martedì 20 novembre 2018

EMILIANA


EMILIANA

P. DUE




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Oggi è sabato, domani finalmente c’è il giorno di riposo. Appena arrivo a casa mi faccio un bel bagno e mi lavo i capelli. Ho una chioma di capelli castani molto belli e sono sempre sacrificati sotto il fazzoletto, ma alla domenica li libero, così come mi sento più libera io. Ho consegnato la paga settimanale a mia madre e me ne sono tenuta una piccolissima parte. Questo è il nostro accordo, questi pochi soldi mi servono per tenere vivo il mio sogno di andarmene da questo posto.

La mattina di questa domenica è all’insegna del bel tempo. Fa ancora fresco ma il sole è così limpido che mi invoglia ad alzarmi in fretta. Una semplice colazione e poi il vestito della festa. E’ un sogno poter indossare qualcosa di diverso dal solito grembiule grigio, mi fa sentire più bella. Alla Messa si va a piedi: è come una passerella. Molti ragazzi seduti fuori dalle osterie guardano noi ragazze e fanno commenti a volte sussurrati ma molto spesso per farsi sentire da noi. Come sempre c’è anche il signorino Guglielmo, l’unico figlio del padrone della filanda e di quasi tutto il paese. Ormai è un uomo. Ha 25 anni, baffetti ben curati e sempre ben vestito ma è anche zoppo. Dicono abbia avuto una malattia, mi sembra la poliomielite, che l’ha reso storpio a vita. Non ha ancora preso moglie ed è l’uomo più ambito di tutto il circondario. Molte ragazze fanno di tutto per farsi notare da lui e sarebbero disposte a tutto pur di farsi maritare, ma lui non sembra avere ancora deciso. Dicono che suo padre, il signor Cesare, stia perdendo la pazienza, e voglia a tutti i costi il suo matrimonio. Tutto questo a me non interessa, non mi piace il signorino Guglielmo, ha due occhietti freddi e un sorriso di ghiaccio e girano voci strane sul suo conto. Sembra che gli piaccia torturare piccoli animali e che si apparti spesso con dei ragazzini. Io non ho mai visto niente di tutto questo e penso siano solo dicerie, ma lui non mi piace proprio.
La Messa è lunga più del solito. Don Claudio fa di tutto per tenere viva e unita questa comunità e, spesso, esagera nei sermoni.
Finalmente sono libera di godermi la mia giornata di festa.
Ci ritroviamo, le mie compagne ed io, a passeggiare e a metterci in mostra. Ognuna di noi indossa l’abito della domenica e ci sentiamo belle, giovani, e anche un po’ civette. Le nostre madri ci hanno insegnato ad essere umili e caste, ma non le ascoltiamo molto. Naturalmente il pettegolezzo lo fa padrone e ci raccontiamo le ultime novità. Anche se ci vediamo tutti i giorni in filanda è solo alla domenica mattina che possiamo veramente raccontaci le nostre cose. Vengo a conoscenza delle ultime gravidanze, degli ultimi litigi da innamorati, e poi, come ogni domenica, si parla del signorino Guglielmo. Serafina racconta che suo fratello le ha riferito di averlo visto scuoiare un gatto vivo, ma tutte noi conosciamo Serafina e nessuna le crede fino in fondo. Crediamo di più ad Elena quando racconta che il suo fratellino Giorgio di 10 anni è stato inseguito dal signorino mentre galoppava sul suo bel cavallo. Mi stanco presto di questi pettegolezzi e le saluto tutte quante tornando a casa mia.
Pranziamo tutti insieme. Un pasto scarso e insipido che riempie di poco la pancia, ma non vedo l’ora di terminarlo per potermene andare nel mio posto preferito.

Sono una privilegiata: so leggere, scrivere e far di conto. La signora Giustina, vicina di casa, me l’ha insegnato ed io ho imparato in poco tempo. Mio padre brontola sempre quando mi vede con un libro in mano, così, lo vado a leggere di nascosto nel mio posto preferito: un’ansa incantevole che il fiume sembra aver fatto apposta per me.
Leggo i libri che la signora Giustina mi presta dalla sua piccola raccolta e sono sempre improntati su racconti romantici, storie di belle ragazze, ma mi piacciono soprattutto quelli di geografia perché mi proiettano in mondi sconosciuti ma che desidero tanto conoscere davvero. E’ una miscela esplosiva e molto pericolosa questo mix di romanticismo e mete sconosciute da raggiungere, ma tengono viva in me la fiamma della speranza,  speranza che davvero la mia vita possa cambiare e non finire qui dove è così miseramente cominciata e dove è incanalata in una routine veramente desolante.
Sono talmente immersa nella lettura che non sento più nemmeno il rumore dell’acqua che scorre o il canto degli uccelli. Con questo libro sono trasportata in Africa, nel caldo torrido e con tanti animali feroci. Anche le illustrazioni sono molto belle e sento nascere nel cuore un sentimento di avventura che so non si avvererà mai. Potrei andare in Africa come missionaria… e la mia mente costruisce castelli di sabbia e sogni che si infrangono quando sento la voce dei miei fratellini che mi chiamano per tornare a casa. E’ come se mi svegliassi di colpo da un bellissimo sogno e, mestamente, raccolgo le mie cose e mi incammino con loro.
E’ rientrato il babbo e credo che della mia paga settimanale, così faticosamente guadagnata sia rimasto ben poco. Spero che mia madre ne abbia serbato una parte nascosta o sarà un’altra settimana molto magra.
Si cena presto e presto si va a dormire, la domenica è già finita e domani si ricomincia il duro lavoro.

