giovedì 28 gennaio 2021

MISHA

MISHA

parte ventotto




 “C’è molto di più! Credi che non mi accorga?” Rimarcò.

“Se sei una grande strega come dici di essere, perché non lo scopri da sola? Dopotutto hai rubato anche il libro degli incantesimi, non dovrebbe essere difficile per te riuscirci. O hai perso il tocco?” L’irrise Moliniana.

“Vedo che ragionare con te non porta a niente, come sempre. Ti ho chiamata solo per farti sapere che sono ancora io la regina delle streghe, finché il libro degli incantesimi sarà nelle mie mani niente cambierà. Tutto qui è impenetrabile ai miei incantesimi, niente mi sfugge e mi basta un ordine per decretare la fine di quella mocciosa.” Le disse piccata.

“Entrambe conosciamo le regole della nostra stirpe e del libro, anche tu hai dei limiti e me lo stai dimostrando con questa chiamata. Io so perché hai voluto vedermi e non ti faciliterò niente. Io con te ho concluso.” E Moliniana sparì con una grassa risata.

Il fumo si dissolse e le fiamme ripresero vigore. Kloriana sapeva che non avrebbe ottenuto niente da Moliniana ma aveva bisogno di rivederla per rendersi conto di come fosse ridotta la strega al di la dal portale dopo che lei se n’era andata con il libro degli incantesimi. Quando era scappata da quel posto non si era limitata ad incendiare e bruciare gli gnomi ma aveva lasciato incantesimi davvero forti, ma ora si rendeva conto che erano stati ridotti a niente, che elfi, fate, gnomi, ninfe e streghe erano ancora potenti. Lei non era più riuscita ad attraversare il portale, nemmeno con tutta la sua potenza e averla chiamata aveva dimostrato la sua debolezza. Inoltre, anche in possesso del libro i suoi poteri stavano mutando, si stava indebolendo, anche se rimaneva ancora con grandi capacità. Aveva usato il libro per ottenere tutto quello che voleva ed ora, le pagine del libro si era quasi del tutto sbiancato, ne era rimasta una sola pagina e lei doveva usarla nel miglior modo possibile. Era a questo che si era riferita Moliniana, lo aveva capito.

Cercò di calmarsi, il fatto che la ragazza medicina non fosse un pericolo per i suoi piani era certo, nemmeno Moliniana avrebbe potuto superarla, figurarsi una semplice umana senza tocco e senza nascita.

Prese il libro degli incantesimi e lo sfogliò. Soltanto l’ultima pagina recava impressi simboli e incantesimi, erano gli ultimi, quelli che doveva usare per trasformare l’oro di Verzel in oro vero, non poteva sprecarli per altro. Aveva vissuto tutti quegli anni, in attesa del re giusto per portare a compimento i suoi piani e sogni di grandezza e aveva usato, senza risparmiarli, gli incantesimi più potenti. Non lo aveva fatto a cuor leggero, ma tenere nascosto a tre generazioni di re e a tutto il reame quello che lei stava facendo era costato parecchio. Ora, finalmente era giunto il momento di riscuotere il profitto del suo grande lavoro. Ancora un po’ di pazienza e tutto sarebbe stato compiuto. Con un sorrisetto soddisfatto rimise a posto il libro e uscì.

La fine dell’anno si avvicinava e Misha era agitata. Aveva promesso che più nessun bambino sarebbe stato strappato alla propria famiglia, ma il tempo trascorreva e ancora nessuno era venuto con le informazioni.

Era proprio l’ultimo giorno dell’anno quando un elfo infilò un biglietto sotto la sua porta prima di sparire.

In casa c’era solo Tom, lo raccolse e lo mise sul tavolo.

Misha rientrò intirizzita e il bambino le offrì subito una tisana bollente e il foglietto che aveva raccolto.

“Hai visto chi lo ha portato?” Gli chiese.

Tom scosse la testa.

Misha lo lesse e lo bruciò. “Stanotte devo uscire, è molto importante. Ora vieni che mangiano qualcosa.”

La ragazza aspettò che fuori ci fosse silenzio. Le ronde avevano allentato i controlli, faceva troppo freddo anche per loro e lei ne conosceva gli orari.

Uscì furtiva, avvolta in un mantello nero come la notte e raggiunse una piccola porta che, ben nascosta portava fuori dalle mura.

Boris la stava aspettando con altri due gnomi e l’immancabile elfo con la sua lancia appuntita.

“Seguimi.”

E si allontanarono dalle mura.

Si ripararono in un anfratto. I due gnomi e l’elfo facevano la guardia mentre gli altri due discutevano.

“Hai scoperto dove si trova la cava sommersa?” Gli chiese impaziente.

“Cosa credi che sia venuto a fare in una notte come questa?” Gli rispose col solito tono burbero.

Lo gnomo tolse un involucro dalla sua sacca e lo aprì davanti a lei.

“Vedi questo? Questo è ciò che la strega traditrice chiama l’oro di Verzel. E’ difficile da trovare ma questo piccolo frammento è stato custodito per anni dalle fate, non sapevano cosa fosse quando una di loro lo ha riportato in una notte di luna piena. Ha una caratteristica particolare, quando c’è la luna piena riflette la sua luce e brilla di luce verde, per questo è difficile da trovare, durante il giorno sembra un semplice sasso, inoltre io stesso non ne avevo mai visto.”  Spiegò Boris.

“Da dove proviene?” Lo incalzò Misha.

“Calma, ragazza, calma, ora ti spiego, io e miei gnomi abbiamo faticato davvero parecchio per riuscire a trovare l’origine. Ci siamo impegnati al massimo al di là del portale, tutti quanti, o non ci saremmo riusciti. Moliniana ha dovuto interpellare anche le sue sorelle che vivono al di qua, e siamo riusciti a trovare quello che ti serve.” Spiegò per dare il merito a tutti.

“Un tempo lontanissimo esisteva un vulcano molto particolare, quando si risvegliava non eruttava come tutti gli altri, crescendo ad ogni colata di lava che fuoriusciva dal cratere, ma lo faceva al contrario, eruttava all’interno e mano a mano trascinava molta parte di terreno con sé fino a quando non si livellò nel terreno e andò anche oltre. Questo vulcano aveva una lava particolare, era verde e le piccole schegge che rimanevano all’esterno brillavano di luce verde quando c’era la luna piena. Ci sono voluti centinaia di anni prima che scomparisse del tutto inghiottito dagli abissi della terra, o così sembrava. Ora sappiamo dove si trova e come arrivarci .” Terminò di spiegare.

Misha aspettava di ascoltare il seguito, finalmente poteva darsi da fare.

“Non è così semplice arrivarci. Moliniana ha perlustrato il terreno che lo circonda ed è pieno di insidie che quella strega maledetta ha messo a protezione. Non ti farà piacere sapere come lo potrai raggiungere.”Sospirò lo gnomo osservandola negli occhi prima di dirle il seguito.

“Dovrai entrarci col bambino. Dovrai restituirlo e accompagnarlo, non c’è altro mezzo per entrare e ti garantisco che ci abbiamo studiato fino allo sfinimento per trovare un’altra soluzione.” Disse sentendosi colpevole.

“Non se ne parla! Ho promesso a Tom che lo avrei protetto, ho visto quello che ha subìto in quel posto, non lo farò mai. Dammi tutti gli elementi e al resto ci penso io.” Gli rispose risoluta.

“Ero sicuro che non avresti approvato il nostro piano, per questo ne abbiamo tenuto un altro di riserva, ma ti assicuro che anche questo non ti piacerà.” Le rispose.

Lo gnomo aspettò qualche istante prima di proseguire. “Devi convincere il principe ereditario a offrirsi in cambio dei bambini, devi entrare in quel posto o non ci sarà niente da fare!” Aggiunse serio vedendo lo smarrimento negli occhi della ragazza.

“Io non farò proprio niente del genere. Nessuno deve soffrire o morire se non me stessa. Dammi tutti gli indizi e al resto ci penso io!” Gli rispose alterata.

Boris prese dalla sua sacca un tubo contenente una pergamena e gliela diede. “Qui c’è tutto quello che abbiamo scoperto. Siamo pronti ad aiutarti in qualsiasi modo e in qualsiasi momento. Tutti, al di là del portale hanno fiducia in te ma, ragazzina esistono dei confini oltre i quali non si può andare e tu vuoi superarli da sola. Pensaci e facci sapere quello che vuoi che facciamo per aiutarti.” Le disse porgendole il tubo di bambù.

Misha strinse il tubo nelle mani intirizzite. La neve aveva ripreso a cadere in fiocchi duri come il ghiaccio. Si salutarono e l’elfo seguì la ragazza fino a quando entrò in casa.

