mercoledì 29 luglio 2020

IL SEGRETO DELLA LUNA


IL SEGRETO DELLA LUNA

parte cinquantasei






Gastone non si era perso nemmeno una parola. Era contento che ci fosse subbuglio fra quei maledetti e ce ne sarebbe stato molto di più, ci avrebbe pensato lui e giurò di nuovo a se stesso che non avrebbe permesso il sacrificio di due giovani innocenti, doveva anticipare il piano che aveva studiato. C’era ancora tempo ed era curioso di ascoltare cosa si sarebbero detti nella riunione del prossimo plenilunio.
Doveva tornare in fretta al paese, Margherita lo aspettava. Le aveva promesso di passare il pomeriggio con lei e si era fatto tardi. Si sarebbe fatto perdonare, era una donna meravigliosa e aveva capito che lei si era innamorata, doveva pensare anche a lei ma c’era ancora tempo.

Capitolo ventisei
Margherita e Gastone passarono la serata mangiando e facendo sesso. Col caldo che faceva avevano le finestre aperte ed erano abbracciati a guardare il sole che tramontava che lasciava colori bellissimi. Stavano in silenzio, accarezzandosi come se fossero degli assetati che non riuscivano a togliersi l’arsura. La donna amava quell’uomo enigmatico ma sapeva bene che non doveva farsi illusioni, era sicura che un bel giorno tutto sarebbe finito, quell’uomo non era uno che rimane fisso in un posto e lei era certa che, quando avrebbe deciso di andarsene non le avrebbe chiesto di seguirlo.
“Cosa pensi?” Le sussurrò Gastone.
Margherita fece un sospiro. “Penso a quando te ne andrai. So che mi mancherai, così come so che non potrò trattenerti. O sbaglio?”
Ci furono alcuni istanti di silenzio.
“Hai ragione. Arriverà anche il giorno in cui me ne andrò, ma c’è tempo. Per ora voglio godermi il presente, con te.”
Non si erano mai raccontati storie e non avrebbero cominciato ora. Il loro rapporto era diretto e sincero e così sarebbe stato, finché sarebbe durato.
Era quasi l’alba quando Gastone uscì dalla casa di Margherita. Il suo cavallo lo aspettava ed era nervoso. Capì subito che qualcosa o qualcuno lo aveva infastidito. Si soffermò a lungo a controllare i finimenti, ad allacciarli, ad accarezzare Amleto. Salì in groppa e prese la strada di casa.
Sapeva di essere seguito ma non si voltò nemmeno una volta. Arrivò a casa, mise Amleto nella stalla e si sedette sul bordo della vasca della pompa, in attesa.
Il sole si stava alzando con tutto il suo splendore. Luglio premeva alle porte con un caldo afoso e soffocante, ancora poche ore e la calura sarebbe stata insopportabile.
Rufus lo aveva sentito arrivare e lo aveva raggiunto, ringhiando sotto voce. Rimase fermo col cane vicino, lo accarezzava tenendolo tranquillo. Aspettò ancora parecchio ma nessuno si palesava.
Si lavò il viso ed entrò che Cincia stava friggendo le uova.
Fecero colazione e, senza mai dire una parola, Gastone uscì e riprese il suo lavoro.
Era abituato a vagare da solo nei boschi, in riva al fiume e in ogni luogo che gli avevano assegnato. Si fermò sulla riva del fiume che era quasi in secca. Da tempo non pioveva e si preannunciava un’estate torrida. Avrebbe avuto un gran da fare a tenere il letto pulito e pronto, in qualsiasi momento arrivasse una piena.
Era scalzo, i piedi immersi in poca acqua e sollevava massi spostando detriti che il tempo e il fiume avevano depositato. Sudava abbondantemente ma i piedi nell’acqua lo refrigeravano. I massi che aveva fatto esplodere erano stati sistemati. Era un fiume placido, con tanti pesci e acqua per irrigare i campi, ma quando si “infuriava” faceva molti danni, e lui voleva evitare che ciò accadesse.
