MISHA
parte venticinque
Era buio
quando Misha rientrò. Dal ripostiglio delle erbe fece capolino Tom che le
sorrise timidamente.
“E’ andato
tutto bene oggi?” Gli chiese. Sì
Si avvicinò
al fuoco per riscaldarsi e lui la raggiunse sedendosi accanto a lei.
Gli pose una
mano sulla spalla e lo attirò a sé.
Era
piuttosto stanca ma preparò la cena, gli rifece le medicazioni e, finalmente
poté coricarsi. Avrebbe potuto entrare nei sogni del bambino ma non voleva
turbarlo, voleva che fosse lui a parlarle, doveva conquistare la sua fiducia e
poi avrebbe fatto quello che doveva, ma non lo avrebbe mai sfruttato per avere
le notizie che le servivano, quelle sarebbero venute, era solo questione di
tempo, anche se di tempo ce n’era poco.
Erano
passati dieci giorni da quando Tom era arrivato. I capelli cominciavano a
crescere, il suo viso prendeva colore e faticava a rimanere costretto in casa,
aveva capito il pericolo e il gelo che lo aveva quasi ucciso, perciò si
adattava in attesa degli eventi.
Arrivò Kara
con altri indumenti e gli sorrise. Lui ricambiò il sorriso e prese il suo
prezioso fagotto.
“Oggi è
meglio se non usciamo.” Disse la donna. “Ci sono troppi soldati in giro e
cercano qualcuno. Fermano chiunque incontrino e non ci vanno per il sottile.
C’è chi è già finito in cella e la
collera della gente divampa.” Le disse.
Erano tutti
e tre seduti al tavolo.
“Tom,
possiamo parlare a Kara della tua storia?” Gli chiese.
Il piccolo
posò i suoi grandi occhi sulla donna che aveva imparato a conoscere e fece
cenno di sì.
“Grazie, io
comincio la storia e se tu avrai qualcosa da aggiungere o da correggere, ti
prego di farlo.” Il piccolo assentì.
“Tanto tempo
fa, sono stata strappata alla mia famiglia e, mentre mi trasportavano sono
caduta dal carro. Infuriava un temporale e pioveva a dirotto, sono quasi
annegata in una pozza e sarei morta se una splendida creatura, andando contro
tutte le regole del suo popolo non mi avesse raccolta e portata con sé. Da
tanto tempo, ogni anno i carri con le donne vestite di grigio passano nei
villaggi e strappano i bambini alle loro famiglie, figli che non rivedranno mai
più. Così come è avvenuto a me, sono sicura che sia successo a Tom.” Sospirò osservando
entrambi, non era ancora il momento di parlare del mondo al di là del portale,
non ancora.
“Nessuno ha
mai saputo cosa succedeva ai loro bambini, tutti i genitori vivevano con questo
dolore nel cuore, a me è stato chiesto di capire, discoprire e, se possibile
porre fine a questo enorme dolore.” Riassunse brevemente.
“Frequentando
la prigione ho scoperto che esiste un posto, che in pochissimi conoscono dove i
bambini vengono portati. Sono tutti piccoli, non superano l’anno di vita e,
vengono sfruttati nella cava profonda. Ci sono tunnel dai quali viene estratto
qualcosa che ancora non conosco e sono talmente stretti che solo dei bambini
possono entrarci a lavorare. Non so come vivano fino al momento di entrare nei
tunnel, maschi e femmine, senza distinzione passano la loro breve vita ad
estrarre materiale fino alla morte, e avviene in giovane età, per questo ogni
anno hanno bisogno di altri bambini. Ho scoperto che anche alcune guardie hanno
la stessa provenienza, sono ragazzi molto forti che hanno superato indenni il
lavoro e, quando non possono più entrare nei tunnel vengono addestrati a fare i
soldati e i guardiani. Due di loro sono scappati ed hanno portato fuori Tom, e
sono morti pur di non rivelare dove lo avevano lasciato. Le guardie cercano
lui, non perché sia un bambino importante ma perché nessuno deve conoscere
questo segreto che è custodito da tempo immemorabile da pochissime persone e,
attualmente anche dal nuovo re.” Stringeva nella sua la manina del piccolo che
tremava visibilmente. “Sì, Tom, sono morti per salvarti ed io non lascerò che
qualcuno ti trovi e ti riporti là. Quello che voglio fare è scoprire dove si
trova la cava profonda e liberare tutti i ragazzi, distruggere chi l’ha creata,
e questo anche a costo della mia stessa vita.” Guardò Kara. “Ecco, ora sai
quale è il mio compito e cosa sono venuta a fare.” Aggiunse.