Il camino emanava un po’ di calore e Tom dormiva beato.

Si riscaldò e distese la pergamena sul tavolo. C’era la mappa che delimitava il perimetro della cava profonda e ben evidenziato tutto il terreno circostante. Alcuni appunti di Moliniana accompagnavano la missiva. Si rendeva perfettamente conto di quanto sarebbe stato difficile entrare in quel posto, ma per nessun motivo avrebbe messo a repentaglio la vita di Tom o del principe. Aveva bisogno di riposare, era stanca, infreddolita, arrabbiata. Ripose la sua preziosa mappa e si coricò.

Si svegliò al suono di trombe e canti. Al momento non capì cosa fosse poi si ricordò che quel giorno tutti festeggiavano il nuovo anno.

Tom aveva già preparato la colazione, era davvero un bravo bambino, così come lo erano tutti quelli che Kloriana aveva sfruttato e fatto morire per il suo sogno di ricchezza e potere.

“Oggi rimango a casa, fuori c’è troppa turbolenza e come al solito poi ci sarà da lavorare parecchio a rimettere in sesto quelli che hanno esagerato con i bagordi.” Disse al piccolo.

Erano seduti davanti al camino quando sentirono bussare. Misha andò ad aprire e fece accomodare il capitano. Gli offrì del vino caldo e aspettò che i baffi gli si sgelassero.

“Deve venire alla prigione, il principe ha bisogno di lei.” Le disse mentre già la ragazza era scattata in piedi a prendere la sua sacca e il suo mantello.

“Ci vediamo dopo, Tom. Conosci le regole.” Gli disse con una carezza.

Romanzo di Milena Ziletti -diritti e proprietà a lei riservati - immagine dalla pagina fb di Elfi, fate e mondo incantato

mercoledì 27 gennaio 2021

MISHA

 MISHA

parte ventisette



“Abbiamo bisogno di dormire.” Disse Misha per non sottoporsi ad altre domande.

Fu una notte piuttosto agitata per le due donne, mentre Tom dormiva tranquillo immerso in sogni bellissimi come non ne aveva mai fatti.

Erano a tavola per la colazione, c’era ben poco da mangiare e Misha doveva lasciare qualcosa per Tom.

“Stamattina devo uscire. Tu rimarrai con Tom. Non starò assente a lungo.” Disse a entrambi.

Prese una sacca e vi mise dei medicamenti e nascose la mappa che aveva disegnato. Si coprì bene, fuori la nebbia e il gelo condensavano il respiro che faticava a liberarsi verso il cielo.

Era una situazione ideale, la nebbia fitta l’avrebbe nascosta alla vista dei pochi passanti, doveva solo sperare di non imbattersi in qualche ronda di soldati.

 Stando attenta e affidandosi ai suoi sensi raggiunse il grande portone e uscì senza che nessuno se ne accorgesse.

Si nascose dietro il tronco di un albero infreddolito e chiamò chiunque fosse lì vicino.

Non tardò a presentarsi un elfo leggero e armato della sua appuntita lancia.

Cosa ti serve? Ragazza medicina?

Ho bisogno di incontrare Boris, portagli il mio messaggio.

Non ce n’è bisogno, sono qui. Ti aspettavo. Si materializzò davanti a lei il capo degli gnomi.

Misha sorrise, quella era certamente opera di Moliniana.

La ragazza estrasse la mappa che aveva realizzato e gli fornì le poche notizie che aveva.

Ho bisogno di trovare questo posto. Riferisci a Moliniana che ho scoperto dove è nascosto il libro degli incantesimi. Quando tornerai con le informazioni dovrai portarmi la risposta della nostra regina delle streghe su cosa devo fare quando lo avrò. C’è poco tempo se vogliamo impedire che i bambini vengano presi la prossima primavera.

Il folletto faceva buona guardia e ascoltava ogni parola, si sarebbero dati da fare anche i folletti, di questo era sicuro.

Boris prese la sacca che portava sulla schiena.

Prendi, qui c’è cibo e molto altro. Torna a casa, è in arrivo una tormenta di neve e gelo. Ti porterò io stesso le risposte, tu non uscire da quel portone. E se ne andò, mentre il folletto rimase nascosto fino a quando la ragazza non entrò nel portone che, con uno schianto si richiuse all’istante.

Il vento gelido si era alzato e la bufera di neve era iniziata che lei non aveva ancora raggiunto la sua casa. Faticava a camminare contro il vento così forte e solo poche persone erano ancora all’aperto. La nebbia si era diradata e lei non voleva essere notata da nessuno. Allungò il passo e, finalmente raggiunse la sua abitazione. Entrò e si fiondò vicino alle fiamme del camino. Kara scaldò dell’acqua e le fece immergere i piedi mentre la spogliava degli abiti fradici.

Quel giorno poterono mangiare a sufficienza grazie a Boris. C’era poco da fare in casa e ne approfittarono per fare un elenco delle erbe e dei medicinali che erano rimasti. Ringraziò silenziosamente Moliniana che le aveva mandato varie boccette e sacchetti di erbe. Sorrise al pensiero di sapere che non era mai stata sola in quei mesi.

Mentre i tre se ne stavano sicuri e al caldo della loro casa, a palazzo qualcosa non andava.

Nello studio privato del re, Kloriana e re Charles stavano discutendo.

“Come è possibile che un bambino sia fuggito? Le guardie sono state interrogate?” Era piuttosto adirato mentre si rivolgeva alla strega.

Kloriana non si fece intimidire, sapeva bene quanto potere aveva su quell’uomo.

“Non dimenticare mai chi ti ha messo su quel trono. E soprattutto non dimenticare chi sono e come posso distruggerti in un attimo. Sai bene che c’è chi ti sostituirebbe volentieri.” Gracchiò come una cornacchia.

Il re cercò di calmarsi, sapeva bene che quella aveva ragione.

“Ho aspettato tre generazioni di sovrani prima di scegliere te, ma posso sempre passare alla generazione futura, io ho pazienza, ma tu?” Gli disse.

“L’oro di Verzel si è quasi esaurito, è stato tutto estratto dai cunicoli, sei pronto a fare il tuo dovere?” Gli chiese di nuovo.

“Certo che lo sono.” Le rispose stizzito.

“Bene. Organizza il trasporto con carri coperti e guidati da persone fidate, gente che alla fine della missione dovrà essere uccisa. Sceglili tu.” L’avvisò con noncuranza.

“Sei sicura di poter trasformare il Verzel in oro?” Le chiese per l’ennesima volta.

Lei si avvicinò arcigna, puntandogli in faccia una delle sue lunghe unghie che nascondevano vari veleni. “Io trasformerò il Verzel in oro, questo è certo e tu dovrai dare seguito alla promessa. Il tuo regno sarà il più ricco di tutta la terra e a me spetterà il ruolo di tua consigliera e anche un carro di oro. Potrai pagare soldati e generali e conquistare tutte le terre che vorrai, io ti renderò invincibile. Ti basta questo?” Le soffiò in viso.

“E mio fratello?” Le chiese ancora.

“A lui ci penso io. Tu non ti devi preoccupare.” Gli rispose.

“Ora devo tornare, ho un problema da risolvere.” Gli disse.

Il re spalancò gli occhi. “Quale problema? Non me ne hai mai parlato!” Sbottò.

“Perché non ti riguarda.” Gli rispose prima di uscire dallo studio.

Avvolta nel suo abituale vestito nero e coperta da capo a piedi, il volto rosso dalla rabbia lasciò il palazzo. Doveva scoprire la falla, doveva eliminare tutti i bambini rimasti. Lo avrebbe fatto fare alle donne di pezza, loro non avevano sentimenti e obbedivano ciecamente ai suoi comandi.

Non avrebbe interrotto l’usanza di prendere i bambini alle loro famiglie, per loro aveva in mente un altro piano, ma prima doveva togliere di mezzo quello che la disturbava. Lo avrebbe capito ancora quel giorno, per questo camminava spedita ad un palmo dal terreno per non sporcarsi i piedi nella melma e raggiungere in fretta la sua residenza.

Il salone era illuminato dal braciere con le sue fiamme che si levavano fin quasi al soffitto.

Si avvicinò e, con un gesto ridusse quelle alte fiamme a deboli fiammelle. Versò sopra della polvere mentre recitava una formula delle sue. Un leggero e profumato fumo la circondò, la avvolse mentre lievitava dal pavimento tenendo le braccia protese verso le fiammelle.

“Dove sei? Non senti che ti sto chiamando?” Bisbigliò Kloriana. Ancora nessuno si palesava e lei cominciava ad inquietarsi, sapeva che l’altra l’aveva sentita, ma pareva che non volesse rispondere al suo richiamo. Dovette aspettare vari minuti prima che il fumo si squarciasse e fosse visibile Moliniana.

