venerdì 30 novembre 2018

IL MIO ROMANZO FANTASY - LA FARFALLA GENTILE


LA FARFALLA GENTILE




Nel bosco proibito sono celate tutte le risposte, ma nessun umano ci è mai entrato. Toccherà alla Farfalla Arcobaleno, unico essere in grado di salvare la vita di Olli, nata col simbolo della farfalla e in pericolo di vita fin dalla sua nascita.
Molte prove, molti inganni, molti sacrifici estremi, molti personaggi nel bene e nel male contribuiranno a porre fine al Regno del Male e salvare la Farfalla Gentile.
La sfida finale fra Saabh, Colui che Guida e la sua malefica magia porterà finalmente a ritrovare nel Bosco Perduto la Terra della Verità.
PREFAZIONE DI MARCELLO DE SANTIS. Splendida persona ormai passata nel mondo spirituale, conosciuto in Facebook che mi ha aiuta senza chiedere niente in cambio. Persone così ne esistono ancora. Grazie Marcello, proteggici da lassù.
Ho scritto, specialmente negli anni passati, quando ancora l’età non mi pesava come adesso sulle spalle la prefazione a diversi libri, sia di poesia che di prosa (racconti) ma mai a un romanzo; e sempre su richiesta di amici o conoscenti che amabilmente mi hanno sottoposto le loro opere perché dessi un giudizio. Poi ho avuto il piacere di vedere i miei scritti sui libri di questi amici dati alla stampa.
Mi proverò a scrivere qualcosa anche su quest’opera – piacevolissima, devo dire – di Milena Ziletti, un’amica acquisita tra le amiche che si fanno su Facebook.
Mi ha chiesto se potevo visionare ed eventualmente “correggere” un suo romanzo, ho risposto di sì e l’ho ricevuto per e-mail.
E’ una favola, una lunga favola che racchiude un mondo di fantasia, fantasia che non sempre si riscontra nelle favole tradizionali.
Molti personaggi fantastici, un mondo incantato dove una miriade di personaggi si incontrano e si scontrano per agevolare o impedire la ricerca di qualcosa che dovrà contribuire a portare la pace nel mondo.
Ma raccontata così non rende l’idea della trama che si intreccia partendo dalla nascita di una bambina nel castello di un conte. Né io voglio svelare di più, lo scoprirà il lettore.
La signora Ziletti – ho constatato è dotata di un’immaginazione che non mi aspettavo. E devo confessare che l’ha messa a frutto con perizia e abilità.
Ha creato un mondo fantastico che sta tra sogno e realtà come si addice ad un racconto lungo e pieno di stravagante immaginazione.
Io voglio fermarmi qui, quello che c’era da dire l’ho detto e non voglio dilungarmi oltre.
Non voglio essere come la gran parte dei (o dei taluni) critici letterari di professione che per esaltare l’autore di uno scritto o per pura inconfessata piaggeria paragonano lo stesso ad autori – siano essi del passato o contemporanei – più o meno noti, celebri o famosi, facendo sì che un lettore acuto e attento osservatore – alla fine si accorga che la relazione presentata manca di solidità e realtà.
Siano dunque i lettori a giudicare.
MARCELLO DE SANTIS

p.s. I miei libri fantasy hanno la prerogativa di avere tantissimi personaggi, tutti creati da me. In questo romanzo, che si divide in due parti (sono praticamente due libri) ho dato libero sfogo alla mia fantasia e devo dire che ne sono molto fiera. Spesso mi soffermo a chiedermi se davvero sono io l’autrice di tanta bellezza (lasciatemelo dire) e poi mi accorgo di avere intorno a me tutti i personaggi che si prendono gioco di me, se io li conosco e li descrivo, vuol dire che esistono ed io li pubblico per chi li vorrà conoscere. Se sai ascoltare nel silenzio ti accorgi anche della magia e di universi dove questi personaggi hanno la loro casa, se li percepisci ti invitano da loro e ti raccontano le loro storie, a me succede così.
SE DESIDERATE LEGGERLO CHIEDETELO A ME. VI ARRIVERA’ CON DEDICA PERSONALIZZATA.

giovedì 29 novembre 2018

EMILIANA


EMILIANA

P. DIECI (FINALE)





Per la prima volta entro nella sua camera e metto le mani nei suoi cassetti e mi sembra di essere una ladra. Mi faccio coraggio, ormai lei non c’è più e devo mettere in ordine.
Ad uno ad uno apro cassetti e ripostigli segreti e trovo un piccolo cassetto nascosto nel comò.  Lo apro con molta fatica e con curiosità, pensando di trovarci vecchi ricordi ingialliti della sua giovinezza. Con un sorriso e con un po’ di pena nel cuore guardo in quel piccolo vano e vedo tre lettere.
Sono indirizzate a me e vengono dall’Australia. Un colpo al cuore mentre capisco cosa è successo. Giustina le ha intercettate e me le ha nascoste, non ha mai fatto mistero di essere contraria al mio desiderio di andarmene, ma non avrei mai pensato potesse arrivare a tanto.
Le gambe non mi reggono e sono costretta a sedermi sul letto. Apro le lettere e leggo quello che Cecilia mi ha scritto. Loro mi hanno aspettato a lungo, nella loro casetta avevano preparato una stanza anche per me e non capivano il motivo del mio silenzio. Nell’ultima lettera mi scrive che ha perso la speranza di rivedermi e mi augura tanta felicità.
Lacrime di dolore e di rabbia mi bagnano il viso. Giustina che cosa mi hai fatto? Non avevi il diritto di decidere per me.
In un impeto di rabbia raccolgo tutte le sue cose, le porto fuori e le brucio. Lacrime di dolore si mescolano a lacrime di fumo. Non posso perdonarti Giustina, proprio non posso.

Con una pena immensa nel cuore rientro in casa e finisco di sistemare le ultime cose. Presto ricomincia la scuola e non so quanti ragazzi si presenteranno.

E’ arrivato un nuovo parroco don Mariano. E’ un giovanottone grande e grosso. Ha due mani che sembrano due pale ed ha cominciato a lavorare con tutti noi.
Intanto che lavora e vanga la terra recita infiniti rosari. Elargisce benedizione a tutti e si è fatto subito ben volere. Finalmente sembra che stia tornando la normalità. Lunedì ricomincia la scuola e vedremo di riprenderci tutti la nostra vita.

Il freddo si fa sentire molto presto e le serate le passo davanti al camino con un libro o a preparare le lezioni. Il gatto mi tiene compagnia con le sue fusa e fuori è già buio.

La mia mente torna alle lettere che mi ha spedito Cecilia e il dolore del tradimento di Giustina mi logora il cuore. Se penso che in questo preciso momento potrei essere in Australia…
Sento bussare alla porta e mi spavento. Ho paura che sia successo ancora qualcosa di brutto e corro ad aprire.
Martino ed Ornella sono venuti a trovarmi. Con molto imbarazzo li faccio accomodare e mi accorgo ancora una volta della bellezza di Ornella e di suo padre. “Siamo venuti a vedere come stai e se hai bisogno di qualcosa.”
“Io sto bene e non mi serve nulla.” “Abbiamo noi una cosa importante da chiederti Emiliana: vuoi sposarci?” Non ha usato giri di parole e mi sento confusa. “Noi abbiamo bisogno di una mamma e di una moglie e tu mi sei sempre rimasta nel cuore. Ornella è una brava bambina e sono sicuro che vi piacerete entrambe. Cosa ne pensi?”
Già, cosa ne penso? Ho 25 anni e sono sola, adesso più di prima. Non ho mai avuto un corteggiatore all’infuori di Martino, adesso cosa voglio fare della mia vita? “Mi hai colto di sorpresa, non so cosa risponderti. Lasciami qualche giorno per pensarci, ti prometto una risposta entro domenica, venite a pranzo da me”.

Ora sono davvero arrivata al capolinea e devo decidere cosa fare. Continuare a seguire i miei sogni o mettere finalmente i piedi per terra? Sono stanca e sfiduciata, questi ultimi anni sono stati molto duri: ho aspettato lettere che non arrivavano, ho cercato l’espatrio in Argentina ma non mi è riuscito, ed ogni volta, mi legavo sempre di più a questa terra. Prima il lavoro contabile in filanda, poi l’insegnamento ai ragazzi che mi ha dato molta soddisfazione, poi l’epidemia terribile di influenza che mi ha lasciata indenne, vorrà pur dire qualcosa tutto questo.

Devo dare l’addio ai miei sogni di viaggi, agli amori sognati, devo accontentarmi di un marito che è già stato di un’altra e di una figlia che non ho partorito io. Non so se essere delusa, disperata o rassegnata.
Quello che ho sempre temuto e disprezzato ora tocca a me. Finisco qui i miei sogni ad occhi aperti e mi preparo ad una vita ordinaria e tranquilla, non ho più voglia di aspettare.