Lacrime di
dolore bagnavano le guance della donna. Non sapeva niente di questa storia,
poteva immaginare, in quanto madre di tre figli il dolore di perderne uno in
quel modo. “Dovrai raccontarmi anche il resto, ci sono molte lacune da
colmare.” Le disse Kara.
Misha
assentì, non poteva continuare a tenere allo scuro la sua amica.
“Te ne
parlerò quando anche il capitano sarà presente. Ho bisogno di fidarmi, il tempo
scorre troppo velocemente ed io conosco ancora troppo poco.”
Tom strinse
la mano di Misha. Vorrei poterti aiutare.
“Lo farai,
piccolo.”
Le due donne
dovettero rinunciare ad uscire per altri giorni, Kara non era nemmeno tornata a
casa, aveva lasciato i suoi figlia alla madre e sapeva che erano in buone mani.
In casa il cibo cominciava a scarseggiare e fuori nebbia e gelo la facevano da
padrone.
Aspettavano
il capitano quella sera, un biglietto infilato sotto la porta le aveva
avvisate. Erano passati quattro giorni, anche dicembre si accorciava, così come
l’arrivo della primavera e i carri sarebbero partiti.
Non c’era
molto in tavola mentre aspettavano il capitano. Fuori era buio pesto ma i
soldati continuavano a pattugliare le strade.
Il capitano
bussò ed entrò seguito da una ventata di aria gelida. Posò una grande terrina
colma di cibo sul tavolo mentre lui si avvicinava al camino per riscaldarsi.
“Non sapevo
che avremmo avuto ospiti.” Disse mentre osservava Kara. Poi i suoi occhi scorsero
il bambino e si bloccò. Capì subito che era quello che le guardie cercavano.
Fece un grosso sospiro e si sedette al tavolo. Il cibo era stato riscaldato e
cominciarono a mangiare in silenzio.
A fine cena
si alzò, mise la sbarra alla porta e si assicurò che anche le piccole finestre
fossero ben sigillate.
Trattennero
il respiro quando sentirono passare una ronda che, per fortuna continuò oltre.
“Vi devo una
spiegazione.” Disse Misha tenendo stretta la manina di Tom. Gli occhi del
piccolo faticavano a rimanere aperti e lei lo accompagnò davanti al camino e lo
fece stendere sulle coperte, in un attimo si addormentò.
“Possiamo
parlare, lui non ci sentirà.” Bisbigliò.
“Ragazza
incosciente! Sei in estremo pericolo! Cosa ti è saltato in mente di dare
alloggio ad un ricercato del re?” le rimproverò con sguardo truce. Era davvero
alterato.
“Capitano,
lei conosce Kloriana, c’è lei dietro a tutto questo. E’ opera sua la caduta del
vero principe ereditario e della salita al trono del principe usurpatore. Ho
l’impressione che questo bambino sia una pedina importante in tutto questo, ora
lo scopriremo. Dovete assolutamente stare in silenzio e farò in modo che voi
vediate quello che vedo io.” Disse loro raggiungendo Tom serenamente
addormentato. “Avvicinatevi, tenetevi per mano e poggiate l’altra mano sulle
mie spalle.” Disse mentre si sedeva e prendeva la testa del bambino sulle sue
gambe.
Il capitano
e Kara presero posto e fecero quanto richiesto.
Misha posò
una mano sulla fronte del piccolo e l’altra sul suo cuoricino che batteva
lento. Cominciò una nenia mentre sempre
più si addentrava nella mente e nei sogni del piccolo. “Chiudete gli occhi,
vedrete meglio.” Sussurrò.
Anche il
cuore dei due convenuti raggiunse un battito lento e normale, era come se una
magia facesse battere all’unisono i cuori di tutti come quello del bambino.
