lunedì 21 dicembre 2020

 COMUNICAZIONE

RIPRENDERO' IL SEGUITO DI "MISHA" CON IL NUOVO ANNO, NEL FRATTEMPO FACCIO GLI AUGURI DI BUONE FESTE E DI UN MIGLIORE ANNO NUOVO A TUTTI QUELLI CHE PASSANO E SONO PASSATI SU QUESTO BLOG.

VI RINGRAZIO TUTTI, SENZA DISTINZIONE E CON TUTTO IL CUORE.

ANCORA GRAZIE DELLA VISTRA VISITA.


MILENA - SCRITTRICE DILETTANTE PER - DILETTO E CASALINGA DI CAMPAGNA.

venerdì 18 dicembre 2020

MISHA

MISHA

parte quattordici



 

Era la fine di marzo e l’aria era ancora pungente. Le due donne erano ferme sulla porta di casa quando il carro arrivò. In silenzio vi salirono, non sapevano cosa le aspettava in quell’occasione, ma avrebbero fatto tutto quello che potevano per alleviare dolore e malattie.

Come ogni volta, il capitano delle guardie era lì pronto ad aprire il portone. Il tanfo non era diminuito, però l’ambiente era più caldo e Misha sorrise fra sé.

Il capitano chiamò il suo vice. “Accompagna la vecchia guaritrice nelle celle delle donne, lei viene con me!” Disse, precedendo la ragazza.

Misha si meravigliò che non la conducesse alle celle ma fuori dalla prigione. “Ascoltami, ragazzina, il principe Charles ti vuole vedere. Comportati bene.”

Oltrepassarono giardini che presto sarebbero fioriti, fontanelle che sprizzavano gocce d’acqua e raggiunsero un patio circondato da vegetazione alta che lo rendeva isolato da tutto il resto.

Seduto sulla panca di pietra stava il principe usurpatore. Indossava una pelliccia e le puntava lo sguardo fin da quando i suoi occhi l’avevano vista arrivare.

“Lasciaci soli.” E il capitano si allontanò.

“Ti ho voluto vedere per ringraziarti. Per merito tuo, per quello che hai fatto, ora sono più tranquillo. Io sono un principe giusto, e voglio ricambiare il tuo lavoro, c’è qualcosa che desideri?”  Le chiese.

Lui non le staccava gli occhi, era evidente la sua giovinezza e con un gesto improvviso le abbassò il cappuccio. Non era preparato a tanta bellezza, riconosceva la gioventù e la freschezza negli occhi di quella ragazzina, e i suoi capelli! Dio, non ne aveva mai visti di simili. Si rese conto di essere rimasto con la bocca aperta e recuperò il contegno.

Con gesto aggraziato, Misha si ricoprì il capo. Rimase qualche attimo in silenzio prima di rispondere.

“In effetti, vostra altezza, c’è una cosa che desidero. Al compimento del mio quindicesimo anno vorrei trasferirmi all’interno delle mura e svolgere qui il mio lavoro. Mi servirebbe una casupola, piccola, solo per me, potrei andare alla prigione regolarmente e quei poveri e povere detenuti avrebbero una vita migliore. Confido nella sua bontà, so che il  suo cuore è buono.” Gli rispose senza staccare gli occhi da quelli del principe.

“Perché vuoi occuparti di quei mentecatti? Una mia parola e potresti entrare a far parte dei guaritori dei nobili.”  Le chiese incapace di comprendere le sue intenzioni.

“Vostra altezza, io sono una semplice guaritrice del popolo, la nobiltà ha già tutto ciò che le serve ed io non mi sentirei a mio agio. Se il vostro popolo è in salute lavora meglio, è più felice, di conseguenza anche voi lo sarete.” Gli rispose.

Il principe rimase perplesso per qualche istante. “Presentati al capitano che già conosci, e lui ti condurrà alla tua nuova casa che io provvederò a trovarti. Ora puoi andare.” Si era dimenticato di chiederle come avesse fatto a far capitolare le guardie personali di suo fratello, motivo per il quale l’aveva fatta portare al suo cospetto e nemmeno se n’era accorto.

Misha gli fece un inchino mentre quello si alzava e rientrava al castello.

Il capitano arrivò e, senza dire una parola la condusse alla prigione, c’era ancora molto da fare prima che il carro riportasse a casa lei e la sua compagna.

Oltre il portone il tanfo l’accolse come ogni volta, non riusciva ad abituarsi e non si capacitava di come tutta quella gente potesse vivere in quel luogo anche solo per pochi giorni.

Muriel era nella zona femminile e a lei toccò di conseguenza quella maschile.

I prigionieri avevano imparato a riconoscerla e, per rispetto verso di lei che tanto faceva per loro, al suo passaggio smettevano di bestemmiare e urlare.

“Io ho da fare e tu sai cosa fare.” Le disse il capitano mentre si allontanava. Il vice la seguiva col mazzo delle chiavi verso una cella.

Lei si voltò verso di lui e, con un semplice gesto della mano lo addormentò, rimase appoggiato al muro con le chiavi in mano.

Misha conosceva la strada ormai, e si diresse verso la cella del principe. Sapeva di non avere molto tempo, non conosceva per quanto sarebbe stato via il capitano.

Il principe riconobbe i suoi passi e quando lei arrivò era già vicino alle sbarre.

La ragazzina aveva il fiatone quando raggiunse la cella. Si fermò ad osservarlo e si rese conto che godeva di buona salute, doveva avere una volontà di ferro, era un vero principe, uno destinato ad essere un grande re.