Aspetto a pranzo Martino ed Ornella, oggi darò loro la mia risposta.

Il giorno del mio matrimonio tutti hanno fatto festa. Mi sono resa conto di quante persone mi vogliono bene e mi sono vicine. Don Mariano ha cantato gli inni col suo vocione da baritono e alla fine, tutti hanno battuto le mani, e mi sono commossa.
Abbiamo stabilito di rimanere nella mia casetta, l’altra la occupa il padre di Martino e la signora Lucia, lunga vita anche a loro.


E ’passato un anno. Sono qui, seduta sotto al portico a godermi gli ultimi raggi del crepuscolo. Adesso so cosa si prova nell’intimità con un uomo. Il solo pensiero mi fa sempre arrossire.
 Oggi è un giorno speciale: mentre guardo il tramonto colorato di arancione dico finalmente addio all’America, all’Australia, all’Argentina, ai miei sogni di fanciulla e perdono Giustina con tutto il cuore. Appoggio le mani sul ventre che sta crescendo piano piano. Presto anch’io avrò un figlio. Desidero con tutto il cuore che sia una femmina per poterla chiamare Clara e ricoprirla di baci, abbracci e tante carezze, sperando che la piccola Clara di tanti anni fa le faccia da angelo custode.
 Dopo aver fantasticato di posti esotici e lontani mi sono accorta che non esiste posto migliore di quello dove c’è amore. In questo piccolo paese, fatto di gente semplice e generosa ho finalmente trovato l’approdo dei miei desideri.
 Prendo la manina di Ornella e le accarezzo i capelli. Entro in casa a preparare la cena, non vedo l’ora che rientri Martino e coricarmi fra le sue braccia in cerca di calore, quel calore che nessun camino e nessuna fiamma può dare. Ora lo so e arrossisco al pensiero dei baci che al buio ci scambieremo.

“Ben tornata a casa Emiliana” mi dico,” La felicità finalmente ha trovato dimora, è sempre stata accanto a te, aspettava solo di essere riconosciuta.” Ora, il nastro trasportatore della vita, che porta ogni giorno uguale al precedente, spero non cambi più.

Che la vita ci sorrida sempre.
                                                                  Emiliana

                                                                 


foto dal web - diritti e proprietà riservati di Milena Ziletti

mercoledì 28 novembre 2018

EMILIANA


EMILIANA

P. NOVE





Quasi non mi accorgo del trascorrere del tempo. Un anno, un altro anno e un anno ancora. Non passa giorno che non mi chieda perché Cecilia non mi scriva, io non perdo la speranza, i miei sogni sono l’unica cosa alla quale aggrapparmi.
In questi anni poco o niente è cambiato. Il lavoro in filanda, quello nei campi, figli che nascono e vecchi che muoiono: il solito nastro trasportatore della vita che ci presenta sempre un giorno uguale al precedente.

Io sono ancora sola, ho 24 anni e Giustina che quasi non si regge più in piedi. Per fortuna posso aiutarla, non ha più la forza nemmeno di lavarsi da sola.

Quest’autunno così piovoso mi ricorda quello di alcuni anni fa, quando il fiume è uscito dagli argini. Oggi, come allora, c’è molta paura, è quasi un mese che non smette di piovere. Anche a scuola c’è freddo e umido ed i ragazzi faticano a seguire la lezione.
Giustina non si alza più dal letto ed io sono molto indaffarata anche con lei.

Ci sono molte persone che si ammalano. Sembra una banale influenza, ma giorno dopo giorno la situazione si aggrava.

Intere famiglie si sono ammalate, intere famiglie sono rimaste a casa dal lavoro perché non hanno la forza di uscire. Questa che è iniziata come una banale influenza sta diventando una epidemia.
Anche la scuola ha sospeso momentaneamente le lezioni. Perfino in filanda hanno dovuto diminuire le lavorazioni, troppe persone sono assenti. Il signorino Guglielmo, mi dicono sia molto arrabbiato, e ha deciso di licenziare tutti quelli che non si presenteranno al lavoro. Così, per paura di restare senza niente, molte persone ammalate vanno ugualmente in filanda e, ogni giorno, parecchi di loro, vengono portati fuori con la febbre altissima. Anche il signor Alberto non si presenta al lavoro da parecchi giorni e i lavoratori sono rimasti senza la paga. Il signorino Guglielmo sbraita e inveisce tutto il giorno contro chiunque gli capita a tiro, non vuole che la gente si assenti ma non riesce a pagarli. Anche il signor Cesare si è ammalato e, in paese, c’è molta paura.

Nessuno sa più cosa fare per curare questa strana febbre. I rimedi che conosciamo sembrano non funzionare e cominciano i primi morti.
All’inizio sono i più deboli e i più anziani che se ne vanno. Ognuno spera, ma le famiglie molto numerose, l’igiene scarsa, cibo insufficiente e tanti animali vicino non fanno che aumentare il pericolo di contagio. E per la prima volta da che ho memoria, anche la filanda viene chiusa.

Siamo tutti molto spaventati. Cosa possiamo fare per non ammalarci e per curare chi si è già ammalato? Cominciano a circolare strane abitudini e strane e vecchie usanze. C’è chi dice di lavarsi spesso le mani con acqua e aceto, di risciacquarsi la bocca con liquore forte, di mangiare molto aglio e cipolle e di bruciare certe e strane erbe secche in ogni stanza. Ormai puzziamo come animali, ma la situazione sembra non cambiare.
La gente continua a morire. Anche Don Claudio ci ha lasciati e non c’è più nessuno che benedice i morti prima della sepoltura.

Non c’è più nessuno nemmeno che va a servizio al castello, dove sono tutti ammalati, il signor Cesare, sua moglie e anche il signorino Guglielmo. Sono in pochi quelli che non hanno avuto la febbre, ed io sono fra questi, sembro immune, ma Giustina non ce l’ha fatta, l’abbiamo sotterrata ieri.
Anche mia madre e i miei fratelli non si sono ancora ammalati, mentre le piccole hanno tutt’ora la febbre, ma sembra si stiano rimettendo.
Molti animali non vengono accuditi e muoiono anche loro. Chi sta ancora bene ha paura a muoversi e quando lo fa, si copre la bocca e il naso con un fazzoletto. Non sembriamo più umani. Abbiamo paura a toccarci, a stare chiusi nella stessa stanza, non sappiamo più cosa fare.
Io cerco di aiutare chi posso, sono talmente tanti gli ammalati che ogni sera mi addormento distrutta, ora non sono più la maestra del paese, sono l’infermiera di tutti. Non so niente di queste febbri e di come si curano, non ho trovato molto nella biblioteca di Giustina. Sarebbe stato meglio leggere libri di medicina invece di quegli stupidi libri di avventura, almeno adesso potrei fare qualcosa di più. Sono stata anche a casa del dottore a prendere alcuni volumi per vedere se riesco a capirci qualcosa di più, ma i termini usati sono fuori dalla mia portata, perciò mi aggrappo alla tradizione popolare e faccio quello che posso.

E’ un mese che è scoppiata questa epidemia, quanta gente è già morta? Quanta gente è ancora ammalata? Quanta invece è già guarita e potrebbe darci una mano?
 Questo è un incubo. Oggi sono state sotterrate anche la madre e la moglie di Martino, della sua famiglia sono rimasti solo il padre, lui e la sua piccola Ornella. Ogni famiglia ha perso qualcuno e non ci sono più lacrime da piangere. Nel nostro piccolo cimitero non c’è più posto per nessuno, bisogna scavare fosse comuni e questo è un dispiacere che si somma al dispiacere, una cosa così non era mai successa, nessuno la ricorda.
Tutti con il fazzoletto sul volto aiutiamo, ognuno per quello che sa fare. Non sappiamo molto di malattie ma di sicuro sappiamo che bisogna sotterrare in fretta i morti, isolare gli ammalati e cercare di sopravvivere. Perché di sicuro sappiamo che tutto questo dovrà finire.
Ogni sera mi lavo accuratamente le mani e sciacquo la bocca con acquavite. Cerco di mangiare verdure accuratamente lavate e spero soltanto di svegliarmi il giorno dopo e trovare tutto finito.