Lentamente,
molto lentamente, Misha cominciò a penetrare nella mente di Tom. Dapprima vide quello che stava sognando: buio,
tanto buio e qualcosa di verde scintillante. Lo tranquillizzò e gli cambiò il
sogno, rendendolo più piacevole. Il piccolo sospirò.
Tom, portami dove stavi.
Senza fretta
e accarezzando dolcemente la testa del piccolo, Misha rimase in attesa, non
voleva forzarlo, ma aveva bisogno di sapere.
Tom, non avere paura, io ti sarò
vicina e non ti accadrà niente di male. Portami là.
Fu un attimo
e si ritrovarono tutti in un posto sconosciuto.
Misha non
smetteva la nenia che calmava il piccolo e anche i suoi ospiti.
Si
ritrovarono circondati da alte pareti. Era una enorme stanza, quella che Tom
conosceva.
Cosa ci facevi qui, Tom?
Nella mente
del bambino passarono le immagini di quello che aveva sempre fatto. Sentiva una
stanchezza incredibile, era appena rientrato e anelava solo a potersi lavare,
mangiare e dormire per riposarsi. Altri bambini e bambine erano con lui e
facevano le stesse cose. Nessuno parlava. Erano tutti sporchi di fango con
piccole scintille verdi.
Dov’eri, Tom, prima di rientrare?
Il piccolo
fece il tragitto a ritroso. Videro cinque bambini che, uno dietro l’altro entravano
in un cunicolo. Tom era quello davanti a tutti, il più piccolo. Teneva in mano
un recipiente e una specie di piccozza, un arnese che nessuno di loro aveva mai
visto, soltanto Misha si accorse che aveva la forma di un corvo con le ali
spiegate. Tom proseguiva lentamente e scavava davanti a lui riempiendo il
recipiente che passava a quello dietro di lui che gliene forniva un altro
vuoto.
Quanto tempo rimani nel cunicolo?
Ma non
ottenne risposta.
Ora puoi tornare nel tuo giaciglio.
e si
ritrovarono da dove erano partiti.
Puoi uscire, Tom? Puoi farlo per me?
Il bambino
attraversò la grande stanza che ospitava varie brande e raggiunse una porta.
Aprila, Tom, fammi vedere cosa c’è là
fuori.
Quasi
tremando, il piccolo uscì e tutto quello che riusciva a vedere era un immenso
buio. Aveva i piedi immersi nel fango fino a metà polpaccio. Alzò gli occhi ma
era tutto uguale: terra e cielo di fango.
Dove porti quello che i bambini
portano fuori dal tunnel?
Tom
raggiunse un immenso rifugio blindato guardato a vista da alcune guardie. Il
piccolo si sorprese che non lo vedessero e non lo rimproverassero.
Bravo, Tom. Nessuno ti farà niente,
non possono, tu sei qui con me e lo sai che non permetterò a nessuno di farti
del male. Ora entra lì, io ti tengo per mano.
Tom cercò
una porta laterale, piccola e quasi invisibile. La aprì e, prima di entrare si
coprì gli occhi con le mani.
Montagne di
un elemento verde brillante lo riempiva quasi tutto fino al soffitto. Era
evidente che, qualunque cosa fosse ce n’era in gran quantità.
Tu sai che cos’è Tom?
Loro lo chiamano l’oro di Verzel, non
so altro.
Dove tengono i bambini piccoli?
Quelli che ancora non possono lavorare? Mi ci puoi portare?
Tom
camminava in quella melma senza nessun fastidio, era così fin da quando aveva
mosso i primi passi ed era la regola per lui.
Raggiunse
un’altra grande costruzione ma non entrò.
Non mi è permesso entrare.
Fallo per me Tom, non ti vedrà
nessuno, come prima.
Il bambino
si stupiva di non essere visto e trovò la porta che cercava. Entrò in un grande
spazio e si sentiva il pianto di tanti bambini, pianto che durava solo qualche
secondo per poi tacere all’improvviso.
Romanzo di Milena Ziletti - diritti e proprietà a lei riservati - immagine dalla pagina di fb di Elfi, fate e mondo incantato
Nessun commento:
Posta un commento