. Esterina, è solo un piccolo bacio; e tu, quando me ne darai uno?”

Allora mi faccio coraggio e anch’io gli prendo la mano, la porto sul cuore e gli dico “ti amo”. Ora il mio cuore parla per me, non ho bisogno di aggiungere altre parole. Lo vedo diventare improvvisamente serio. Toglie la mano dal mio cuore e sboccia in una carezza. E mentre io mi sciolgo al sapore inebriante di questo sentimento, vedo passare sul suo bel viso un miscuglio di emozioni.
Io non ho mai detto a nessuno parole d’amore, lui lo sa e ne sembra intimorito, ma io lo amo, lo amo davvero e, pur di stare con lui, pur di poter vivere insieme a lui, sono disposta a tutto.

foto dal web - diritti e proprietà riservati di Milena Ziletti

domenica 24 febbraio 2019

COSI' E'


COSI’ E’



Nuovi cambiamenti, nuovi pensieri, nuove considerazioni, nuove visioni.
Qualcosa è cambiato dentro di me, una nuova consapevolezza, una visione nitida che mi stringe il cuore.
Cosa sia successo, consapevolmente non lo so ma è successo. Ho davanti agli occhi della mente il susseguirsi come di un film e vedo cosa sta succedendo su questa Terra con gli occhi di chi la sta guardando da un’altra dimensione. Emetiades, l’Aliena che è in me prende il sopravvento e mi spiana le montagne che impediscono a ognuno di noi, di voi di vedere veramente quello che sta succedendo.
Inutile negarlo, molti di voi sentono dentro molte sensazioni, certezze-incertezze che non riescono a spiegare, troppo legati a questa dimensione terrena siamo impreparati e NON vogliamo sapere cosa sarà di noi, del mondo e dei nostri figli, semplicemente perché abbiamo paura della verità che possiamo scoprire.
Buon per voi, che non vedete e non volete sapere, e peggio per me che, invece mi accorgo di cose che sono sotto gli occhi di tutti ma che solo pochi riescono a percepire.
Ho perso la capacità di arrabbiarmi, ma non quella di lottare anche se non servirà a salvare questo Pianeta se la maggior parte degli abitanti vive disonestamente. Non vogliamo nemmeno vedere dentro le nostre case con gli occhi del cuore per non scoprire che molte cose non sono come dovrebbero essere.
Io non amo le frasi fatte ma davvero, se non cominciamo ad essere migliori noi stessi e non insegniamo a chi ci circonda, i figli in primis come deve essere vissuta la vita non ci sarà futuro, e il limite è stato già raggiunto.
Per questo io non ho voluto figli, sono nata con la consapevolezza che il mondo, così come ce lo ritroviamo merita di essere distrutto, e così sarà.
Non dovete angustiarvi o preoccuparvi per questo, perché è inevitabile che avvenga, e per un motivo molto semplice: finirà questo maledetto modo di vivere per far posto alla rinascita di chi merita di vivere in un posto migliore. Non sarà senza sofferenza, ma è quello che ci meritiamo.
Milena/Emetiades


immagine dal web - diritti e proprietà riservati di Milena Ziletti

mercoledì 20 febbraio 2019

CAMILLA


CAMILLA

P. QUINDICI - FINALE






“Adesso ti aspetta un lungo periodo di riabilitazione, è tutto programmato. Andrai in una struttura appena fuori Londra e ci rimarrai fino a quando sarai pronto per tornare nel mondo.” Gli risposi.

“Davvero? E chi sosterrà la spesa di tutto?” Volle sapere.

“La tua ambasciata si prenderà carico di tutto. Te lo devono per l’onore che hai portato al tuo paese con il tuo sport e i tuoi trionfi. E’ tutto a posto, ci ho pensato io, tu non devi niente a nessuno.” Gli risposi.