Nella fossa comune sono finiti anche il signorino Guglielmo e la madre. Il signor Cesare è una roccia, si è ripreso dalla malattia e si è ritrovato da solo. Nessuno di noi ha voglia di andare da lui, non è mai stato gentile con noi, ed ora, sta capendo cosa significa essere emarginati.  Nonostante il grave lutto che lo ha colpito sembra non aver cambiato atteggiamento. Si aggira spesso in filanda da solo e nessuno sa cosa ci va a fare: quello è il suo mondo e non conosce altro. Le sue terre sono incolte, i suoi animali morti o dispersi, ma lui non ha un attimo di cedimento. Non si mescola con noi, resta solo e nessuno gli porge una mano.
Quando tutto questo sarà passato, le cose saranno molto diverse da ora, ma per adesso, ognuno pensa per sé.
Nonostante le amorevoli cure di mia madre, la dolcissima Margherita non ce l’ha fatta. Il signor Carlo, invece, con molta fatica si sta riprendendo. I miei fratelli hanno aiutato tutti con molto impegno, ma la lotta sembra non finire ancora.
Ogni sera mi ritrovo sempre sola e sempre più stanca, con l’unico desiderio di svegliarmi e scoprire che è tutto passato.

Da alcuni giorni non ci sono nuovi ammalati. Siamo tutti con il fiato sospeso e con la speranza che questa brutta storia finisca presto. Anche i morti sono diminuiti e da ieri non è morto più nessuno. Tiriamo tutti un sospiro di sollievo e aspettiamo ancora alcuni giorni per vedere come si evolve la situazione.

Un’altra settimana senza morti. Alcune persone stanno meglio e, soprattutto nessuno si è più ammalato.
Abbiamo un grande desiderio di normalità, di riprendere la nostra vita e oggi, che è domenica, andiamo tutti in chiesa. Non c’è il prete, ma sappiamo recitare da sempre le preghiere di invocazione alla Madonna. Ci ritroviamo a cantare inni e recitare Rosari: che sia finalmente finita.

Ora che l’emergenza è passata bisogna riprendere la vita. Molte famiglie sono decimate, molti bambini sono rimasti orfani, molti giovani sono ancora deboli. Come sempre accade in queste situazioni, sono le donne che prendono in mano la situazione.
Non c’è bisogno nemmeno di passare parola. Cominciano a partire ordini di ripristino delle abitazioni, dei lavori nell’orto, di sistemazione del cimitero, di recupero degli animali e, giorno dopo giorno, ognuno si ritrova con un compito da svolgere.

Molti vedovi e vedove si mettono insieme recuperando una parvenza di normalità. Le persone anziane trovano accoglienza nelle famiglie dei vicini o degli amici. Io sto ripristinando la scuola: bisogna andare avanti.

Oggi devo sistemare la mia casetta. Non c’è più Giustina e devo raccogliere le sue cose e cercare dei documenti. Cerco soprattutto la sua collana preferita da portare al collo in suo ricordo.



foto dal web - diritti e proprietà riservati di Milena Ziletti

martedì 27 novembre 2018

EMILIANA


EMILIANA

P. OTTO





Giustina ha continuato a dare lezioni a Martino ma ci lascia spesso da soli. Abbiamo cominciato a parlare di tante cose e scopro che abbiamo alcuni interessi in comune. Scopro anche che sono molto timida, non sapevo fosse così difficile parlare con un ragazzo di cose personali. Lui è molto più estroverso di me, ha il sorriso sempre pronto e guarda alla vita con molto ottimismo. Mi decido e gli racconto il mio più grande desiderio, quello di partire. Vedo il suo sorriso spegnersi ed i suoi occhi farsi più seri. “Perché te ne vuoi andare? Mi chiede. “Io qui ho tutto, una bella famiglia, un lavoro, degli affetti e ci sei tu, Emiliana, io non ho desiderio di andare lontano, non sono un sognatore come te. E’ qui che desidero formare la mia famiglia, con te. Se tu continui a volare e non torni con i piedi per terra rischi di perdere ogni occasione bella.”
 Ho ricevuto uno schiaffo in pieno viso. E’ più importante il sentimento per un uomo o il mio desiderio di vita nuova e lontana da qui? Non ho esitazioni: io voglio andarmene.
Di uomini ne trovo ovunque, purché in terra straniera. Ho già deciso.
Lo guardo dritto negli occhi e scopro di aver perso la mia timidezza.
“Ho sempre portato nel cuore un unico grande desiderio: andarmene lontano da qui. Ho sacrificato tutto a questo mio desiderio che tu chiami sogno, e non intendo rinunciarci nemmeno ora. Sei libero di cercarti la ragazza che fa al caso tuo, quella che vuoi non sono io. Ti ringrazio per la tua attenzione, ma la nostra storia finisce qui.”
Non riesce ad aggiungere altro. Scuote la testa, quasi incapace di capire la mia scelta. “Ti auguro di trovare tutto quello che cerchi, ma ho paura che i sogni siano molto diversi dalla realtà. Quello che leggi nei libri è solo fantasia e tu stai sprecando i tuoi anni migliori inseguendo un sogno che non sai se si avvererà. Avremmo potuto formare una splendida famiglia insieme, e mi mancherà la tua intelligenza e la tua perspicacia. Sono dispiaciuto.” Esce mestamente di casa e Giustina mi guarda in un muto rimprovero. Non serve che parli, i suoi modi esprimono tutto il disappunto per la mia decisione.

Ora che sono sola nel mio letto comincio ad avere dei dubbi. Possibile che abbia davvero preso la decisione sbagliata?  Sono io ad essere diversa dalle altre? Il mio cuore è solo aperto all’avventura e non all’amore? Cosa c’è di sbagliato in quello che desidero? Al momento non lo so, ma presto, sono sicura, lo scoprirò.

Passano poche settimane e circola la voce del matrimonio di Martino con Alice. Non ha perso tempo a consolarsi. Alice è una bella ragazza e faranno insieme molti figli: tanti auguri!

 Alcune famiglie stanno per organizzare il viaggio in Argentina. Le conosco quasi tutte, anche se superficialmente. Mi accorgo che ho solo conoscenze superficiali, non ho amicizie vere che possano farmi da sponda per cose importanti come può essere l’emigrare in Argentina. Ma non mi importa. Vado a informarmi sul viaggio.
Ne parlo con Giustina e lei cerca di farmi desistere, mi dice di aspettare la lettera di Cecilia, che qui non mi manca niente, ma non la ascolto: voglio andarmene.
Il costo del viaggio è molto alto ma me lo posso permettere. I documenti non mi mancano, sono ancora minorenne e serve qualcuno che si prenda la mia tutela, ma anche questo lo risolvo. Mi aggrego alla famiglia di Tiziana e vengo inserita nel loro gruppo. Si parte fra un mese e sono molto emozionata.

In filanda non ho ancora detto niente, aspetto ancora qualche giorno poi mi licenzierò. Non sto più nella pelle, ho sempre il batticuore e mi sembra di vivere in un sogno: il mio bellissimo sogno.

Ogni sera torno a casa canticchiando e con la certezza che qualcosa sta cambiando. Entro in casa e trovo il dottore che visita Giustina. Si è sentita male, il suo cuore è vecchio e debole e deve stare a riposo. L’aiuto come posso; dopo una giornata di lavoro anch’io sono stanca e non riesco a fare molto. Deve pensare a come fare quando sarò partita e cerco di parlarle, ma lei non vuol sentire niente. Non importa, quando io me ne sarà andata ci sarà sicuramente qualcuno che si prenderà cura di lei, ha molti amici e parecchie persone le devono molto e sapranno ricambiare. Io non mi faccio intenerire: voglio partire.
I preparativi per il viaggio sono quasi ultimati, fra una settimana dovrò consegnare i soldi per il biglietto e dopo mi licenzierò. Andrò a salutare mia madre e i miei fratelli, raccoglierò tutti i miei sogni e mi imbarcherò verso un nuovo futuro. Porterò nel cuore il mio paese, ma voglio amare anche quello che mi ospiterà, sono pronta e mi sembra che il tempo non passi più.

Oggi è domenica, fa caldo e mancano ancora pochi giorni al punto di non ritorno. Vedo venire un gruppo di persone. Verranno a trovare Giustina, penso, invece vengono per me. Hanno una proposta molto importante da farmi. Vogliono che diventi la maestra del paese, che insegni ai bambini e anche a quelli un po’ più grandi. Sono sicura che c’è lo zampino di Giustina in tutto questo. Il signore che sembra essere la persona più importante mi elenca tutti i benefici che ne trarrei: la paga non inferiore a quella che percepisco attualmente, massima libertà di insegnamento, e in più, ho in eredità la casa e la terra di Giustina quando lei se ne andrà. Avrò il privilegio di preparare i ragazzi per il loro futuro, così da potersene andare ovunque con il loro bagaglio di cultura e sperare in una vita migliore. Devo dare una risposta entro la settimana o chiederanno ad altri.

Questo è un tiro mancino! Mi sento in trappola e non riesco a decidere.
Vado al comitato per l’Argentina e scopro che il viaggio è rimandato di un paio di mesi, Non è la stagione giusta per imbarcarsi e c’è molto lavoro nei campi da sbrigare prima di partire. Purtroppo mi sono già licenziata dalla filanda e non ho un altro lavoro.