“Buongiorno, principe, vedo che è in buona salute.” Si rivolse a lui con un inchino.

“Chi sei? Perché entri così spesso nei miei pensieri e nei miei sogni?”  Le chiese.

“Perché voglio conoscerla, principe, voglio essere sicura.” Gli rispose.

“Sicura? E di cosa?”  Le chiese meravigliato.

“Sicura che lei sia il vero re.” Gli rispose semplicemente.

Il principe non capiva cosa intendesse, sapeva solo che averla lì vicino lo rendeva sereno, quasi felice.

“Vorrei conoscere il tuo viso. Tu conosci il mio, conosci i miei pensieri ma io non conosco niente di te.” Aggiunse.

Misha si abbassò il cappuccio. Il principe fu rapito dalla sua bellezza, da quei capelli viola perlato, da quei grandi e magnifici occhi blu. Rimase ad osservarla chiedendosi da dove poteva venire tanta bellezza.

Misha si rimise il cappuccio. Il capitano stava tornando e lei doveva scappare. Sono quella che la salverà gli mandò nella mente mentre correva dal vice capitano.

Svegliò l’uomo che le aprì la cella e lei cominciò a fare il suo lavoro.

Era tardi quando le due guaritrici raggiunsero la loro casa. Come facevano ogni volta si spogliarono, si lavarono e misero gli abiti nella tinozza. Nemmeno quella sera ebbero voglia di mangiare, si coricarono e si addormentarono stanche.

La primavera risvegliava ogni cosa, i campi avevano bisogno di lavoro, gli animali figliavano, molte donne avrebbero partorito dopo pochi mesi, era il trascorrere della vita, la natura non si sarebbe mai fermata, la vita stessa sarebbe continuata, a dispetto di qualsiasi evento, sia terribile che meraviglioso.

Le due guaritrici lavoravano alacremente, le erbe si erano seccate durante l’inverno, vicino al camino e loro dovevano preparare pozioni, decotti, unguenti e tutto quello che necessitava per aiutare chiunque avesse avuto bisogno.

Il tiepido sole di aprile aveva già aiutato le margherite a sbocciare. Misha era stanca, aveva le mani rovinate dal troppo lavoro, quel giorno decise di prendersi una pausa e di andare, tranquilla e solitaria a godersi una passeggiata in mezzo alla natura. Il ruscello aveva acque limpide, gelide e sulle rive rimanevano ancora alcune tracce del ghiaccio invernale che presto si sarebbe sciolto.

Si sedette ad osservare l’acqua che correva, nella mente tanti pensieri, tanti dubbi, tante domande. Si chiese se la scelta di andare di là delle mura reali fosse quella giusta. Spesso, nemmeno lei riusciva a capire le sue decisioni, le sue intuizioni; non aveva nessuno con cui confidarsi, Muriel era una donna speciale ma lei sapeva che non aveva risposte alle sue domande, ai suoi dubbi.

Appoggiò la schiena ad un albero ancora spoglio, sospirò e chiuse gli occhi. Si sentì trasportata e si ritrovò oltre il portale. Tutto lì continuava come era sempre stato, e come le sarebbe piaciuto tornarci e rimanerci, lì non c’era niente fuori posto, tutto era amore, tutto era nell’ordine delle cose: come doveva essere, ma al di qua sembrava che niente fosse come doveva essere, troppa gente stanca, sfruttata, triste, soltanto i bambini rimanevano allegri, ma anche per loro la spensieratezza durava poco. Era un mondo che non le piaceva e sarebbe volentieri scappata.

Era al di là del portale e si chiese se stesse sognando o se il suo desiderio fosse stato esaudito. Lei era là ma nessuno la vedeva. Raggiunse il luogo delle ninfe, cercava Oridea, troppo tempo era passato da quando si erano salutate. Non aveva più visto nessuno di loro, tranne i folletti che l’avevano liberata e Moliniana, quell’unica volta. Una lacrima leggera le scese sulla guancia e sentì una mano rugosa che la raccoglieva. Aprì gli occhi e credette di stare ancora sognando, Moliniana era lì, proprio lì vicino a lei.

Romanzo di Milena Ziletti - diritti e proprietà a lei riservati - immagine dalla pagina fb di elfi, fate e mondo incantato

giovedì 17 dicembre 2020

MISHA

 MISHA

parte tredici



Chiuse gli occhi è ritornò con la mente a quel terribile giorno, il giorno in cui perse tutto.

Come aveva fatto a non accorgersi di niente? Ma come avrebbe potuto solo immaginare che suo fratello, sua sorella e il suo stesso padre lo avrebbero disconosciuto? Poteva accettarlo da suo fratello e sorella, ma suo padre? Come aveva potuto? Questo non gli dava tregua, era un dolore che gli era penetrato nel cuore e non se ne sarebbe mai liberato.

Sua madre, la regina era morta da poco e il re era devastato dal dolore, aveva chiesto a lui e suo fratello di portare una missiva vitale ad un personaggio molto importante. Di solito si serviva di guardie fidate, ma questa volta, spinto anche dal consiglio di sua figlia, affidò l’incarico ai principi.

I due fratelli giunsero al castello del lord e furono subito ricevuti. Il lord era un amico sincero della coppia reale ed era sempre stato un uomo fedele al regno.

Il vecchio lord abbracciò il giovane Charles e poi il principe ereditario William. “Benvenuti a casa mia, consideratevi a casa vostra, so che avete fretta di tornare ma dovete lasciarmi un paio di giorni per poter darvi la risposta a questa richiesta da portare a vostro padre.” Disse loro mentre usciva. Alcuni servitori furono immediatamente a loro disposizione e furono condotti nella parte  del castello riservata agli ospiti d’onore. 