Mi guarda e mi fa un sorriso incantevole dei suoi. Poi sposta lo sguardo su Andrej e gli dice: “Adesso capisce il valore di questa ragazza? Capisce che si è trovato la donna migliore in circolazione? Lei è molto fortunato, io le voglio bene ed è un sentimento che nasce da molto lontano, ma il suo cuore è solo per lei, l’ho capito appena vi ho visti insieme, lei è proprio perfetto per essere il suo principe azzurro.”

Andrej si scioglie un poco e lo ringrazia, poi esce e ci lascia da soli.

Ora che siamo da soli dobbiamo parlarci come si fa tra veri amici.
Alla fine, mi ringrazia di nuovo e ci diamo appuntamento a quando sarà nella nuova struttura.

Il medico è fuori che mi aspetta e parla con Andrej. “Signorina, il suo amico verrà trasferito fra pochi giorni, la terrò informata. Vi saluto entrambi, è stato un vero piacere conoscervi.” Una stretta di mano e ce ne torniamo a casa.

Andrej guida silenzioso ed assorto. Gli accarezzo dolcemente il viso cercando di capire quello che gli passa per la testa.
Mi fa un sorriso e capisco che il suo malumore è sparito. Adesso che ha conosciuto Rocco e ci ha visti insieme si è reso conto che non è un suo rivale, ma potrà essere anche suo amico.

La primavera si trasforma in estate e ogni tanto ci concediamo qualche giorno di vacanza insieme. Sono piuttosto rari i momenti che ci possiamo concedere solo per noi, perciò cerchiamo di goderceli fino in fondo.

Era l’estate del 1967 e ci trovavamo in Scozia, in un bellissimo albergo in riva al lago. Durante tutta la giornata Andrej si era comportato in modo inconsueto e silenzioso, e non riuscivo a capire cosa gli passasse per la testa. Non c’era niente da fare, quando si chiudeva in se stesso i suoi occhi diventavano davvero di ghiaccio e non riuscivo a leggervi niente.

Decise di cenare in camera, molto romanticamente a lume di candela. Ogni tanto mi faceva di queste sorprese.

Il cameriere portò il dolce e un vassoio a parte che posò sul tavolo in mezzo a noi, poi uscì.

Sul vassoio c’era una scatolina di velluto azzurro. Andrej la prese, la aprì e mi chiese: “Vuoi sposarmi?” e mi diede un anello di diamanti.
Sintetico e incisivo come al solito. Io guardavo lui e l’anello. Non mi aspettavo la sua proposta. Mi passarono nella mente una miriade di domande e risposte, di pro e contro, della nostra differenza sociale, culturale, di nazionalità, ma alla fine, diedi solo retta al mio cuore.
“Sì, con tutto il cuore.” E lo abbracciai.

Quando tornammo dalla breve vacanza comunicammo la notizia.
Lorna e Linda erano entusiaste e già si stavano predisponendo al grande evento. Suo nonno, aveva già capito da tempo e ci diede la sua benedizione. Saremmo andati anche dai miei genitori appena possibile e avrei presentato loro l’uomo che sarebbe diventato mio marito.

Andammo anche a trovare Rocco e gli comunicammo la bella notizia.

Il suo sguardo e il suo sorriso erano talmente belli e sinceri, e ci abbracciò entrambi. “Sei un uomo fortunato, Andrej, ma anch’io ho una bella notizia per voi. Sto migliorando meglio del previsto, e al vostro matrimonio parteciperò sulle mie gambe e in compagnia della mia futura sposa.”

Ci eravamo accorti che la sua terapista, Erika, era diventata qualcosa di più. Era una ragazza dolce e affettuosa, la persona giusta per un tipo come lui, e sarebbe riuscita a mantenerlo nei ranghi.

Apro gli occhi e mi sembra di essere ancora là.

Ah, ragazzi, quell’emozione al mio matrimonio! Le fotografie dell’album delle nozze ci ritrae belli, giovani e innamorati, ma non trasmettono assolutamente quell’emozione e quel sentimento così dolce e profondo che ho provato quel giorno. Sono passati tanti anni, ma è come non fosse passato nemmeno un giorno. Spero che un’emozione ed una felicità simile alla nostra possiate trovarla anche voi, altrimenti perdereste qualcosa di veramente importante della vita.