Mestamente e molto tristemente ritorno a casa. Mancano due mesi alla partenza per l’Argentina, due mesi anche all’inizio della scuola che serviranno per i preparativi dell’aula e delle lezioni ed io sono disoccupata.
Non ho scelta, ho bisogno di lavorare e accetto di diventare la maestra del paese. Fra due mesi il lavoro fatto non andrà perduto, chiunque prenderà il mio posto troverà tutto pronto e io sarò comunque libera di andarmene.

Giustina si è ripresa dal suo malore, e solo io riprendo con un nuovo dolore nel cuore.

Intanto non ho perso la speranza: Cecilia, ti prego, scrivimi, non puoi esserti dimenticata di me. Non voglio spegnere i miei sogni.




QUARTO CAPITOLO

Comincio i preparativi per la nuova scuola e sono molto impegnata. L’aula da sistemare, i banchi, la lavagna e, soprattutto, i libri che mi serviranno per cominciare le lezioni. Ci saranno bambini e ragazzi di varie età, ma ognuno dovrà imparare dall’inizio. Cercherò di infondere loro anche l’amore e l’interesse per terre sconosciute e lontane, cercando di passare loro un po’ della mia passione. Poi, penso che non sarò io a dare lezione, io sarò in Argentina. Sto pensando a questo quando il padre di Tiziana mi viene a cercare. “Vieni Emiliana, tutto il comitato è riunito a casa mia, ci sono novità. Corri.”
Siamo circa una trentina, e mi accorgo subito che c’è qualcosa che non va.
Armando prende la parola:” oggi sono andato a parlare con il signor Giuseppe per sentire la nuova data della partenza e mi hanno comunicato che è sparito, e con lui, tutti i soldi che gli avevamo consegnato per i biglietti e per le pratiche. Purtroppo nessuno sa dove sia andato e noi non riavremo più i nostri quattrini.”
C’è disperazione in tutti noi. Molti hanno già venduto tutto quello che possedevano, hanno abbandonato il lavoro ed ora, sono praticamente rovinati. Le donne cominciano a piangere e gli uomini sono talmente infuriati che spaccherebbero volentieri la faccia al signor Giuseppe. Ognuno di loro dovrà reinventarsi una vita, e non sarà per niente facile.
Ancora una volta scopro che sono una privilegiata, io un lavoro ce l’ho. Ho perso molto denaro, ho infranto il mio sogno, ma posso ancora rimediare. Ma loro? Cosa ne sarà di loro?
Adesso non ho più indugi, dovrò fare la maestra e aspettare la prossima partenza. Ricomincio a sognare l’America ma, soprattutto, aspetto la lettera di Cecilia.

E’ il primo giorno di scuola e credo di essere io più emozionata dei miei scolari. Sono 19 e sono tutti lavati e con i vestiti della festa. Li conosco praticamente tutti, e ora dovrò farmi conoscere anch’io.

Una volta rotto il ghiaccio mi accorgo di essere proprio portata per questo lavoro. E’ un’emozione profonda riuscire a insegnare quello che so e vedere con quanto impegno e interesse vengo seguita. Sono proprio contenta di aver accettato l’incarico.
Ora ho meno impegno di prima, ma la mia pignoleria non mi permette di trascurare niente, così finisco per essere impegnata per tutto il giorno e per sei giorni alla settimana.
Il primo anno trascorre così in fretta che quasi non me ne accorgo.
Le famiglie che sono state imbrogliate dal signor Giuseppe sono tornate a lavorare alla filanda o nei campi, ma hanno dovuto subire uno squallido ricatto. Il signor Guglielmo, da perfido padrone, ha imposto regole molto dure. Ha finto di essere rimasto molto offeso dall’abbandono subito e avrebbe dato loro lavoro solo a paga dimezzata. Purtroppo non hanno avuto scelta. Quella povera gente ha dovuto abbassare la testa ed accettare se non voleva morire di freddo e di fame. E’ un’ingiustizia che, spero, il Signore vorrà punire. Non è giusto approfittarsi così dei bisogni della gente, ma qui, è sempre stato così.


foto dal web - diritti e proprietà riservati di Milena Ziletti

lunedì 26 novembre 2018

EMILIANA


EMILIANA

P. SETTE






Le campane suonano a morto. In mezzo a tanto fango e tanta pioggia, a tante case distrutte dalla piena del fiume si aggiunge anche questa disgrazia. Cosa dobbiamo ancora aspettarci?

Nel lento procedere dell’autunno il fiume rientra negli argini, le strade si asciugano, scende la prima neve e si continua ad andare in filanda. Tutto si ripete, il nastro trasportatore della vita ci rimanda ad ogni giorno uguale al precedente.

Tutto il paese vive come se avesse l’inverno nel cuore.
Nel mio cuore c’è inverno e primavera, Cecilia perché non mi scrivi?

Dopo le feste del Natale, ha cominciato a venire in ufficio il signorino Guglielmo. E’ strano vedere la sua andatura così goffa; cammina attaccato al bastone dal quale non si può separare, ma il suo sguardo è sempre lo stesso: freddo e cattivo. Non mi è mai piaciuto e non mi piace ora.
Il signor Alberto deve mostrargli come è il lavoro ma vedo che non gli piace. Deve perdere tempo con lui, così finisce di tornare a casa molto più tardi. Io cerco di stargli alla larga il più possibile. Mi accorgo spesso dei suoi occhietti che mi guardano e seguono i miei movimenti e la cosa mi disturba e infastidisce.

Ogni sera, nel mio letto, prima di addormentarmi, guardo nel mio cuore e mi faccio le stesse domande. Perché sono così triste? Insoddisfatta? SOLA? E’ meglio se metto da parte i cattivi pensieri o rischio di invecchiare precocemente. Ho quasi 19 anni, sono pronta per l’avventura. Appena ricevo notizie da Cecilia, mi organizzo e parto: ho bisogno di un cambiamento, voglio scendere dal nastro trasportatore di questa vita, voglio giorni diversi dai precedenti, rivoglio i miei sogni, le mie speranze. Dove sono finiti i miei desideri?

E’ un inverno ben strano questo che mi trascina in un insieme di tristezza e sfiducia. Vorrei cambiare il mondo e non ho il potere nemmeno di cambiare me stessa. Il lavoro non cambia, la vita non cambia. Ci sono poche novità e il trascorrere dei giorni si fa lieto solo nell’attesa di giornate più calde e asciutte.

Il giorno del mio diciannovesimo compleanno è passato senza che nessuno se ne accorgesse. Non importa, quando sarò lontana da questo posto mi prometto di festeggiare i miei compleanni con una bottiglia di buon vino, anche da sola, questo deve essere l’ultimo che trascorro in un modo tanto triste e grigio.

In paese è arrivata una nuova famiglia, sono dei falegnami. Dopo il disastro dell’inondazione c’è molto lavoro. Bisogna sistemare le case, le stalle e ci sono tante riparazioni da effettuare. Sono solo in tre, babbo, mamma e un figlio di circa venti anni, Martino. Un gran bel ragazzo con quei suoi occhi e capelli scuri e un sorriso da togliere il fiato. E’ già diventato l’argomento più trattato delle domeniche e, molte famiglie, lo chiamano per lavoro al solo scopo di presentare le proprie figlie.
Non nego che Martino mi piaccia, ma non ho alcuna intenzione di avvicinarlo o di conoscerlo meglio, ci sono già tante ragazze che se lo contendono ed io, oltre a non avere speranza, non sono molto interessata.

Finalmente si possono trascorrere le serate sotto il portico, L’aria è fresca e pulita e mi rigenera lo spirito. Giustina non ha più mal di schiena e tutto sembra essere migliore. Vedo un ragazzo venire verso la nostra casa e mi accorgo che si tratta di Martino. “Buonasera signorina, io cerco la signora Giustina”. Entra in casa e li sento discutere piacevolmente e mi chiedo incuriosita di cosa possano parlare. Martino ha chiesto a Giustina se gli insegna a leggere e scrivere meglio, nonché a far di conto, così, ogni sera, Martino sarà da noi per le lezioni.

Mi sento un po’ trascurata ora che le serate Giustina le passa con Martino, mi sento esclusa e spesso esco sotto il portico per non disturbare. Faccio una passeggiata con il gatto che mi segue strusciandomi le gambe e al rientro, mi siedo con un libro.
Questa sera non riesco a concentrarmi. E’ passato quasi un anno da quando Cecilia e Francesco sono partiti. Possibile che si siano dimenticati della promessa che mi hanno fatto? Perché non mi scrivono? Intanto cerco notizie sull’Australia, sull’America e anche sull’Argentina. In paese c’è chi si sta organizzando per partire alla volta dell’Argentina.  Il libro è aperto ma la mia mente è ben distante dalla lettura. Sogno la mia partenza, il viaggio e il paese sconfinato e sconosciuto che mi aspetta, la vita diversa e migliore che sono sicura c’è da quelle parti e sento montare dentro il mio cuore un desiderio e una voglia impaziente di andare incontro all’avventura. Sto risparmiando ogni singolo centesimo per non farmi trovare impreparata. Sono pronta, aspetto solo l’occasione giusta.