Ognuno nella propria stanza, che era comunicante si stava lavando e ripulendo dalla polvere quando William sentì bussare. Il lord non attese l’invito ad entrare e aprì la porta. Si sedette accanto alla vasca dove il principe era immerso e cominciò a parlare. Charles, incuriosito, e irritato per essere lasciato fuori dalla discussione si mise ad origliare. Non riusciva a capire bene quello che i due si stavano dicendo, ma capì quello che gli serviva per portare avanti il piano che aveva studiato con sua sorella. Spalancò la porta e quelli sobbalzarono dalla sorpresa.

“E così è questo il segreto del quale ho sentito parlare!” Urlò verso i due che lo guardavano sgomenti.

“Tu non sei il principe ereditario, sei soltanto un bastardo, nostra madre ti ha concepito con questo uomo e, stai sicuro che sarà la prima cosa che dirò al re appena torneremo. Nel frattempo stammi lontano, sei solo un bastardo senza titolo.” Chiuse la porta con un gran botto e sorrise soddisfatto.

William si alzò dalla vasca e, nudo ancora grondante acqua raggiunse suo fratello. “Cosa ti salta in testa? Perché offendi nostra madre e me?”

Charles aveva raggiunto la frusta e con un colpo secco lo colpì, lasciandogli la cicatrice sulla fronte.

William non disse una parola, sicuro della sua nobile discendenza e che suo padre non avrebbe vacillato di un millimetro al pensiero che la regina potesse averlo ingannato. Purtroppo non aveva fatto i conti con sua sorella che, aveva cominciato a drogare suo padre e a convincerlo della storia.

Quando ritornarono al castello, il re li aspettava seduto sul trono in assetto reale e, con tutta l’autorità che solo un re può avere ordinò alle guardie di imprigionare l’uomo che aveva sempre considerato il suo erede, che aveva amato come un figlio. Ordinò di togliere la salma della regina dalla cappella e di seppellirla nel cimitero comune. Questo fu un grande colpo al cuore di William, sua madre, la sua amata madre non meritava un simile trattamento.

Le sue guardie del corpo lo circondarono per difenderlo ma arrivarono tanti soldati e li prelevarono mentre William ordinava alle sue guardie di non combattere e seguire i soldati senza opporre resistenza.

Fece un passo verso suo padre, ancora seduto sul trono che stringeva spasmodicamente lo scettro. Si vedeva che soffriva, ma era il re, e suo compito era lasciare il regno all’erede, e non poteva essere quello che lui aveva sempre considerato il suo primogenito e che aveva amato con tutto se stesso. Se non avesse avuto la mente ottenebrata dalla droga non avrebbe mai fatto un gesto del genere, non ci avrebbe mai nemmeno creduto, ma ora aveva dato l’ordine e indietro non poteva tornare, anche se lo avesse voluto.

William guardò il viso stanco e gli occhi annebbiati di suo padre e capì. Si inchinò al suo re e, senza dire una parola seguì i soldati che lo condussero in quella che sarebbe divenuta la sua cella per molto tempo.

Erano passati due anni da quel giorno e non aveva più avuto notizie di suo padre, nessuno parlava con lui di quello che succedeva fuori da quelle mura e lui era prigioniero della sua stessa famiglia. I suoi uomini ora erano liberi e aveva la speranza che presto, almeno qualcuno di loro gli avrebbe portato notizie.

Passarono alcune ore prima di sentire i soliti passi di colui che gli portava i pasti si facessero sentire. Si ricompose e tornò a sedersi al tavolo. Chiuse il libro e aspettò, come ogni giorno, come succedeva ogni giorno da due anni. Sospirò e raddrizzò le spalle. Una delle guardie fidate del principe usurpatore entrò e posò il cibo sul tavolo, uscì senza dire una parola, niente cambiava, ma sarebbe cambiato. Con questa convinzione si impose di mangiare, non doveva perdere le forze, così come non aveva perso la fede.

La primavera sbocciava così come la bellezza di Misha. Aveva quasi quindici anni, era diventata un’ottima guaritrice e aspettava il suo prossimo compleanno per trasferirsi all’interno delle mura reali. Mancavano ancora alcuni mesi e Muriel era triste al pensiero di perderla. Aveva sempre saputo che sarebbe rimasta con lei per un breve tempo, ma le aveva alleviato la solitudine, la vita di una guaritrice, di una donna con le capacità fuori dal comune come le sue la rendeva schiva e schivata da tutti. Era rispettata, la chiamavano per ogni malanno, riponevano in lei molta fiducia ma, per questo era tenuta a distanza, era considerata diversa ed era la solitudine il prezzo da pagare per una vita come la sua. Sperava che la vita di Misha potesse essere diversa, che potesse trovare l’amore, vivere senza un uomo accanto rendeva tutto più difficile, e la ragazzina meritava di essere felice. Avrebbe voluto parlarne con Moliniana, lei conosceva molte più cose riguardo Misha. Sospirò e cominciò a preparare la sacca, il carro sarebbe giunto molto presto il mattino dopo. Vide sul letto di Misha che la sua sacca era già pronta. Sorrise, quella ragazzina non smetteva di stupirla.

