EMILIANA
P. DUE
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Oggi è sabato, domani finalmente
c’è il giorno di riposo. Appena arrivo a casa mi faccio un bel bagno e mi lavo
i capelli. Ho una chioma di capelli castani molto belli e sono sempre
sacrificati sotto il fazzoletto, ma alla domenica li libero, così come mi sento
più libera io. Ho consegnato la paga settimanale a mia madre e me ne sono
tenuta una piccolissima parte. Questo è il nostro accordo, questi pochi soldi
mi servono per tenere vivo il mio sogno di andarmene da questo posto.
La mattina di questa domenica
è all’insegna del bel tempo. Fa ancora fresco ma il sole è così limpido che mi
invoglia ad alzarmi in fretta. Una semplice colazione e poi il vestito della
festa. E’ un sogno poter indossare qualcosa di diverso dal solito grembiule
grigio, mi fa sentire più bella. Alla Messa si va a piedi: è come una
passerella. Molti ragazzi seduti fuori dalle osterie guardano noi ragazze e
fanno commenti a volte sussurrati ma molto spesso per farsi sentire da noi.
Come sempre c’è anche il signorino Guglielmo, l’unico figlio del padrone della
filanda e di quasi tutto il paese. Ormai è un uomo. Ha 25 anni, baffetti ben
curati e sempre ben vestito ma è anche zoppo. Dicono abbia avuto una malattia,
mi sembra la poliomielite, che l’ha reso storpio a vita. Non ha ancora preso
moglie ed è l’uomo più ambito di tutto il circondario. Molte ragazze fanno di
tutto per farsi notare da lui e sarebbero disposte a tutto pur di farsi
maritare, ma lui non sembra avere ancora deciso. Dicono che suo padre, il signor
Cesare, stia perdendo la pazienza, e voglia a tutti i costi il suo matrimonio.
Tutto questo a me non interessa, non mi piace il signorino Guglielmo, ha due
occhietti freddi e un sorriso di ghiaccio e girano voci strane sul suo conto.
Sembra che gli piaccia torturare piccoli animali e che si apparti spesso con
dei ragazzini. Io non ho mai visto niente di tutto questo e penso siano solo
dicerie, ma lui non mi piace proprio.
La Messa è lunga più del
solito. Don Claudio fa di tutto per tenere viva e unita questa comunità e, spesso,
esagera nei sermoni.
Finalmente sono libera di
godermi la mia giornata di festa.
Ci ritroviamo, le mie
compagne ed io, a passeggiare e a metterci in mostra. Ognuna di noi indossa
l’abito della domenica e ci sentiamo belle, giovani, e anche un po’ civette. Le
nostre madri ci hanno insegnato ad essere umili e caste, ma non le ascoltiamo
molto. Naturalmente il pettegolezzo lo fa padrone e ci raccontiamo le ultime
novità. Anche se ci vediamo tutti i giorni in filanda è solo alla domenica
mattina che possiamo veramente raccontaci le nostre cose. Vengo a conoscenza
delle ultime gravidanze, degli ultimi litigi da innamorati, e poi, come ogni
domenica, si parla del signorino Guglielmo. Serafina racconta che suo fratello
le ha riferito di averlo visto scuoiare un gatto vivo, ma tutte noi conosciamo
Serafina e nessuna le crede fino in fondo. Crediamo di più ad Elena quando
racconta che il suo fratellino Giorgio di 10 anni è stato inseguito dal
signorino mentre galoppava sul suo bel cavallo. Mi stanco presto di questi
pettegolezzi e le saluto tutte quante tornando a casa mia.
Pranziamo tutti insieme. Un
pasto scarso e insipido che riempie di poco la pancia, ma non vedo l’ora di
terminarlo per potermene andare nel mio posto preferito.
Sono una privilegiata: so
leggere, scrivere e far di conto. La signora Giustina, vicina di casa, me l’ha
insegnato ed io ho imparato in poco tempo. Mio padre brontola sempre quando mi
vede con un libro in mano, così, lo vado a leggere di nascosto nel mio posto
preferito: un’ansa incantevole che il fiume sembra aver fatto apposta per me.
Leggo i libri che la signora
Giustina mi presta dalla sua piccola raccolta e sono sempre improntati su
racconti romantici, storie di belle ragazze, ma mi piacciono soprattutto quelli
di geografia perché mi proiettano in mondi sconosciuti ma che desidero tanto
conoscere davvero. E’ una miscela esplosiva e molto pericolosa questo mix di
romanticismo e mete sconosciute da raggiungere, ma tengono viva in me la fiamma
della speranza, speranza che davvero la
mia vita possa cambiare e non finire qui dove è così miseramente cominciata e
dove è incanalata in una routine veramente desolante.