Oggi Giustina non si sente bene e mi ha chiesto di sostituirla con Martino.
Non sono molto contenta ma non posso negarle questo favore.
E’ la prima volta che sono così vicina a Martino: è proprio un gran bel ragazzo, penso, ma cerco di essere il più fredda e distaccata che posso.
Comincia a leggere un brano e noto che è molto migliorato. Mette per iscritto alcuni momenti della sua giornata e vedo che è molto bravo anche a scrivere. Passiamo alla matematica e ormai vedo che sa fare un po’ di tutto. A me sembra che abbia imparato. Ora potrebbe continuare da solo e glielo dico. La sua risposta mi lascia esterrefatta. “Mi piace venire qui, mi piace la signora Giustina e soprattutto mi piace lei signorina Emiliana”.
Credo di essere rimasta con la bocca aperta dallo stupore. Con tutte le ragazze che gli corrono appresso lui viene a trovare me! Cosa rispondo adesso? La mia mente sempre così pronta e sveglia non mi suggerisce nessuna risposta. Martino continua a guardarmi ed io arrossisco come una bambina. Devo riuscire a dirgli qualcosa o penserà che sono una povera scema. “Lo so che la compagnia di Giustina è sempre piacevole, o non sarei qui con lei. Io non so cosa altro dirle”. Prende un foglio e scrive qualcosa. Me lo porge, saluta e se ne va.
Ricompare Giustina e mi guarda sorniona. Io sono ancora ferma con il biglietto in mano. “Non lo leggi?” mi chiede. “Più tardi”.

Nell’intimità della mia cameretta trovo il coraggio di leggere il biglietto di Martino. “Signorina Emiliana, lei mi piace molto, ho voluto migliorarmi per poter essere all’altezza di chiederle di conoscerci meglio. Mi dia la possibilità di farlo. Con ossequi. Martino”.
E adesso cosa faccio? Ultimamente mi sono chiesta spesso come è l’intimità fra una donna e un uomo. Martino è un bel ragazzo, ha un buon lavoro, di sicuro cerca una storia seria. Posso avere la mia opportunità di conoscere un nuovo sentimento e, se anche lui, ha nel sangue il desiderio di avventura, ho trovato l’uomo giusto per me.
Mi addormento pensando all’America a Martino ed a me che impariamo un nuovo mondo e una nuova vita.


foto dal web - diritti e proprietà riservati di Milena Ziletti

domenica 25 novembre 2018

ANGELI DEL FANGO


ANGELI DEL FANGO



Li chiamano “angeli”. Eppure non hanno le ali.
Li chiamano “angeli” perché portano conforto. Arrivano senza che nessuno li “preghi”, indossano stivali e giacche a vento colorate.
Non tengono in mano rosari o breviari, ma grosse pale che usano per liberare la Terra ferita.
Li chiamano “angeli” ma grondano sudore, fatica e schiena a pezzi. Servono chi è ferito, chi è abbattuto e disperato. Portano conforto, ma non si fermano sull’uscio.
Li chiamano “angeli”, ma si arrabbiano, combattono, imprecano e affondano le mani in macerie sconosciute. Guardano in alto e sottovoce pregano per avere una tregua, anche breve, ma che aiuta come dono divino.
Li chiamano “angeli” perché non perdono tempo, non guardano in faccia nessuno: colore, religione, politica non ha senso per loro. Per loro esistono solo persone che hanno bisogno di aiuto.
Li chiamano “angeli” perché se li incontri li riconosci, porgi loro una carezza, un saluto, un semplice grazie, e dopo un fuggevole sorriso riaprono le loro immense ali e riprendono il lavoro.
Li chiamano “angeli” e loro non lo sanno nemmeno, sono Angeli del fango che pregano con il loro sudore.
Siete in tanti, siete grandi, siete Angeli Umani.

foto dal web - diritti e proprietà riservati di Milena Ziletti

sabato 24 novembre 2018

EMILIANA


EMILIANA

P. SEI





TERZO CAPITOLO

Quest’autunno ha cominciato presto a piovere e sembra non avere intenzione di smettere. L’umidità entra nelle ossa e sembra farle ingrossare con dolori sempre più forti. Giustina non sa più cosa fare per la sua schiena e rimane spesso sdraiata sul letto o sul sofà.
 Per quelle più vecchie di me che lavorano in filanda il mal di schiena sta diventando quasi impossibile da sopportare, e il lavoro ne risente. I sorveglianti hanno aumentato i controlli, e i rimproveri si sentono anche sopra il frastuono delle macchine. Ho paura che questo sia solo l’inizio di qualcosa di peggio.

Ormai piove ininterrottamente da più di tre settimane. Il fiume è al limite e le case vicine sono in pericolo. Le famiglie che vivono in prossimità del fiume sono molto spaventate. Se continua la pioggia dovranno abbandonare la loro casa e non sanno dove andare. I vecchi raccontano le ultime piene dei loro ricordi, e sembra vogliano aumentare l’ansia e l’angoscia che già tutti proviamo. Le strade sono impraticabili e si viaggia solo con i carri. I cavalli affondano nel fango con tutto lo zoccolo e le ruote devono pesare tonnellate per quelle povere bestie.
Andare al lavoro è diventata un’impresa. Bisogna alzarsi molto prima, aspettare che passi il carro che ci porta alla fabbrica.
Inutile dire che l’umore è il peggiore che si possa immaginare. Nessuno ha voglia di scherzare o di ridere e, durante la pausa, vedo facce lunghe e preoccupate. Negli uffici non è che il clima sia diverso e c’è una preoccupazione in più.
Alberto ha sentito dire che il signor Cesare si è ammalato e che da alcuni giorni non si alza dal letto. Tutti sanno che se manca lui e la fabbrica passa in mano al figlio non si sa cosa accadrà. Il signorino Guglielmo non ha mai partecipato al lavoro della filanda e non ne capisce niente. Alberto non ha ancora detto niente a nessuno, ma c’è già chi è a conoscenza del fatto. Le donne che vanno a servizio al castello hanno già parlato della malattia del signor Cesare. In questo posto è impossibile mantenere un segreto.
Fra la pioggia che non diminuisce, il fiume che continua a crescere, la paura di perdere il lavoro e le malattie che continuano ad aumentare, è il periodo peggiore che sto vivendo, che sta vivendo tutta la comunità.
Le donne invocano la protezione dei Santi e della Madonna, ma dal cielo, scende solo pioggia.
Entro in casa bagnata fradicia e Giustina ha preparato la cena. Il fuoco per fortuna è acceso e porto il piatto sul bordo del camino. Mangiamo in silenzio. Non abbiamo voglia di parlare o leggere libri. Stiamo ferme cercando di catturare tutto il caldo delle fiamme sperando che possano scaldarci e asciugarci le ossa. C’è talmente tanta umidità che anche il pavimento non si asciuga.

Perché non sono partita per l’Australia? Quante volte dovrò ancora pentirmi per non aver seguito Cecilia e Francesco? Perché ancora non mi scrivono? Li immagino in quello sconfinato paese sotto un sole cocente. La loro splendida bambina che cresce e sorride felice. Comincia a non bastarmi più la sola compagnia di Giustina. Mi piacerebbe avere qualcuno di più giovane per scambiare pensieri più intimi e, forse, magari, chissà, mi manca un uomo che mi stringa fra le braccia e mi ami. E’ la prima volta che un pensiero simile mi passa per la testa. Che cosa si prova a dormire con un uomo? Come si baciano un uomo e una donna nella loro intimità? Lo so come si fa, ma non so cosa si prova. Deve essere una sensazione molto profonda se riesce a tenere uniti matrimoni a volte così scombinati. Io non voglio un uomo solo per accasarmi, io voglio un uomo per essere amata, che meriti il mio amore, il mio affetto. Perché non posso riuscire ad accontentarmi? I troppi romanzi che ho letto devono aver influenzato la mia mente, ma ancora penso che non posso rassegnarmi: io voglio qualcosa di più.
Giustina mi guarda “perché sei così silenziosa stasera Emiliana?” Lei sembra avere una capacità particolare di leggermi dentro, oppure sa cosa vuole una giovane donna come sono io. Anche lei conosce i sentimenti e le speranze che si annidano nei giovani cuori, non ha mai fatto mistero del suo amore passato e del suo cuore spezzato.
“Sono silenziosa e pensierosa. Questo brutto tempo mi induce in brutti pensieri e sono preoccupata per la situazione del fiume”. Non le svelo tutto quello che ho nel cuore, non l’ho mai fatto con nessuno e non comincerò certamente adesso.
E’ meglio andare a dormire presto, l’alba è vicina e la stanchezza è tanta. “Buonanotte Giustina, non alzarti domani mattina, ci penso io alla colazione. Fa riposare la tua schiena.”
Nel silenzio della mia cameretta, col gatto che ronfa ai piedi del letto, non riesco ad addormentarmi. Ho dentro una strana sensazione, quasi una incertezza per quello che mi aspetta nel futuro e per quello che invece io desidero per il mio futuro. Non riesco nemmeno a dire le preghiere della notte, ho dentro un’inquietudine che mi consuma. Che cosa mi sta succedendo? Ho un lavoro invidiabile, una casa accogliente, una famiglia felice e un’amica come Giustina, non mi rompo più la schiena sui telai e sono una bella ragazza. Che cosa mi manca? Con queste domande che mi rigirano nella mente, finalmente mi addormento.

