venerdì 31 luglio 2020

IL SEGRETO DELLA LUNA


IL SEGRETO DELLA LUNA

parte cinquantanove






Se prima c’erano solo bisbigli, ora la gente aveva cominciato a parlare e a urlare tutta la sua preoccupazione senza sapere bene verso chi indirizzarla. La parola maledizione ormai era quella più pronunciata, così come forestieri pericolosi.
Gastone arrivò a cavallo e, dalla sua altezza osservava quella marea di persone sorridendo fra sé. Era proprio curioso di vedere come i cavalieri avrebbero risolto questa situazione. Sapeva che rischiava che i controlli aumentassero, ma lui sperava che, invece li avrebbe tolti di mezzo per quietare l’ansia della gente.
Si avvicinò a Margherita che sosteneva la vecchia Gemma. “Dovrebbero rimettere a posto questo paese e non lasciarlo in mano a dei forestieri!” Sospirò l’uomo. Gemma e altre persone lì vicino cominciarono a protestare e tutti si unirono al coro.
Gastone abbracciò Margherita e ritornò al suo lavoro.
La sera riportò ognuno nelle proprie case. Faceva molto caldo ma tutte le porte erano serrate, le finestre aperte solo ai piani più alti, la paura era davvero palpabile.
Gastone avrebbe dato dieci anni di vita per essere alla baita del marchese e ascoltare quello che si dicevano, ma non si fidava. Raggiunse la casa di Margherita e lasciò ben visibile e legato il suo calesse davanti alla sua abitazione, voleva essere certo che quel maledetto investigatore lo vedesse.
I due amanti erano sul letto, abbracciati dopo aver fatto ripetutamente l’amore. Avevano i corpi sudati ma non si alzarono dal letto.
“Cosa pensi che sia successo?” Gli chiese la donna.
“Proprio non lo so. So soltanto che ci sono personaggi che girano e interrogano un sacco di persone entrando anche nelle loro case. Ce n’è stato uno anche da noi e mi segue spesso. Io mi posso difendere ma prova a pensare se una ragazza o un giovane venisse assalito, come potrebbe difendersi? Vanno in giro armati sia di pistola che di coltello e non mi pare che i paesani girino armati. Io lo faccio da sempre ma qui nessuno saprebbe come difendersi.”
“Lo so. Qualcuno è entrato anche qui mentre io ero con Cincia. Non volevo dirtelo per non preoccuparti ma io me ne sono accorta. Non ha preso niente, è come se fosse entrato solo per osservare e controllare casa mia.”
Gastone si irritò ma mantenne la freddezza.
“Prova a pensare in quante case possono essere entrati, e nessuno sa quanti siano. E chi li ha chiamati? Chi potrebbe rimandarli via?”
“Io non lo so, ma da un po’ di tempo in questo posto stanno capitando troppe cose strane. Se potessi me ne andrei!” Disse seria Margherita.
“Mi dispiacerebbe perderti, ma prima o poi succederà. Quando deciderai che il momento è giunto fammelo sapere, ti darò un aiuto per ricominciare da un’altra parte.”
“Vuoi che me ne vada?” Sospirò la donna.
“Non ora, non ancora, ma succederà ed io ti ricompenserò per quello che fai per me e per Cincia.”
I due amanti erano tranquilli mentre nella baita del marchese c’era molta agitazione.
Soltanto quattro cavalieri erano presenti: il marchese Lorreni, Costantino Morietti, il mugnaio Carlo Cestelli, l’allevatore Gorrini. Non avevano invitato Numero Otto Tolesi perché era fuori per lavoro, e perché, non si fidavano del tutto di lui.
Sul tavolo c’erano bicchieri e vino ma sembrava che nessuno avesse voglia di bere.
Fu il marchese a prendere per primo la parola.
“Cosa ci sta succedendo? Dove sono il fabbro e il sacrestano? Qualcuno di voi ha qualche idea? C’entrano davvero gli investigatori inviati da Numero Uno?”
“Di sicuro non si sono tenuti discreti. Sembra che abbiano volutamente essere notati, oppure sono semplicemente degli incapaci. Hanno indispettito molto anche il guardia caccia e la vecchia Giacinta. Ma cosa può fare una vecchia pazza? E’ stato un errore quello di lasciar loro tanta libertà ed ora ne paghiamo le conseguenze.” Disse Morietti.
“I miei lavoranti mi hanno riferito che qualcuno si è introdotto nelle loro case mentre erano al lavoro, mi dite cosa c’entrano loro?” Il mugnaio era infuriato.
“Ma voi pensate seriamente che i tre investigatori c’entrino qualcosa?” Chiese Morietti.
“Ma tu puoi dire che non c’entrino?” Urlò il marchese.
“Già andava male prima, ma ora è ancora peggio! Anche la nostra setta ne risentirà!” Il marchese era fuori dalla grazia di dio.
“Questo è un segno del cielo! Ve l’ho detto che dobbiamo sciogliere il nostro gruppo, che non ha più ragione di esistere!” Il mugnaio non aveva nessun timore a parlare apertamente.
“Voglio vedere se hai il coraggio di dire queste cose alla prossima riunione, in faccia a Numero Uno!” Gli rispose Morietti.
“Certo che lo farei, se solo almeno alcuni di voi mi sostenessero. Mi dite cosa ci state guadagnando?”
“Stiamo portando avanti una antica tradizione. E’ un rito che ci mette al riparo da ogni calamità e ci arricchisce enormemente!” Disse il marchese.
“Vi sembra che le cose non siano cambiate? E non venite a dirmi che è solo dopo la vergine dai capelli rossi. Da molto tempo potremmo continuare i nostri affari senza usare il sangue di ragazze vergini o no che siano! Cosa aspettate a rendervene conto?”
“Non puoi parlare così! Se la pensi in questo modo non sei degno di restare nella setta e devi essere pronto a pagarne le conseguenze!” Urlò Morietti.
“A me sembra che siate voi che ci state rimettendo. Io me la cavo alla grande, ma voi? E che mi dite degli affari di Numero Uno? Vi siete resi conto che soltanto lei e Tolesi non hanno avuto nessun danno? Come mai? Voi vi fidate troppo, ci siamo sempre fidati troppo e non abbiamo mai chiesto spiegazioni!” Urlò di rimando il mugnaio.
“Mi sembra che sia sempre andata bene anche a te, che non ti sia mai lamentato fino ad ora che te ne vuoi andare. Troppo comodo rispettare le regole solo quando fanno comodo! Ora dobbiamo dimostrare la nostra unione, il vero senso della setta dei Cavalieri delle Terra Feconda, possiamo ricominciare tutto se lo vogliamo, basta essere uniti!” Costantino era rosso dalla rabbia.
“Io me ne voglio andare da tutto questo, voglio essere libero! Non vi siete nemmeno accorti che quella donna vi tiene per le palle, anzi ci tiene per le palle mentre lei fa quel cavolo che vuole, ditemi: chi la controlla?”
“Tu sei pazzo da legare!” Urlò Morietti. “Sai bene quanto me quello che riporta il libro sul quale hanno giurato i nostri antenati!”
“Appunto! Tu lo hai mai visto quel libro? Io no!”
Tutti tacquero. Carlo Cestelli aveva toccato un tasto dolente: nessuno di loro aveva mai visto il libro, ne avevano solo sentito parlare e lo avevano accettato insieme a tutte le regole e i giuramenti della setta.
“Io non l’ho mai visto, ma so che esiste. Mio padre me ne ha parlato, lui lo aveva letto e sottoscritto prima di me, ed io gli ho creduto e credo ancora che sia vero.” Morietti era molto alterato, non sopportava quel disaccordo, non voleva che qualcuno di loro mandasse all’aria quello che nei secoli avevano costruito.
“E’ inutile litigare fra di noi, non siamo qui per questo motivo. Voglio il vostro parere sulla sparizione di due cavalieri, non di due persone comuni ma di cavalieri!” Disse, cercando di riportare un po’ di calma il marchese.
“Credo che siano state vittime della stessa persona che ha fatto sparire il mio capo dei guardiani. Non ne ho più trovato traccia e non trovo risposte. Ed è avvenuto prima dell’arrivo dei tre investigatori.” Sottolineò Morietti.
“Ne sei proprio sicuro?” Gli rimandò il mugnaio. “E’ solo quello che ci è stato detto ma che non abbiamo mai potuto verificare. Aprite gli occhi una buona volta!”
Si fece silenzio. Tutti loro covavano dei dubbi, ma non avevano mai avuto il coraggio di dire niente, avevano perfino paura di pensarle certe cose.
Si sentì bussare alla porta ed entrò una guardia di Morietti.
“Capo, dovresti tornare a casa, si vedono lingue di fuoco alzarsi da quelle parti.”
Tutti scattarono in piedi e presero a galoppare veloci verso la tenuta di Morietti, le lingue di fuoco si alzavano ed erano ben visibili.
Galoppavano veloci e Morietti diede ordine ad una guardia di andare a chiamare Gastone, e che lo avrebbe trovato dalla sua donna non dalla vecchia Cincia.
Margherita e Gastone stavano dormendo quando sentirono bussare furiosamente alla porta. Gastone prese il suo pugnale e si avvicinò. La voce dall’altra parte lo mise al corrente e scappò via.
Margherita era spaventata ma lui la rassicurò. Slegò Amleto dal calesse e gli salì in groppa, galoppando velocemente verso la tenuta Morietti che stava bruciando, stavolta non era stato lui e questo lo inquietava.
Non impiegò molto a raggiungere la tenuta. Morietti dava ordini a tutti ma si vedeva che non riusciva a dirigere i lavori con la dovuta competenza. Gastone prese in mano la situazione e diede ordini vari, dal liberare gli animali al portare acqua e come raccoglierla e dove prenderla. C’erano tante persone che si davano da fare e la sua autorità venne subito accettata. Nel frattempo, mentre aiutava e dava ordini cercava di capire da dove fosse iniziato quell’inferno. Accompagnato da un guardiano si avvicinò al fienile e vide due candele nere accese. Non potevano aver dato fuoco a niente visto la posizione, ma se altre fossero state accese nel fienile? Questo non lo avrebbero potuto scoprire oramai, tutto era stato distrutto. Spense le candele e le infilò nella sua bisaccia, a tempo debito avrebbe cercato di capire, ora bisognava spegnere le ultime fiamme visibili e soffocare quelle che ancora non avevano bruciato ma covavano sotto paglia e fieno.
Era già mattina inoltrata quando si dichiarò che tutto era in sicurezza. Il fienile era crollato, le stalle riportavano danni riparabili e i pochi animali che erano rimasti si trovavano nel recinto all’aperto. Gli era andata bene.