Come ogni lunedì mattina siamo tutte più assonnate del solito. L’alba non è ancora spuntata del tutto e facciamo quasi fatica a riconoscerci.
Vedo arrivare Clara accompagnata da un uomo che penso sia suo padre. La tiene stretta per un polso e la strattona fino all’entrata della fabbrica. Lei non vuole entrare e si prende due schiaffi in pieno volto; volto che mi accorgo dopo poco è già segnato da altri lividi. Mi si stringe il cuore vedendo quella piccola figura lottare contro una montagna e mi avvicino cercando di risparmiarle altri schiaffi. “Vieni con me Clara, entriamo insieme, dammi la mano”. Prendo quella manina così fredda e minuta e, insieme, ci avviamo al nostro posto da lavoro. Clara non parla e fa del suo meglio per svolgere il suo lavoro, ma quanta fatica le deve costare. Il suo sguardo è fisso e le labbra strette come se trattenesse una montagna di odio verso il mondo intero.
Anche stavolta non ha portato niente da mangiare, suo padre, per punizione, l’ha mandata al lavoro senza pranzo, così, divido di nuovo il mio pranzo con lei. Non è umanamente possibile reggere tutto questo lavoro senza mangiare, ma che razza di genitori ha Clara?
Nella breve pausa cerco di farle qualche domanda. “Cosa è successo Clara?” La sua risposta si fa attendere ma poi mi parla:” ho detto al babbo che non voglio lavorare in questa fabbrica, che questo rumore e questo posto chiuso mi fa stare molto male, ma lui mi ha detto che non ho altra scelta, che stavolta me la sono cavata solo con qualche schiaffo e senza pranzo, ma se faccio altre storie, la sua punizione sarà molto più dura. Io non resisto qui dentro, preferisco morire!” Mi ritrovo senza parole, la pausa è quasi terminata e riesco solo a rassicurarla. “Tieni duro Clara, è così solo ai primi tempi, poi vedrai che ti abitui.” Senza aggiungere altro rientriamo ai nostri compiti.
Per alcune settimane non cambia niente, sembra di stare su quel nastro trasportatore che porta avanti la vita ogni giorno uguale all’altro.
Mi accorgo che Clara diventa sempre più magra e grigia. Non parla quasi mai e oggi mi ha stupita, mi ha portato un regalo. Un piccolo sasso bianco a forma di mezzaluna con un forellino e un cordoncino verde per portarlo al collo. “Questo è per te. Un piccolo regalo perché sei sempre gentile e mi aiuti con il lavoro. Lo so che tu fai anche parte del mio lavoro, io non riesco a fare tutto. Spero che ti piaccia e che lo porterai pensando a me.” Il suo piccolo gesto mi ha colta di sorpresa e mi ha commossa. Guardo quel viso così magro e serio e in un impeto improvviso l’abbraccio. La stringo leggermente sul mio seno e la sento così piccina e tutt’ossa, sotto quel grembiule così fuori taglia non mi ero accorta di quanto fosse piccola.
“Grazie Emiliana, nemmeno la mia mamma mi ha mai abbracciata così e non sapevo che un abbraccio potesse dare così tanto calore”.
Purtroppo è così, i gesti affettuosi non fanno parte della nostra cultura.
A fine turno usciamo tutte insieme. Clara guarda il suo ciondolo che spicca al mio collo, mi sorride, si gira, toglie quel brutto fazzoletto dai capelli e li scuote e se ne torna a casa. Piccola figura solitaria su gambe così magre e stanche che sembra barcollare e cadere a ogni passo. La guardo allontanarsi sempre così sola e così triste. Ed è l’ultima immagine che ho di lei.
Questa mattina Clara non si è presentata al lavoro, cosa le sarà successo? So bene che suo padre l’avrebbe accompagnata anche a suon di schiaffi e non riesco a immaginare cosa possa essere successo.
Il lavoro mi impegna e spero che domani Clara rientri o non riuscirò a mantenerle a lungo il posto di lavoro lavorando anche per lei.

foto dal web - diritti e proprietà riservati di Milena Ziletti

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