In quel momento, Misha stava aiutando una cavalla a partorire, un parto difficoltoso e lei era sudata, le maniche della camicia rimboccate mentre si dava da fare. L’animale era agitato, nervoso, e soffriva parecchio, doveva rilassarsi o il suo puledro non sarebbe nato vivo. I padroni del podere le erano vicini ma non sapevano cosa fare. La ragazza guaritrice inizio a canticchiare una nenia leggera che, dopo poco rilassò la cavalla e, finalmente, poté far nascere il puledro. Lei amava gli animali, tutti gli animali, ed era felice ogni volta che poteva alleviare i loro malanni. Amava le piante, ogni essere vivente, il suo immenso amore verso ogni forma di vita traspariva da ogni suo gesto, per questo la chiamavano per ogni problema che sorgeva, erano due giorni che non riposava e sapeva che il giorno dopo sarebbe arrivato il carro.

Si raddrizzò e stancamente sorrise, salutò e ritornò verso casa.

La cena era pronta e Muriel le aveva preparato la tinozza con l’acqua calda.

Era talmente stanca che si addormentò non appena pose la testa sul cuscino.

Romanzo di Milena Ziletti - diritti e proprietà a lei riservati - immagine dalla pagina fb di Elfi, fate e mondo incantato

mercoledì 16 dicembre 2020

MISHA

 MISHA

parte dodici



Misha aveva poche forze, fu con grande fatica che salì tutti i gradini e, finalmente sul carro cadde svenuta mentre Muriel la sosteneva e la lasciava dormire. Quello che aveva fatto quel giorno la giovane guaritrice sarebbe passato alla storia delle streghe, nessuna era mai riuscita a fare una cosa così, ed era fiera di essere al suo fianco. Moliniana ci aveva visto giusto, ma la strada da fare era ancora lunga, molto lunga.

Ci vollero alcuni giorni perché Misha riprendesse completamente le forze, marzo era cominciato e tutti aspettavano la primavera, che le giornate si allungassero per poter tornare all’aperto, a svolgere il lavoro che più amavano: coltivare la terra.

Nei sotterranei del castello, il principe in persona volle assistere agli interrogatori dei dieci riottosi. All’inizio tutti quanti posero resistenza ma, dopo una dose di frustate accettarono di essere sottoposti al cospetto del principe.

“Avete deciso cosa fare? Volete continuare a stare in questo buco o tornane alla luce del sole, ai vostri compiti al mio fianco?” Sapeva quanto sarebbe stato importante per il popolo che ancora non lo aveva accettato del tutto poter mostrare che al suo fianco c’era la scorta personale del principe deposto, era un segnale per tutti.

Il loro capitano prese la parola. Grondava sangue, come tutti gli altri, si rialzò faticosamente. “A nome dei miei soldati …” fece una pausa “A nome dei miei sottoposti accettiamo di essere ai vostri ordini, principe, con la umile richiesta di poter ricoprire le stesse cariche che abbiamo avuto prima di essere imprigionati.”  Gli costò una fatica immensa dire quelle parole, tanto era l’odio che covavano lui e i suoi compagni verso l’usurpatore.

Il principe ancora non si fidava del tutto e pose loro una prova che avrebbero dovuto superare.

Si rivolse al capitano delle guardie. “Fa in modo che questi uomini ritrovino la dignità di esseri umani, metti loro a disposizione quello che serve per ripulirsi, consegna loro le divise delle mie guardie del corpo personali, portali in un ambiente più consono e, appena saranno pronti, chiamami. Non voglio aspettare molto.” Gli ordinò prima di andarsene.

Il principe usurpatore era pensieroso mentre risaliva quegli sporchi gradini. Si chiedeva come avessero fatto quelle due guaritrici ad ottenere la loro resa, nemmeno la sua strega personale ci era riuscita,  poteva fidarsi? Furono pensieri fugaci, sapeva che non avrebbero parlato, sapevano che avrebbero pagato con la loro stessa vita se lo avessero tradito. Più tranquillo raggiunse le sue stanze e informo sua sorella del risultato raggiunto.

Ci vollero due settimane prima che i dieci soldati fossero resi presentabili, le ferite si erano rimarginate, avevano mangiato a sufficienza, si erano sistemati la barba e i capelli e indossato la divisa che tanto odiavano.

Stavano aspettando l’usurpatore, e non attesero a lungo.

Il principe usurpatore arrivò con la sorella e il figlio della donna. I dieci uomini erano ben diversi da quando li aveva visti solo due settimane prima. Erano uomini che avrebbero dovuto recuperare ancora la forma fisica ma era lo sguardo, la postura quello che osservavano i principi.

Lo sguardo fiero era lo stesso, ora li avrebbe messi alla prova.

Furono loro consegnate le armi ma erano sotto stretta sorveglianza di altre guardie, non era facile per il principe e la sorella fidarsi completamente di quegli uomini.

“Andiamo!” Ordinò il principe, e tutti si incamminarono circondati dalle guardie.

La loro meta era la cella del principe ereditario. Lui li sentì arrivare ma non si alzò dal tavolo e continuò a leggere quello che aveva davanti.

“Alzati davanti al tuo principe”. Ordinò l’usurpatore a suo fratello. “C’è qualcuno che devi vedere e qualcosa a cui devi assistere.” Aggiunse.

Il prigioniero alzò lo sguardo e vide tutto il drappello di uomini. Lentamente si alzò e si avvicinò alle sbarre.

In un moto istintivo, l’usurpatore si allontanò di scatto.

“Cosa vuoi da me, Charles ? Vedo che ci siete tutti, anche il piccolo John. C’è qualche manifestazione particolare? Domandò con la sua voce calma.

“Hai proprio ragione, William, è proprio così.”