Romanzo di Milena Ziletti - diritti e proprietà a lei riservati

giovedì 30 luglio 2020

IL SEGRETO DELLA LUNA


IL SEGRETO DELLA LUNA

parte cinquantasette






Con la solita cautela uscì e si diresse velocemente a casa. Il giorno era già spuntato e se qualcuno lo avesse visto poteva destare sospetti. Controllò varie volte di non essere seguito e giunse a casa che era sfinito.
Cincia gli mise davanti la colazione.
“Non vuoi dirmi cosa hai fatto?” Chiese stancamente la vecchia.
Gastone non sapeva se metterla al corrente o meno ma, in quel momento entrò Margherita e fece finta di niente.
Abbracciò la nuova venuta, salutò la vecchia, prese la bisaccia del pranzo e uscì per il suo lavoro. Non aveva chiuso occhio ed era stanco, ma non poteva cambiare le sue abitudini.
Inizio il giro come ogni altro giorno e si accorse subito di essere seguito, era lo stesso uomo del giorno prima.
“Perché non mi raggiunge? Così mi può parlare mentre lavoro.” Gli disse Gastone, e l’investigatore non se lo fece ripetere, lo affiancò e continuarono in silenzio.
Erano vicini alle proprietà di Gorrini. Gastone scese da cavallo e si inoltrò nei vigneti osservando terreno e tralci che non crescevano come dovevano.
“Cos’hanno, secondo te queste viti?” Chiese l’investigatore.
“Non lo so, ma mi piacerebbe scoprirlo. Non è il mio settore, io conosco meglio gli animali selvatici, il loro habitat, conosco alberi e piante e so come curarli, così come curo gli animali quando ci riesco, ma qui, proprio non ci capisco niente. Per questo mi sono fermato, ho l’autorizzazione del padrone.”
Camminavano fra i piccoli sentieri tra i filari, era davvero desolante vedere quella immensa distesa di vigne che stava morendo. Scuotendo la testa, mestamente Gastone ritornò al suo cavallo seguito dall’altro uomo.
“Pensa di seguirmi per tutto il giorno? Mi faccia le domande che vuole così poi posso essere lasciato in pace!”
“Veramente vorrei passare con lei la giornata, vedere e conoscere il suo lavoro, farmi un’idea, insomma.”
“Perché non lo dice chiaramente? Sta investigando su di me. Faccia il suo lavoro in fretta, non sono abituato a lavorare con un cane da guardia alle calcagna.”
“Gliel’ho detto, lei mi incuriosisce e sono sicuro che nasconde qualcosa. Inoltre vive con una vecchia pazza e questo per lei potrebbe essere utile. Sono sicuro che lei non è quel che dice di essere.”
“Allora faccia il suo lavoro e scopra quello che le serve, da me non avrà risposte. Ora la saluto e le dò un consiglio: cerchi di non capitarmi tra i piedi in modo furtivo o il mio pugnale potrebbe trapassarle il cuore, stia lontano da casa mia e dalla vecchia Cincia o verrò io a cercarla, non è una minaccia ma una promessa. Ora vada fuori dai piedi prima che mi incazzi davvero.”
L’investigatore portò la mano al cappello in segno di saluto, girò il cavallo e si allontanò.
Gastone era stizzito da quell’uomo, ma sapeva pure che era pericoloso, era uno che non mollava l’osso tanto facilmente. Continuò il suo lavoro aspettando in ansia che la giornata finisse, perché era davvero stanco e aveva bisogno di riposare.
Rientrò che il crepuscolo non era ancora calato. Era troppo sfinito per proseguire. Si fermò alla pompa dell’acqua a rinfrescarsi prima di entrare in casa. Stranamente la casa era silenziosa, era strano che non ci fosse nessuno, lui era tornato in anticipo ed era sorpreso e un po’ preoccupato di non vedere le due donne. Si preparò uno spuntino e si mise alla finestra. Sentì i passi e uscì sotto il portico.
Un sorriso gli illuminò il viso alla vista delle due donne che arrivavano tenendosi sottobraccio e canticchiando. Cincia aveva proprio bisogno di compagnia e Margherita era una donna meravigliosa, peccato non poterla tenere lì a dormire.
Margherita lasciò il braccio della vecchia e volò fra le braccia dell’uomo che la sollevò da terra e la baciò. Cincia li guardava felice, non aveva perso la flebile speranza di vederli un giorno sposati.
Cenarono tutti insieme poi Gastone accompagnò Margherita a casa. Era evidente che fosse stanco e la donna non lo trattenne, si accordarono per i giorni a venire e, finalmente, l’uomo poté ritornare a casa. Si addormentò ancora prima di toccare il cuscino.
La scomparsa del fabbro era l’argomento di tutto il paese. Si rincorrevano un sacco di ipotesi ma nessuno sembrava essere molto preoccupato. Era un uomo non particolarmente amato dalla comunità.
Di sicuro erano molto più preoccupati gli altri cavalieri.
Gastone passò a trovare alcune delle amiche di Cincia. Ad ognuna aveva portato qualcosa e, soprattutto aveva instillato il dubbio, quello che le chiacchiere avrebbero dovuto riportare. Da quando avevano cominciato a girare dei forestieri a cavallo erano successe cose strane, in alcune case erano entrati degli estranei, le donne si sentivano seguite, ed ora era sparito il fabbro. Tutti fatti ed enigmi che cominciavano a dilagare fra i paesani.
Era ora di passare al passo successivo del piano.
Gastone bussò alla porta del sacrestano e gli disse che aveva un messaggio per lui, la sua vecchia madre aveva bisogno di vederlo e lo aspettava, era caduta e non riusciva a camminare. Lui era passato da quelle parti e le aveva fatto il favore di portargli il messaggio.
Sua moglie stava piuttosto male, ormai mancava poco alla sua fine e si era rassegnato. I suoi figli sarebbero andati a scuola e lui si sarebbe trovato un’altra donna, non vedeva l’ora di avere una vita coniugale migliore, e se la poteva permettere.
Disse alla donna che accudiva la casa che andava dalla madre e che sarebbe tornato per cena.
Ma non fece più ritorno.
Andò a fare compagnia al fabbro.
Era notte fonda e, finalmente Gastone avrebbe avuto tempo per interrogare i due uomini. Indossava un cappuccio ed era vestito di nero, non voleva farsi riconoscere e alterò anche la voce.
La stanza era alquanto macabra. Un letto arrugginito, uno scheletro poggiato al muro, il cadavere che pian piano si andava mummificando del capo dei guardiani, il fabbro con gli occhi spalancati dal terrore e il sacrestano, incredulo che si era appena ripreso e si guardava intorno.
Davanti a loro quell’uomo incappucciato che sembrava un gigante.
Portò alle labbra dei due uomini la borraccia dell’acqua e li dissetò.
“Siete pronti a confessare?” Chiese loro.
“Sei il diavolo?” Blaterò il sacrestano.
“Io sono molto peggio del diavolo, sono l’angelo vendicatore delle vergini!”
Un brivido percorse la spina dorsale dei due uomini. Avevano capito.
Mille pensieri vorticavano in quelle piccole teste, se quell’uomo aveva ammazzato le ragazze non avrebbe avuto rimorso ad ammazzare anche loro, sapevano che non sarebbero usciti vivi da quel posto, anche se non sapevano dove si trovassero.
“Sto aspettando, cominciate a parlare o comincerò io: vi caverò un occhio alla volta, sapete bene che lo so fare, soprattutto tu, sacrestano del diavolo, visto che li hai trovati tutti tu.”
“Cosa vuoi sapere?” Chiese piangendo il sacrestano.
“Non dire niente!” lo ammonì il fabbro. “Abbiamo dei figli e li dobbiamo tutelare, sai bene che non usciremo da qui, stai zitto!”
Lacrime di terrore bagnavano il viso del sacrestano. Gastone prese la borsa e fece tintinnare quello che conteneva. Prese un sottile pugnale e lo avvicinò agli occhi del sacrestano che si pisciò nei pantaloni serrando le palpebre con tutte le sue forze.
“Io sono l’angelo vendicatore.” E cominciò ad incidere la palpebra. Gualtiero urlò e perse i sensi.
“Ora tocca a te!” E si avvicinò al fabbro.
“Cosa vuoi sapere? Se sei davvero l’angelo vendicatore sai tutto, o non sai niente e sei semplicemente un imbroglione. Io non ti dirò una parola, anzi ti dico soltanto che farai una brutta fine! Hai messo il dito in un vespaio e non ne uscirai vivo. Noi siamo i più forti, non temiamo nessuno e c’è già chi ti cerca e stai certo che ti troverà e vendicherà la nostra morte. Noi abbiamo fatto un giuramento e non lo infrangerò!”
Gastone non si aspettava tanta forza. Aveva capito che da lui non sarebbe venuto niente.
“Ti accontento, non ti chiederò niente. Farò a te quello che voi fate alle ragazze.” Gli recise una sola vena del polso e lo lasciò a dissanguarsi lentamente.
Si avvicinò al sacrestano che si era svegliato ed aveva assistito a tutta la scena.
“Vuoi parlare o fare la sua stessa fine?” Gualtiero balbettava e una schiuma densa, provocata dal terrore e dal cuore malato cominciò ad uscirgli dalle labbra. Un rantolo e soffocò nel giro di qualche minuto sotto gli occhi del fabbro che ancora non aveva perso i sensi, ci sarebbe voluto tempo.
“Ora vi lascio, fatevi buona compagnia.” E se ne andò.
Era infuriato per non essere riuscito a farli parlare ma sapeva già quello che gli serviva.
La notte stava schiarendo quando entrò in casa. Ansimava e Rufus gli si accoccolò ai piedi. Ora non restava che aspettare. Le chiacchiere sarebbero aumentate, la sparizione di due uomini così conosciuti le avrebbero alimentate a dismisura. E tutto doveva portare al sospetto sugli investigatori, se serviva doveva fomentare una protesta e non sarebbe stato difficile.
Il piccolo paese era in subbuglio. Il portone della chiesa non era stato aperto e il sacrestano era sparito. La moglie stava morendo e lui non si trovava. Anche il prete era sconvolto: due sparizioni a così breve distanza di tempo non lasciano prevedere niente di buono.
Come succedeva quando c’era preoccupazione, paura o fermento, in chiesa e sul sagrato si radunarono un sacco di persone. C’era chi bisbigliava, chi imprecava e chi parlava apertamente dei forestieri a cavallo.
Il marchese e Morietti erano fra di loro e ascoltavano esterrefatti quelle chiacchiere ed erano davvero molto preoccupati. Non parlavano, non si fidavano, ma i loro sguardi erano eloquenti.
“Ci vediamo alla mia baita, avvisa gli altri, stasera vi aspetto!” E se andò lasciando Morietti a seguire quel fiume di gente e di commenti.
Era la prima settimana di luglio, c’erano molti lavori da fare nei campi ma il terreno sembrava malato più ancora degli animali che stavano morendo o erano già morti. Adesso la sparizione dei due uomini aveva aggravato la situazione.
In quel mentre, il figlio più grande del sacrestano uscì piangendo e urlando: sua madre era morta e voleva suo padre, lui non sapeva cosa fare. Fu il prete che lo prese fra le braccia e prese la situazione nelle sue mani, almeno quello lo sapeva fare.


