lunedì 6 luglio 2020

IL SEGRETO DELLA LUNA


IL SEGRETO DELLA LUNA

parte trentanove






“Ti rendi conto che se avessi fatto qualcosa in questi mesi sarei stato scoperto e tu con me?” Ebbe un brivido al pensiero.
“Ma non è successo. Dopo tutto c’è una giustizia a questo mondo.”
“Da domani dovrò cambiare le mie abitudini, cambierò anche lavoro non appena mi verrà offerto. Spero di avere più libertà di movimento ma il capo dei guardiani di Morietti non mi dà tregua. Devo scoprire qualcosa di più su di lui e sugli altri tre. Ma tu immaginavi che Ermete fosse il proprietario del bordello? E cosa avrà fatto per far inviperire in tal mondo quella masnada di delinquenti? E c’è un’altra cosa che mi assilla: come mai pagano il sacrestano? Cosa c’entra coi cavalieri?”
“Sono sicura che lo scoprirai. A proposito ti ricordi che ti avevo promesso un aiuto per farmi perdonare della sciocchezza che ho detto? Ebbene, ora posso dartelo: so come farti entrare nella proprietà di Costantino Morietti senza che nessuno se ne accorga.”
Gastone sgranò gli occhi e le prese le mani. “Di cosa si tratta? Come hai fatto?”
“Ho ancora alcuni amici da queste parti. Domenica Alviero verrà a pranzo e saprai ogni cosa. Ora cerca di riposare. Ci penso io a mettere via il fiasco, sdraiati e fatti un bel sonno.”
Gastone non riuscì a prendere sonno, perfino Rufus sdraiato accanto a lui sentiva il nervosismo del suo padrone e gli poggiò il muso sulle gambe facendosi accarezzare la testa.
I giorni successivi non furono diversi da come dovevano essere. Il lavoro alla distilleria proseguiva mentre aspettava il compiersi degli eventi.
Come promesso da Cincia, al pranzo della domenica si presentò un uomo anziano, forse più di Cincia, ma era impossibile capirlo. Baffi lunghi e ben tenuti, candidi come i pochi capelli che aveva in testa a forma di corona.
“Entra Gastone. Ti presento Alviero Cimmì. E’ un mio vecchio amico, siamo cresciuti insieme e le nostre famiglie avrebbero voluto che ci maritassimo ma noi non eravamo per niente d’accordo. La nostra amicizia non sì e sbiadita col tempo, anche se ci vediamo poco. Purtroppo ha la tubercolosi e gli rimane poco da vivere. Non fare quella faccia, alla nostra età la morte è benvenuta. Ha qualcosa da raccontarti e un regalo da farti, ma prima mangiamo, poi discuteremo della questione.”
Gastone aveva sparecchiato e messo sul tavolo un fiasco di vino e tre bicchieri. Si erano seduti vicini ed era ansioso di sapere cosa avevano da dirgli quei due vecchi che sembravano cospiratori.
“Dai Alviero, non tirarla per le lunghe.” Lo incitò Cincia.
Aveva una piccola borsa a tracolla nella quale teneva il tabacco e i fiammiferi. La aprì e ne estrasse alcuni fogli ingialliti e parecchio spiegazzati. Li distese sul tavolo sotto gli occhi attenti dei suoi ospiti.
“Questa piantina l’ho trovata fra le cose di mio padre. Non voleva parlarmene ma, una sera tornò ubriaco e riuscii a fargli dire quello che volevo. Mi raccontò che il padre di Costantino voleva un passaggio segreto che lo potesse far uscire ed entrare di nascosto. Erano tempi difficili e c’erano in giro tanti briganti. Voleva un passaggio segreto e delle stanze segrete per riporvi le sue cose, non ho mai saputo cosa, e si rivolse a mio padre e alla sua piccola società di muratori. Mio padre e i suoi soci lo costruirono di notte, perché nessuno doveva esserne al corrente. Ci vollero parecchi mesi per terminarlo. Stranamente i cinque operai che parteciparono ai lavori morirono in incidenti vari nel giro di poche settimane. Mio padre aveva ricevuto l’ordine di distruggere questi disegni ma non lo fece e li nascose. Li trovai per puro caso mentre giocavo in soffitta e quando lo venne a sapere mi presi una sfuriata tremenda, che accentuò ancora di più la mia curiosità, fino a quando non gli estorsi la verità. Sono sicuro che Costantino non conosce questo passaggio, io non ho mai avuto il coraggio di esplorarlo e mi sono fatto tante supposizioni. Ora non mi servono più e te li cedo in nome della mia vecchia amicizia con Cincia.”
Gli occhi di Gastone non si staccavano da quella piantina. Aveva bisogno di studiarla e di capire dove fosse quel passaggio. Nella sua mente già si andava formando un piano per mettere al tappeto Numero Due e un sorriso gli spuntò da sotto i baffi.
“Grazie. Grazie ad entrambi. Vi garantisco che ne farò buon uso.” Si alzò e baciò Cincia sui capelli spettinati, strinse la mano al vecchio Alviero e si ritirò nel suo casotto.
“Ti ringrazio anch’io, Alviero, vecchio amico. Abbiamo ancora poca strada da percorrere qui, facciamo in modo che nemmeno un passo vada sprecato. Cerca di stare bene e torna a trovarci, un pasto in compagnia è meglio di una medicina e mi fa piacere averti con noi.”
“Lo farei volentieri se avessi ancora del tempo, ma il mio è giunto al capolinea, mia cara. Le forze mi stanno abbandonando velocemente e so che presto raggiungerò i miei cari.”
Cincia lo accompagnò avanti un pezzo e si rese conto di quanta fatica gli costava anche solo camminare. Lo abbracciò e lo salutò, sapendo che non si sarebbero più rivisti, almeno in questa vita.
Era triste la vecchia donna, aveva visto nel suo amico la sua stessa fine che si avvicinava, ma lei aveva uno scopo da raggiungere prima di morire in pace e teneva duro chiedendo all’universo intero di lasciarle quella soddisfazione prima di andarsene, aveva diritto almeno a questo.
I passi di Gastone la ridestarono dai suoi tristi pensieri. L’uomo entrò e distese la piantina sul tavolo della cucina. Aveva bisogno di luce e di qualche consiglio.
“Vieni a vedere. Qui è dove c’è l’entrata del tunnel. Qui c’è il fiume. Qui c’è la proprietà di Costantino. E’ una zona che conosco poco, tu che cosa puoi dirmi?”
“Questa è la vecchia diga del fiume. Se non mi sbaglio quella è la casa, ormai decrepita del custode. La diga ora è stata spostata e lì è tutto lasciato all’incuria. Se osservi bene non è distante dalla proprietà dei Morietti, credo sia proprio al limite dei suoi confini. Non credo nemmeno che ora rientri nelle sue proprietà, faceva parte delle terre della chiesa e quelli non mollano tanto facilmente i loro averi.”
“Farò un sopralluogo, ma devo essere prudente, non vorrei che qualcuno mi tenesse ancora d’occhio.”
Sentirono un calesse avvicinarsi alla casa. I due si guardarono negli occhi ma nessuno aspettava visite. Gastone ripiegò velocemente la carta e la consegnò a Cincia che la nascose sotto il suo materasso.
Gastone andò alla porta ancora prima che l’ospite inatteso bussasse.
“Buon giorno a te, Gastone. Sono contento di trovarti in casa.” Ermete sembrava più affaticato del solito.
“Entra, c’è del vino fresco.”
Si sedettero al tavolo ognuno immerso nei propri pensieri. Gastone aspettava che l’altro si decidesse a parlare.
“Sono venuto da te, anche se è domenica, perché ho cattive notizie da comunicarti. Mi hanno revocato tutti gli ordini per il liquore e non posso mantenere il tuo lavoro. Mi dispiace molto, sei un gran lavoratore e non volevo farti perdere tempo. Ti ho portato queste monete a saldo delle tue spettanze. Ti auguro di trovare presto qualcos’altro da fare. Ti saluto e saluto anche te, Cincia.”
Posò una borsa di monete sul tavolo e, senza attendere risposta uscì a testa bassa.
“Com’è possibile che sia avvenuto così in fretta?” Chiese sottovoce Cincia.
“Quei maledetti devono avere un gran potere. Bene vorrà dire che presto riceverò la proposta che sto aspettando e che mi permetterà di muovermi più liberamente nel territorio. Devo avere solo un po’ di pazienza.”
“Cosa pensi di fare per impedire la morte delle due ragazze?” Gli chiese con voce triste la vecchia.
“Se tutto andrà come penso, non morirà nessuna ragazza, almeno lo spero. Nel peggiore dei casi dovranno essere le ultime.”
Cincia non indagò oltre. Gastone aveva molte cose a cui pensare, doveva sistemare il mugnaio e scoprire l’identità degli altri due.