Lo sguardo del prigioniero si soffermò sulla sorella e sul nipote, lui conosceva come stavano le cose, la sorella era dalla parte di Charles fino a quando non avesse potuto dare il trono a suo figlio, e a quel punto la carriera di suo fratello, in un modo o nell’altro, sarebbe finita. Era la più perfida di tutta la famiglia, perfino suo marito era morto in circostanza misteriose.

Nel frattempo i dieci componenti che erano stati la sua guardia particolare furono avvicinati per dare modo al prigioniero di osservare bene.

Il suo sguardo si soffermò su ognuno di loro, ma non fece trasparire nessuna emozione.

“Inginocchiatevi!” Ordinò il principe. “Sto aspettando.”

Quelli obbedirono. Si erano inginocchiati uno accanto all’altro in modo che il prigioniero potesse assistere a tutto.

“ Io, capitano della Guardia Reale, giuro solennemente di servire, obbedire, difendere a costo della mia stessa vita e di quella dei miei uomini, il principe Charles, la sua discendenza e la sua famiglia. Giuro sul nostro onore che non verremo mai meno al nostro sacro giuramento.” Terminò con gli occhi fissi in quelli del prigioniero.

Un sorriso beffardo comparve sul viso dell’usurpatore.

“Come vedi, caro fratello, ora sei davvero solo e impotente. Conosci bene quanto me come questi valorosi uomini tengano fede ai giuramenti, pensa fratellino, potrei perfino ordinare loro di ucciderti e loro lo farebbero, e chissà che non me ne venga voglia!”  Terminò ridendogli in faccia.

Anche Mary e suo figlio avevano capito bene quello che era successo e la donna sospirò di sollievo accarezzando la testa dell’inconsapevole ragazzino.

“Ti lascio alle tue letture, e spero che tu stia bene, almeno fino a quando lo vorrò io.”

E se ne andarono tutti.

Il principe ereditario rimase pensieroso e si sedette riprendendo a leggere il libro. Gli risuonarono nella mente le parole sono quella che ti salverà e sapeva, contro ogni logica che così sarebbe stato.

Il principe non dava segni visibili della sua condizione, di quanto soffrisse per essere trattenuto in quella cella, seppur migliore di tutte le altre, ma era pur sempre una cella con sbarre e chiusa da un grosso chiavistello.

Si mise ad osservare la luce del giorno che entrava ancora lieve dalla finestrella sbarrata che era così in alto da sfiorare il soffitto. Presto sarebbe stata primavere e quanto avrebbe voluto poter tornare a respirare l’aria fresca, la libertà di una cavalcata. A quel ricordo gli si strinse il cuore al pensiero che la sua dolce fidanzata se n’era andata, che non l’avrebbe più vista, e tutto per colpa sua.

Abbassò il viso cercando di riprendersi dai cattivi pensieri. Non sapeva cosa avesse in mente suo fratello, mentre sapeva bene quello che voleva sua sorella. E suo padre? Era ancora vivo? Come lo trattavano? Gli mancava da morire non conoscere la situazione.

Nelle lunghe giornate della sua prigionia aveva tanto tempo per pensare, e gli faceva molto male, cercava di distrarsi leggendo ma quello che era accaduto lo tormentava e non smetteva di darsi la colpa di quello che era successo, ben sapendo che non avrebbe potuto fare niente, il tranello nel quale era caduto era stato ben congegnato.

Rialzò il viso, era il momento in cui il sole si affacciava e lui si fece accarezzare, si passò la mano sulla fronte e non sentì la cicatrice. Il suo pensiero corse alla ragazza misteriosa, dio come gli sarebbe piaciuto conoscerne almeno il viso.

Sospirò e tornò a sedersi. Il libro era aperto, ma la sua mente non riusciva a concentrarsi.

Si distese sulla branda cercando di tornare con i pensieri indietro nel tempo, quando era libero, felice, amato da suo padre, da una ragazza meravigliosa, dal suo popolo, ora aveva perso tutto. Strinse i pugni, non riusciva a rassegnarsi, non poteva, in fondo al cuore sapeva che non poteva finire così, che doveva tenere duro, che prima o poi tutto sarebbe cambiato. Nemmeno lui sapeva da dove traeva questa sicurezza, ma se non l’avesse avuta non avrebbe più avuto senso continuare una vita da prigioniero, no, sarebbe tornato al suo posto e avrebbe rimesso tutti dove meritavano di stare, lo doveva a suo padre, nonostante tutto, al suo popolo e soprattutto a se stesso.

Romanzo di Milena Ziletti - diritti e proprietà a lei riservati - immagine dalla pagina fb di elfi, fate e mondo incantato

martedì 15 dicembre 2020

MISHA

 MISHA

parte 11



Furono condotte in una stanza illuminata da alcune fiaccole e quello che videro le impressionò: una sala delle torture molto sofisticata e con macchinari che, né lei né Muriel  avevano mai visto.

Un piccolo e rozzo tavolo con una candela e, furono stupite di vedere un uomo seduto. Era elegantemente vestito, aveva il viso avvolto da una sciarpa leggera e fece cenno alle due donne di sedersi di fronte a lui.

Imbarazzate e anche spaventate quelle obbedirono.

L’uomo prese la parola. “So chi siete e cosa fate, ora voglio che mi portiate, e molto presto, un siero che tolga la forza di volontà e metta nelle mie mani la mente di questi prigionieri. Se non lo farete, verrete a far parte degli ospiti delle mie prigioni. Se non lo avete ancora capito io sono il principe reggente.”  Si alzò e se ne andò.

Il capitano aspettò che il suo principe si allontanasse e prese il posto che aveva lasciato libero, si sedette e guardò le due guaritrici.

“Non avete molto tempo per fare quello che il principe vi ha ordinato.” Ribadì quasi fosse lui quello che aveva il comando di tutto.