I suoi genitori arrivarono dalla Russia, i miei dall’Italia, e non riuscirono a comunicare nemmeno una parola. Erano solo contenti per noi.

Andammo in viaggio di nozze in America e quando tornammo, cominciammo la nostra vita insieme.

Da lì, dall’aprile 1968 cominciò quella che divenne la nostra vita insieme, e formammo una vera famiglia.

All’arrivo del primo figlio, Igor, smisi di lavorare. Poi arrivò Elisa, e poi Guglielmo.

Anche Rocco sposò Erika e fece molto di più. Andò a cercare le persone che lo avevano derubato e le trovò. Non so come li convinse, ma ritornò con buona parte del suo sudato denaro. Anche loro ebbero due figli, Natan e Mari.

Vivemmo le nostre vite come tutti gli altri. Io vissi per 40 anni esatti con il mio adorato Andrej, che è mancato proprio un anno fa.  E’ stato un dolore immenso che non riesco a spiegarvi, ed ora, anch’io, aspetto di raggiungerlo. Non ho fretta, ho ancora molto per cui vivere. Sono nonna di quattro ragazzini scatenati e mi godo questo periodo con lentezza, esperienza e con tanti ricordi.

Bene, miei cari amici, vi siete accorti di quanto si faccia presto ad invecchiare? Ho chiuso gli occhi e mi sono ritrovata nella fresca cantina di casa mia a giocare con le bambole. Li ho riaperti e mi sono ritrovata nonna e con una vita vissuta che mi ha portato alla soglia dei settant’anni.

Ho incontrato l’amicizia e sentimenti autentici con Rocco, poi la stravaganza e la generosità di Lorna e Linda, un lavoro bellissimo che mi ha aperto porte importanti, l’amore del mio adorato Andrej, dei miei figli e dei miei nipoti, e dei miei genitori che mi hanno lasciato la libertà di scegliere la mia vita. Una vita intensa, bellissima che sembra passata come un soffio di vento. E ora? Ora c’è ancora un futuro che mi aspetta, io sono sempre la solita Camilla, anche se la salute non è più quella dei verdi anni, e sono aperta ad altre esperienze, altri viaggi finchè arriverò anch’io alla mia meta.

E poi, oggi ci siete stati voi a farmi compagnia, ad ascoltare i ricordi di una vecchia signora, e vi ringrazio dell’attenzione. Vi offrirei un tè se foste qui con me, ho imparato a farlo secondo l’usanza russa, ma preferisco quella inglese.

Bene, miei cari, si è fatto tardi e fra poco ho appuntamento con mio figlio Igor che si trova in America. Ho imparato a usare Internet, il cellulare e ogni dispositivo che mi faccia sentire sempre vicina ai miei cari.
Per questo non ho fretta di raggiungere il mio Andrej, ho ancora molte esperienze da fare.

E’ stato un piacere parlare con voi. Un bacio a tutti e, che la vostra vita possa essere almeno in parte favolosa e piena d’amore come lo è stata la mia. Coltivate sempre i vostri sogni e non smettete mai di vivere pensando ad un futuro migliore.

                                                                           Camilla

foto dal web - diritti e proprietà riservati di Milena Ziletti

martedì 19 febbraio 2019

CAMILLA


CAMILLA

P. QUATTORDICI






“Signorina, mi rivolgo a lei perché non so con chi altri parlare. Da un paio di settimane più nessuno è venuto a trovare il suo amico e nessuno si è interessato delle sue condizioni. Purtroppo, abbiamo richiesto la rata per il pagamento della degenza e ci è stato risposto che non ci sono più soldi. Noi siamo costretti a mandarlo in una struttura pubblica e diversa, ma prima volevo parlare con lei e sentire il suo parere.” Mi informò il medico piuttosto a disagio.