Sono talmente immersa nella
lettura che non sento più nemmeno il rumore dell’acqua che scorre o il canto
degli uccelli. Con questo libro sono trasportata in Africa, nel caldo torrido e
con tanti animali feroci. Anche le illustrazioni sono molto belle e sento
nascere nel cuore un sentimento di avventura che so non si avvererà mai. Potrei
andare in Africa come missionaria… e la mia mente costruisce castelli di sabbia
e sogni che si infrangono quando sento la voce dei miei fratellini che mi
chiamano per tornare a casa. E’ come se mi svegliassi di colpo da un bellissimo
sogno e, mestamente, raccolgo le mie cose e mi incammino con loro.
E’ rientrato il babbo e credo
che della mia paga settimanale, così faticosamente guadagnata sia rimasto ben
poco. Spero che mia madre ne abbia serbato una parte nascosta o sarà un’altra
settimana molto magra.
Si cena presto e presto si va
a dormire, la domenica è già finita e domani si ricomincia il duro lavoro.
Come ogni lunedì mattina
siamo tutte più assonnate del solito. L’alba non è ancora spuntata del tutto e
facciamo quasi fatica a riconoscerci.
Vedo arrivare Clara
accompagnata da un uomo che penso sia suo padre. La tiene stretta per un polso
e la strattona fino all’entrata della fabbrica. Lei non vuole entrare e si
prende due schiaffi in pieno volto; volto che mi accorgo dopo poco è già
segnato da altri lividi. Mi si stringe il cuore vedendo quella piccola figura
lottare contro una montagna e mi avvicino cercando di risparmiarle altri
schiaffi. “Vieni con me Clara, entriamo insieme, dammi la mano”. Prendo quella
manina così fredda e minuta e, insieme, ci avviamo al nostro posto da lavoro.
Clara non parla e fa del suo meglio per svolgere il suo lavoro, ma quanta
fatica le deve costare. Il suo sguardo è fisso e le labbra strette come se
trattenesse una montagna di odio verso il mondo intero.
Anche stavolta non ha portato
niente da mangiare, suo padre, per punizione, l’ha mandata al lavoro senza
pranzo, così, divido di nuovo il mio pranzo con lei. Non è umanamente possibile
reggere tutto questo lavoro senza mangiare, ma che razza di genitori ha Clara?
Nella breve pausa cerco di
farle qualche domanda. “Cosa è successo Clara?” La sua risposta si fa attendere
ma poi mi parla:” ho detto al babbo che non voglio lavorare in questa fabbrica,
che questo rumore e questo posto chiuso mi fa stare molto male, ma lui mi ha
detto che non ho altra scelta, che stavolta me la sono cavata solo con qualche
schiaffo e senza pranzo, ma se faccio altre storie, la sua punizione sarà molto
più dura. Io non resisto qui dentro, preferisco morire!” Mi ritrovo senza
parole, la pausa è quasi terminata e riesco solo a rassicurarla. “Tieni duro
Clara, è così solo ai primi tempi, poi vedrai che ti abitui.” Senza aggiungere
altro rientriamo ai nostri compiti.
Per alcune settimane non
cambia niente, sembra di stare su quel nastro trasportatore che porta avanti la
vita ogni giorno uguale all’altro.
Mi accorgo che Clara diventa
sempre più magra e grigia. Non parla quasi mai e oggi mi ha stupita, mi ha
portato un regalo. Un piccolo sasso bianco a forma di mezzaluna con un
forellino e un cordoncino verde per portarlo al collo. “Questo è per te. Un
piccolo regalo perché sei sempre gentile e mi aiuti con il lavoro. Lo so che tu
fai anche parte del mio lavoro, io non riesco a fare tutto. Spero che ti
piaccia e che lo porterai pensando a me.” Il suo piccolo gesto mi ha colta di
sorpresa e mi ha commossa. Guardo quel viso così magro e serio e in un impeto
improvviso l’abbraccio. La stringo leggermente sul mio seno e la sento così
piccina e tutt’ossa, sotto quel grembiule così fuori taglia non mi ero accorta
di quanto fosse piccola.
“Grazie Emiliana, nemmeno la
mia mamma mi ha mai abbracciata così e non sapevo che un abbraccio potesse dare
così tanto calore”.
Purtroppo è così, i gesti
affettuosi non fanno parte della nostra cultura.
A fine turno usciamo tutte
insieme. Clara guarda il suo ciondolo che spicca al mio collo, mi sorride, si
gira, toglie quel brutto fazzoletto dai capelli e li scuote e se ne torna a
casa. Piccola figura solitaria su gambe così magre e stanche che sembra
barcollare e cadere a ogni passo. La guardo allontanarsi sempre così sola e
così triste. Ed è l’ultima immagine che ho di lei.
Questa mattina Clara non si è
presentata al lavoro, cosa le sarà successo? So bene che suo padre l’avrebbe
accompagnata anche a suon di schiaffi e non riesco a immaginare cosa possa
essere successo.
Il lavoro mi impegna e spero
che domani Clara rientri o non riuscirò a mantenerle a lungo il posto di lavoro
lavorando anche per lei.
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