“Mi hai chiamata, strega traditrice? Ne è passato di tempo!” Le disse l’ultima arrivata.

“Ti voglio parlare, solo per il tuo bene. Voglio avvisarti.” Le rispose Kloriana.

“E da quando in qua senti questa necessità? C’è forse qualcosa che ti preoccupa?” Le disse irriverente.

La strega si alterò e soffiò verso l’altra figura come se quella fosse presente. Una risata di scherno la fece arrabbiare ancora di più.

“Credi che non sappia chi è quella ragazzina che hai mandato? Pensavi che non me ne sarei accorta? E’ ancora viva perché non è una di noi, è una semplice e stolta ragazza che fa un lavoro che fa comodo al re, non ha nessun potere.” Le disse rabbiosa.

“E allora di che ti duoli? Cosa ti preoccupa? Se la ragazza medicina non è un pericolo per te, cosa vuoi da me? Sono anni che non ci sentiamo ed ora mi chiami. Vai al sodo!” Le rispose mantenendo una calma che fece imbestialire ancora di più l’altra.

“Voglio farti una proposta, farò in modo di non venire a prendere altri bambini in cambio della morte della ragazza medicina. Ma devi essere tu a farlo!” Le disse.

“Cosa ti turba davvero, Kloriana? Non mi sembri la stessa strega maledetta che ha bruciato tanti abitanti al di là del portale. Io ti conosco e capisco che c’è dell’altro.” Aggiunse Moliniana.

Ci furono attimi di silenzio, sapevano bene che dovevano stare attente anche coi pensieri, visto che si parlavano telepaticamente.

“Chi è veramente quella ragazza?” Si decise finalmente a chiedere Kloriana.

“E’ una semplice ragazza medicina, che sa come curare le persone, gli animali, le piante, e ama farlo.” Le rispose.

Romanzo di Milena Ziletti - diritti e proprietà a lei riservati - immagine dalla pagina fb di elfi, fate e mondo incantato

martedì 26 gennaio 2021

MISHA

MISHA

parte ventisei 



Mentre Tom passava, Misha e gli altri vedevano varie stanze, in ognuna tante piccole celle che ospitavano bambini. Nelle prime che videro c’erano bambini pronti per il lavoro, e nelle altre c’erano quelli di varie età, dai più grandi ai più piccoli. Quando le celle dei grandi si svuotavano per andare nel reparto lavoro quelle venivano riempite coi bambini quasi pronti a loro volta a lavorare.

Il silenzio era assoluto.

Dove sono le donne vestite di grigio?

Tom proseguiva e la portò in un buio sgabuzzino. Impilate su sostegni appesi al muro c’erano una ventina di fantocci senza vita. Donne vestite di grigio.

Tu le hai conosciute Tom?

No.

C’è altro che mi puoi mostrare? Sai che nessuno ti può vedere.

Il bambino uscì da quel grande stanzone silenzioso e chiuse adagio la porta.

Fuori non si distingueva niente, era tutto uguale: terra, pareti, soffitto. Tutto buio, rischiarato sporadicamente da lampi verdi.

Tom li condusse in una costruzione separata e diversa dalle altre.

Puoi entrare qui, Tom?

Il bambino tremava e lei dovette calmargli il battito.

Qui è dove c’è lei, la strega cattiva. Qui porta alcuni bambini che poi non si vedono più. Io non posso e non voglio entrarci.

Conosci il suo nome, Tom?

Tutti lo conosciamo, si fa chiamare Kloriana, la regina delle streghe ed è molto cattiva!

Il bambino si agitava e lei dovette interrompere le domande per poterlo calmare.

Come hai fatto a scappare con le guardie? Te lo ricordi?

Il piccolo cercò con lo sguardo un punto preciso e lo raggiunse. Usando le manine  tastò a lungo un pezzo di parete. Trovò quello che cercava e spinse con tutta la forza che aveva. Un passaggio faceva entrare uno spiraglio di luce.

Ti prego, Tom, esci da lì e vediamo cosa c’è lì fuori, tu l’hai visto?

Con fatica oltrepassò il passaggio e cadde rovinosamente in un grande lago con la crosta di ghiaccio ancora tenero.

Misha vide le mani delle due guardie che lo riportavano a galla e lo spogliavano velocemente per avvolgerlo in abiti asciutti.

Quello che si vedeva era il sole che stava tramontando. Avevano scelto apposta quell’orario, sapendo che nessuno li avrebbe cercati fino al giorno dopo.

Alla poca luce che ancora rimaneva, Misha, Kara e Helmut osservavano cosa c’era lì intorno, dovevano cercare di capire. Misha non poteva riconoscere il posto, e gli altri due osservavano con attenzione per poter ricordare e capire.

I tre fuggitivi avevano raggiunto un boschetto e davanti a loro c’era una radura circondata da basse alture. Erano il deposito dei mucchi di terra che veniva estratta dai cunicoli.

I tre aspettarono che il sole calasse e, avvolti dal buio attraversarono la radura e si rifugiarono oltre le alture. In lontananza vedevano alcune fioche luci, ma non sapevano cosa fossero, poteva essere pericoloso.

Aspettarono che la notte passasse, ma faceva troppo freddo, dovevano azzardare e raggiungere un qualsiasi rifugio. Andarono verso quelle luci e lasciarono Tom ben nascosto in una piccola caverna mentre loro andavano in avanscoperta.

Non furono fortunati, delle pattuglie di soldati, già allertati della fuga li catturarono e li portarono alla prigione.

Tom aspettò tutta la notte e la mattina prima di capire che non sarebbero tornati e, tremante di freddo e di paura raggiunse in qualche modo le mura del palazzo e riuscì ad entrare.

Era lì che Misha lo aveva trovato. Da lì in poi conoscevano la storia.

Sei stato bravo, Tom. Dimmi, sei mai entrato nell’alloggio della regina delle streghe?

Una volta, come tutti prima di cominciare per la prima volta il lavoro. E’ davvero terribile e, con altri bambini come me mi ha marchiato dietro la nuca. Volevo piangere dal dolore ma non ci sono riuscito.

Ti ricordi qualcosa di quel posto?

Misha osservava attraverso gli occhi di Tom. Vedeva un grande braciere al centro del salone, o così pareva fosse. Kloriana che immergeva lo stampo per arroventarlo prima di imprimere il suo simbolo. Il bambino aveva gli occhi pieni di lacrime ma non piangeva, sembrava che lì, tutto fosse avvolto dal silenzio.

La strega prese un libro e lo aprì davanti al piccolo. Bacialo. E lui obbedì.

Misha osservava attentamente quella scena, forse avrebbe scoperto dove teneva il libro degli incantesimi. Kloriana fece lo stesso con tutti i piccoli, poi ripose il libro sotto il braciere incandescente con la fiamma sempre accesa.

Ti hanno mai trattato in modo diverso dagli altri, Tom?

Soltanto Orson. Mi portava qualche pezzo di pane di nascosto.

C’è qualcos’altro che ricordi e che mi vuoi raccontare?

Il bambino ebbe un brivido ma si avviò verso un sentiero che nessuno di loro avrebbe mai potuto vedere. Camminò per qualche tempo e si fermò davanti ad un grande spiazzo melmoso. Lacrime gli bagnavano il viso addormentato.

Qui è dove portano i bambini che muoiono,ci portano tutti prima di iniziare il lavoro, dicendoci che se non obbediamo ci finiremo ancora vivi.

Il piccolo rimaneva immobile davanti a quel desolato pezzo di terra fangoso.

Non vuoi tornare indietro, Tom?

Qui sono sepolti alcuni bambini che ho conosciuto.

Conosci i loro nomi?

Tom sembrava sorpreso dalla domanda.

Tutti ci chiamiamo Tom, e le femmine Alice.

Vieni, Tom. Torna da me. Dormi e fai sogni felici. Concluse Misha.

Lentamente si staccò dall’energia che la legava al bambino e poi staccò anche il capitano e Kara.

Una grande stanchezza li permeava tutti. Misha si alzò e porse loro un sorso da una boccetta. Ci volle poco perché fossero completamente svegli.

Si sedettero al tavolo, ognuno immerso nei propri pensieri. Misha lasciò che elaborassero ciò a cui avevano assistito.

“Cosa significa tutto questo?” Chiese il capitano.

“Che devo trovare quel posto e riprendere il libro degli incantesimi, fare in modo che torni al suo posto e, nel frattempo ridurre Kloriana alla resa.” Rispose.

“Nessuno di voi ha capito dove si trova? Nessun indizio?” Chiese di nuovo.