La nuova giornata non è diversa dalle altre, ma almeno non sta piovendo. Il fiume è uscito dagli argini già ieri, e le famiglie vicino alla riva si sono trasferite da parenti o amici. Devo fare in fretta. Il carro passerà fra poco e non posso tardare al lavoro.

Il signor Alberto è già chino sui conti e la sua faccia non trasmette niente di buono, ma lui è sempre così. Mi chiama per darmi gli incarichi della giornata e anch’io prendo posto alla mia scrivania. I miei colleghi sono seri e impegnati, sembra abbiano un morto in casa, qui dentro non ho mai visto nessuno con aria serena, ho quasi l’impressione che vivano il loro lavoro come un pesante obbligo e non riescono a trovare motivi per rilassarsi. Avrebbero bisogno di leggere alcuni dei miei libri e la loro mente sarebbe più aperta e portata al futuro ma, mi accorgo che nemmeno io ho più il tempo di pensare a cose belle. Lavorare con i numeri non è come lavorare sui telai, qui non mi posso distrarre, devo stare sempre concentrata e comincio a risentire anch’io della situazione pesante. Guardo fuori dalla finestra e vedo che è ricominciato a piovere.
La giornata si trascina lenta e pesante, poi un grido squarcia il rumore. Tutti usciamo a vedere cosa succede e rimaniamo di sasso. Angiolina è caduta e c’è molto sangue intorno a lei. Nessuno ha il coraggio di avvicinarsi finchè arriva suo marito. La prende fra le braccia e raccoglie il suo ultimo respiro. Antonio comincia a urlare e piangere, inveisce contro tutto e tutti e nessuno si avvicina. Negli ultimi cinque anni sono morte ben 15 lavoranti e ogni volta c’è solo rassegnazione.
Arrivano alcuni colleghi di Antonio e portano Angiolina fuori dalla fabbrica. A casa hanno quattro figli, un’altra famiglia distrutta.
Nessuno può abbandonare il proprio lavoro, ma la voglia di farlo è davvero tanta. Qualcuno cerca di brontolare e imprecare, ma gli sguardi degli altri fanno desistere da ogni velleità: bisogna lavorare. Silenziosamente ognuno torna al proprio lavoro, una tacita preghiera per Angiolina ma di più non si può fare.
Arriva il signor Cesare. Si vede che è stato malato. Ha un brutto aspetto ma non gli manca certo la spregiudicatezza. Poche parole di rammarico, che non sono per niente sincere e poi, tutto come prima.

foto dal web - diritti e proprietà riservati di Milena Ziletti

venerdì 23 novembre 2018

PROFEZIE DI FABIUS AUREO




E verrà il giorno che tutti i bambini MAI NATI verranno come petali dir osa a profumare il Mondo Nuovo.

Fabius Aureo.

(immagine dal web)

EMILIANA


EMILIANA

P. CINQUE





La notizia del mio nuovo lavoro diventa l’argomento della domenica. Rosa è molto felice per me e lo dimostra con un gran sorriso e pacche sulle spalle. Serafina, invece, sembra scettica, e scopro le altre che parlano a bassa voce fra loro. Per la prima volta nella mia vita scopro cos’è l’invidia.
Posso immaginare cosa stanno spettegolando e le lascio alle loro stupide chiacchiere. Torno a casa pensando che la vita non regala niente, se ho ricevuto questa proposta è perché tante volte, invece di andare a fare la smorfiosa come loro, io imparavo a leggere e la matematica. Mi hanno preso in giro spesso per questa mia passione, ed ora, sono invidiose perché io ho avuto un lavoro diverso dal loro. Ho l’impressione che verrò emarginata ancora di più.

Con Giustina ho sistemato alcune gonne, ho raccolto i miei lunghi capelli sulla testa e, per la prima volta, guardandomi allo specchio, noto che ho un bel corpicino, un viso piacevole, insomma non sono niente male. Lo so che sono pensieri peccaminosi, che bisogna essere umili, ma è questo che lo specchio mi rimanda: sono una bella ragazza.

E’ lunedì mattina e sono molto emozionata. Arrivo in anticipo al lavoro. Sono talmente abituata ad alzarmi presto che non ho resistito.
Aspetto il signor Alberto. Con la sua aria sempre corrucciata e severa, sembra portare sulle sue spalle tutto il lavoro della filanda.
Per cominciare dovrò tenere i conti del magazzino poi si vedrà. Non sono abituata a stare seduta così a lungo, ma devo impegnarmi. Il lavoro non è difficile ma, a fine giornata, tutto deve quadrare, o non si torna a casa.

 Comincia così il mio nuovo incarico e mi trovo a mio agio con i numeri.
Ora gli orari non combaciano più con quelli delle mie compagne e qui sono tutti maschi. Mi sento un po’ a disagio. Sono tutti molto educati e seri, lo sanno che possono essere licenziati in tronco se commettono sciocchezze, perciò, anche se sono circondata da uomini in un mondo assolutamente maschilista vengo trattata bene.

Sono passate tre settimane e mi sembra di svolgere bene il mio lavoro. Adesso il signor Alberto mi dà incarichi più importanti; ha visto anche lui con quanta facilità tratto con i numeri e comincia a lasciarmi un po’ più di
spazio. Se dipendesse da me cambierei qualcosa, ma non ci penso a farmi avanti, è troppo presto e non voglio pestare i piedi a nessuno.

Sto aspettando di parlare con il signor Cesare. So che ho svolto bene e con impegno il mio lavoro e aspetto di sentire cosa ne pensano loro.
Entra accompagnato dal capo contabile e da suo figlio Guglielmo. Saluto educatamente e aspetto. Il signor Cesare è sempre stato di poche parole e anche stavolta non si smentisce. “Bene, signorina Emiliana, Alberto mi ha ragguagliato sul suo lavoro e lo ha trovato discreto. Se per lei va bene il contratto è il seguente: giornata piena e non si va a casa fino a che i conti non tornano, e la paga è il 60% di quella maschile.” “Non posso accettare una paga così misera, il mio lavoro è uguale a quello degli altri, posso accettare un 80% o dovrò fare la fame.” Ho azzardato molto, ma mi fa arrabbiare questa differenza di trattamento. Male che vada torno in fabbrica e amici come prima. Il signor Cesare sembra pensare alla mia richiesta e mostra un viso sofferente, come se gli costasse la vita pagarmi un po’ di più e alla fine sbotta:” va bene signorina Emiliana, ma per i primi sei mesi dovrà sostituire anche chi si ammalerà o si assenterà.” Il tutto viene sancito con una stretta di mano. Ora non sono più un’operaia ma una impiegata negli uffici della grande filanda. Non è che cambi molto, l’impegno è sempre duro, ma per la fatica fisica non c’è paragone.
Tornando a casa mi fermo dal fornaio e compro un dolce, stasera si festeggia.