Riamasi sbigottita! Rocco era molto ricco, era impossibile che i suoi soldi fossero finiti. Chiesi al medico di pazientare qualche giorno e gli avrei dato istruzioni.

Andai nella stanza di Rocco e lo vidi che dormiva ancora come un angioletto, ignaro di tutto quello che lo circondava e che gli era successo.
Gli presi la mano nella mia e gli dissi “Rocco, sono qui. Ci penso io a te, stavolta tocca a me. Ci vediamo presto.”

Usai tutti i canali che conoscevo, chiesi favori a chi me li doveva e alla fine riuscii a scoprire la verità.

La sua bellissima fidanzata bionda, se ne era ritornata in America quando aveva saputo della gravità delle ferite. I suoi collaboratori, quelli che gestivano tutta la sua vita, dagli incontri, alla pubblicità e soprattutto il suo patrimonio, si erano eclissati portandosi dietro tutti gli averi di Rocco. Non erano nemmeno perseguibili, perché avevano deleghe firmate che li autorizzavano a fare quello che volevano. In pratica, avevano sempre sfruttato Rocco, la sua voglia di boxare ed ora lo avevano abbandonato senza un soldo.

Ora Rocco era in un letto di ospedale, ancora incosciente, senza soldi e in un paese per lui straniero.

Versai di tasca mia la rata per la degenza, non potevo fare altrimenti. Poi, cominciai a smuovere tutti i canali diplomatici italiani e inglesi e riuscii ad ottenere che il ricovero fosse considerato come per un diplomatico a carico dalla sua ambasciata. Era un favore che mi veniva fatto e che avrei dovuto ripagare in altri modi, ma al momento non mi importava.

Ora che la situazione di Rocco era più tranquilla potevo rilassarmi anch’io.

Andrej era diventato più taciturno, meno affettuoso e rimaneva lontano anche parecchi giorni senza dare sue notizie, e questo mi feriva molto. Io lo amavo e lo sapeva, non poteva pretendere che abbandonassi Rocco solo perché lui era geloso.

Ero con lui quando ricevetti la telefonata del medico che mi diceva che Rocco si era svegliato e che potevo vederlo e parlargli.

Guardai Andrej che aveva corrucciato i suoi bellissimi occhi chiari e gli dissi “mi vuoi accompagnare? Mi farebbe piacere che vi conosceste.”
E il giorno dopo andammo da lui.

Entrammo in quella stanza e, dopo tanto tempo, lo vidi sveglio, ma i suoi occhi avevano perso quella luce che conquistava chiunque.

Guardò prima me poi Andrej e le sue prime parole furono “lo hai trovato finalmente il tuo principe azzurro! Era ora!”
Aveva parlato in italiano e Andrej non aveva capito niente, chiesi perciò a Rocco di parlare in inglese.

“Buon giorno signore, vedo che ha buon gusto nello scegliersi la fidanzata. Le faccio i miei complimenti, non sa quanto è fortunato, Camilla è una persona speciale, se la tenga stretta e non si lasci sfuggire tanta fortuna.” Disse con fatica.

Andrej fece un semplice cenno del capo, non era abituato all’espansività italiana e credo non avesse ben inteso quello che Rocco gli aveva appena detto.

Ci sedemmo vicino a lui e cominciai a metterlo al corrente della sua situazione. C’era anche il medico che, prima di me gli aveva parlato della sue condizioni di salute: il trauma che aveva subito lo aveva lasciato con gli arti inferiori insensibili. Non era paralizzato, ma ci sarebbe voluto molto tempo e molte cure per ricominciare a stare in piedi e poi a camminare.

Poi toccò a me raccontargli della sua situazione finanziaria e di come si erano comportati i suoi amici e la sua fidanzata.
Mano a mano che raccontavo, il suo sguardo si faceva sempre più scuro e, alla fine della storia, per la prima volta, lo vidi piangere.