Rimasero in silenzio per qualche minuto, intenti a ricercare qualche traccia che li potesse aiutare.

Fu Kara a dare il solo e unico indizio. “C’è un unico posto che conosco ad avere un pezzo di terra fangoso, qui non è facile trovarne di simile, il terreno è sempre arido. Davvero non ci hai fatto caso quando ti ci ho portata?”Le chiese.

“Il giardino della morte.” Si stupì Misha.

“Cosa c’entra quel posto maledetto?” Chiese il capitano.

“Nessuno è mai andato oltre il confine di quel posto ma io ho sotterrato i miei genitori quando non mi hanno permesso di seppellirli degnamente. C’è un grande spazio dove i corpi vengono ammassati e sepolti in una fossa comune e a nessuno è concesso di avvicinarsi per paura di contagiarsi. Ci lavorano solo tre uomini che nessuno conosce e che provvedono a tutto. Quando sono rientrata mi sono accorta di avere i sandali e i piedi sporchi di fango, un fango che emanava un odore nauseabondo che nemmeno a lavarli spariva. Potrebbe essere da quelle parti.” Terminò.

Misha prese un pezzo di legno dal camino e disegnò una specie di mappa su un pezzo di stoffa. Lo sottopose ai suoi amici che assentirono. Era tutto ciò che avevano capito.

La notte era scesa. “Io devo andare.” Disse il capitano. “Cercherò di trovare informazioni senza dare troppo nell’occhio, ma tu devi promettermi che non farai gesti inconsulti.” Le disse senza nemmeno accorgersi che le stava dando amichevolmente del tu. “E lei, la tenga d’occhio.” Disse a Kara.

Prese mantello e cappello e, avvolto come un lupo che deve affrontare la foresta piena di insidie uscì.

In fretta le due donne rimisero la sbarra alla porta.

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lunedì 25 gennaio 2021

MISHA

 MISHA

parte venticinque



Era buio quando Misha rientrò. Dal ripostiglio delle erbe fece capolino Tom che le sorrise timidamente.

“E’ andato tutto bene oggi?” Gli chiese.

Si avvicinò al fuoco per riscaldarsi e lui la raggiunse sedendosi accanto a lei.

Gli pose una mano sulla spalla e lo attirò a sé.

Era piuttosto stanca ma preparò la cena, gli rifece le medicazioni e, finalmente poté coricarsi. Avrebbe potuto entrare nei sogni del bambino ma non voleva turbarlo, voleva che fosse lui a parlarle, doveva conquistare la sua fiducia e poi avrebbe fatto quello che doveva, ma non lo avrebbe mai sfruttato per avere le notizie che le servivano, quelle sarebbero venute, era solo questione di tempo, anche se di tempo ce n’era poco.

Erano passati dieci giorni da quando Tom era arrivato. I capelli cominciavano a crescere, il suo viso prendeva colore e faticava a rimanere costretto in casa, aveva capito il pericolo e il gelo che lo aveva quasi ucciso, perciò si adattava in attesa degli eventi.

Arrivò Kara con altri indumenti e gli sorrise. Lui ricambiò il sorriso e prese il suo prezioso fagotto.

“Oggi è meglio se non usciamo.” Disse la donna. “Ci sono troppi soldati in giro e cercano qualcuno. Fermano chiunque incontrino e non ci vanno per il sottile. C’è chi  è già finito in cella e la collera della gente divampa.” Le disse.

Erano tutti e tre seduti al tavolo.

“Tom, possiamo parlare a Kara della tua storia?” Gli chiese.

Il piccolo posò i suoi grandi occhi sulla donna che aveva imparato a conoscere e fece cenno di sì.

“Grazie, io comincio la storia e se tu avrai qualcosa da aggiungere o da correggere, ti prego di farlo.” Il piccolo assentì.

“Tanto tempo fa, sono stata strappata alla mia famiglia e, mentre mi trasportavano sono caduta dal carro. Infuriava un temporale e pioveva a dirotto, sono quasi annegata in una pozza e sarei morta se una splendida creatura, andando contro tutte le regole del suo popolo non mi avesse raccolta e portata con sé. Da tanto tempo, ogni anno i carri con le donne vestite di grigio passano nei villaggi e strappano i bambini alle loro famiglie, figli che non rivedranno mai più. Così come è avvenuto a me, sono sicura che sia successo a Tom.” Sospirò osservando entrambi, non era ancora il momento di parlare del mondo al di là del portale, non ancora.

“Nessuno ha mai saputo cosa succedeva ai loro bambini, tutti i genitori vivevano con questo dolore nel cuore, a me è stato chiesto di capire, discoprire e, se possibile porre fine a questo enorme dolore.” Riassunse brevemente.

“Frequentando la prigione ho scoperto che esiste un posto, che in pochissimi conoscono dove i bambini vengono portati. Sono tutti piccoli, non superano l’anno di vita e, vengono sfruttati nella cava profonda. Ci sono tunnel dai quali viene estratto qualcosa che ancora non conosco e sono talmente stretti che solo dei bambini possono entrarci a lavorare. Non so come vivano fino al momento di entrare nei tunnel, maschi e femmine, senza distinzione passano la loro breve vita ad estrarre materiale fino alla morte, e avviene in giovane età, per questo ogni anno hanno bisogno di altri bambini. Ho scoperto che anche alcune guardie hanno la stessa provenienza, sono ragazzi molto forti che hanno superato indenni il lavoro e, quando non possono più entrare nei tunnel vengono addestrati a fare i soldati e i guardiani. Due di loro sono scappati ed hanno portato fuori Tom, e sono morti pur di non rivelare dove lo avevano lasciato. Le guardie cercano lui, non perché sia un bambino importante ma perché nessuno deve conoscere questo segreto che è custodito da tempo immemorabile da pochissime persone e, attualmente anche dal nuovo re.” Stringeva nella sua la manina del piccolo che tremava visibilmente. “Sì, Tom, sono morti per salvarti ed io non lascerò che qualcuno ti trovi e ti riporti là. Quello che voglio fare è scoprire dove si trova la cava profonda e liberare tutti i ragazzi, distruggere chi l’ha creata, e questo anche a costo della mia stessa vita.” Guardò Kara. “Ecco, ora sai quale è il mio compito e cosa sono venuta a fare.” Aggiunse.

Lacrime di dolore bagnavano le guance della donna. Non sapeva niente di questa storia, poteva immaginare, in quanto madre di tre figli il dolore di perderne uno in quel modo. “Dovrai raccontarmi anche il resto, ci sono molte lacune da colmare.” Le disse Kara.

Misha assentì, non poteva continuare a tenere allo scuro la sua amica.

“Te ne parlerò quando anche il capitano sarà presente. Ho bisogno di fidarmi, il tempo scorre troppo velocemente ed io conosco ancora troppo poco.”

Tom strinse la mano di Misha. Vorrei poterti aiutare.

“Lo farai, piccolo.”

Le due donne dovettero rinunciare ad uscire per altri giorni, Kara non era nemmeno tornata a casa, aveva lasciato i suoi figlia alla madre e sapeva che erano in buone mani. In casa il cibo cominciava a scarseggiare e fuori nebbia e gelo la facevano da padrone.

Aspettavano il capitano quella sera, un biglietto infilato sotto la porta le aveva avvisate. Erano passati quattro giorni, anche dicembre si accorciava, così come l’arrivo della primavera e i carri sarebbero partiti.

Non c’era molto in tavola mentre aspettavano il capitano. Fuori era buio pesto ma i soldati continuavano a pattugliare le strade.

Il capitano bussò ed entrò seguito da una ventata di aria gelida. Posò una grande terrina colma di cibo sul tavolo mentre lui si avvicinava al camino per riscaldarsi.

“Non sapevo che avremmo avuto ospiti.” Disse mentre osservava Kara. Poi i suoi occhi scorsero il bambino e si bloccò. Capì subito che era quello che le guardie cercavano. Fece un grosso sospiro e si sedette al tavolo. Il cibo era stato riscaldato e cominciarono a mangiare in silenzio.

A fine cena si alzò, mise la sbarra alla porta e si assicurò che anche le piccole finestre fossero ben sigillate.

Trattennero il respiro quando sentirono passare una ronda che, per fortuna continuò oltre.

“Vi devo una spiegazione.” Disse Misha tenendo stretta la manina di Tom. Gli occhi del piccolo faticavano a rimanere aperti e lei lo accompagnò davanti al camino e lo fece stendere sulle coperte, in un attimo si addormentò.

“Possiamo parlare, lui non ci sentirà.” Bisbigliò.

“Ragazza incosciente! Sei in estremo pericolo! Cosa ti è saltato in mente di dare alloggio ad un ricercato del re?” le rimproverò con sguardo truce. Era davvero alterato.