Alzò lo sguardo e vide uno degli uomini incaricato dalla contessa a controllare e investigare. Era fermo, immobile e osservava Gastone da sotto il cappello. Rimase a lungo ad osservarlo lavorare. Entrambi sapevano che erano lì ma nessuno parlava.
Gastone terminò quello che stava facendo è uscì dall’acqua. Prese una borraccia dalla sella di Amleto e bevve avidamente.
“Ne vuole un po’?” Chiese allo sconosciuto.
“Volentieri!” Rispose quello.
Rimasero in piedi, appoggiati ad un grande masso, in silenzio.
“Chi è? Cosa vuole da me?” Chiese Gastone.
“Credo che sappia che sono un investigatore. Sa benissimo quello che è successo e qualcuno vuole vederci chiaro. Lei è troppo sveglio per far finta di niente!”
“Io mi faccio i cavoli miei e non mi curo di niente altro. Non penso che sia un delitto.”
“Lei è troppo esperto per fare questo lavoro di poco conto, sembra un uomo con ben altre abilità, perché fa un lavoro così umile?”
“Faccio quello che mi piace, e mi pagano bene. Perciò riprendo il lavoro prima che qualcuno vada a riferire che perdo tempo invece di lavorare.” L’allusione era evidente.
“Non sono qui per fare questo genere di controllo, tutti dicono che lei è un gran lavoratore.”
“E allora cosa cazzo vuole?”
“Interrogarla. E’ il mio lavoro.”
“Vada al diavolo e mi lasci in pace.”
“Io non mollo facilmente. Ci rivedremo ancora e le assicuro che ottengo sempre quello che voglio.” Montò sul suo cavallo e se ne andò.
Gastone era arrabbiato e preoccupato. Quello, con i suoi compari non avrebbero mollato facilmente la presa, doveva pensare a come toglierseli di torno. Doveva trovare il modo.
Rimontò a cavallo e si diresse nel bosco, almeno ci sarebbe stato un po’ di fresco. Il silenzio era colmo del canto degli uccelli, del ronzio degli insetti. Rufus non era tranquillo e questo rendeva agitato anche il suo padrone.
Il sole era alto ma nel sottobosco si stava bene. Gastone si fermò e tolse dalla bisaccia il pranzo che si era portato. Si sedette mentre il suo cavallo riposava e divise il pasto con Rufus. I suoi pensieri vagavano in tante, troppe direzioni: voleva portare a termine la sua vendetta, doveva stare attento agli investigatori, voleva salvare le due ragazze del sacrificio di ottobre. Tutto era prioritario, tutto per raggiungere il suo scopo.
Sentì crescere dentro di sé una rabbia immensa. Quanto potere avevano quei maledetti? Quante risorse? E se avesse eliminato qualcuno di loro? Poi gli venne un’idea, una folle idea e pure pericolosa. Un brivido gli percorse la schiena, ormai aveva deciso. Finì il suo semplice pasto e rimontò in sella ad Amleto riprendendo il suo lavoro. Ora aveva un piano, deviava un po’ dal suo percorso ma sarebbe servito, oh se sarebbe servito!
I grilli avevano cominciato il loro concerto quando Gastone entrò in casa. La cena era in tavola, finalmente un pasto decente e della buona birra fresca. Cincia era seduta e lo aspettava. Aveva notato che da alcuni giorni mangiava molto poco e sembrava più stanca del solito.
“Ti senti bene, Cincia?”
“Sono vecchia, troppo vecchia, fa in fretta il tuo lavoro o non arriverò a goderne del risultato ma, prima pensa alla tua incolumità, io ti aiuterò anche dall’altro mondo se sarà necessario.”
“Vuoi che ti chiami un dottore? Un aiuto per la casa? Qualcuno che ti faccia compagnia?”
“Non mi serve niente ma un po’ di compagnia mi farebbe piacere. Chiederò a Margherita di passare con me un po’ del suo tempo e sono sicura che sarà felice di poterti vedere di più. Mi farò aiutare nelle faccende e la pagherai, così ci sarà un accordo onesto per tutti.”
Gastone assentiva mentre mangiava. Era perso nei suoi pensieri.
“Cosa ti frulla in testa?” Gli chiese Cincia.