Romanzo di Milena Ziletti - diritti e proprietà a lei riservati

mercoledì 29 luglio 2020

IL SEGRETO DELLA LUNA


IL SEGRETO DELLA LUNA

parte cinquantasei






Gastone non si era perso nemmeno una parola. Era contento che ci fosse subbuglio fra quei maledetti e ce ne sarebbe stato molto di più, ci avrebbe pensato lui e giurò di nuovo a se stesso che non avrebbe permesso il sacrificio di due giovani innocenti, doveva anticipare il piano che aveva studiato. C’era ancora tempo ed era curioso di ascoltare cosa si sarebbero detti nella riunione del prossimo plenilunio.
Doveva tornare in fretta al paese, Margherita lo aspettava. Le aveva promesso di passare il pomeriggio con lei e si era fatto tardi. Si sarebbe fatto perdonare, era una donna meravigliosa e aveva capito che lei si era innamorata, doveva pensare anche a lei ma c’era ancora tempo.

Capitolo ventisei
Margherita e Gastone passarono la serata mangiando e facendo sesso. Col caldo che faceva avevano le finestre aperte ed erano abbracciati a guardare il sole che tramontava che lasciava colori bellissimi. Stavano in silenzio, accarezzandosi come se fossero degli assetati che non riuscivano a togliersi l’arsura. La donna amava quell’uomo enigmatico ma sapeva bene che non doveva farsi illusioni, era sicura che un bel giorno tutto sarebbe finito, quell’uomo non era uno che rimane fisso in un posto e lei era certa che, quando avrebbe deciso di andarsene non le avrebbe chiesto di seguirlo.
“Cosa pensi?” Le sussurrò Gastone.
Margherita fece un sospiro. “Penso a quando te ne andrai. So che mi mancherai, così come so che non potrò trattenerti. O sbaglio?”
Ci furono alcuni istanti di silenzio.
“Hai ragione. Arriverà anche il giorno in cui me ne andrò, ma c’è tempo. Per ora voglio godermi il presente, con te.”
Non si erano mai raccontati storie e non avrebbero cominciato ora. Il loro rapporto era diretto e sincero e così sarebbe stato, finché sarebbe durato.
Era quasi l’alba quando Gastone uscì dalla casa di Margherita. Il suo cavallo lo aspettava ed era nervoso. Capì subito che qualcosa o qualcuno lo aveva infastidito. Si soffermò a lungo a controllare i finimenti, ad allacciarli, ad accarezzare Amleto. Salì in groppa e prese la strada di casa.
Sapeva di essere seguito ma non si voltò nemmeno una volta. Arrivò a casa, mise Amleto nella stalla e si sedette sul bordo della vasca della pompa, in attesa.
Il sole si stava alzando con tutto il suo splendore. Luglio premeva alle porte con un caldo afoso e soffocante, ancora poche ore e la calura sarebbe stata insopportabile.
Rufus lo aveva sentito arrivare e lo aveva raggiunto, ringhiando sotto voce. Rimase fermo col cane vicino, lo accarezzava tenendolo tranquillo. Aspettò ancora parecchio ma nessuno si palesava.
Si lavò il viso ed entrò che Cincia stava friggendo le uova.
Fecero colazione e, senza mai dire una parola, Gastone uscì e riprese il suo lavoro.
Era abituato a vagare da solo nei boschi, in riva al fiume e in ogni luogo che gli avevano assegnato. Si fermò sulla riva del fiume che era quasi in secca. Da tempo non pioveva e si preannunciava un’estate torrida. Avrebbe avuto un gran da fare a tenere il letto pulito e pronto, in qualsiasi momento arrivasse una piena.
Era scalzo, i piedi immersi in poca acqua e sollevava massi spostando detriti che il tempo e il fiume avevano depositato. Sudava abbondantemente ma i piedi nell’acqua lo refrigeravano. I massi che aveva fatto esplodere erano stati sistemati. Era un fiume placido, con tanti pesci e acqua per irrigare i campi, ma quando si “infuriava” faceva molti danni, e lui voleva evitare che ciò accadesse.
Alzò lo sguardo e vide uno degli uomini incaricato dalla contessa a controllare e investigare. Era fermo, immobile e osservava Gastone da sotto il cappello. Rimase a lungo ad osservarlo lavorare. Entrambi sapevano che erano lì ma nessuno parlava.
Gastone terminò quello che stava facendo è uscì dall’acqua. Prese una borraccia dalla sella di Amleto e bevve avidamente.
“Ne vuole un po’?” Chiese allo sconosciuto.
“Volentieri!” Rispose quello.
Rimasero in piedi, appoggiati ad un grande masso, in silenzio.
“Chi è? Cosa vuole da me?” Chiese Gastone.
“Credo che sappia che sono un investigatore. Sa benissimo quello che è successo e qualcuno vuole vederci chiaro. Lei è troppo sveglio per far finta di niente!”
“Io mi faccio i cavoli miei e non mi curo di niente altro. Non penso che sia un delitto.”
“Lei è troppo esperto per fare questo lavoro di poco conto, sembra un uomo con ben altre abilità, perché fa un lavoro così umile?”
“Faccio quello che mi piace, e mi pagano bene. Perciò riprendo il lavoro prima che qualcuno vada a riferire che perdo tempo invece di lavorare.” L’allusione era evidente.
“Non sono qui per fare questo genere di controllo, tutti dicono che lei è un gran lavoratore.”
“E allora cosa cazzo vuole?”
“Interrogarla. E’ il mio lavoro.”
“Vada al diavolo e mi lasci in pace.”
“Io non mollo facilmente. Ci rivedremo ancora e le assicuro che ottengo sempre quello che voglio.” Montò sul suo cavallo e se ne andò.
Gastone era arrabbiato e preoccupato. Quello, con i suoi compari non avrebbero mollato facilmente la presa, doveva pensare a come toglierseli di torno. Doveva trovare il modo.
Rimontò a cavallo e si diresse nel bosco, almeno ci sarebbe stato un po’ di fresco. Il silenzio era colmo del canto degli uccelli, del ronzio degli insetti. Rufus non era tranquillo e questo rendeva agitato anche il suo padrone.