“Capitano, lei conosce Kloriana, c’è lei dietro a tutto questo. E’ opera sua la caduta del vero principe ereditario e della salita al trono del principe usurpatore. Ho l’impressione che questo bambino sia una pedina importante in tutto questo, ora lo scopriremo. Dovete assolutamente stare in silenzio e farò in modo che voi vediate quello che vedo io.” Disse loro raggiungendo Tom serenamente addormentato. “Avvicinatevi, tenetevi per mano e poggiate l’altra mano sulle mie spalle.” Disse mentre si sedeva e prendeva la testa del bambino sulle sue gambe.

Il capitano e Kara presero posto e fecero quanto richiesto.

Misha posò una mano sulla fronte del piccolo e l’altra sul suo cuoricino che batteva lento.  Cominciò una nenia mentre sempre più si addentrava nella mente e nei sogni del piccolo. “Chiudete gli occhi, vedrete meglio.” Sussurrò.

Anche il cuore dei due convenuti raggiunse un battito lento e normale, era come se una magia facesse battere all’unisono i cuori di tutti come quello del bambino.

Lentamente, molto lentamente, Misha cominciò a penetrare nella mente di Tom. Dapprima vide quello che stava sognando: buio, tanto buio e qualcosa di verde scintillante. Lo tranquillizzò e gli cambiò il sogno, rendendolo più piacevole. Il piccolo sospirò.

Tom, portami dove stavi.

Senza fretta e accarezzando dolcemente la testa del piccolo, Misha rimase in attesa, non voleva forzarlo, ma aveva bisogno di sapere.

Tom, non avere paura, io ti sarò vicina e non ti accadrà niente di male. Portami là.

Fu un attimo e si ritrovarono tutti in un posto sconosciuto.

Misha non smetteva la nenia che calmava il piccolo e anche i suoi ospiti.

Si ritrovarono circondati da alte pareti. Era una enorme stanza, quella che Tom conosceva.

Cosa ci facevi qui, Tom?

Nella mente del bambino passarono le immagini di quello che aveva sempre fatto. Sentiva una stanchezza incredibile, era appena rientrato e anelava solo a potersi lavare, mangiare e dormire per riposarsi. Altri bambini e bambine erano con lui e facevano le stesse cose. Nessuno parlava. Erano tutti sporchi di fango con piccole scintille verdi.

Dov’eri, Tom, prima di rientrare?

Il piccolo fece il tragitto a ritroso. Videro cinque bambini che, uno dietro l’altro entravano in un cunicolo. Tom era quello davanti a tutti, il più piccolo. Teneva in mano un recipiente e una specie di piccozza, un arnese che nessuno di loro aveva mai visto, soltanto Misha si accorse che aveva la forma di un corvo con le ali spiegate. Tom proseguiva lentamente e scavava davanti a lui riempiendo il recipiente che passava a quello dietro di lui che gliene forniva un altro vuoto.

Quanto tempo rimani nel cunicolo?

Ma non ottenne risposta.

Ora puoi tornare nel tuo giaciglio.

e si ritrovarono da dove erano partiti.

Puoi uscire, Tom? Puoi farlo per me?

Il bambino attraversò la grande stanza che ospitava varie brande e raggiunse una porta.

Aprila, Tom, fammi vedere cosa c’è là fuori.

Quasi tremando, il piccolo uscì e tutto quello che riusciva a vedere era un immenso buio. Aveva i piedi immersi nel fango fino a metà polpaccio. Alzò gli occhi ma era tutto uguale: terra e cielo di fango.

Dove porti quello che i bambini portano fuori dal tunnel?

Tom raggiunse un immenso rifugio blindato guardato a vista da alcune guardie. Il piccolo si sorprese che non lo vedessero e non lo rimproverassero.

Bravo, Tom. Nessuno ti farà niente, non possono, tu sei qui con me e lo sai che non permetterò a nessuno di farti del male. Ora entra lì, io ti tengo per mano.

Tom cercò una porta laterale, piccola e quasi invisibile. La aprì e, prima di entrare si coprì gli occhi con le mani.

Montagne di un elemento verde brillante lo riempiva quasi tutto fino al soffitto. Era evidente che, qualunque cosa fosse ce n’era in gran quantità.

Tu sai che cos’è Tom?

Loro lo chiamano l’oro di Verzel, non so altro.

Dove tengono i bambini piccoli? Quelli che ancora non possono lavorare? Mi ci puoi portare?

Tom camminava in quella melma senza nessun fastidio, era così fin da quando aveva mosso i primi passi ed era la regola per lui.

Raggiunse un’altra grande costruzione ma non entrò.

Non mi è permesso entrare.

Fallo per me Tom, non ti vedrà nessuno, come prima.

Il bambino si stupiva di non essere visto e trovò la porta che cercava. Entrò in un grande spazio e si sentiva il pianto di tanti bambini, pianto che durava solo qualche secondo per poi tacere all’improvviso.

Romanzo di Milena Ziletti - diritti e proprietà a lei riservati - immagine dalla pagina di fb di Elfi, fate e mondo incantato

venerdì 22 gennaio 2021

MISHA

 

MISHA

parte ventiquattro



Prese una boccetta dalla sua sacca e versò poche gocce sulla lingua dei due, che si addormentarono all’istante. Non si sarebbero più risvegliati.

Il capitano aveva osservato tutto in silenzio.

“Stanno morendo?”Le chiese.

“Sono già morti, ma ancora non lo sanno.” Gli rispose.

Il capitano e la ragazza uscirono dalla cella mentre i passi dei torturatori si avvicinavano per riprendere i due uomini, ma li trovarono cadaveri. Con una alzata di spalle tornarono da dove erano venuti.

“E’ riuscita ad avere notizie?” Chiese il capitano.

“Non direttamente. Erano pervasi da un malvagio incantesimo. Sono riuscita a capire che la cava sommersa si trova sotto terra, un posto dove non entra mai la luce del sole, e che i bambini muoiono molto giovani, per questo penso che gliene servano tanti. Una cosa importante però l’ho scoperta: il nuovo re è a conoscenza di tutto! E’ in combutta con Kloriana. Devo entrare a palazzo reale.” Disse con convinzione.

Il capitano l’afferrò per un braccio e la costrinse a fermarsi. Le si parò davanti e con un cipiglio più severo del solito le disse: “Lei non può farlo, è troppo pericoloso, non lo permetterò!”

Lei gli sorrise. “Capitano, io farò tutto ciò che è necessario, che lei lo voglia o no.”

Uscirono dalla prigione e si scontrarono con una nebbia fitta e gelata che pareva entrare a graffi di ghiaccio nei polmoni.

“Aspetti che l’accompagno, prendo il mantello.” Le intimò.

Raggiunsero la sua abitazione e l’uomo aspettò che entrasse, poi ritornò nel suo alloggio.

In casa faceva freddo, Misha mise legna nel camino e la fiamma riprese vigore. Mangiò una zuppa calda e si sedette davanti alle fiamme che sembravano tentacoli roventi.

Era stato facile dire al capitano che voleva entrare a palazzo, il difficile era riuscirci, capire come fare, e soprattutto essere in grado di arginare Kloriana quel tanto che bastasse per avere campo libero, anche se limitato.

Sospirò mentre si alzava per prepararsi ad andare a letto.

Il gelo infittiva e i malanni crescevano, erano solo i primi giorni di dicembre e presto sarebbe nevicato, si respirava nell’aria e le scorte di legna sarebbero velocemente calate.

Kara l’accompagnava nelle sue visite e in ogni casa trovavano gentilezza e ospitalità, non tornavano mai a casa senza sacche di viveri e ciocchi di legna.

Passarono alcuni giorni senza che nulla cambiasse, la neve aveva iniziato la sua danza e il suo disegnare di bianco ogni cosa. Era uno spettacolo bellissimo, come sempre ma non era gradito, troppo freddo, troppa neve, troppi malanni.

Quella era una giornata più rigida delle precedenti. Avanzare sulla neve ghiacciata non era per niente agevole. Kara era scivolata e si era slogata una caviglia ed era tornata a casa prima del solito.

Misha avanzava nel freddo coperta da un pesante mantello e una sciarpa avvolta alla testa e al viso e, nonostante questo il suo fiato si condensava in spirali che sparivano fra i fiocchi di neve.

Si accorse di qualcosa di diverso, lo percepì il suo essere sensitiva. Si fermò e si guardò intorno, sentiva solo un respiro affannoso e nient’altro. Seguì le spire di fiato che si alzavano da dietro un cumulo di neve e spalancò gli occhi, un bambino vestito quasi di niente si era nascosto e si accorse che stava morendo assiderato.