Non erano lacrime di disperazione ma di rabbia. Sono convinta che se in quella stanza fosse entrato qualcuno del suo staff lo avrebbe preso a pugni.
La sua commozione durò poco, e, in un attimo la sua espressione cambiò di nuovo.

Conoscevo quel modo repentino di cambiare umore e a volte mi spaventava, ma non ora, ora aveva solo bisogno di certezze.

“Allora Camilla, cosa mi aspetta adesso?” Mi chiese.


foto dal web - diritti e proprietà riservati di Milena Ziletti

lunedì 18 febbraio 2019

CAMILLA


CAMILLA

P. TREDICI






Cominciò a parlarmi della sua terra e scoprii che la amava molto. Mi raccontò un po’ di storia della Russia, dei suoi travagli e della politica che non sempre condivideva. Era un romantico, e credo rimpiangesse i tempi dello zar e dello sfavillante ambiente imperiale.
Certo, con quel suo fisico e quella sua prestanza, poteva benissimo essere un discendente della famiglia reale. Ma così non era.

Ora eravamo fidanzati ufficialmente. Io avevo compiuto 26 anni e lui 30 ed eravamo proprio una bellissima coppia.

Andrej voleva portarmi in Russia a conoscere la sua famiglia, ma questo mi spaventava, mi sembrava di affrontare un viaggio senza ritorno. Erano paure infondate, con lui sarei andata in capo al mondo e programmammo il viaggio per le feste di Natale.

Arrivai in Russia durante una terribile bufera di neve. Non avevo mai sentito un freddo così intenso e, sinceramente, non vedevo l’ora di rientrare a Londra. La sua famiglia mi accolse con tanta cordialità e trascorremmo le feste di Natale come si usava da loro.
Di quel viaggio ricordo soprattutto i suoi numerosi parenti e le abbondanti abbuffate di cibo per me strano e sconosciuto. Ci fecero dormire in stanze comunicanti e trascorremmo le notti a scaldarci reciprocamente nello stesso letto. Andrej capiva quanto mi sentissi spaesata.

Il ritorno a casa fu, per me, una liberazione.

Andrej sorrideva divertito al mio comportamento ma sapevo che anche lui preferiva stare a Londra. Ci viveva ormai da tanti anni e si sentiva di casa.

Era la primavera del 1967 quando lessi quella terribile notizia sul giornale del mattino:

“GRAVE INCIDENTE STRADALE. GRAVEMENTE FERITO ROCCO, GRANDE PUGILE E CAMPIONE.”

Lessi angosciata l’articolo e scoprii che Rocco, mentre guidava la sua potente automobile era uscito di strada ed era rimasto gravemente ferito. L’avevano portato in ospedale a sud dell’Inghilterra e dicevano fosse in coma e gravemente ferito.

Andai di corsa in ufficio e usai tutti i canali che conoscevo per avere informazioni precise. Purtroppo, quello che avevo letto era tutto vero.

Rocco era gravemente ferito e non aveva ancora ripreso conoscenza.
Non potevo assentarmi dal lavoro per alcuni giorni, ma programmai di andarlo a trovare il primo giorno che avevo libero.

Fu in quell’occasione che parlai ad Andrej di Rocco, prima non avevo avuto occasione di farlo. Gli raccontai di quanto eravamo amici e di come ci volevamo bene.

Andrej non prese molto bene questa mia amicizia. Secondo lui un uomo e una donna non possono essere solo amici. La sua gelosia cominciava ad affiorare, ma io non potevo farci niente.

“Rocco ed io saremo sempre amici, qualunque cosa accada. Io ti amo Andrej, ma è importante anche l’amicizia.” Dissi a mio marito.

Era domenica mattina quando arrivai in quell’ospedale. Erano passati dieci giorni dall’incidente, ma Rocco non si era ancora svegliato.

Mi sedetti accanto al suo letto e mi stupii di non vedere nessuno del suo clan vicino a lui. Chiesi notizie al medico e dovetti qualificarmi come addetta all’ambasciata per avere informazioni, perché aveva ricevuto l’ordine dall’enturage di Rocco, di non parlare con nessuno.