Il sole era alto ma nel sottobosco si stava bene. Gastone si fermò e tolse dalla bisaccia il pranzo che si era portato. Si sedette mentre il suo cavallo riposava e divise il pasto con Rufus. I suoi pensieri vagavano in tante, troppe direzioni: voleva portare a termine la sua vendetta, doveva stare attento agli investigatori, voleva salvare le due ragazze del sacrificio di ottobre. Tutto era prioritario, tutto per raggiungere il suo scopo.
Sentì crescere dentro di sé una rabbia immensa. Quanto potere avevano quei maledetti? Quante risorse? E se avesse eliminato qualcuno di loro? Poi gli venne un’idea, una folle idea e pure pericolosa. Un brivido gli percorse la schiena, ormai aveva deciso. Finì il suo semplice pasto e rimontò in sella ad Amleto riprendendo il suo lavoro. Ora aveva un piano, deviava un po’ dal suo percorso ma sarebbe servito, oh se sarebbe servito!
I grilli avevano cominciato il loro concerto quando Gastone entrò in casa. La cena era in tavola, finalmente un pasto decente e della buona birra fresca. Cincia era seduta e lo aspettava. Aveva notato che da alcuni giorni mangiava molto poco e sembrava più stanca del solito.
“Ti senti bene, Cincia?”
“Sono vecchia, troppo vecchia, fa in fretta il tuo lavoro o non arriverò a goderne del risultato ma, prima pensa alla tua incolumità, io ti aiuterò anche dall’altro mondo se sarà necessario.”
“Vuoi che ti chiami un dottore? Un aiuto per la casa? Qualcuno che ti faccia compagnia?”
“Non mi serve niente ma un po’ di compagnia mi farebbe piacere. Chiederò a Margherita di passare con me un po’ del suo tempo e sono sicura che sarà felice di poterti vedere di più. Mi farò aiutare nelle faccende e la pagherai, così ci sarà un accordo onesto per tutti.”
Gastone assentiva mentre mangiava. Era perso nei suoi pensieri.
“Cosa ti frulla in testa?” Gli chiese Cincia.
“Oggi uno degli investigatori mi ha seguito e voleva interrogarmi. Devo togliermeli di torno e credo di aver trovato una soluzione. Mi farà perdere un po’ di tempo ma devo assolutamente ritrovare la mia libertà di movimento.”
“Stai molto attento. Quella è gente che non scherza ed è protetta da quei delinquenti potenti.”
“Lo so. L’unica cosa che mi dispiace e che dovrò far soffrire persone innocenti, ma è colpa loro, non mia.”
Gastone terminò di mangiare e aiutò la vecchia a sparecchiare.
“Vai a riposarti. Vado da Margherita e le chiederò di venire da te, ci penso io a pagarla, ho molto più di quello che mi serve.”
Era iniziato luglio coi lavori nei campi e nei vigneti, almeno per quello che ne restava. C’era poco da raccogliere. I contadini zappavano e dissodavano il terreno senza sapere che così facendo distribuivano maggiormente il veleno nel terreno.
Gli animali che Morietti aveva comprato si erano ammalati e molti erano stati abbattuti o erano morti. Anche i meravigliosi stalloni di Gorrini avevano cominciato a stare male e il marchese era furioso per come andavano i suoi affari, sempre peggio.
Le sere non rinfrescavano e l’afa ammorbava l’aria. C’era un odore di carne bruciata che non passava mai, inoltre il fiume da tempo si andava prosciugando. Sembrava davvero una maledizione, non era mai successo niente di simile a memoria di uomo in quel posto.
C’era paura e la si respirava. Ancora prima del tramonto la gente si ritirava in casa avendo paura perfino di tenere le finestre aperte. Ogni rumore procurava ansia e i bambini non venivano lasciati soli.
Gastone decise di procedere con il suo piano.
Era notte e il silenzio era rotto dai gufi e dai grilli, nient’altro si sentiva. Furtivo e silenzioso, vestito dei suoi abiti neri stava forzando la serratura della casa del fabbro. Sapeva che era solo e che lo sarebbe stato ancora per poco prima di risposarsi, per questo aveva deciso di iniziare da lui.
Entrò senza troppi problemi e si fermò per abituare gli occhi alla semi oscurità. Sapeva che le camere da letto erano al piano superiore ma sentiva un ronfare venire dalla stanza lì vicina. Cauto e silenzioso guardò nella stanza e vide il fabbro che dormiva su uno scalcinato sofà e in terra erano posati due fiaschi di vino vuoti. Sorrise fra sé, la sbornia di quell’uomo gli avrebbe facilitato il compito.
Estrasse lo straccio imbevuto di cloroformio e tappò naso e bocca all’uomo che dormiva, il quale passò dal dormire da sbornia al dormire narcotizzato, senza accorgersene.
Legò mani e piedi e impedì la bocca con un fazzoletto ben stretto. Avvolse il corpo in una coperta, se lo caricò in spalla e uscì. Ora veniva il pericolo maggiore.
Aveva fatto vari giri a vuoto prima di entrare in casa del fabbro, aveva usato tutti i suoi sensi per capire se qualcuno lo seguiva ma, a meno che fosse bravo e invisibile come un fantasma lui non aveva sentito o percepito nessuno. Era venuto a piedi e senza Rufus, e questo lo rendeva nervoso ma non poteva correre nessun rischio. Il peso che trasportava non era indifferente e la strada da percorrere era lunga. Ci mise parecchie ore e il sole sarebbe sorto di lì a poco. Gastone aveva già studiato tutto nei minimi particolari ma la fatica lo aveva fatto rallentare. Superò il passaggio segreto e andò dritto nel pollaio. Posò a terra il fabbro e riposò le braccia. Aprì il portoncino ed entrò con l’uomo ancora svenuto. Lo mise vicino al corpo del capo dei guardiani di Morietti, gli strinse i legacci e lo lasciò lì. Avrebbe voluto interrogarlo ma sapeva che non aveva più tempo e sperava di poter tornare e terminare quello che doveva fare.