Lo raggiunse, ma quello a stento riusciva ad aprire gli occhi. Si mise in spalla la sacca e sollevò quel corpicino che era molto leggero.

Con dolcezza gli disse che lo portava a casa sua, si sarebbe riscaldato e le avrebbe dato un piatto caldo, ma il piccolo era svenuto e non sentì le sue parole.

Aprì la porta con difficoltà e depose il piccolo davanti al camino. Si tolse il mantello e si avvicinò subito al bambino. Era ancora svenuto. Prese dell’acqua tiepida e vi immerse delle erbe, si sprigionò un vapore balsamico e usò l’acqua per detergergli il corpo. Era magro da fare spavento e aveva parecchi lividi. Era completamente calvo e quasi senza unghie. Le mani e i piedi erano le parti del corpo più ferite. Mise vari unguenti dove servivano e fasciò le mani e i piedi. Lo spogliò e bruciò i suoi abiti nel camino, lo ricoprì con un lenzuolo leggero e lo avvolse in una calda e morbida coperta.

Anche lei prese una coperta e si sedette accanto a lui, gli prese la testa e la posò sulle sue gambe. Una nenia dolce mentre gli accarezzava la testa. Si accorse di una cicatrice sulla nuca. Con delicatezza la passò col dito e poi alzò la testolina per osservarla meglio. Non si trattava di una cicatrice ma di un marchio impresso col fuoco, un corvo con le ali spiegate, almeno era quello che a lei sembrava.

Il respiro e il cuore del bambino riprendevano lentamente il loro ritmo, lo lasciò davanti al camino e preparò due scodelle di zuppa.

Il profumo del cibo svegliò completamente il piccolo che si alzò di scatto spaventato, non sapendo dove si trovava.

Misha era pronta e con una carezza lo calmò.

“Vieni, c’è da mangiare.”Gli disse soltanto.

Lui aveva paura a muoversi, saettava gli occhi da un punto all’altro della stanza.

Misha gli sorrise e gli prese la mano. Si sedettero a tavola. Ci volle un po’ prima che anche lui cominciasse a mangiare. Faticava col cucchiaio avendo le mani fasciate ma lei non lo aiutò. Continuarono in silenzio mentre la ragazza medicina cercava di ottenere la sua fiducia.

Tornarono a sedersi davanti al fuoco scoppiettante. Per un po’ nessuno dei due parlò.

Misha gli accarezzò la testa. “Come ti chiami?” il bambino sgranò gli occhi. “Hai un nome?” E lui fece segno di sì. “Me lo vuoi dire?” il bambino deglutì varie volte prima di pronunciare un timido “Tom”.

“Bene, Tom, io mi chiamo Misha. Dove sono la tua mamma e il tuo papa? Ti stanno cercando?”

Il bambino iniziò a piangere lacrime silenziose. Cercò di dire qualche parola ma non ci riusciva.

“Facciamo un gioco, io ti faccio una domanda e tu mi rispondi col pensiero, ci stai?” E lui assentì.

Misha chiuse gli occhi e prese fra le sue le manine fasciate.

“Quanti anni hai, Tom?” Non lo so.

“Tua madre e tuo padre ti stanno cercando?” Non lo so.

“Nessuno ti ha insegnato a parlare?” Nessuno.

“Da dove vieni?” Non lo so.

“Hai dei genitori?” Non lo so.

“Che cosa ti ricordi?” Che sono scappato con Orson e Laret, ma poi non li ho più visti

Misha capì perché quei due uomini erano stati torturati, avevano sottratto il piccolo alla cava sommersa e avevano preferito morire piuttosto che rivelare dove lo avevano lasciato.

“Ti fidi di me?” Il piccolo esitò. Non ti conosco, io ho paura.

“Ti capisco, ma ora sei qui con me e ti prometto che ti proteggerò da tutti.”

Il piccolo non l’abbandonava con lo sguardo, sembrava un cucciolo spaventato in attesa di ricevere un calcio in faccia. Lei gli sorrise. “Ora ti rimetti davanti al camino e dormirai tranquillo, domani mattina vedremo il da farsi.” Si sorprese quando gli rispose grazie.

Si coricò anche lei sapendo il piccolo avrebbe dormito senza svegliarsi. Ora aveva una pista, doveva sfruttarla ed era conscia che il piccolo era in pericolo, lo avrebbero cercato, questo era sicuro.

La mattina si presentò fredda e rigida come la precedente. Zoppicando Kara arrivò e si chiuse in fretta la porta alle spalle.

Misha si portò il dito alle labbra in segno di silenzio e gli indicò il bambino che dormiva davanti al camino.

La nuova arrivata spalancò gli occhi aspettando una spiegazione.

“Lui è Tom. Rimarrà con me ed ho bisogno che tu vada a procurarmi degli abiti adatti a lui, e mi raccomando anche cuffie e berretti pesanti, vai io intanto preparo la colazione per tutti.” Le disse piano.

Misha preparava scodelle, miele e pane mentre il latte si scaldava sul gradino del camino.

Passò la mano sulla testa del piccolo e lo svegliò.

“E’ quasi pronta la colazione, vieni a sederti vicino a me.”Gli disse mentre Kara rientrata con una sacca rigonfia.

Tom si spaventò e cercò di nascondersi. “Non aver paura, lei è Kara, una mia amica e anche tua.” Gli disse dolcemente.

Kara svuotò la sacca davanti al camino. “Sono indumenti dei miei figli, ormai cresciuti e sono felice di donarteli.” Disse al bambino.

Con l’esperienza di mamma Kara lo vestì e gli mise in testa un berretto colorato. “Sei molto carino, vieni che la colazione è pronta.”

Le due donne dovevano uscire, erano in ritardo sui loro programmi.

Misha pose le mani sulle spalle di Tom. “Noi dobbiamo uscire, tu devi stare qui, in silenzio, mi raccomando di non uscire o non ti ritroverò più. Ti ho lasciato cibo e acqua e della legna per il camino. Mi prometti che rimarrai qui?”

Il piccolo non avrebbe voluto rimanere solo, era ancora spaventato ma si sentiva al sicuro e fece segno di sì con la testa.

“Bravo, ci vediamo stasera, non aprire a nessuno e se senti dei rumori vai a nasconderti nel ripostiglio delle erbe.” Gli fece un’ultima carezza e uscì seguita da Kara.

La strada era una unica lastra di ghiaccio e ci voleva molta attenzione per non cadere, le due donne procedevano una davanti all’altra e non potevano parlare.

Raggiunsero le famiglie bisognose di cure e poi si fermarono a mangiare qualcosa presso una famiglia che ben conoscevano.

Entrambe pensavano a Tom, ognuna in modo diverso. Finalmente rimasero sole.

“Me ne vuoi parlare, ragazza medicina?” Chiese Kara.

“Non posso, ma ho bisogno della tua assoluta lealtà. Nessuno deve sapere che ospito quel bambino, ne va della sua e della mia vita. Ti prometto che appena potrò ti metterò al corrente di tutto.”

“Ha a che fare con quello che sei venuta a fare qui?” Fu sorpresa di sentire questa frase, Misha non se l’aspettava.

“Cosa sai di quello che sono venuta a fare? Io svolgo quello che conosco per il bene di questa gente.” Le rispose.

“Prima o poi dovrai fidarti di me, potrei anche esserti utile. Vivo qui da quando sono nata, conosco quasi tutti, i pettegolezzi e i segreti che circolano, non mi sfugge niente. Ragazza medicina io lo so che tu sei diversa.” Aggiunse. “E ricordati che è stato il capitano a scegliermi.” Si lasciò sfuggire.

“Nemmeno lui deve sapere, non ancora. Se ti ha messa a sorvegliarmi, ti prego non parlargli di Tom.” Le disse stringendole la mano con forza.

“Te lo prometto. Io so che sei una ragazza buona e generosa, quando sarai pronta mi dirai il tuo segreto.” Le disse prima di ringraziare la famiglia per il pranzo e riprendere il loro compito.

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giovedì 21 gennaio 2021

MISHA

 MISHA

parte diciannove



Misha oltrepassò le sbarre con la paura di venirne imprigionata. Il suo corpo era attraversato da sensazioni che non aveva mai provato e con fatica teneva il battito del cuore sotto controllo.

Gli occhi della donna osservavano Misha e la trapassavano da parte a parte, niente veniva lasciato indietro e, ad un certo punto strinse le labbra come se avesse visto qualcosa che la infastidiva.

“Come ti chiami, ragazzina?” Le chiese.

“Mi chiamo Misha, e lei saprà bene chi sono e cosa faccio, ma io non so chi è lei.” Osò rispondere senza alcun timore.

Un lieve sorriso rilassò le labbra della sconosciuta. “Io sono Kloriana , e questo ti deve bastare.” Le rispose.

