CAMILLA
P. TREDICI
Cominciò a parlarmi della sua
terra e scoprii che la amava molto. Mi raccontò un po’ di storia della Russia,
dei suoi travagli e della politica che non sempre condivideva. Era un
romantico, e credo rimpiangesse i tempi dello zar e dello sfavillante ambiente
imperiale.
Certo, con quel suo fisico e
quella sua prestanza, poteva benissimo essere un discendente della famiglia
reale. Ma così non era.
Ora eravamo fidanzati
ufficialmente. Io avevo compiuto 26 anni e lui 30 ed eravamo proprio una
bellissima coppia.
Andrej voleva portarmi in
Russia a conoscere la sua famiglia, ma questo mi spaventava, mi sembrava di
affrontare un viaggio senza ritorno. Erano paure infondate, con lui sarei
andata in capo al mondo e programmammo il viaggio per le feste di Natale.
Arrivai in Russia durante una
terribile bufera di neve. Non avevo mai sentito un freddo così intenso e,
sinceramente, non vedevo l’ora di rientrare a Londra. La sua famiglia mi
accolse con tanta cordialità e trascorremmo le feste di Natale come si usava da
loro.
Di quel viaggio ricordo
soprattutto i suoi numerosi parenti e le abbondanti abbuffate di cibo per me
strano e sconosciuto. Ci fecero dormire in stanze comunicanti e trascorremmo le
notti a scaldarci reciprocamente nello stesso letto. Andrej capiva quanto mi
sentissi spaesata.
Il ritorno a casa fu, per me,
una liberazione.
Andrej sorrideva divertito al
mio comportamento ma sapevo che anche lui preferiva stare a Londra. Ci viveva
ormai da tanti anni e si sentiva di casa.
Era la primavera del 1967
quando lessi quella terribile notizia sul giornale del mattino:
“GRAVE INCIDENTE STRADALE.
GRAVEMENTE FERITO ROCCO, GRANDE PUGILE E CAMPIONE.”
Lessi angosciata l’articolo e
scoprii che Rocco, mentre guidava la sua potente automobile era uscito di
strada ed era rimasto gravemente ferito. L’avevano portato in ospedale a sud
dell’Inghilterra e dicevano fosse in coma e gravemente ferito.
Andai di corsa in ufficio e
usai tutti i canali che conoscevo per avere informazioni precise. Purtroppo,
quello che avevo letto era tutto vero.
Rocco era gravemente ferito e
non aveva ancora ripreso conoscenza.
Non potevo assentarmi dal
lavoro per alcuni giorni, ma programmai di andarlo a trovare il primo giorno
che avevo libero.
Fu in quell’occasione che
parlai ad Andrej di Rocco, prima non avevo avuto occasione di farlo. Gli
raccontai di quanto eravamo amici e di come ci volevamo bene.
Andrej non prese molto bene
questa mia amicizia. Secondo lui un uomo e una donna non possono essere solo
amici. La sua gelosia cominciava ad affiorare, ma io non potevo farci niente.
“Rocco ed io saremo sempre amici, qualunque cosa
accada. Io ti amo Andrej, ma è importante anche l’amicizia.” Dissi a mio marito.
Era domenica mattina quando
arrivai in quell’ospedale. Erano passati dieci giorni dall’incidente, ma Rocco
non si era ancora svegliato.
Mi sedetti accanto al suo
letto e mi stupii di non vedere nessuno del suo clan vicino a lui. Chiesi
notizie al medico e dovetti qualificarmi come addetta all’ambasciata per avere
informazioni, perché aveva ricevuto l’ordine dall’enturage di Rocco, di non
parlare con nessuno.
Le sue condizioni erano
gravi, quando si fosse risvegliato, avrebbe comunque avuto seri problemi non
ancora quantificabili.
Lasciai il mio recapito ed il
mio numero di telefono dell’ufficio, chiedendo di essere tenuta al corrente.
Fu con grande dolore che me
ne andai da quel posto con l’immagine di Rocco ferito in quel letto.
Raccontai ad Andrej del mio
viaggio e gli raccontai pure la storia mia e di Rocco, cercando di fargli
capire che per me, era una persona ed un amico molto importante.
Ogni due giorni telefonavo e
chiedevo notizie al solito medico, ma la situazione rimaneva immutata.
Due mesi erano passati
dall’incidente e Rocco non si era ancora svegliato.
Ero ritornata da un viaggio
con il console che mi aveva tenuta lontana da Londra per due settimane. Non
vedevo l’ora di parlare con il medico per avere informazioni.
Fu con sorpresa che trovai il
suo messaggio che mi chiedeva di incontrarci al più presto.
Rimandai l’incontro con
Andrej (e lui si arrabbiò parecchio) e andai all’ospedale.
Il medico mi invitò nel suo
studio. Mi guardava in modo strano e non capivo cosa fosse successo.
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