Romanzo di Milena Ziletti - diritti e proprietà a lei riservati

martedì 28 luglio 2020

IL SEGRETO DELLA LUNA


IL SEGRETO DELLA LUNA

parte cinquantacinque






Costantino non era al corrente di questo fatto. Uscì dallo studio di Cestelli in un subbuglio di pensieri e di preoccupazioni.
Il funerale era finito. I cavalieri si ritrovarono nello studio del mugnaio. C’erano tutti ma nessuno osava parlare, pur se nascosti a occhi e orecchie indiscrete sapevano bene che non potevano rischiare.
Il marchese prese la parola. “Siete tutti inviati nella mia baita. Ci vediamo domenica pomeriggio. Ora devo ritornare, sono sorti dei problemi sui miei campi e mi attende un esperto per capire e risolvere il problema.” Non aggiunse altro e se ne andò.
Uno ad uno se ne andarono tutti e rimase solo Costantino.
“Cerca di mostrare un po’ di dolore, non sei affatto credibile. Stai molto attento a ciò che fai, io ti ho avvisato. Ci vediamo domenica.”
Sarebbe stata l’ultima domenica di giugno. Mancavano due giorni all’incontro.
Gastone procedeva nel suo lavoro e decise di andare da Margherita. Passò la notte con lei cercando di allontanare pensieri e preoccupazioni. Si era accorto dei movimenti sul sentiero della baita e teneva d’occhio ogni cosa. Non voleva perdersi la riunione che era sicuro ci sarebbe stata.
I tre uomini ingaggiati dalla contessa non si erano più visti. O avevano cambiato zona di ricerca o erano davvero bravi a tenersi nascosti. Doveva essere molto prudente, non voleva correre il rischio di venire scoperto e doverli ammazzare. Lo avrebbe fatto senza rimorso alcuno: niente e nessuno avrebbe potuto mettersi di mezzo a quello che si era prefissato di fare.
Aveva un pensiero che gli macinava il cervello: voleva salvare le due ragazze dal sacrificio del mese di ottobre e per farlo aveva solo una soluzione, pericolosa ma, se fosse stato necessario l’avrebbe messa in atto.
I campi del marchese erano irrimediabilmente avvelenati e ancora nessuno sapeva cosa fosse successo.
I vigneti di Gorrini erano irrimediabilmente avvelenati e i suoi splendidi cavalli si stavano ammalando.
Gli animali che Morietti aveva comprato mostravano segni di malattia.
Il fabbro era rimasto senza risorse e i suoi figli non gli passavano né il lavoro né altro sostentamento.
Il mugnaio aveva molti pensieri per la testa e bestemmiava in solitudine.
Il sacrestano accudiva la moglie che stava morendo.
Sembrava una maledizione. Costantino pensava agli ultimi avvenimenti e non riusciva a darsi una spiegazione. Il suo capo guardiano doveva aver scoperto qualcosa di molto importante prima di sparire, chissà che fine aveva fatto. Avrebbero dovuto parlare di tante cose la domenica, e sapeva che era molto pericoloso, ma non avevano alternative. Il nervosismo e la paura stavano dilagando fra i cavalieri e dovevano presentarsi alla prossima riunione con qualche proposta da fare a Numero Uno.
Gastone era in posizione quando gli uomini cominciarono ad arrivare alla baita del marchese. Legarono i cavalli ed entrarono silenziosamente.
C’erano tutti tranne Tolesi, l’unico che non aveva subito nessun danno.
Sul tavolo erano già stati preparati bicchieri e vino, alcune ceste con del cibo erano ben disposte.
Si salutarono con un cenno della testa e presero posto al grande tavolo.
Toccava a Costantino prendere in mano la situazione, era Numero Due e loro tutti lo rispettavano.
“Vorrei che fosse chiaro che siamo qui riuniti per parlare dei problemi delle nostre aziende e delle nostre proprietà. Se dovesse entrare un estraneo da quella porta è questo che deve sapere. So che siamo al sicuro ma io non mi sento tranquillo con i personaggi che Numero Uno sta mandando in giro. Sapete bene che stanno controllando e interrogando parecchie persone. Ho lasciato due miei guardiani fidati a sorvegliare il sentiero e mi avviseranno se si avvicina qualcuno.” Passò lo sguardo su ognuno di loro. Il marchese conteneva a stento la rabbia. Il mugnaio   sembrava di ghiaccio. Il fabbro si torceva le mani senza avere il coraggio di guardare nessuno. Il sacrestano non vedeva l’ora di andarsene e si capiva molto bene. Gorrini aveva gli occhi stralunati, non si era ancora ripreso dalla perdita della figlia.
“Qui non siamo alle nostre riunioni, perciò se qualcuno vuole parlare lo può fare liberamente. E da qui non deve uscire nemmeno una parola di quanto ci diremo.”
Tutti quanti assentirono. Erano seduti.
Il marchese si alzò e prese la parola. “Da quando hanno ucciso mia nipote sembra che si sia scatenata una maledizione sui cavalieri. Nessuno ha voluto ascoltarmi e siamo ridotti in questo stato. Altre nostre ragazze sono state uccise e Numero Uno sembra brancolare nel buio.” Un brivido percorse la schiena dei presenti, mai nessuno aveva osato tanto contro la contessa. “Guardatevi, sembrate un branco di pecoroni! Uomini senza spina dorsale! Dobbiamo convincere Numero Uno a far intervenire i migliori investigatori sulla piazza. Dobbiamo scoprire chi ha ucciso le nostre ragazze! E voglio sapere se siete d’accordo su questo punto.”
Lorreni guardava tutti i suoi compagni seduti. Soltanto Gorrini assentiva. Né il sacrestano, né il fabbro, né il mugnaio, per motivi ognuno diverso sosteneva la richiesta del marchese.
“Siete delle pecore!” Urlò infuriato. “Tu, Costantino cosa ne pensi?”
“Penso che dobbiamo essere tutti d’accordo per fare qualsiasi passo, e qui non vedo l’accordo.”
“E cosa mi dite dei vostri affari? Come stanno andando?” Insistette il marchese.