“So chi sei e cosa fai e sono qui per darti un avvertimento: rimani al tuo posto, porta pure le tue conoscenze dove servono, ma sta lontana da ciò che non ti riguarda o io lo verrò a sapere e per te saranno guai.” Disse mentre si le si avvicinava con sguardo che sembrava lanciare fiamme.

Per un attimo Misha pensò che quella fosse un drago e che presto l’avrebbe incenerita. Kloriana teneva i pugni stretti come se dovesse trattenere un moto di rabbia ma la ragazza non si scompose.

“Qui tutto dipende da me!” le sussurrò all’orecchio prima di andarsene.

Misha aveva trattenuto il respiro e aspettò che l’altra si fosse allontanata prima di riprendere a respirare regolarmente.

Aspettò qualche minuto, voleva essere certa che se ne fosse andata. Ritornò sui suoi passi e il capitano la stava aspettando lì dove l’aveva lasciata.

“Se ne è andata”. Disse soltanto l’uomo.

Misha avrebbe voluto fargli domande ma lui le fece segno di tacere.

Lei avrebbe tanto voluto rivedere il principe e cercò di dirlo alla mente del capitano.

“Lui non è qui.” Le rispose.

Erano fuori dal portone della prigione e non si erano scambiati nemmeno una parola.

“Capitano, perché stasera non viene a cena da me? Mi sento così sola in questo posto.” Gli chiese sperando che lui accettasse.

“Verrò domani sera, se entro le sette non sarò arrivato non mi aspetti oltre, grazie.” Le fece un cenno di saluto e rientrò.

Era pensierosa Misha mentre rientrava a casa, sapeva che Kara la stava aspettando e si avviò velocemente, domandandosi dove fosse il principe.

In quel momento il principe William era a palazzo. Suo fratello Charles e sua sorella Mary lo guardavano con disprezzo. Lui non abbassava mai lo sguardo.

“Voi sapete bene chi sono io, non sarò mai niente di diverso dal principe ereditario quale sono. Cosa volete?” Chiese loro.

“Nostro padre sta molto male e vuole vederti, vuole vedere il suo figlio bastardo.”Gli rispose sua sorella.

Gli avevano fatto indossare abiti puliti e lo accompagnarono nella stanza del re, entrarono tutti e tre.

Sul grande letto, sorretto da parecchi cuscini, il vecchio re respirava a fatica. Fece un cenno e quelli si avvicinarono.

William si accorse che suo padre era alla fine, gli si avvicinò e, si inginocchiò al bordo del letto. “Volevi vedermi, padre?” Gli chiese dolcemente.

Il re allungò la mano fredda e rugosa e fece una carezza al volto di quel figlio che aveva tanto amato, il suo primo figlio, il suo erede che lui stesso aveva disconosciuto e allontanato, quello che, a sua insaputa era stato imprigionato i e torturato.

Si sentivano soltanto i respiri dei presenti, ognuno aveva le orecchie tese, pronto ad intervenire al bisogno.

Mary si avvicinò porgendo al padre un bicchiere d’acqua che quello rifiutò, erano giorni che non mangiava e non beveva e la sua mente era più lucida del solito non avendo ingerito la dose di droga.

“Io sto morendo, figli miei. Il regno è in pericolo, c’è bisogno di un nuovo  re forte e amato dal popolo che sappia regnare con saggezza, giustizia e competenza. Siete miei figli ma soltanto uno di voi è il naturale erede di tutto questo ed io lo benedico. Avvicinatevi.” Aspettò che gli fossero tutti intorno e li osservò ognuno attentamente negli occhi. Per pochi attimi tutti rividero lo sguardo fiero e amorevole di padre e del loro re. Doveva costargli molta fatica quello che stava facendo, il respiro era ormai un rantolo. “Io vi comando di …” ma non riuscì a finire la frase. Il respirò gli mancò e il suo cuore cessò di battere.

William rimase inginocchiato stringendo la mano di suo padre mentre alle sue spalle gli altri due si scambiavano sguardi complici.

Fecero ricomporre la salma e la rivestirono degli abiti regali, poi le campane avvisarono della morte del re.

“Rimarrai fino a dopo i funerali, poi decideremo cosa fare. Sarai sempre sorvegliato e non potrai uscire dalla tua stanza senza scorta.” Gli disse suo fratello che chiamò le guardie già istruite che lo accompagnarono nella sua stanza.

Tutti ormai sapevano della morte del re. La vita doveva continuare, presto ci sarebbe stato il funerale e l’investitura del nuovo re, ma niente sarebbe cambiato nella vita del popolo, avevano solo la speranza che chiunque fosse stato nominato fosse un re giusto e buono.

Il principe William era solitario nella sua grande stanza, non gli era permesso di parlare con nessuno. Avrebbe presenziato al funerale e poi, poi si chiese cosa avevano in mente i suoi congiunti.

Misha continuava il suo lavoro, tante persone avevano cominciato ad avere fiducia in lei, a rispettarla nonostante fosse così giovane e lei ne era davvero fiera.

Stava preparando la cena, sperando che il capitano mantenesse la parola. Era tutto pronto quando sentì bussare.

Era una sera fredda e nebbiosa, e solo con l’arrivo della pioggia e della neve la nebbia si sarebbe diradata.

Il camino rischiava e riscaldava la piccola casa e il capitano allungò le mani verso le fiamme.

“Benvenuto, Kurt. Non l’ho ancora ringraziata per quello che ha fatto per me, per questa bella dimora e per gli aiutanti che mi ha assegnato.” Gli disse mentre portava il cibo in tavola.

“Vuole parlarmi un po’ di lei, capitano?” Le chiese mentre sorseggiavano un boccale di vino.

L’uomo aveva detto solo poche parole fino a quel momento. Alzò lo sguardo verso quella ragazzina che fin dal primo momento in cui l’aveva vista le era entrata nel cuore. Rivedeva in lei la sua amata figlia, perduta in un tragico incidente insieme a sua moglie. Avrebbe voluto dirle quanto dolore aveva provato, quanta solitudine lo avvolgeva, quanta sofferenza doveva sopportare, ma sapeva che non ci sarebbe riuscito.

La mano della ragazza si posò sulla sua. “Non c’è bisogno che parli, ho già letto i suoi sentimenti, ho sempre saputo che lei è una brava persona e che fa quello che può per non peggiorare la situazione dei prigionieri, così come so che deve mentire spesso, e fare cose che non vorrebbe.” Si interruppe. “Vuole continuare lei, Kurt?”

L’uomo aspettò che il nodo che aveva in gola si sciogliesse. “Io sono fedele al principe ereditario, lo sono sempre stato. Ho accettato il lavoro alla prigione per non essere costretto ad arruolarmi come soldato. Quando lo hanno portato nella cella quasi non riuscivo a capacitarmi. E’ stato lui stesso che mi ha raccontato la sua storia, quello che gli hanno fatto suo fratello e sua sorella. Non può immaginare il mio dolore quando ho visto la sua fidanzata in fin di vita, torturata a morte solo perché non ha rinnegato il suo amore per lui. Lei l’ha conosciuta, non meritava di morire in quel modo. Vivo costantemente in pericolo di vita, se solo si scoprissero i miei veri sentimenti e a chi ho giurato fedeltà mi taglierebbero la gola. Sono in parecchi a desiderare la mia posizione ed è possibile che il nuovo re, chiunque sia, voglia mettere qualcuno di sua totale fiducia al mio posto.”

Misha ascoltava e capiva che ogni parola era vera. “Ci sono altre persone che sono ancora devote al principe ereditario?” Gli chiese.

Il capitano si guardò intorno, come se temesse che qualcuno fosse in ascolto. Misha si alzò in piedi e, con un gesto della mano richiuse se stessa e l’uomo in una bolla impenetrabile. “Ora può parlare, nessuno potrà ascoltare.” Kurt era incredulo e allungò la mano che non riuscì a oltrepassare quella bolla che sembrava fatta di niente.

“Le sue guardie personali le ha conosciute e in qualsiasi momento sono pronte a dare la loro vita per il principe. Ci sono io che gli ho giurato fedeltà, e altri soldati e combattenti che non aspettano altro che di essere chiamati a combattere per lui. Solo io so chi sono e se mi succedesse qualcosa tutto verrebbe vanificato.” Le rispose.

“Ora lo so anch’io, e non è facile che mi accada qualcosa di male.” Gli rispose.

Con gesto inverso sciolse la bolla. Era pericoloso rimanere per troppo tempo isolati.