Le sue condizioni erano gravi, quando si fosse risvegliato, avrebbe comunque avuto seri problemi non ancora quantificabili.
Lasciai il mio recapito ed il mio numero di telefono dell’ufficio, chiedendo di essere tenuta al corrente.

Fu con grande dolore che me ne andai da quel posto con l’immagine di Rocco ferito in quel letto.

Raccontai ad Andrej del mio viaggio e gli raccontai pure la storia mia e di Rocco, cercando di fargli capire che per me, era una persona ed un amico molto importante.

Ogni due giorni telefonavo e chiedevo notizie al solito medico, ma la situazione rimaneva immutata.

Due mesi erano passati dall’incidente e Rocco non si era ancora svegliato.
Ero ritornata da un viaggio con il console che mi aveva tenuta lontana da Londra per due settimane. Non vedevo l’ora di parlare con il medico per avere informazioni.
Fu con sorpresa che trovai il suo messaggio che mi chiedeva di incontrarci al più presto.
Rimandai l’incontro con Andrej (e lui si arrabbiò parecchio) e andai all’ospedale.

Il medico mi invitò nel suo studio. Mi guardava in modo strano e non capivo cosa fosse successo.

foto dal web - diritti e proprietà riservati di Milena Ziletti

sabato 16 febbraio 2019

QUANDO MORIRO'


QUANDO MORIRO’






Quando morirò avrò lasciato le mie lacrime sul duro terreno che ho calpestato, lacrime che avranno nutrito boccioli di viola.
Quando morirò avrò lasciato le mie impronte su una spiaggia di sabbia che il mare ha rubato e si saranno confuse fra l’orizzonte lontano.
Quando morirò avrò lasciato il mio sguardo immerso nel cielo e nelle nuvole, e si abbraccerà agli angeli danzanti della Terra.
Quando morirò la mia Essenza raggiungerà l’Universo, mi confonderò con le stelle e danzerò come polvere nella coda di una cometa.
Quando morirò avrò lasciato il mio sorriso sospeso fra cielo e terra, per chi ne avrà bisogno, sarà lì, come una carezza.
Quando morirò porterò con me l’abbraccio di chi ho amato, lascerò il calore delle mie mani per allontanare la tristezza.
Quando morirò non avrò lasciato nessun segno, il ricordo sfiorirà nel traffico e nel frastuono ed io, Spirito Immortale continuerò a danzare.



scritto da Milena Ziletti

CAMILLA


CAMILLA

P. DODICI






C’erano ragazzi e ragazze con capelli tinti di ogni colore, pettinati in modi stravaganti e originali e, tutto questo, visto dopo aver visitato seri palazzi e opere d’arte molto tradizionali mi riportava nel mondo dei giovani.

Avevo 25 anni, non ero vecchia, ma mi era sempre mancata quella spensieratezza e libertà di cui godevano quei giovani, e mi divertivo a starli a guardare.

Era piena estate e il caldo era piuttosto fastidioso, per questo mi ero vestita con un semplice abito senza maniche e avevo raccolto i capelli in una coda. Sbocconcellavo distrattamente il mio panino e guardavo tutta quella gioventù, i bambini che giocavano, le mamme che leggevano o giocavano con i loro bambini e tutto quel vociare mi rendeva allegra.

“Buon giorno signorina Camilla”. Mi girai di scatto. Ero talmente distratta che non mi ero accorta che qualcuno si era avvicinato.

La mia sorpresa fu totale e non riuscii a simularla: quel bel giovane russo era al mio fianco.

“Mi scusi signorina, mi presento subito”. Snocciolò una serie di nomi che non riuscii ad afferrare ma capii che si chiamava Andrej.

“Posso accompagnarla nella sua passeggiata? Anch’io ho portato un panino e le farò compagnia.” Chiese dandomi galantemente la mano aiutandomi ad alzarmi.