Come al solito fu Costantino il primo a rispondere. “Io ho perso tutti i miei animali, li ho ricomprati e anche i nuovi stanno male, molti sono già morti. Di questo non mi capacito, non posso incolpare nessuno, nella mia tenuta non entra nessuno e niente che non sia più che sotto controllo.”
Lorreni si alzò in piedi. “I miei poderi si sono ammalati. Ho perso tutto il raccolto di quest’anno e i miei animali sono in pessime condizioni. Ditemi voi se non è una maledizione!”
Toccò al mugnaio alzarsi in piedi. “Per quest’anno non potrò lavorare con la mia macina, sembra che non si riesca a rimetterla in funzione e i miei figli sono allo stremo col lavoro. E’ giusto che sappiate tutti voi che le gemelle non erano figlie mie, mi dispiace per la loro morte ma molto di più per i miei affari.”
Gorrini si alzò lentamente. “Anche i miei stalloni e le mie cavalle stanno male, non sono gravi ma qualcosa li sta disturbando e anche nelle cantine c’è qualcosa che non va. Non riesco a capire ma darei tutti miei averi pur di riavere mia figlia!”
Gli occhi dei presenti erano fissi sul sacrestano e sul fabbro che non si decidevano ad alzarsi e a parlare. Il silenzio era tombale.
Costantino riprese la parola. “Alla prossima riunione chiederò che vengano espulsi dalla nostra setta sia Gualtiero che Luigi. Non servite più a niente ed è tempo che il nostro gruppo si rinnovi. Non mi importa un bel niente di quello che vi succederà, non servite proprio a niente.” Era infuriato. “Metto ai voti la mia richiesta. Numero due, Numero tre, Numero cinque, Numero sette alzate la mano se siete d’accordo.”
Tutti alzarono la mano escluso Numero cinque, il mugnaio.
Il sacrestano e il fabbro tremavano ma non osavano intervenire.
“Carlo Cestelli, vuoi spiegare?”
Il mugnaio si alzò in piedi. “Io non voto l’espulsione di nessuno, sono per sciogliere questa setta che non ha più ragione di essere!” Finalmente lo aveva detto.
“Voi siete pazzi!” Urlò il fabbro.
“Nessuno può fare niente di quello che avete appena proposto.” Bisbigliò il sacrestano.
Calò il silenzio.
La riunione stava prendendo una piega imprevista. Pareva che per la prima volta i cavalieri fossero in disaccordo. Stavano tramando alle spalle di Numero Uno e chiunque di loro avrebbe potuto tradire. Costantino e il marchese si lanciarono un’occhiata eloquente, dovevano porre rimedio, le cose non erano andate come avrebbero voluto. Quei due idioti del fabbro e del sacrestano, nonché il mugnaio potevano mettere a repentaglio le vite e tutto quello che concerneva degli altri.
“Qualcuno ha qualche proposta?” Chiese Morietti.
Era ovvio che si era rivolto agli unici due che non avevano parlato, ma né il sacrestano né il fabbro dissero una parola.
Costantino Morietti si rimise in piedi. “Naturalmente questa riunione non è mai avvenuta, se solo una frase di quello che ci siamo detti uscirà da questa stanza ci penseranno i miei uomini a porre rimedio. Io sono un uomo di parola e voi tutti lo sapete. Ognuno di noi ha interessi diversi e in vari settori e tutto deve rimanere come sta! Mi sono spiegato abbastanza bene?”
Tutti assentirono ma il marchese ribolliva d’ira, era conscio che non poteva andare contro tutti e aveva un forte timore delle conseguenze se Numero Uno avesse scoperto della riunione.
“Continueremo come sempre e con il rito del mese di ottobre metteremo in chiaro le nostre esigenze. E’ lì il posto giusto e il momento giusto e chiederemo a Numero Uno di portare il Libro Sacro dei Cavalieri. Siete d’accordo almeno su questo?”
Tutti assentirono in silenzio. “Potete andare, non c’è altro da aggiungere.” E si sedette in attesa che i convenuti tornassero alle loro case, rimasero solo il marchese e Morietti seduti con un bicchiere di vino, in silenzio. Quando furono sicuri di essere soli il marchese fece esplodere tutta la sua rabbia.
“Abbiamo rischiato per niente, un branco di pecore sarebbe stato più audace e coraggioso di quegli stupidi idioti! Dimmi che almeno tu non sei come loro!”
“Le regole dei cavalieri le conosci quanto me. Quello che abbiamo fatto oggi è illegale e potrebbe avere conseguenze devastanti ma, ti devo dire che peggio di come mi stanno andando le cose alla tenuta non potrebbero. Non riesco a risolvere i miei problemi, inutile nasconderlo dopo il sacrificio della vergine dai capelli rossi qualcosa è successo, il rito non è andato liscio come al solito e tutti noi abbiamo avuto gravi perdite, sia economiche che affettive. Credo che il mio capo guardiano avesse scoperto qualcosa ma è sparito, letteralmente sparito. Ho l’impressione che possa esistere un’altra setta che lotta contro di noi per distruggerci. Ma come può essere possibile?”
“Ti chiedi mai perché Tolesi non abbia subìto nessun danno?” Chiese il marchese.
“Me lo chiedo spesso, ma non ho una risposta. Non credo nemmeno che c’entri con quello che sta succedendo, non posso nemmeno pensarci.”
“E se ci fosse proprio lui a capo della setta che lotta contro di noi?” Si lasciò sfuggire il marchese.
I due uomini rimasero in silenzio a sorseggiare il vino.
“Manderò un messaggio a Numero Uno chiedendo di indagare su di lui. Lo sai che devo essere molto prudente, ma rientra nelle mie facoltà, e lo farò. Di più non so cosa fare!”
“Ti fidi degli altri? Pensi che manterranno il segreto su questa riunione?”
“Ci penso io a questo, non ti devi preoccupare, il fabbro e il sacrestano non sono dei problemi ma il mugnaio e Gorrini che sembra non riprendersi, con loro è più difficile ma non lascerò niente di intentato. Puoi stare sicuro!”
Finirono di bere e uscirono insieme. Si guardarono intorno ma tutto era tranquillo. Presero i cavalli e si allontanarono sul sentiero, incontrando i due guardiani di Costantino che dissero di non aver riscontrato niente fuori dalla norma.