Cerco un po’ di frescura sotto il portico e vedo arrivare Cecilia e Francesco con Sara, la loro bambina appena nata. Sono raggianti. Mi dicono che devono parlarmi. E’ Cecilia che non sta più nella pelle. “Emiliana, abbiamo una grossa novità. Fra poche settimane partiamo. Andiamo in Australia a lavorare. Il cugino di Francesco ha già organizzato tutto: lavoro, casa e viaggio. Perché non vieni con noi?”
Oddio! Il cuore mi si è fermato. L’Australia, penso, terra sconfinata con mare cristallino, canguri, indigeni ancora quasi primitivi, terra di assassini e delinquenti esportati da tutto il mondo nelle colonie penali, ma terra di indiscusso valore. Lì davvero, una famiglia può sperare di migliorare per sé e per i suoi cari, c’è ancora molto da fare e da scoprire, ed è così lontana.
Cecilia mi guarda e aspetta la mia risposta. Vorrei partire subito, ma non ho molto denaro, ho appena iniziato un nuovo lavoro, sono sola, senza marito (e questo è un problema). Il mio cuore direbbe subito di sì, ma la mente mi dice di andarci cauta. “E’ una splendida notizia. Vedrai che andrà tutto bene e Sara crescerà in mondo nuovo, diverso e sicuramente migliore. Ma come faccio a venire con voi? Facciamo in questo modo: voi partite e quando vi siete ambientati e conoscerete meglio il Paese, mi scriverete e vi raggiungerò. Nel frattempo avrò messo da parte un po’ di soldi per il viaggio e per tutto quello che serve. Non posso partire così all’avventura senza sapere a cosa vado incontro. Ma se voi sarete già ambientati e mi aiuterete, per me sarà più facile.”
Cecilia è un po’ delusa. Aveva sperato di non patire solo loro tre, è un tuffo nell’incertezza e l’unione fa la forza, ci aveva proprio sperato.
“Va bene. Ti prometto che appena arrivati ti scrivo così potrai prepararti con cura, come piace a te. Mi mancherete tutti, ma qui c’è poco lavoro e poca speranza. Partiamo portando nel nostro cuore la certezza di andare incontro ad un mondo migliore.” Un abbraccio, un bacio alla piccina e se ne tornano ai loro preparativi.

Cecilia se ne va. Volevo essere io la prima ad andarmene, ma l’occasione l’ha avuta lei. Provo un po’ di invidia, ma so che per me è solo questione di tempo, poi anch’io me ne andrò. Io preferisco l’America. Ho letto molto su questa terra e sembra benedetta da Dio. Molti nostri compatrioti sono già partiti e molti altri sperano di raggiungerli, e io sono fra questi.

Giustina mi guarda pensierosa ma non parla. Sa che sto meditando nel mio cuore l’amarezza per questa rinuncia. So anche che lei è felice che rimanga ancora qui.

Mentre l’estate sembra ardere ogni cosa con il suo grande calore, il mio lavoro procede bene e mi vengono dati altri compiti.
Ora, il signor Alberto si fida maggiormente di me, e mi dà incarichi importanti. Devo preparare le paghe dei lavoratori e controllare le spese. Mi accorgo che l’impegno non è indifferente e c’è chi mugugna per lavori così importanti non affidati a loro che hanno più diritti di me: femmina e pure ultima arrivata. Scopro che l’invidia non è solo femminile.

La mia vita sociale è pari a zero. Le mie compagne mi snobbano e mi vedono diversa da prima. I ragazzi si sentono intimoriti dai miei modi freddi e distaccati e mi ritrovo sempre in compagnia di Giustina o dei miei libri. Ho quasi 19 anni e non ho ancora avuto un corteggiatore.

Serafina, Anna, Elena e Giannina si sono sposate. Sono rimaste Rosa e Maria senza un uomo, come me. Ormai veniamo considerate delle zitelle, 19 anni, nessun uomo al fianco e siamo già emarginate.
A me non importa molto, sto aspettando la lettera da Cecilia e Francesco. Presto arriverà e, se tutto va bene, entro il prossimo anno li raggiungo, non vedo l’ora.
L’autunno è alle porte e ci sono grosse novità.

foto dal web - diritti e proprietà riservati di Milena Ziletti

giovedì 22 novembre 2018

EMILIANA


EMILIANA

P. QUATTRO




L’inverno è alle porte e presto un altro anno finirà. La prossima primavera compirò 18 anni, l’età giusta per fare qualsiasi cosa: sposarsi, fare figli, oppure continuare la solita vita. Per il momento scelgo la solita vita, non sono ancora pronta per maritarmi: ho ancora molto tempo a disposizione per decidere cosa voglio fare della mia vita. Intanto continuo a sognare.

Da alcune settimane vivo con la signora Giustina ed è un vero piacere.
 La cerimonia del matrimonio di mia madre è stata molto commovente ed allegra. I miei fratelli sembravano veri ometti al fianco degli sposi e le due bambine erano molto carine nei loro vestitini nuovi.
Mi trovo bene in questa casa e in compagnia di Giustina (mi ha chiesto di chiamarla solo con il suo nome). Passiamo serate piacevoli: dopo il lavoro, quando abbiamo finito di sistemare i piatti della cena, ci sediamo di fronte al fuoco con i piedi appoggiati al camino e una coperta sulle gambe. Leggiamo libri, ci scambiamo impressioni e, mi piace molto, quando lei mi parla della sua giovinezza e della sua vita. Ha imparato a leggere e scrivere frequentando le suore ed ha conosciuto il suo adorato marito Giacomo quando era molto giovane. Ripete spesso che ai suoi tempi non ci si poteva conoscere bene come succede a noi oggi e, a 16 anni, si sono sposati. Hanno vissuto insieme per poco tempo perché lui è partito in cerca di lavoro e non è più tornato. Giustina dice che la nave sulla quale viaggiava è affondata e lei, non si è più ripresa dal dolore. Si è rimboccata le maniche ed è andata a servizio. La casa dove abita è un regalo della signora che ha accudito e, il pezzo di terra che ha ereditato le consente di vivere senza troppi problemi. Ha aiutato molti giovani ad istruirsi, ma pochi hanno messo a frutto i suoi insegnamenti, e spera che almeno io possa far fruttare quello che ho imparato. Sono pochissime le ragazze delle mia età che sanno leggere e far di conto come me.
Questa sera mi si chiudono gli occhi. Prendo la mia borsa dell’acqua calda e mi infilo di corsa nel letto. Mentre chiudo gli occhi sono già addormentata.

Così passa l’inverno, in questa armonia di serenità e dolcezza che quasi mi fa sentire una privilegiata. Da quando vivo con Giustina mi sembra che mi costi meno fatica anche il lavoro alla filanda.

Oggi, 29 marzo compio 18 anni. E’ un giorno come gli altri: solito lavoro, solita routine, ma per me è un giorno speciale. Stasera vado con Giustina a trovare mia madre e festeggeremo tutti insieme. Ha formato una bella famiglia con il signor Carlo e sono tutti molto felici. I miei fratelli, con il duro lavoro di fabbro, hanno sviluppato una muscolatura invidiabile e sprizzano salute da tutti i pori. Le gemelle amano sinceramente mia madre che, per la prima volta nella sua vita, ha del tempo da dedicare alla famiglia e lo fa con sincero affetto.

C’è aria di festa in casa di mia madre, ha preparato torta e candeline. Non ricordo sia mai successo in tutta la mia vita di festeggiare un compleanno così. I miei fratelli mi hanno fatto perfino un regalo: un sole con tanti raggi tutto fatto di ferro e mi hanno dimostrato come sono diventati bravi nel loro lavoro. Le gemelle mi hanno confezionato un mazzo di fiori secchi con un bellissimo nastro e mia madre mi ha sorpresa più di tutti, mi ha regalato una raccolta di vecchi libri, li ha ricoperti con carta decorata e me li ha donati come si fa con un grande tesoro. Mi sento commossa e non riesco a trattenere le lacrime: sono le prime lacrime della mia vita e sono di felicità. Lo prendo come un buon auspicio. Il signor Carlo fuma la sua pipa e sorride soddisfatto, mi stringe la mano e mi dice “ricorda, questa è sempre anche casa tua”. In questo preciso momento mi sento la ragazza più felice e fortunata della terra, e la serata passa in allegria.
Tornando a casa, Giustina è più silenziosa del solito. Era da tanto
tempo anche per lei che non si verificava una serata così piacevole in compagnia; era abituata a vivere da sola, ed ora, è come se avesse acquisito un’altra famiglia. Vado a letto felice e con una nuova emozione nel cuore.

L’estate è alle porte. Lavorare in filanda con il caldo è molto difficile. La polvere, l’afa, il sudore troncano le gambe e le forze anche a noi più giovani. E’ il periodo peggiore per lavorare in questi capannoni, ma non abbiamo alternative. Chi può va a servizio o lavora nei campi, ma la maggior parte delle donne lavora qui dentro, fuori di qui, per noi, c’è poco o niente da fare, e le famiglie sono molto numerose e c’è sempre bisogno di tutto.

Sto lavorando con il sudore che mi cola per la schiena e sono quasi a fine turno quando mi chiama il sorvegliante. “Quando hai finito il turno ti aspetta il contabile in ufficio.” Non so cosa pensare. Cosa vogliono da me in ufficio? Il mio dovere l’ho sempre fatto, non sono mai mancata. Sono preoccupata e cerco di analizzare cosa posso avere sbagliato, ho il timore di essere licenziata. Questa ultima ora passa talmente lenta che mi sembra di impazzire. Mi lavo le mani, raddrizzo la schiena e vado in ufficio.

