IL SEGRETO DELLA LUNA
parte cinquantasei
Gastone non
si era perso nemmeno una parola. Era contento che ci fosse subbuglio fra quei
maledetti e ce ne sarebbe stato molto di più, ci avrebbe pensato lui e giurò di
nuovo a se stesso che non avrebbe permesso il sacrificio di due giovani
innocenti, doveva anticipare il piano che aveva studiato. C’era ancora tempo ed
era curioso di ascoltare cosa si sarebbero detti nella riunione del prossimo
plenilunio.
Doveva
tornare in fretta al paese, Margherita lo aspettava. Le aveva promesso di
passare il pomeriggio con lei e si era fatto tardi. Si sarebbe fatto perdonare,
era una donna meravigliosa e aveva capito che lei si era innamorata, doveva
pensare anche a lei ma c’era ancora tempo.
Capitolo ventisei
Margherita e
Gastone passarono la serata mangiando e facendo sesso. Col caldo che faceva
avevano le finestre aperte ed erano abbracciati a guardare il sole che
tramontava che lasciava colori bellissimi. Stavano in silenzio, accarezzandosi
come se fossero degli assetati che non riuscivano a togliersi l’arsura. La
donna amava quell’uomo enigmatico ma sapeva bene che non doveva farsi
illusioni, era sicura che un bel giorno tutto sarebbe finito, quell’uomo non
era uno che rimane fisso in un posto e lei era certa che, quando avrebbe deciso
di andarsene non le avrebbe chiesto di seguirlo.
“Cosa
pensi?” Le sussurrò Gastone.
Margherita
fece un sospiro. “Penso a quando te ne andrai. So che mi mancherai, così come
so che non potrò trattenerti. O sbaglio?”
Ci furono
alcuni istanti di silenzio.
“Hai
ragione. Arriverà anche il giorno in cui me ne andrò, ma c’è tempo. Per ora
voglio godermi il presente, con te.”
Non si erano
mai raccontati storie e non avrebbero cominciato ora. Il loro rapporto era
diretto e sincero e così sarebbe stato, finché sarebbe durato.
Era quasi
l’alba quando Gastone uscì dalla casa di Margherita. Il suo cavallo lo
aspettava ed era nervoso. Capì subito che qualcosa o qualcuno lo aveva
infastidito. Si soffermò a lungo a controllare i finimenti, ad allacciarli, ad
accarezzare Amleto. Salì in groppa e prese la strada di casa.
Sapeva di
essere seguito ma non si voltò nemmeno una volta. Arrivò a casa, mise Amleto
nella stalla e si sedette sul bordo della vasca della pompa, in attesa.
Il sole si
stava alzando con tutto il suo splendore. Luglio premeva alle porte con un
caldo afoso e soffocante, ancora poche ore e la calura sarebbe stata insopportabile.
Rufus lo
aveva sentito arrivare e lo aveva raggiunto, ringhiando sotto voce. Rimase
fermo col cane vicino, lo accarezzava tenendolo tranquillo. Aspettò ancora
parecchio ma nessuno si palesava.
Si lavò il
viso ed entrò che Cincia stava friggendo le uova.
Fecero
colazione e, senza mai dire una parola, Gastone uscì e riprese il suo lavoro.
Era abituato
a vagare da solo nei boschi, in riva al fiume e in ogni luogo che gli avevano
assegnato. Si fermò sulla riva del fiume che era quasi in secca. Da tempo non
pioveva e si preannunciava un’estate torrida. Avrebbe avuto un gran da fare a
tenere il letto pulito e pronto, in qualsiasi momento arrivasse una piena.
Era scalzo,
i piedi immersi in poca acqua e sollevava massi spostando detriti che il tempo
e il fiume avevano depositato. Sudava abbondantemente ma i piedi nell’acqua lo
refrigeravano. I massi che aveva fatto esplodere erano stati sistemati. Era un
fiume placido, con tanti pesci e acqua per irrigare i campi, ma quando si
“infuriava” faceva molti danni, e lui voleva evitare che ciò accadesse.
Alzò lo
sguardo e vide uno degli uomini incaricato dalla contessa a controllare e
investigare. Era fermo, immobile e osservava Gastone da sotto il cappello.