Misha prese coraggio. “Per fare quello che ci avete chiesto devo prima conoscere i prigionieri, capirli e trovare per ognuno il metodo corretto, o ci sarà il pericolo che possano morire o avere un effetto nullo.”

Il capitano non avrebbe voluto trattenersi oltre, quello era un posto che odiava ma sapeva che doveva assolutamente ottenere quello che il principe aveva ordinato, o ne avrebbe pagato anche lui le conseguenze.

Con non poca riluttanza si alzò e aprì le sei celle. Dieci uomini con le catene ai polsi furono condotti nella stanza delle torture. Erano davvero mal conci, soltanto il loro sguardo comunicava qualcosa che Misha capì immediatamente: fierezza, e molto altro. Sembravano giovani e dovevano essere stati fisicamente in forma, ne portavano ancora le tracce, nonostante la sporcizia e la barba lunga.

Erano in piedi davanti alle due guaritrici, senza sapere cosa aspettarsi.

Misha li osservò uno ad uno mentre Muriel faceva altrettanto. Il capitano borbottava e le incitava a fare in fretta ma quelle sembravano procedere molto lentamente.

Con estrema cautela e rispetto, Misha si soffermava davanti ad ognuno di loro, cercando di entrare nelle loro menti per capire chi fossero, prendeva le loro mani fra le sue, sapeva che il capitano non lo avrebbe mai rivelato loro l’identità  di questi uomini.

Misha aveva già osservato e stretto le mani di cinque uomini, quando toccò al sesto sentì  qualcosa di molto strano, di molto diverso. Si concentrò e capì che nelle vene di quell’uomo scorreva il suo stesso sangue, quello era di sicuro suo fratello. L’uomo teneva gli occhi fissi in quelli della ragazza e per un attimo Misha ebbe un sussulto. Lei gli trasmise alcuni pensieri, alcune domande e capì chi erano quei dieci uomini: erano le guardie personali del principe imprigionato, quelle che non si erano sottomesse al principe usurpatore. Fu una grossa sorpresa. Muriel si accorse dell’incatenamento fra i due e scosse lievemente la ragazza. Avevano finito il loro lavoro e dovevano andarsene, il capitano si alzò e riportò i prigionieri nelle celle, si accertò che fossero ben chiuse e precedette le due donne risalendo le rampe di scale.

Non parlarono fino a che furono vicini all’uscita e poterono respirare l’aria gelida della sera.

“Fra quanto sarà pronto quello che vi ha chiesto il principe?”  Chiese.

“Tre settimane.” Rispose Misha. “Mandate il carro a fine febbraio e noi saremo pronte.” Non aspettarono la risposta e salirono velocemente sul carro che impiegò varie ore per riportarle a casa. L’alba era quasi spuntata quando entrarono nella loro casupola. Come facevano ogni volta, si spogliarono e misero nella tinozza tutti gli abiti, si lavarono e, senza nemmeno mangiare caddero esauste sui loro giacigli.

Il nuovo giorno portò una schiarita e un pallido sole rischiarò quel villaggio dai camini fumanti.

“Cosa pensi di fare?” Chiese Muriel.

“Preparerò un leggero sedativo, poi mentre dormono entrerò nei loro sogni e farò quello che devo.”  Rispose.

“Ma sono dieci uomini! Sarà difficile riuscire a fare quello che stai pensando!”  Ribadì Muriel.

“Lo so, dopo avrò bisogno del tuo aiuto per riprendermi. Ma va fatto, ho tre settimane per prepararmi e una promessa da mantenere.” Rispose convinta.

Il tempo sembrava trascorrere lento anche se le giornate erano molto corte. Febbraio era sempre stato un mese gelido e anche quell’anno non era diverso dal solito. Le due guaritrici venivano chiamate spesso per bambini e soprattutto anziani che avevano problemi a respirare, con tosse spesso che lacerava la gola, e non era facile riuscire a curare e salvare tutti, era il mese in cui morivano il maggior numero di anziani e anche di bambini nati deboli.

Era l’ultimo giorno di febbraio ed erano già pronte quando sentirono il carro arrivare. La notte prima, Misha era tornata nella cella del principe ereditario e lo aveva informato di quello che si accingeva a fare. Era stata sollevata quando lo aveva visto sereno, era un uomo che non si perdeva d’animo, aveva una forza mascherata da un’indole pacifica ma che non si sarebbe mai arreso.

Il carro si fermò come al solito davanti alla prigione. Il freddo era intenso e il capitano delle guardie le aspettava all’interno. Non disse una parola fino a che raggiunsero i sotterranei. Ad attenderle c’erano due guardie grandi e grosse con lo sguardo truce e con la fretta di poter tornare di sopra, nessuno amava i sotterranei e toccava a quelli che venivano puniti per qualche mancanza stare lì di guardia.

Misha manteneva un atteggiamento calmo, mentre Muriel era molto preoccupata anche se non lo dava a vedere. Posero le loro sacche sul tavolo ed estrassero due boccette.

“Deve trovarmi un posto abbastanza grande dove possa riunire tutti i prigionieri.” Disse la giovane.

Il capitano diede ordine e i dieci prigionieri vennero condotti nella sala delle torture dove alcuni macchinari furono spostati.

“Togliete loro le catene.” Chiese con gentilezza.

“Questo mai!” Le rispose il capitano.

“Allora non posso fare niente, dica al suo principe che si è rifiutato di obbedire ai suoi ordini.” Rimase in attesa della sua reazione.