C’è il signor Cesare e il capo contabile che stanno parlando e quando entro mi guardano entrambi con interesse. “Voleva vedermi signor Alberto?” chiedo al capo contabile. Saluto educatamente il signor Cesare e aspetto di sentire cosa vogliono da me.
E’ il signor Cesare che mi parla per primo. “Signorina Emiliana, lei sa leggere, scrivere e anche far di conto?” “Certamente.” Rispondo.
“Noi abbiamo bisogno di un’apprendista per il capo contabile e vorrei sapere se lei è interessata. Tengo a precisarle che dovrà fare un mese di prova senza stipendio, e, se alla fine Alberto dirà che lei è adatta, sarà pagata un po’ meno degli uomini, ma per questo ci metteremo d’accordo”.
Questa proprio non me l’aspettavo. Sono decisamente sorpresa e indecisa. Faccio due rapidi calcoli sui miei risparmi e colgo al volo l’occasione. Non ci sono donne negli uffici contabili e per me è una sfida che non mi lascio sfuggire. Silenziosamente ringrazio Giustina per quello che mi ha insegnato e che adesso potrò mettere a frutto.
“Va bene signor Cesare, mi dica solo quando devo iniziare.” Mostro molta sicurezza ma le gambe mi tremano un po’. “Si metta d’accordo con Alberto, adesso passa nelle sue mani. Noi ci rivedremo fra un mese per decidere il suo contratto di lavoro”.
Esco frastornata da questo incontro. Lunedì inizierò a lavorare negli uffici e ancora non riesco a crederci. Corro a casa per raccontare tutto a Giustina e lei mi accoglie con un sorriso. Ora capisco, questo è il suo regalo di compleanno, è stata lei l’artefice di tutto questo. L’abbraccio e la trascino in un vortice di danza e corro da mia madre per comunicare anche a loro la novità.


foto dal web - diritti e proprietà riservati di Milena Ziletti

mercoledì 21 novembre 2018

EMILIANA


EMILIANA

P. TRE




Anche oggi Clara non c’è. Comincio a preoccuparmi. Stasera vado a casa sua a vedere come sta.
La sua casa è molto piccola. Dopo aver bussato entro. In quella piccola stanza ci sono cinque o sei bambini e una donna curva su un pentolone di verdure. “E’ lei la mamma di Clara?” I suoi occhi si spalancano improvvisamente e mi chiede “Lei sa dove è andata, sa dove si trova la mia Clara?” Ma come, chiede a me dov’è sua figlia? “Proprio perché non la vedo da due giorni sono venuta a vedere se sta bene” le rispondo. Quella donna comincia a piangere e mi racconta che Clara manca da casa ormai da tre giorni e nessuno sa dove sia. Il padre non vuole andare a cercarla perché pensa di punirla lasciandola dove si trova e, che, prima o poi tornerà a casa più docile di prima. Mi racconta anche che ha lottato a lungo e si è presa un sacco di botte pur di non tornare al lavoro in fabbrica, ma suo padre non ha mai ceduto, così, lei è sparita.
Si avvicina e vede il ciondolo, lo accarezza e scoppia a piangere più forte. “Questo è di Clara, non si separa mai dal suo ciondolo, è il suo unico tesoro, l’unico oggetto che è veramente solo suo e mi stupisco che glielo abbia donato, ho paura che le sia successo qualcosa, mio marito deve decidersi e andare a cercarla, sento che le è successo qualcosa di brutto, la prego signorina, cerchi anche lei la mia Clara, me la riporti a casa.”
Esco da quella casa molto spaventata. “Clara, dove sei finita?” penso, e un brutto presentimento comincia a farsi strada nel mio cuore.
Corro a casa di Serafina e chiedo ai suoi fratelli di aiutarmi nella ricerca di Clara. Domani è domenica e ci passiamo parola per essere in tanti a cercarla.
La cerchiamo in ogni posto e mi sovviene che le ho parlato del mio posto preferito vicino al fiume e corro a vedere se è là, ma non c’è. Poi un grido e corro verso quella voce. In fondo alla scarpata, immerso in mezzo metro di acqua limpida c’è il corpicino di Clara. Indossa ancora il grembiule da lavoro e la bisaccia del pranzo. Vedo che è a piedi nudi ed i suoi bei capelli sembrano ruotare come i tentacoli di una piovra portati dal movimento dell’acqua. Lorenzo la solleva e me la mostra. Quei tre giorni trascorsi nell’acqua hanno lasciato il segno, il suo viso è quasi irriconoscibile, è tutta gonfia ma sembra avere un sorriso. So che è solo una mia impressione ma voglio credere che stia sorridendo finalmente libera.
La riportiamo a casa sua. Ora suo padre non può più farle niente e lei si è presa la sua rivincita: alla fine non torna più in fabbrica.

Per molto tempo la disgrazia del suicidio di Clara fa parlare la gente del paese. Nel mio cuore serbo il ricordo di quell’abbraccio che lei ha tanto gradito e spero che là dove si trova sia più felice. Non è giusto morire a nove anni e soprattutto non è giusto morire così: da sola e con tanta rabbia nel cuore. Don Claudio non ha voluto celebrare neanche il funerale in chiesa, quasi fosse una delinquente. Sono talmente arrabbiata con lui che ho deciso di non andare più alla messa fino a quando non si deciderà a benedire la tomba di Clara. E anche questo mio comportamento, per un po’, diventa motivo di pettegolezzo e di scandalo.



SECONDO CAPITOLO

Sono passati due anni dalla morte di Clara e sono successe altre cose.
E’ morto mio padre da alcuni mesi. Una sera, tornando a casa è caduto ubriaco fradicio, some suo solito, e non ha avuto la forza di rialzarsi. Il freddo intenso della notte e la sua salute già compromessa, hanno fatto il resto. Non aveva ancora compiuto 40 anni e viveva come un vecchio. Mi dispiace non abbia potuto veder crescere i suoi figli, ma un po’ se l’è cercata. Mia madre ha pianto molto ma, noi figli, non ci siamo sciolti in lacrime. Adesso, con la mia paga e i lavori di mia madre abbiamo più cibo a disposizione e, con la pancia piena, si dorme e si vive meglio.

Cecilia, la più bella della compagnia è rimasta incinta e si sposa fra poche settimane con il suo Francesco. Loro sono molto felici, e si vede. L’amore è un sentimento molto strano, sa rendere belle anche le cose ordinarie. La casupola dove andranno ad abitare per loro è una reggia, ma altro non è che la solita casa spoglia. Auguro loro di riempirla sempre con il loro amore e con tanti bambini belli come la loro mamma, e che almeno per loro, il futuro sia la conferma del presente così solare.

Io non ho mai smesso di sognare, ed ogni domenica, vado sulla tomba di Clara. Quando c’è bel tempo mi fermo a leggere un libro con lei. Le porto fiori e sassolini colorati. Nessuno, nemmeno i suoi genitori vengono spesso sulla sua tomba. Si vergognano di avere avuto una figlia che si è tolta la vita, mentre si dovrebbero vergognare per come l’hanno trattata.
In fabbrica poco o niente è cambiato. Siamo tutti un poco più vecchi e più stanchi e il nastro trasportatore della vita continua a portarci nei giorni sempre uguali ai precedenti.

Ho scoperto, con molta sorpresa, che mia madre ha un corteggiatore. E’ il fabbro del paese, Carlo. E’ vedovo e padre di due femmine, Alice e Margherita sorelle gemelle di 10 anni. Molto spesso queste situazioni si sistemano per comodità di entrambi i vedovi: lui ha bisogno di una donna in casa e di mano d’opera in bottega, mia madre ha bisogno di smettere di lavorare per gli altri e godersi un po’ di calma. Credo che andranno molto d’accordo. Carlo ha una bella casa, le sue figlie sono molto educate e carine e i miei fratelli hanno bisogno di una figura maschile. Si faranno le ossa lavorando in bottega e imparando un mestiere senza andare “sotto padrone”. Sono contenta per mia madre, ma io non voglio andare con loro, mi sentirei una estranea. Quando Carlo farà la sua proposta a mia madre io chiederò alla signora Giustina se posso stare con lei e sono sicura che ne sarà contenta. Ormai è piuttosto vecchia e sola ed io potrò avere un po’ di tranquillità.
Ho anch’io alcuni corteggiatori, ma non mi va di impegnarmi. Io voglio andarmene da questo posto e non voglio crearmi radici, desidero sentirmi libera e poter decidere in qualsiasi momento quello che voglio fare della mia vita senza dover chiedere il permesso a nessuno. Il matrimonio è come una prigione, una volta che si è entrati non è più possibile uscirne, e questo non mi sta bene.

La prossima settimana verrà celebrato il matrimonio fra mia madre e il signor Carlo. Hanno sistemato già tutto e sono molto contenti. Non ho mai visto mia madre così bella e sono davvero felice per lei. Dovrò andare in chiesa, per lei lo faccio volentieri e, sono felice anche per me che vado a stare dalla signora Giustina. Sarà un nuovo inizio per tutti noi.

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