CAMILLA
uno
PARTE PRIMA
Seduta sul divano comodo del
mio salotto guardo gli album di fotografie sparsi un po’ dovunque. In questi
volumi, un po’ in bianco e nero, un po’ a colori c’è tutta la mia vita.
E’ vero, sono vecchia, ma non
capisco quelli che denigrano l’età avanzata.
Sono arrivata quasi a
settant’anni e ho tutta una vita di ricordi.
Ho sempre desiderato poter
scrivere in un libro della mia vita, ma non ci sono mai riuscita. Un po’ perché
non ci sono molte cose eclatanti da raccontare, un po’ perché non ne sono
capace. Così, ora che il tempo non mi manca, invece di scrivere un libro guardo
le fotografie e ripenso a tutti quei momenti che hanno formato la mia intera
esistenza. Non c’è tutto, ma nella mia mente non manca niente, neanche il più
piccolo particolare. Sembra che il tempo che passa, invece di affievolire i
ricordi li renda più nitidi e vivi. Dicono che sia dovuto alla senilità, ma io
mi sento così bene e giovane che non ci credo. Penso piuttosto che ogni
ricordo, che sia bello o meno bello, occupi il suo spazio nella mente e, da lì,
nessuno lo può togliere.
Sto parlando con voi come se
foste vecchi amici e non ho avuto l’accortezza di presentarmi, vi chiedo scusa,
sono una vecchia signora che si approfitta dell’età per avere la vostra indulgenza:
mi chiamo Camilla e mi sento vostra amica.
Oggi è un giorno particolare,
è un anno esatto che ho perso mio marito, per questo ho preso gli album di
fotografie, per pensare a lui e per sentirlo ancora vicino.
Non so da dove cominciare a
guardare tutte quelle immagini, allora, appoggio la testa, chiudo gli occhi, e mi
immergo nei ricordi.
E mi ritrovo nella fresca
cantina di casa mia. Era il posto più fresco e silenzioso della casa, e mi
piaceva sedermi in un angolo con la mia gatta Miagolina in braccio. Mi sembra
di sentire ancora gli odori degli insaccati lasciati a penzolare durante
l’inverno, o i profumi delle marmellate estive, o le verdure raccolte per le
conserve. Ma quello che più mi affascinava era il silenzio. Quanto mi è sempre
piaciuto il silenzio e la penombra! Era il luogo ideale per una bambina timida
e solitaria come me. Infatti mi chiamavano “Camilla la solitaria” per questo
mio atteggiamento schivo.
In quella cantina silenziosa davo
vita a tutti i miei sogni. Ero molto fantasiosa e mi ero creata le “fatine
parlanti” e gli “angeli ascoltanti”. Cercavo di tenere per me tutto questo, ma
non mi accorgevo che quando parlavo con loro anche gli altri mi sentivano. Per
ogni situazione o circostanza c’era sempre una fatina o un angelo che mi aiutava.
E quanto nella vita tutto questo mi è servito!
I miei genitori ormai non ci
facevano più caso, non avevo amici perciò, per il momento, mi lasciavano vagare
con la fantasia.
E’ decisamente brutto essere
timidi come lo ero io. Parlare con sconosciuti o far valere le mie ragioni
erano per me montagne insormontabili.
Quel bellissimo giorno di
maggio stavo passeggiando e parlavo con la mia bambola Fatina. Le stavo
raccontando dei miei sogni a occhi aperti, sogni che sono di una bimba di sei
anni e costeggiavo la ringhiera della casa di fronte alla mia. Da poco erano
venute nuove persone ad abitarci ed io non le conoscevo. Sentivo la voce di una
signora che sgridava forte un bambino e sentii anche il rumore di uno schiaffo.
Nessuno mi aveva mai schiaffeggiata e non mi sembrava giusto che qualcun altro
lo potesse fare.
“Adesso rimani in punizione, fino a che non impari le
buone maniere non avrai la merenda”
sentii dire. E la risposta di quel bambino fu una parolaccia.
“Fatina, dissi alla mia bambola, chi sarà quel bambino così cattivo?”
“Che ti importa chi sono io?” Mi presi un bello spavento. Come al solito avevo
parlato ad alta voce.
Mi fermai di botto e lo
guardai attraverso la larga ringhiera. Era un bambino magrolino con un ciuffo
di capelli neri che gli stavano dritti sulla fronte. Mi colpirono
particolarmente i suoi occhi, perché erano cupi, scuri e molto arroganti
(allora non conoscevo il vero significato della parola).
Mentre lo guardavo e vedevo
il suo sguardo così beffardo ritornai ad essere la solita timida Camilla.
Abbassai gli occhi sulla mia bambola e non riuscii più a rispondergli.
“Senti tu, perché non mi guardi? Credi di essere più
bella di me?”
Io, naturalmente continuavo a
rimanere in silenzio. Non ero preparata ad affrontare un bambino così
prepotente e mi sentivo molto imbarazzata.
“Ho capito, sei solo una bambina stupida!”
Quelle parole mi ferirono
molto profondamente, perché io stessa pensavo di essere una bambina poco
intelligente. La mia timidezza mi bloccava talmente tanto che non riuscivo mai
ad esprimere niente di quello che avrei voluto, e vivevo costantemente con un
forte senso di inferiorità.
Però, sentirlo dire così
apertamente, mi ferì nel profondo.
Strinsi la mia bambolina al
petto e abbassai il viso. Grossi lacrimoni silenziosi iniziarono a bagnarle i
capelli finti biondi. Avrei voluto andarmene di corsa, ma una strana forza mi
teneva incollati i piedi per terra.
E mentre piangevo e i
lacrimoni sembravano un fiume inarrestabile, quel bambino allungò una mano
sporca e mi toccò il viso bagnato.
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