I prigionieri non abbassavano lo sguardo, non davano segno di nessuna paura, era evidente che erano pronti a morire per il loro principe.

Misha prese posto al centro della stanza. “Sedetevi a cerchio intorno a me.” Disse mentre anche lei si sedeva sul pavimento sudicio.

Ci pensarono i due energumeni a far sedere i più riottosi.

“Ora lasciatemi sola con loro.” Disse sempre molto gentilmente.

“Non ci penso proprio!” Rispose il capitano.

“Prendete posto davanti alle celle, potete osservare,ma se interverrete o intralcerete in qualsiasi modo quello che sto facendo, il principe non potrà avere quello che ha chiesto.”  Disse tenendo gli occhi socchiusi.

“Procedi, Muriel.” Chiese mentre lei cominciava a cantare dolcemente una nenia popolare.

Muriel versò poche gocce sulla lingua di ognuno di loro e si ritirò anche lei fuori dalla stanza.

La voce dolce di Misha aiutò i prigionieri a lascarsi andare. Uno alla volta si sdraiarono e si addormentarono. La giovane guaritrice non smise di cantare, chiuse gli occhi e con uno sforzo enorme anche per lei entrò nei loro sogni, doveva unirli tutti prima di fare quello che intendeva, era uno sforzo immenso, una cosa che non aveva mai fatto, per questo si era preparata.

I due carcerieri e il capitano si rilassarono vedendo che gli uomini erano addormentati e non avrebbero potuto fare niente di imprevedibile.

La nenia continuò per parecchi minuti e gocce di sudore imperlavano la fronte di Misha. Aveva già collegato i sogni di otto di loro ma quando arrivò alla mente di suo fratello si sforzò di continuare e perse, anche se per poco la concentrazione, così che Muriel dovette intervenire e, come aveva fatto la volta precedente dovette staccarla per farla continuare.

Ora era nelle menti e nei sogni di tutti loro e cominciò il suo lavoro, senza mai smettere di cantare la nenia.

Trasmise loro l’immagine del loro principe nella cella, così che potessero vedere che stava bene. “Il vostro principe ha un messaggio per voi: vi ordina di ubbidire all’usurpatore e fare in modo di avere la sua fiducia. Quando sarete interrogati dovrete porre ancora della resistenza, ma dovrete cedere e fare quello che vi chiederà. All’inizio, quando gli giurerete fedeltà, sarete visti come traditori, o come uomini che per la propria libertà hanno abiurato il loro principe, ma noi sappiamo che non è così. Io tornerò e devo sapere che voi sarete là, sarete gli unici ai quali affiderò la mia vita, perché so che mi siete e sarete sempre fedeli. Dobbiamo agire con astuzia, con furbizia, attendere il momento propizio, fidatevi di questa ragazza, come mi fido io.”

Misha non resse oltre e cadde svenuta, subito aiutata da Muriel.

I dieci prigioniero erano ancora immersi nei loro sogni e i carcerieri aspettavano ordini.

Muriel si assicurò che Misha si stesse riprendendo, prese una boccetta e versò una goccia sulla fronte di ognuno di loro che, lentamente si risvegliarono.

Nessuno parlò e furono riportati nelle celle.

“Dovrete aspettare tre giorni, poi procedete.” Disse Misha al capitano.

Un ultimo sguardo e, finalmente poterono uscire da quel luogo maledetto.

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venerdì 11 dicembre 2020

MISHA

 MISHA

parte dieci



Furono portate nella zona femminile. Varie donne erano pronte al parto e quello non era il luogo migliore per un simile evento. Sudiciume ovunque, donne quasi irriconoscibili tanto erano degradate. Su una branda vicino alla parete più nascosta c’era una ragazza in preda alle doglie, su un altro giaciglio altre due donne pronte al parto. Misha guardò Muriel, lei non aveva mai fatto nascere nessun bambino.

“Stammi vicino, e fai come ti dico.”  La istruì Muriel.

Le due donne urlavano in preda ai dolori del parto, mentre la ragazza tratteneva le grida e il suo corpo era ricoperto da sudore freddo.

“Vai da lei, qui ci penso io.” Le ordinò Muriel.

La giovane guaritrice raggiunse la ragazza, mentre le altre donne si erano ritirate in un angolo per dar modo alle guaritrici di fare il più comodamente possibile il loro lavoro.

La ragazza si morsicava il labbro cercando di trattenere le grida che altrimenti le sarebbero sfuggite.

“Come ti chiami?”  Le chiese dolcemente Misha mentre le detergeva il sudore e cercava di allargarle le gambe che lei stringeva spasmodicamente, come se volesse impedire al suo bambino di nascere.

Lo sguardo della ragazza era appannato dal dolore e dallo sforzo che faceva. Misha si rese conto che da sola non sarebbe riuscita ad aiutarla. Prese dalla borsa una piccola boccetta e le versò qualche goccia in gola, e lei si calmò.

Il bambino era pronto a venire al mondo ma ancora la ragazza lo tratteneva. Intorno a loro si era fatto il vuoto. Misha cercò di entrare nella mente della ragazza per cercare di capire e capì il motivo di tanta tenacia. La ragazza afferrò il braccio di Misha e lo strinse con forza.  “Non deve nascere, deve morire con me!” Trovò la forza di bisbigliare. “Non posso farlo, e tu lo sai. Tutti i bambini hanno diritto di nascere e di vivere, anche questo.”  Le rispose.

In quel momento un grido le uscì dalla gola e fu costretta ad allargare le gambe mentre la testa del suo bambino era lì, pronta a uscire e conoscere la vita. Con destrezza, Misha lo fece nascere ma, capì subito che era stato tutto inutile, il bambino era morto e la madre lo avrebbe seguito di lì a poco, mentre una grossa scia di sangue la stava lentamente uccidendo.