Ormai mi conoscete, mi ci vuole un po’ prima di ritrovare la parola quando sono sorpresa e, anche questa volta, non fu diverso.

Per un po’ mangiammo in silenzio e poi mi decisi a guardarlo direttamente in viso. “Cosa ci fa in questo posto?”

“Cercavo lei”. Mi rispose con il suo splendido sorriso.
 Semplice e diretto, come avrei scoperto era il suo modo consueto di essere. Ogni volta che lo guardavo, il mio cuore cambiava il battito. Inutile mentire a me stessa, Andrej mi piaceva davvero molto, ed era la prima volta che mi succedeva. Non ho mai saputo come ha fatto a trovarmi quel giorno, non ha mai voluto dirmelo, ma davvero, a me interessava solo che mi avesse trovata.


PARTE QUINTA

Iniziò così la nostra storia. Come ogni storia d’amore.

Il nostro rispettivo lavoro ci lasciava poco tempo libero e ne approfittavamo per passare ogni momento insieme. Cominciai a passare molto più tempo nel mio monolocale che con Lorna e Linda, ma loro, non si intromisero mai.

Andrej era il nipote del console russo e lavorava per lui. Parecchie volte ci incontrammo nello svolgimento dei nostri lavori, ma la nostra professionalità non venne mai intaccata dai nostri sentimenti.

Imparai a conoscerlo meglio. Oltre all’avvenenza fisica possedeva un’educazione eccezionale e modi di fare da gran signore. Sarebbe stato impossibile a qualunque donna resistere a modi tanto perfetti e raffinati. Ma lui, aveva scelto me.

I suoi chiari occhi colore del ghiaccio sembravano scaldarsi quando si rivestivano di sentimento, e questo avveniva ogni volta che mi guardava.
Io ero innamorata, ma lui lo era molto di più.

Era anche un po’ possessivo e geloso, ma riusciva molto bene a mascherare tali sentimenti. Non ho mai capito se era parte del suo carattere o se i russi fossero tutti un po’ così.

Con lui scoprii un mondo diverso. I suoi gusti in fatto di arte e di spettacolo erano molto più raffinati dei miei. Mi accompagnò allo spettacolo dei balletti russi, del pattinaggio sul ghiaccio, a visitare luoghi che, senza la sua autorità, mi sarebbero stati preclusi. I nostri momenti liberi li trascorrevamo alla scoperta di emozioni sempre nuove.

E il sesso, come si usa dire oggi? Io lo chiamo ancora “fare l’amore”, perché per me, fare sesso non ha nessun senso.

Ci volle un anno prima che ci concedessimo. Io ero giovane e priva di tale esperienza. Il mio cuore cambiava battito anche solo se mi prendeva la mano e mi sentivo emozionata quando la sua vicinanza mi trasmetteva parte del suo calore.
Lui capiva, ed era sempre dolce e paziente.

Avvenne tutto con estrema naturalezza, senza che fosse programmato.

Non vi racconto i particolari, non li ho mai raccontati a nessuno, ma per me, quella prima volta, suonarono davvero le campane e sentii cantare gli angeli. Da quel momento, fui sua, perdutamente e per sempre conquistata.



foto dal web - diritti e proprietà riservati di Milena Ziletti

venerdì 15 febbraio 2019

CAMILLA


CAMILLA

P. UNDICI






Mi parlò della sua vita frenetica, degli allenamenti massacranti, dei lunghi viaggi per disputare i suoi incontri, della fatica che faceva per apparire sempre sorridente. Aveva anche cominciato a fare alcuni spot pubblicitari, ed era diventato molto ricco. Uno stuolo di persone si occupavano di lui, dei suoi interessi, degli orari degli allenamenti, delle interviste da rilasciare. Lui lasciava fare tutto quello che volevano, l’importante per lui era la boxe. L’amava veramente. Si ricordava ancora di Nino, il suo primo allenatore, quello che gli aveva insegnato come ci si comporta per ottenere i risultati. In quelle ore così piacevoli, toccammo molti argomenti della nostra attuale vita, dei ricordi della nostra scuola, ripercorremmo la nostra vita talmente intensamente che alla fine recuperammo tutto il tempo perduto. Le due sorelle tennero occupata Helen, e ci diedero il tempo per rimanere soli. Fu una giornata bellissima e non ce ne furono altre simili.