Rimase a lungo ad osservarlo lavorare. Entrambi sapevano che erano lì ma
nessuno parlava.
Gastone
terminò quello che stava facendo è uscì dall’acqua. Prese una borraccia dalla
sella di Amleto e bevve avidamente.
“Ne vuole un
po’?” Chiese allo sconosciuto.
“Volentieri!”
Rispose quello.
Rimasero in
piedi, appoggiati ad un grande masso, in silenzio.
“Chi è? Cosa
vuole da me?” Chiese Gastone.
“Credo che
sappia che sono un investigatore. Sa benissimo quello che è successo e qualcuno
vuole vederci chiaro. Lei è troppo sveglio per far finta di niente!”
“Io mi
faccio i cavoli miei e non mi curo di niente altro. Non penso che sia un
delitto.”
“Lei è
troppo esperto per fare questo lavoro di poco conto, sembra un uomo con ben
altre abilità, perché fa un lavoro così umile?”
“Faccio
quello che mi piace, e mi pagano bene. Perciò riprendo il lavoro prima che
qualcuno vada a riferire che perdo tempo invece di lavorare.” L’allusione era
evidente.
“Non sono
qui per fare questo genere di controllo, tutti dicono che lei è un gran
lavoratore.”
“E allora
cosa cazzo vuole?”
“Interrogarla.
E’ il mio lavoro.”
“Vada al
diavolo e mi lasci in pace.”
“Io non
mollo facilmente. Ci rivedremo ancora e le assicuro che ottengo sempre quello
che voglio.” Montò sul suo cavallo e se ne andò.
Gastone era
arrabbiato e preoccupato. Quello, con i suoi compari non avrebbero mollato
facilmente la presa, doveva pensare a come toglierseli di torno. Doveva trovare
il modo.
Rimontò a
cavallo e si diresse nel bosco, almeno ci sarebbe stato un po’ di fresco. Il
silenzio era colmo del canto degli uccelli, del ronzio degli insetti. Rufus non
era tranquillo e questo rendeva agitato anche il suo padrone.
Il sole era
alto ma nel sottobosco si stava bene. Gastone si fermò e tolse dalla bisaccia
il pranzo che si era portato. Si sedette mentre il suo cavallo riposava e
divise il pasto con Rufus. I suoi pensieri vagavano in tante, troppe direzioni:
voleva portare a termine la sua vendetta, doveva stare attento agli
investigatori, voleva salvare le due ragazze del sacrificio di ottobre. Tutto
era prioritario, tutto per raggiungere il suo scopo.
Sentì
crescere dentro di sé una rabbia immensa. Quanto potere avevano quei maledetti?
Quante risorse? E se avesse eliminato qualcuno di loro? Poi gli venne un’idea,
una folle idea e pure pericolosa. Un brivido gli percorse la schiena, ormai
aveva deciso. Finì il suo semplice pasto e rimontò in sella ad Amleto
riprendendo il suo lavoro. Ora aveva un piano, deviava un po’ dal suo percorso
ma sarebbe servito, oh se sarebbe servito!
I grilli
avevano cominciato il loro concerto quando Gastone entrò in casa. La cena era
in tavola, finalmente un pasto decente e della buona birra fresca. Cincia era
seduta e lo aspettava. Aveva notato che da alcuni giorni mangiava molto poco e
sembrava più stanca del solito.
“Ti senti
bene, Cincia?”
“Sono
vecchia, troppo vecchia, fa in fretta il tuo lavoro o non arriverò a goderne
del risultato ma, prima pensa alla tua incolumità, io ti aiuterò anche
dall’altro mondo se sarà necessario.”
“Vuoi che ti
chiami un dottore? Un aiuto per la casa? Qualcuno che ti faccia compagnia?”
“Non mi
serve niente ma un po’ di compagnia mi farebbe piacere. Chiederò a Margherita
di passare con me un po’ del suo tempo e sono sicura che sarà felice di poterti
vedere di più. Mi farò aiutare nelle faccende e la pagherai, così ci sarà un
accordo onesto per tutti.”
Gastone
assentiva mentre mangiava. Era perso nei suoi pensieri.
“Cosa ti
frulla in testa?” Gli chiese Cincia.
