lunedì 4 febbraio 2019

CAMILLA


CAMILLA



uno

PARTE PRIMA

Seduta sul divano comodo del mio salotto guardo gli album di fotografie sparsi un po’ dovunque. In questi volumi, un po’ in bianco e nero, un po’ a colori c’è tutta la mia vita.
E’ vero, sono vecchia, ma non capisco quelli che denigrano l’età avanzata.
Sono arrivata quasi a settant’anni e ho tutta una vita di ricordi.
Ho sempre desiderato poter scrivere in un libro della mia vita, ma non ci sono mai riuscita. Un po’ perché non ci sono molte cose eclatanti da raccontare, un po’ perché non ne sono capace. Così, ora che il tempo non mi manca, invece di scrivere un libro guardo le fotografie e ripenso a tutti quei momenti che hanno formato la mia intera esistenza. Non c’è tutto, ma nella mia mente non manca niente, neanche il più piccolo particolare. Sembra che il tempo che passa, invece di affievolire i ricordi li renda più nitidi e vivi. Dicono che sia dovuto alla senilità, ma io mi sento così bene e giovane che non ci credo. Penso piuttosto che ogni ricordo, che sia bello o meno bello, occupi il suo spazio nella mente e, da lì, nessuno lo può togliere.
Sto parlando con voi come se foste vecchi amici e non ho avuto l’accortezza di presentarmi, vi chiedo scusa, sono una vecchia signora che si approfitta dell’età per avere la vostra indulgenza: mi chiamo Camilla e mi sento vostra amica.
Oggi è un giorno particolare, è un anno esatto che ho perso mio marito, per questo ho preso gli album di fotografie, per pensare a lui e per sentirlo ancora vicino.
Non so da dove cominciare a guardare tutte quelle immagini, allora, appoggio la testa, chiudo gli occhi, e mi immergo nei ricordi.

E mi ritrovo nella fresca cantina di casa mia. Era il posto più fresco e silenzioso della casa, e mi piaceva sedermi in un angolo con la mia gatta Miagolina in braccio. Mi sembra di sentire ancora gli odori degli insaccati lasciati a penzolare durante l’inverno, o i profumi delle marmellate estive, o le verdure raccolte per le conserve. Ma quello che più mi affascinava era il silenzio. Quanto mi è sempre piaciuto il silenzio e la penombra! Era il luogo ideale per una bambina timida e solitaria come me. Infatti mi chiamavano “Camilla la solitaria” per questo mio atteggiamento schivo.

In quella cantina silenziosa davo vita a tutti i miei sogni. Ero molto fantasiosa e mi ero creata le “fatine parlanti” e gli “angeli ascoltanti”. Cercavo di tenere per me tutto questo, ma non mi accorgevo che quando parlavo con loro anche gli altri mi sentivano. Per ogni situazione o circostanza c’era sempre una fatina o un angelo che mi aiutava. E quanto nella vita tutto questo mi è servito!

I miei genitori ormai non ci facevano più caso, non avevo amici perciò, per il momento, mi lasciavano vagare con la fantasia.

E’ decisamente brutto essere timidi come lo ero io. Parlare con sconosciuti o far valere le mie ragioni erano per me montagne insormontabili.

Quel bellissimo giorno di maggio stavo passeggiando e parlavo con la mia bambola Fatina. Le stavo raccontando dei miei sogni a occhi aperti, sogni che sono di una bimba di sei anni e costeggiavo la ringhiera della casa di fronte alla mia. Da poco erano venute nuove persone ad abitarci ed io non le conoscevo. Sentivo la voce di una signora che sgridava forte un bambino e sentii anche il rumore di uno schiaffo. Nessuno mi aveva mai schiaffeggiata e non mi sembrava giusto che qualcun altro lo potesse fare.
“Adesso rimani in punizione, fino a che non impari le buone maniere non avrai la merenda” sentii dire. E la risposta di quel bambino fu una parolaccia.
Fatina, dissi alla mia bambola, chi sarà quel bambino così cattivo?”
“Che ti importa chi sono io?” Mi presi un bello spavento. Come al solito avevo parlato ad alta voce.

Mi fermai di botto e lo guardai attraverso la larga ringhiera. Era un bambino magrolino con un ciuffo di capelli neri che gli stavano dritti sulla fronte. Mi colpirono particolarmente i suoi occhi, perché erano cupi, scuri e molto arroganti (allora non conoscevo il vero significato della parola).
Mentre lo guardavo e vedevo il suo sguardo così beffardo ritornai ad essere la solita timida Camilla. Abbassai gli occhi sulla mia bambola e non riuscii più a rispondergli.
“Senti tu, perché non mi guardi? Credi di essere più bella di me?”
Io, naturalmente continuavo a rimanere in silenzio. Non ero preparata ad affrontare un bambino così prepotente e mi sentivo molto imbarazzata.

“Ho capito, sei solo una bambina stupida!”

Quelle parole mi ferirono molto profondamente, perché io stessa pensavo di essere una bambina poco intelligente. La mia timidezza mi bloccava talmente tanto che non riuscivo mai ad esprimere niente di quello che avrei voluto, e vivevo costantemente con un forte senso di inferiorità.
Però, sentirlo dire così apertamente, mi ferì nel profondo.

Strinsi la mia bambolina al petto e abbassai il viso. Grossi lacrimoni silenziosi iniziarono a bagnarle i capelli finti biondi. Avrei voluto andarmene di corsa, ma una strana forza mi teneva incollati i piedi per terra.
E mentre piangevo e i lacrimoni sembravano un fiume inarrestabile, quel bambino allungò una mano sporca e mi toccò il viso bagnato.


foto dal web - diritti e proprietà riservati di Milena Ziletti

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