Era sera e dovemmo salutarci. Rocco sarebbe partito per un tour dell’Inghilterra, doveva girare alcuni spot e la sua fidanzata fu molto felice di poterlo avere ancora tutto per sé.
Il nostro saluto fu un solo abbraccio, e la promessa di tenerci in contatto.

Io ripresi la mia vita, il mio lavoro e i miei viaggi.

Ricevetti alcune cartoline da ogni parte del mondo. Rocco mantenne la promessa di tenersi in contatto, ma non andava mai oltre una semplice cartolina. Io mi accontentavo, era il suo ricordo ed il suo affetto quello che mi interessava, non lunghi discorsi.

A venticinque anni ero veramente soddisfatta. La piccola e timida “Camilla la solitaria” aveva fatto molta strada. Aveva visitato posti lontani, conosciuto persone importanti e occupava un posto di lavoro molto esclusivo.

Lorna e Linda cominciavano a chiedermi se non avessi ancora incontrato l’uomo dei miei sogni, e ogni volta, rispondevo loro che non avevo tempo di sognare, perciò non avevo tempo nemmeno per trovare il mio uomo.

L’amore non si può programmare, poi, anch’io lo trovai.

Avevo accompagnato il console all’ambasciata russa per una importante riunione. Era il 1965 e la guerra fredda imperversava.

La riunione era anticipata da un magnifico buffet freddo.

 Avevo visto molte splendide dimore, ma questa era veramente magnifica.

Mi immersi nella contemplazione delle opere d’arte appese alle pareti, delle sculture di ogni genere e forme, dei lampadari di cristallo talmente grandi e sfavillanti che non si potevano guardare per non restare abbagliati.

 Ero persa in tanto splendore che avevo perso pure la cognizione del tempo.
Un giovane uomo si avvicinò. “Signorina, Lord Bird la sta aspettando. La prego di seguirmi.”

Ero imbarazzatissima! Non mi ero accorta di essermi così attardata.

Fui accompagnata nella sala delle riunione e fui sorpresa quando vidi che anche il mio accompagnatore entrava e prendeva posto accanto al console russo. Io presi posto accanto a lord Bird.

La riunione durò parecchie ore. Io ero digiuna non essendomi fermata al buffet e feci fatica a concentrarmi su ogni particolare. Oltretutto, ogni tanto, guardavo quel ragazzo perché aveva una bellezza straordinaria.
I suoi occhi, chiari quasi quanto il ghiaccio, sembravano anche freddi come il ghiaccio.  

Al termine, a notte fonda, ero stanca ed affamata. Avevo accompagnato lord Bird alla macchina e mi stavo preparando per far ritorno al mio monolocale cittadino quando quel giovane mi si avvicinò porgendomi un cesto di frutta e crostini. Me lo consegnò accompagnandolo con un sorriso che avrebbe sciolto anche gli iceberg, mi fece un inchino e se ne andò.

Pensai che la gentilezza dei russi non era solo una leggenda.

Arrivai a casa e mi addormentai immediatamente.

Il mattino dopo, il primo pensiero che ebbi fu per quel giovane uomo che mi aveva così attratta. Non mi era mai successo di provare tanto interesse per nessuno e cominciai a farmi delle domande su di lui.

Avevo davanti due giorni di riposo e li dedicai al mio passatempo preferito: girare per la città e visitare qualunque opera d’arte e soprattutto pranzare con un semplice panino in qualche giardino pubblico.
Mi piaceva guardare quella gioventù variopinta che girava in quei posti. Era così diversa da me, così seria e compunta, ma mi piacevano molto.



foto dal web - diritti e proprietà riservati di Milena Ziletti