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MISHA

 MISHA

parte ventitre



“Si ricorda i prigionieri incatenati alla parete che ho curato? Quelli provenivano proprio da là, ma non ho fatto in tempo ad interrogarli. Deve raccogliere tutte le informazioni che può su quel posto, e se verrà incarcerato qualcuno che proviene dalla cava, per favore mi chiami subito. Il problema più grande è Kloriana, una grande strega con poteri che superano quelli di tutte le altre streghe, compresi i miei, devo conoscerla meglio, devo impossessarmi del libro degli incantesimi che ha rubato, senza quello è una strega come le altre e può essere sconfitta. Dove vive? Cosa fa per il reame? C’è qualcuno che la conosce? Chi sono le donne vestite di grigio che prelevano i bambini? Come vede tutto è legato alla cava sommersa, troviamola e avremo un punto di partenza. Abbiamo quattro mesi prima che si organizzi un altro viaggio nei villaggi e che molte famiglie soffrano per la perdita dei loro figli. Come vede, capitano, non abbiamo tempo da perdere. Lei trovi un appiglio, un animale che solo sia stato là che al resto ci  penso io.” Concluse.

“Un’ultima cosa, Helmut, le guardie personali del nuovo re sono leali al vero principe ereditario, se ci riesce parli con qualcuno di loro, ci sarà pure qualcuno che proviene da quel posto o che ne ha sentito parlare, dobbiamo approfittare di ogni dettaglio.” Gli disse prima di salutarlo.

Il capitano uscì nella notte fredda e umida, un velo di nebbia copriva la vista del cielo stellato. Nessun rumore si sentiva per le vie, ma la sua mano non si staccò mai dal pugnale fino a quando raggiunse la prigione dove aveva il suo alloggio.

Si sdraiò con mille pensieri nella testa e non riusciva a dormire. Andò a controllare le celle e i prigionieri e si soffermò davanti alle sbarre che tenevano da più di due anni imprigionato il principe ereditario che ora dormiva. Come facesse ad essere così calmo e sereno, il capitano se lo chiedeva ogni giorno. Tornò sui suoi passi e, finalmente riuscì ad addormentarsi.

Dicembre era iniziato con un gran gelo. Non aveva ancora nevicato ma le strade erano coperte di bianco, la nebbia congelava e si posava su alberi e ciottoli e non si scioglieva nemmeno durante la giornata.

Era diventato difficoltoso anche per Misha e Kara andare nelle case di chi richiedeva i loro servigi. Il re non aveva mantenuto la parola e non le aveva assegnato un posto in cui ricevere gli ammalati.

Potevano uscire soltanto nelle ore di luce, per questo saltavano il pranzo pur di curare il maggior numero di persone possibile.

Misha stava visitando un neonato quando una guardia entrò a cercarla.

“Deve seguirmi alla prigione, il capitano ha richiesto con urgenza la sua presenza.” Le disse.

Misha diede istruzioni a Kara e seguì il soldato.

La prigione era un poco riscaldata, ma i prigionieri pativano il freddo con i pochi abiti e poche coperte che avevano.

Il capitano l’accolse col suo solito cipiglio severo.

“Mi segua.” Le disse soltanto.

Oltrepassarono le celle maschili e anche quelle femminili che si erano riempite quasi al limite. La ragazza capì che la stava conducendo alle ultime celle, quelle destinate ai prigionieri speciali.

Come era successo in precedenza, vide due uomini incatenati alla parete. Erano stati torturati e avevano il corpo martoriato da numerose ferite e ustioni. Erano privi di conoscenza.

“Li abbiamo appena riportati dalla camera delle torture. Non ho idea di chi siano e che cosa abbiano commesso, ma il solo fatto che siano qui, mi fa capire che sono prigionieri diversi dagli altri. Tocca a lei, ora, ragazza medicina.” Le disse.

Misha cominciò a lavare e disinfettare quei corpi così martoriati. Cucì varie lacerazioni, sistemò una spalla slogata, ci impiegò parecchio tempo prima di essere parzialmente soddisfatta del suo lavoro. I due prigionieri avevano cominciato a lamentarsi, si stavano risvegliando mentre lei li osservava. Avevano corpi possenti, e il loro battito cardiaco era forte, anche con il viso irriconoscibile dal gonfiore  si vedeva che erano uomini sani e ben nutriti.

Prese dell’acqua e li dissetò. Il capitano era fuori dalla cella e non si faceva sfuggire nessun movimento. Non era stato autorizzato a chiamare la ragazza medicina e doveva essere molto vigile.

Uno di loro cercò di aprire gli occhi, gonfi e rossi per i colpi che aveva subìto. Aveva la vista annebbiata e dolori in tutto il corpo ma la sua mente si stava risvegliando.

Osservò la ragazza che aveva di fronte e pensò di essere morto e quella fosse un angelo venuto a prenderlo. Scosse la testa per schiarirsi meglio la vista e si voltò in cerca del suo compagno che era ancora svenuto.

“E’  morto?” Chiese con molta difficoltà.

“No, è ancora svenuto ma presto anche lui riprenderà conoscenza.” Gli rispose dolcemente.

Era in quella cella già da due ore e il capitano scalpitava.

“Chi siete?” Gli chiese Misha.

L’uomo non rispondeva. Aveva paura che quello fosse un inganno e che facesse parte della tortura. Li avevano ridotti proprio male con quelle torture, con tutti quegli aggeggi che erano manovrati molto espertamente da uomini disumani. Loro due, però non avevano ceduto, e non lo avrebbero fatto nemmeno ora.

Misha si accorse di tutto quello che passava nella mente del prigioniero. Nel frattempo anche il suo compagno cominciò a lamentarsi, anche lui si stava risvegliando.

Una guardia portò un messaggio al capitano. I prigionieri dovevano essere riportati nella camera delle torture appena si fossero ripresi. Passò il messaggio anche alla ragazza.

Ora erano entrambi coscienti. “E’ arrivato l’ordine di riportarvi nella camera delle torture, di cosa siete accusati per essere sottoposti a così tanta crudeltà?” Chiese loro.

Si vedeva bene che erano disposti a morire piuttosto che cedere.

“Ti scongiuro, ragazza, metti una lama nei nostri cuori, non farci torturare ancora.” Gli disse.

“Io sono qui per aiutarvi non per farvi del male.” Rispose.

Il primo uomo che si era risvegliato aveva un occhio chiuso e l’altro appena aperto da uno spiraglio. “Avvicinati, voglio vedere il tuo volto.” E lei si avvicinò più che poté.

Il prigioniero cercò di osservarla anche fra la nebbia che l’avvolgeva.

“Mi chiamo Misha, sono una ragazza medicina, tu chi sei?”

L’uomo faticava a respirare, aveva delle costole spezzate e ogni respiro, ogni parola gli costava un gran dolore.

“Io sono Orson e lui e Laret, siamo schiavi fin dalla nascita, due dei pochi sopravvissuti ai lavori nei tunnel della cava sommersa. Solo chi è molto forte ci riesce, la maggior parte non supera i dodici quindici anni, e le ragazzine nemmeno quelli.” Disse con grande difficoltà.

“Dove si trova la cava sommersa?” Le chiese speranzosa.

“Non lo sappiamo. Ci siamo entrati troppo piccoli e non ne siamo mai usciti, non so dove si trova.” Le rispose.

“Perché vi stanno torturando?” Gli chiese ancora.

“Perché ci siamo fidati della persona sbagliata. Ci aveva promesso la libertà, invece ci ha consegnato alle guardie della strega. Quella  maledetta strega ci ha portati davanti al nuovo re, non ricordo altro, dopo di che ci siamo ritrovati qui ma non sappiamo come ci siamo arrivati, è tutto molto confuso.” Le rispose.

“Cosa volevate fare?” Lei insisteva ben sapendo che doveva fare in fretta.

“Scappare, vedere il sole, respirare l’aria. Camminare nell’erba come là non si può fare. C’era qualcuno che ci raccontava del mondo fuori dalla cava e noi volevamo conoscerlo, invece era una trappola e credo che in tanti ci siano caduti.” Sospirò trattenendo una smorfia di dolore.

“Ora chiudi gli occhi.” Gli disse.

Usando una nenia dolce e i suoi poteri entrò nella mente dell’uomo e quello che vide la sconvolse. Non c’era niente, solo un immenso nero che avvolgeva ogni singolo organo del suo corpo, compresa la mente. Una marea densa e nera che lo stava uccidendo piano. Si accorse subito che si trattava di un incantesimo terribile e uscì subito dalla sua mente.

Riprese fiato e gli accarezzò il viso. “Metterò fine alle vostre sofferenze.” Bisbigliò per non farsi sentire da nessun altro.

Romanzo di Milena Ziletti - diritti e proprietà a lei riservati - immagine dalla pagina di fb di Elfi, fate e mondo incantato