“Oggi uno
degli investigatori mi ha seguito e voleva interrogarmi. Devo togliermeli di
torno e credo di aver trovato una soluzione. Mi farà perdere un po’ di tempo ma
devo assolutamente ritrovare la mia libertà di movimento.”
“Stai molto
attento. Quella è gente che non scherza ed è protetta da quei delinquenti
potenti.”
“Lo so.
L’unica cosa che mi dispiace e che dovrò far soffrire persone innocenti, ma è
colpa loro, non mia.”
Gastone
terminò di mangiare e aiutò la vecchia a sparecchiare.
“Vai a
riposarti. Vado da Margherita e le chiederò di venire da te, ci penso io a
pagarla, ho molto più di quello che mi serve.”
Era iniziato
luglio coi lavori nei campi e nei vigneti, almeno per quello che ne restava.
C’era poco da raccogliere. I contadini zappavano e dissodavano il terreno senza
sapere che così facendo distribuivano maggiormente il veleno nel terreno.
Gli animali che
Morietti aveva comprato si erano ammalati e molti erano stati abbattuti o erano
morti. Anche i meravigliosi stalloni di Gorrini avevano cominciato a stare male
e il marchese era furioso per come andavano i suoi affari, sempre peggio.
Le sere non
rinfrescavano e l’afa ammorbava l’aria. C’era un odore di carne bruciata che
non passava mai, inoltre il fiume da tempo si andava prosciugando. Sembrava
davvero una maledizione, non era mai successo niente di simile a memoria di
uomo in quel posto.
C’era paura
e la si respirava. Ancora prima del tramonto la gente si ritirava in casa
avendo paura perfino di tenere le finestre aperte. Ogni rumore procurava ansia
e i bambini non venivano lasciati soli.
Gastone
decise di procedere con il suo piano.
Era notte e
il silenzio era rotto dai gufi e dai grilli, nient’altro si sentiva. Furtivo e
silenzioso, vestito dei suoi abiti neri stava forzando la serratura della casa
del fabbro. Sapeva che era solo e che lo sarebbe stato ancora per poco prima di
risposarsi, per questo aveva deciso di iniziare da lui.
Entrò senza
troppi problemi e si fermò per abituare gli occhi alla semi oscurità. Sapeva
che le camere da letto erano al piano superiore ma sentiva un ronfare venire
dalla stanza lì vicina. Cauto e silenzioso guardò nella stanza e vide il fabbro
che dormiva su uno scalcinato sofà e in terra erano posati due fiaschi di vino
vuoti. Sorrise fra sé, la sbornia di quell’uomo gli avrebbe facilitato il
compito.
Estrasse lo
straccio imbevuto di cloroformio e tappò naso e bocca all’uomo che dormiva, il
quale passò dal dormire da sbornia al dormire narcotizzato, senza accorgersene.
Legò mani e
piedi e impedì la bocca con un fazzoletto ben stretto. Avvolse il corpo in una
coperta, se lo caricò in spalla e uscì. Ora veniva il pericolo maggiore.
Aveva fatto
vari giri a vuoto prima di entrare in casa del fabbro, aveva usato tutti i suoi
sensi per capire se qualcuno lo seguiva ma, a meno che fosse bravo e invisibile
come un fantasma lui non aveva sentito o percepito nessuno. Era venuto a piedi
e senza Rufus, e questo lo rendeva nervoso ma non poteva correre nessun
rischio. Il peso che trasportava non era indifferente e la strada da percorrere
era lunga. Ci mise parecchie ore e il sole sarebbe sorto di lì a poco. Gastone
aveva già studiato tutto nei minimi particolari ma la fatica lo aveva fatto
rallentare. Superò il passaggio segreto e andò dritto nel pollaio. Posò a terra
il fabbro e riposò le braccia. Aprì il portoncino ed entrò con l’uomo ancora
svenuto. Lo mise vicino al corpo del capo dei guardiani di Morietti, gli
strinse i legacci e lo lasciò lì. Avrebbe voluto interrogarlo ma sapeva che non
aveva più tempo e sperava di poter tornare e terminare quello che doveva fare.
Romanzo di Milena Ziletti - diritti e proprietà a lei riservati
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