“Oggi uno degli investigatori mi ha seguito e voleva interrogarmi. Devo togliermeli di torno e credo di aver trovato una soluzione. Mi farà perdere un po’ di tempo ma devo assolutamente ritrovare la mia libertà di movimento.”
“Stai molto attento. Quella è gente che non scherza ed è protetta da quei delinquenti potenti.”
“Lo so. L’unica cosa che mi dispiace e che dovrò far soffrire persone innocenti, ma è colpa loro, non mia.”
Gastone terminò di mangiare e aiutò la vecchia a sparecchiare.
“Vai a riposarti. Vado da Margherita e le chiederò di venire da te, ci penso io a pagarla, ho molto più di quello che mi serve.”
Era iniziato luglio coi lavori nei campi e nei vigneti, almeno per quello che ne restava. C’era poco da raccogliere. I contadini zappavano e dissodavano il terreno senza sapere che così facendo distribuivano maggiormente il veleno nel terreno.
Gli animali che Morietti aveva comprato si erano ammalati e molti erano stati abbattuti o erano morti. Anche i meravigliosi stalloni di Gorrini avevano cominciato a stare male e il marchese era furioso per come andavano i suoi affari, sempre peggio.
Le sere non rinfrescavano e l’afa ammorbava l’aria. C’era un odore di carne bruciata che non passava mai, inoltre il fiume da tempo si andava prosciugando. Sembrava davvero una maledizione, non era mai successo niente di simile a memoria di uomo in quel posto.
C’era paura e la si respirava. Ancora prima del tramonto la gente si ritirava in casa avendo paura perfino di tenere le finestre aperte. Ogni rumore procurava ansia e i bambini non venivano lasciati soli.
Gastone decise di procedere con il suo piano.
Era notte e il silenzio era rotto dai gufi e dai grilli, nient’altro si sentiva. Furtivo e silenzioso, vestito dei suoi abiti neri stava forzando la serratura della casa del fabbro. Sapeva che era solo e che lo sarebbe stato ancora per poco prima di risposarsi, per questo aveva deciso di iniziare da lui.
Entrò senza troppi problemi e si fermò per abituare gli occhi alla semi oscurità. Sapeva che le camere da letto erano al piano superiore ma sentiva un ronfare venire dalla stanza lì vicina. Cauto e silenzioso guardò nella stanza e vide il fabbro che dormiva su uno scalcinato sofà e in terra erano posati due fiaschi di vino vuoti. Sorrise fra sé, la sbornia di quell’uomo gli avrebbe facilitato il compito.
Estrasse lo straccio imbevuto di cloroformio e tappò naso e bocca all’uomo che dormiva, il quale passò dal dormire da sbornia al dormire narcotizzato, senza accorgersene.
Legò mani e piedi e impedì la bocca con un fazzoletto ben stretto. Avvolse il corpo in una coperta, se lo caricò in spalla e uscì. Ora veniva il pericolo maggiore.
Aveva fatto vari giri a vuoto prima di entrare in casa del fabbro, aveva usato tutti i suoi sensi per capire se qualcuno lo seguiva ma, a meno che fosse bravo e invisibile come un fantasma lui non aveva sentito o percepito nessuno. Era venuto a piedi e senza Rufus, e questo lo rendeva nervoso ma non poteva correre nessun rischio. Il peso che trasportava non era indifferente e la strada da percorrere era lunga. Ci mise parecchie ore e il sole sarebbe sorto di lì a poco. Gastone aveva già studiato tutto nei minimi particolari ma la fatica lo aveva fatto rallentare. Superò il passaggio segreto e andò dritto nel pollaio. Posò a terra il fabbro e riposò le braccia. Aprì il portoncino ed entrò con l’uomo ancora svenuto. Lo mise vicino al corpo del capo dei guardiani di Morietti, gli strinse i legacci e lo lasciò lì. Avrebbe voluto interrogarlo ma sapeva che non aveva più tempo e sperava di poter tornare e terminare quello che doveva fare.


Romanzo di Milena Ziletti - diritti e proprietà a lei riservati

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