Romanzo di Milena Ziletti - diritti e proprietà a lei riservati

lunedì 27 luglio 2020

IL SEGRETO DELLA LUNA


IL SEGRETO DELLA LUNA

parte cinquantaquattro






Aspettò varie ore. Il sole era implacabile e Gastone sudava abbondantemente. Sentì il rumore degli zoccoli ancora in distanza mentre Rufus ringhiava sommessamente.
Due uomini a cavallo scortavano il calesse delle ragazze. Al suo comando Rufus balzò sulla strada e ringhiò a denti scoperti facendo spaventare i cavalli. I cavalieri rimasero a fatica in sella ma la cavalla del calesse si spaventò ed iniziò a correre imbizzarrita. Gastone l’aveva colpita con un dardo.
I tre cavalieri rincorsero il calesse mentre le due ragazze urlavano spaventate cercando di fermare la corsa impazzita.
Partirono altri due dardi e i cavalli caddero mentre correvano facendo ruzzolare nella polvere i loro cavalieri. Gastone li raggiunse e li colpì con due dardi avvelenati, ci misero poco a morire. Non avrebbe voluto fare vittime innocenti, ma non sempre le cose vanno lisce.
Raggiunse di corsa il calesse e lo vide cadere nella buca che aveva scavato. La cavalla si spezzò le zampe e il calesse si rovesciò. Le ragazze urlavano e Gastone le raggiunse. Scese velocemente dalla sella e con estrema precisione e velocità le addormentò col cloroformio. Isabella e Rosalba erano prive di sensi e la cavalla soffriva terribilmente. Non poteva fermarsi. Avvolse i corpi in due coperte e raggiunse, per vie quasi impraticabili il suo casotto.
Cincia fece entrare in casa Rufus e Gastone si chiuse la porta alle spalle.
Il casotto era pronto ma c’era un solo supporto, per un unico corpo. Lui non sapeva chi fosse l’una o l’altra ma non gli interessava proprio.
Prese la prima e la distese. Ormai sapeva bene come fare. Lo stiletto penetrò nelle carni tenere del costato dritto nel cuore. Un rantolo quasi silenzioso e la ragazza era morta. Procedette a strapparle gli occhi. Incise la stella. Aveva fretta. L’altra ragazza dava segni di risveglio e lui non voleva che succedesse.
“Dove sono? Cosa è successo?” Si era svegliata e si guardava intorno. Aveva visto il corpo della sorella e cominciò a urlare.
Gastone fu veloce e le tappò la bocca. Due occhi sbarrati e pieni di paura fissavano il viso dell’uomo, un viso senza sentimenti, senza paure, senza cuore. Furono gli ultimi pensieri che passarono nella mente della giovane.
Fu distesa sul tavolo e Gastone rifece ogni cosa. La depose vicino alla sorella e, come ogni volta si soffermò a guardarle. Aspettava sempre di sentire qualcosa, un rimorso, un dolore, una felicità, qualcosa, qualsiasi cosa ma non vedeva altro che il volto di sua figlia e la sua sete di vendetta era la sola emozione che veniva ripagata.
Le avvolse di nuovo nella coperta. Era primo pomeriggio. Doveva affrettarsi. Erano attese a casa e se non le avessero viste arrivare sarebbero usciti in tanti a cercarle.
Cincia era fuori ad aspettare e vigilare che non arrivasse nessuno.
Gastone le consegnò le chiavi del lucchetto e la donna sapeva cosa fare.
Amleto sbuffava per quel carico così pesante e Rufus li seguiva scodinzolando.
Ritornò da dove era venuto. La cavalla stava soffrendo atrocemente e il calesse era quasi distrutto.
La strada polverosa era delimitata da tanti alberi, non c’era difficoltà nello sceglierne uno. Con destrezza e velocità inchiodò le due ragazze allo stesso tronco. Non si soffermò oltre. Cancellò con cura le sue tracce e ritornò a casa. Consegnò le coperte da bruciare e si inoltrò di nuovo nel bosco, in direzione opposta. Riprese il suo lavoro e si rese conto che il suo piano stava proseguendo come doveva. Sorrise sotto i baffi. Anche il mugnaio era sistemato, che provasse il dolore che da anni infliggeva a tante famiglie.
Era molto stanco ma il pomeriggio era ancora lungo. Si diresse al fiume a controllare delle anse. Le liberò da vari rami ed era fradicio quando fu raggiunto da un uomo che non conosceva.
Gastone continuò il suo lavoro aspettando di capire chi fosse quell’uomo e cosa volesse. Alzò lo sguardo e gli venne un colpo. Aveva riconosciuto il cavallo: era uno di quelli che c’erano al convento. Il suo cuore perse qualche battito ma si riebbe in fretta.
L’uomo a cavallo osservava Gastone che lavorava. Rimase parecchi minuti ad osservarlo poi, senza dire una parola fece girare il cavallo e se ne andò.
Gastone fece un sospiro. Terminò il suo lavoro senza fretta e, al crepuscolo ritornò a casa.
Vide ancora in lontananza un cavallo legato fuori. Non era lo stesso cavaliere che aveva visto al fiume, ma il cavallo era un altro di quelli visti al convento.
Si dissetò alla pompa cercando di frenare i pensieri, poi entrò in casa.
Uno sconosciuto era seduto con Cincia.
Gli sguardi dei due uomini si incrociarono e nessuno dei due abbassò gli occhi.
“Con chi ho il piacere?” Chiese Gastone. Dopo tutto era in casa sua.
“Mi stavo solo informando sul posto, e la sua amica mi ha offerto da bere.”
“E cosa vuole sapere?” Gastone cominciava ad innervosirsi.
“Niente di importante, siccome voglio trasferirmi da queste parti chiedevo com’è la vita qui.”
Cincia guardava Gastone ma non parlava.
“E le piace il posto?” Chiese di rimando Gastone.
“Non ho ancora deciso, ma non è male, c’è tanta brava gente!”
“Sono sicuro che si troverà bene, se ora ci vuole scusare l’accompagno alla porta.”
Lo sconosciuto salutò Cincia con un gesto e seguì l’altro.
“Si può sapere cosa vuole veramente?” Gastone era calmo ma infastidito.
“Sono un investigatore e sto svolgendo alcune indagini molto riservate.”
“E viene a casa mia mentre non ci sono? A importunare una vecchia?” Si stava davvero infuriando.
“Quella vecchia non ha aperto bocca, per questo ho aspettato il suo arrivo. Volevo parlare con lei.”
“Adesso sono qui, cosa vuole sapere?”
“Vorrei il suo aiuto. So che conosce bene queste zone e vorrei sapere se ci può aiutare.”
“Deduco che non è da solo. No, non vi posso aiutare. Voi fate il vostro lavoro io faccio il mio. E non venite più in casa mia quando non ci sono. Sono stato chiaro?”
Lo sconosciuto salì in groppa al suo cavallo e se ne andò.
Gastone entrò in casa e si avvicinò a Cincia. “Ora so chi sono quegli uomini, la contessa ha assunto degli investigatori per capire cosa sta succedendo. Avranno una bella sorpresa oggi.”
“Stai rischiando grosso, forse è meglio se ti fermi per un po’!”
“Non posso, e tu lo sai. Hai fatto quello che ti ho chiesto? Hai bruciato tutto?”
Cincia assentì. Cenarono in silenzio e finalmente, Gastone poté dormire. Ne aveva proprio bisogno.
Le voci sul ritrovamento delle due ragazze si erano sparse ovunque. La popolazione era terrorizzata e si era ritrovata in chiesa per chiedere al prete una benedizione particolare.
Anche Gastone era fra loro e lasciò il vaso con i quattro occhi ben nascosto dietro la statua della Madonna. Aveva ancora una cosa da fare.
Si avvicinò alla madre della bambina che aveva salvato e la salutò. Le chiese informazioni su cosa fosse successo e la donna gli disse della tragedia che aveva colpito il suo padrone. Teneva stretta la bambina, si vedeva che aveva paura. Alla fine della riunione le accompagnò al loro calesse e ne approfittò per lasciare un piccolo involucro con la ciocca di capelli rossi intrecciati col nastro blu e il nome di Cestelli ben in mostra.
Morietti era dal mugnaio. I due uomini erano soli e il padre delle ragazze era raggelato da quanto gli era successo. Costantino non capiva cosa provasse quell’uomo, era stato un enigma da sempre. Sapeva bene che l’unica cosa che gli interessava erano i soldi e i ragazzini e si curava poco dei suoi famigliari, sembrava un uomo che non prova amore per nessuno se non per se stesso.
“Entrambe le mie figlie! Ti rendi conto? Tutte e due uccise barbaramente, compresi i due uomini di scorta. Un piano ben studiato e pianificato.” Qualcuno bussò alla porta ed entrò una delle guardie. Lasciò un involucro sulla scrivania. Entrambi sapevano cosa conteneva. Il mugnaio aprì il cassetto ed estrasse la prima ciocca che aveva ricevuto. Fino a quel momento era l’unico ad averne ricevuto due.
“So di sicuro che Numero Uno si sta muovendo. Il marchese ha ricevuto il nostro guardia boschi che si è lamentato di essere seguito nel suo lavoro. Sembra che un uomo gli abbia chiesto di aiutarlo in qualcosa ma lui ha rifiutato, lui esegue solo i nostri ordini e vuole sapere cosa sta succedendo.”
“Dobbiamo trovare questa bestia. Non possiamo restare passivi. Sei sicuro che c’è da fidarsi di questo Gastone?”
“Pare che sia un uomo serio e di parola. Infatti ha subito informato il marchese di quello che sta succedendo. E’ già stato controllato, è un gran lavoratore e svolge molto bene il suo lavoro. Se fossimo noi a chiedergli di fare altro sono sicuro che accetterebbe.”
“Non possiamo andare contro le regole, Numero Uno è stata molto chiara. Non voglio perdere i miei privilegi, proprio adesso che voglio ritirarmi dagli affari e lasciare tutto in mano ai miei figli.”
“Non puoi lasciare i Cavalieri. Lo sai che non lo puoi fare!”
“Hanno ucciso le mie figlie, credi che non possa essere un valido argomento?”
“Stai rischiando grosso. Stai molto attento, sai bene di cosa è capace Numero Uno.”
“Puoi lasciarmi, non ho intenzione di commettere azioni insensate. Vado a esprimere un po’ di dolore di padre affranto, anche se quelle figlie non erano le mie figlie e non le ho mai amate.”