Capitolo diciotto
Era mercoledì e Gastone stava lavorando nell’orto quando il marchese arrivò. Lasciò il cavallo legato al palo e raggiunse l’uomo che stava seminando.
“Buon giorno a te.” Salutò per primo il marchese.
Gastone si alzò in piedi e rispose al saluto, ma non si tolse il cappello.
“Ti devo parlare, possiamo farlo qui o entrare in casa, per me è lo stesso.”
“Se non le dispiace preferisco parlare qui, non sono in tenuta da casa e non ho tempo di passare alla pompa.”
Il marchese rimase impassibile. L’uomo che aveva davanti lo sovrastava di una buona spanna abbondante e aveva degli occhi inquietanti.
“Ho saputo che hai perso il lavoro e sono venuto per offrirtene uno, naturalmente se sei interessato.”
“Dipende dal tipo di lavoro e dalla remunerazione.”
“Faccio parte di un consorzio di proprietari terrieri e allevatori di questa zona e abbiamo bisogno di una persona che tenga a posto un bel pezzo di terreni boschivi, quasi tutti incolti. Che esegua gli ordini che gli impartirò io personalmente. So che ami gli animali e la natura, per questo abbiamo pensato a te, soprattutto io so quanto sei discreto e ti fai i fatti tuoi. Ti interessa?”
“Certo che mi interessa se il salario è adeguato.”
Ci misero poco a mettersi d’accordo, e il lunedì successivo avrebbe iniziato il nuovo lavoro. Il marchese gli lasciò alcuni fogli con le piantine dei luoghi che doveva tenere sotto controllo e gli ricordò che doveva risponderne solo a lui. Ogni settimana avrebbe ricevuto quanto stabilito. Trattarono su altre cose e il marchese cedette alle richieste perché le riteneva congrue.
Non si strinsero la mano per sancire il patto. Non ce n’era bisogno.
Rimasto solo, Gastone riprese il suo lavoro con la mente in fermento.
Aveva alcuni giorni liberi e una scusa valida per girovagare senza timore.


Romanzo di Milena Ziletti - diritti e proprietà a lei riservati

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