Romanzo di Milena Ziletti - diritti e proprietà a lei riservati

sabato 25 luglio 2020

19 MAGGIO 2030 - DOMENICA


19 maggio 2030 – domenica


E’ una domenica bellissima, da un paio di giorni il cielo è limpido e non succedeva da troppo tempo. Da ieri la maggior parte delle persone esce di casa senza la mascherina davanti alla bocca e senza gli appositi occhiali.
Mio marito ed io abbiamo fatto come tante persone di questa città: siamo andati al parco con una borsa di vettovaglie per noi e da dividere con chi vorrà. Ho settantatre anni e mio marito due di più, siamo rimasti in pochissimi oltre i settant’anni.
Il parco brulica di bambini festosi che giocano e urlano, di genitori che sorridono e si tengono per mano, di mamme che aprono quelle maledette scatolette di cibo pronto, nessuno ha più voglia di cucinare e si avvelenano con cibo preparato.
E’ davvero un piacere questa allegria, ma… io non sono tranquilla. Mio marito mi osserva, mi capisce al volo e non parla, cerca di godere di questo bel trambusto e ripensiamo a come era diverso prima del terzo millennio.
Osservo il cielo, sono vecchia ma gli occhiali mi danno una vista perfetta, così come il microscopico apparecchio acustico che sono costretta a portare ma che nessuno può vedere. Ho tutti i sensi sempre all’erta, da alcuni giorni ancora più del solito. Lo so, lo sento, mi scorre nelle vene e nel corpo tutto la sensazione che ormai conosco bene, quella che mi ha permesso di salvare la mia vita e quella di mio marito, il mio non volermi mai fidare, di mettere tutto in discussione e per questo sono una ricercata per complottismo e sovversione. Non c’è niente da fare, io sono ancora Aliena e questo non lo posso cambiare, nemmeno se mi incatenano o mi ammazzano.
Lo sguardo di mio marito si fa preoccupato, vorrebbe parlarmi ma sa che non è il momento, sa che sto percependo qualcosa che presto tramuterò in parole anche per lui. Il mio silenzio si protrae e lui, gentilmente mi chiede cosa ti preoccupa, mia cara?  Ho le mani gelate, eppure è un pomeriggio caldo. Osserva il cielo, è troppo immobile, ascolta e non senti nemmeno un uccello cantare, c’è troppo ossigeno e non siamo più abituati a questa sensazione. Niente di tutto questo è naturale!
Lui sospira, sa che il pericolo è costantemente con noi.
Inizia tutto come un gioco. Nel cielo compaiono piccoli aerei silenziosi che rilasciano oggetti colorati mentre la musica li accompagna fino a terra. Cambiano colore, si attorcigliano come figure di un caleidoscopio o come palloncini manipolati dai clown per divertire i più piccoli. La gioia e il divertimento di bambini e genitori si fa ancora più accentuata.
Ed io capisco.
Raccolgo in fretta le mie borse e mi metto ad urlare scappiamo, dobbiamo fuggire il più lontano possibile! Alcune persone lì vicine mi guardano come se fossi una vecchia pazza e continuano ad osservare quegli oggetti colorati e fluttuanti che si avvicinano sempre più.
Alcune coppie con i loro figli mi osservano, un papà si avvicina e vede i miei occhi spiritati. Cosa succede, signora? Mi chiede trattenendo il fiato. Appena quei cosi toccheranno terra sprigioneranno il loro veleno, dobbiamo fuggire! Tre coppie con i loro figli raccolgono le loro borse. Seguitemi, ci sono alcune grotte ed io ne conosco una non lontana che fa al caso nostro, non c’è tempo da perdere.
La musica che accompagna gli oggetti fluttuanti si è fatta assordante mentre noi corriamo alla grotta. C’è un’apertura piuttosto piccola e si passa a schiena bassa uno alla volta. Ci siamo tutti, quattro coppie noi compresi e sei bambini. Chiudiamo l’apertura con quello che abbiamo e riprendiamo fiato.
E’ un botto assordante che ci giunge dopo pochi secondi. Gli oggetti fluttuanti sono caduti a terra e si sono rotti, lasciando libere tante gocce nebulizzate e molto profumate. Ci vogliono solo pochi minuti prima che il silenzio cali sul parco.
Nessuno di noi ha voglia di parlare, siamo tutti spaventati. Paolo mi si avvicina e si presenta. Ho un piccolo drone, che dice se lo faccio uscire? Lo guardo meravigliata, è un oggetto che non potrebbe avere, è vietato dal regime ma lui se lo è costruito da solo. Non è più grande di un pacchetto di sigarette ed ha una telecamera che trasmette le immagini sul suo cellulare. Fallo uscire subito, fra poco saranno qui! Imposta i dati e con un silenzioso ronzio lo fa partire. Siamo tutti con gli occhi incollati al video del cellulare mentre il drone sorvola il parco. Non c’è una persona in piedi, sono tutti a terra, qualcuno si lamenta, altri sono immobili, altri ancora cercano di muoversi. In lontananza si sentono i rumori di elicotteri che si avvicinano e Paolo fa rientrare subito il drone.
Dobbiamo stare immobili e in silenzio il più possibile. Se si accorgono di noi siamo finiti. Dovremo restare qui a lungo ma il pericolo maggiore è da ora. Cinque grandi elicotteri bianchi sono atterrati. Posso immaginare benissimo quello che stanno facendo ma me ne sto in silenzio, ci sarà tempo dopo per parlare.
Passare ore in una scomoda posizione, in silenzio e con i nervi tesi non è agevole, per fortuna i bambini, stretti ai loro genitori sono molto bravi. Guardo l’orologio, sono passate cinque ore, presto il sole tramonterà. Abbiamo contato silenziosamente gli elicotteri che si allontanavano, e tutti e cinque, alla fine si sono alzati in volo. La paura è che qualcuno sia rimasto di guardia, meglio aspettare ancora. Portiamo i bambini in un anfratto per i loro bisogni, poi tocca a noi.
Abbiamo del cibo e delle coperte e, dopo aver mangiato ci mettiamo vicini e attendiamo ancora.
Un bambino mi chiede che cosa sarà successo? Lo guardo e provo tanta pena. Alzo lo sguardo e incontro gli occhi di Paolo. Ci racconti, signora, noi non abbiamo paura!
Mio marito mi tiene le mani che hanno cominciato a tremare. Bisogna andare indietro nel tempo, tutto è cominciato in sordina per poi continuare alla luce del sole. Hanno cominciato con malattie sconosciute a decimare la popolazione. Poi sono comparsi in cielo aerei bianchi e silenziosi che lasciavano scie immense che coprivano il cielo e il sole. Sono andati avanti degli anni sempre aumentando le dosi di veleno che irroravano sulla terra, mentre la manipolazione del clima continuava in silenzio con la complicità dei vari governi. Ma non era ancora abbastanza per i loro scopi. Allora hanno obbligato a vaccinazioni di massa i bambini, immettendo nei loro corpi talmente tanto veleno da renderli soggetti ubbidienti come i loro genitori. Alcuni governi si sono ribellati, hanno tenuto duro ma alla fine sono stati costretti a cedere. Vaccinazioni di massa per bimbi e anziani, veleni dal cielo e veleni nel cibo. Micro chips impiantati alla nascita e all’inizio dell’età lavorativa. Non potevi ottenere niente se non facevi tutto come volevano loro. Hanno terminato bambini non sani, altri ne hanno tenuti per sperimentare i loro farmaci, e hanno terminato tutti i vecchi e malati. Mio marito ed io ci siamo salvati perché non ci siamo mai arresi, siamo scappati e continuiamo a scappare fino a che avremo fiato, ora non ci cercano perché pensano che siamo morti, non c’è più nessuno che ha superato i settant’anni, tranne loro, quelli che hanno iniziato tutto questo e che ora governano tutto il mondo. Quando usciremo da qui vi accorgerete che non ci sarà nessun bambino, li avranno portati via tutti, alcuni non possono essere sopravvissuti ma alcuni sì, ed è di questi che hanno bisogno. Se un bambino arriva a dieci anni e supera anche il veleno che hanno irrorato oggi significa che ha un DNA forte e particolare, è di questo che hanno bisogno, per studiare il modo di ottenere la loro immortalità, tutto è cominciato per questo: per avere risorse e immortalità su questa terra e per trasmettere ai loro discendenti questo gene. All’inizio tanta gente si è accorta di quanto succedeva, lo diceva apertamente e tutti loro sono stati terminati. I social erano sotto stretta sorveglianza e l’algoritmo che avevano ideato non lasciava speranza a chi usava certe parole che venivano subito segnalate. Oh c’è stata molta lotta, una tenacia incredibile ma la maggioranza era talmente assoggettata e con la mente avvelenata che chi osava essere contro veniva accusato di sovversione e imprigionato. Le libertà sono state tolte in nome di religioni false e ipocrite, di governanti che per un po’ si sono seduti al tavolo dei grandi per poi fare la fine che si meritavano. La democrazia è stata eletta da tutti i governi, ma è manipolata sempre secondo il loro volere. Siamo arrivati a questo punto perché loro sono stati bravi e il popolo non ha saputo più ribellarsi. Io sono vecchia ma non smetto di lottare, oggi ho salvato voi che potrete portare avanti la vostra lotta di libertà. Ce ne solo altri, è pericoloso ma non c’è altra via d’uscita che riunire le forze del bene e far capire alla massa che si deve risvegliare.
Il silenzio ha accompagnato le mie parole. Chiedo a Paolo di far uscire il drone, ora è notte fonda e sono quasi certa che loro se ne siano andati tutti e che le persone a terra siano ancora lì, purtroppo qualcuno non si alzerà più.
Il lieve ronzio accompagna il drone mentre i nostri occhi fissano il piccolo schermo. Non mi sono sbagliata, purtroppo, è come avevo previsto.
Ora possiamo uscire. Alcuni si stanno alzano e si guardano attorno smarriti, il buio è rischiarato solo dalle piccole lampade del parco. Si sentono lamenti ma c’è ancora troppa calma.
Paolo mi guarda. Cosa si può fare, signora? Gli prendo la mano, è un uomo che mi piace, sento che potrebbe essere un leader. Osserva questa gente, vedrai che non sanno neppure soffrire per la mancanza dei propri figli. Fino a quando non torneranno a sentire il dolore per quello che perdono non ci sarà niente da fare, vanno risvegliati.
Io non so come fare, già devo lottare per mantenermi in vita con mio marito, siamo forse i più vecchi del pianeta fra la gente comune, solo perché io non mi sono mai arresa e mi sono affidata alla mia parte aliena.


racconto scritto da Milena Ziletti due anni fa - diritti e proprietà a lei riservati