Una delle prigioniere si avvicinò e avvolse il corpicino in una lurida coperta mentre Misha teneva la mano della ragazza, altro non poteva fare, era troppo forte la sua volontà di morire e lei avrebbe rispettato la sua scelta. La immerse in dolci immagini, le cancellò le brutture e le pene che aveva sofferto e fu con un sorriso che esalò l’ultimo respiro.

Muriel la raggiunse, non c’era bisogno di parlare. “Ripuliamo questo povero corpo.” Disse soltanto.

Gli altri neonati stavano bene, ma non era certamente quello il posto dove stare e loro non potevano fare altro.

Il capitano si era tenuto ben lontano, non amava quelle situazioni e ne doveva subire parecchie, a volte, anzi nella maggior parte delle volte, le prigioniere si aiutavano fra di loro ma, la ragazza che era morta non era come le altre e lui aveva cercato di salvarla, senza riuscirci.

In quel momento giunse una guardia con un biglietto per il capitano. Lo lesse e bestemmiò sotto voce, doveva andare. Chiamò il suo sostituto e diede ordine di accompagnare le guaritrici nelle celle che lui sapeva.

Seguirono il vice capitano e andarono nella zona maschile. Uno sguardo scambiato fra le due donne e Muriel distrasse la guardia.

Misha conosceva ormai bene dove si trovava la cella del principe e la raggiunse di corsa.

L’uomo era, come al solito seduto al piccolo tavolo con la candela accesa e leggeva. Sentì ancora prima che lei fosse lì che c’era un che di diverso.

Misha raggiunse le sbarre. “Buon giorno, principe.”  L’uomo la raggiunse e rimasero per qualche attimo a fissarsi negli occhi.

“Io ti conosco, chi sei?”  Per la prima volta udì la sua voce, una voce calma, melodiosa che le arrivò al cuore.

La ragazza allungò la mano oltre le sbarre e seguì con le dita una cicatrice che gli era rimasta sulla fronte, e quella sparì all’istante.

“Io sono quella che ti salverà!” Gli disse prima di correre via.

Il principe si toccò la fronte, ora liscia e si chiese se quella ragazza, della quale non aveva visto nemmeno il volto celato dal cappuccio fosse uno spirito, un angelo un essere umano vero.

Continuando ad accarezzarsi la fronte si rimise a sedere e il suo sguardo si posò sul fiore giallo che, nonostante il tempo trascorso non era appassito. Nella mente gli arrivarono le immagini del suo passato, del suo regno rubato dal fratello e dalla sua perfida sorella, e le parole della ragazza sono quella che ti salverà gli si impressero nella mente, sapeva che l’avrebbe rivista e non aspettava altro che di conoscerla. Si rimise a sedere cercando di continuare la lettura ma la sua mente andava altrove, prese il fiore giallo e lo mise vicino al libro che, con estrema concentrazione riprese a leggere.

Le due guaritrici dovettero curare vari prigionieri, per alcuni di loro non fu possibile fare niente, per altri le loro cure furono invece risolutive.

Erano stanche quando furono accompagnate al carro. Nei bracieri dei corridoi le fiamme ardevano e il calore arrivava nelle celle. Molti prigionieri piangevano, pregavano, bestemmiavano ben sapendo che il loro destino era segnato, conoscevano fin troppo bene la cattiveria del principe usurpatore e non si aspettavano che di sapere quando sarebbe giunta la loro fine.

Stavano raggiungendo l’uscita quando il capitano arrivò di corsa e le fermò. “dovete venire con me!”  Era evidente la contrarietà dell’uomo, ma aveva ordini ai quali obbedire.

Rientrarono e il capitano estrasse alcune chiavi che loro non avevano mai visto. Le precedette in corridoi che non avevano mai attraversato e scesero varie rampe di gradini scivolosi. Il freddo, l’umidità, l’aria ammorbata di puzza di ogni tipo le investiva mano a mano che scendevano.

Il capitano si coprì il viso con una sciarpa e disse alle due donne di fare lo stesso, in quel posto era difficile perfino respirare e, nonostante il freddo avevano il corpo coperto di sudore.

Raggiunsero finalmente il fondo. Muriel non ci era mai stata, nemmeno sapeva dell’esistenza di questi sotterranei. Avevano gli occhi sgranati cercando di vedere qualcosa, il buio era violato solo da alcune piccole fiaccole appese al muro.

Misha contò sei celle, o così le parve, ed erano tutte occupate da più prigionieri. Chi erano quegli uomini? Perché erano tenuti in isolamento in quel modo? La cosa strana era che nessun segno, nessun fiato, nessun rumore usciva da quelle persone imprigionate in modo così inumano.

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giovedì 10 dicembre 2020

MISHA

 

MISHA

parte nove




Strinse la mano della ragazza mentre Muriel lo stava rivestendo. Erano passate ore ed era stato un miracolo che non fosse morto, ci erano andati giù duri stavolta e lo avevano quasi ucciso.

Il principe cercò di aprire gli occhi, ma la sua vista era offuscata, il dolore che provava in tutto il corpo stava lentamente scemando e non aveva ancora lasciato la mano della ragazza.

“Chi sei?” Riuscì a dire. “Io ti conosco”. Aggiunse prima di perdere di nuovo i sensi.

Misha era china su di lui, sapeva che non poteva sentirla ma lei non era come le altre ragazze, lei era soprattutto una strega e gli sussurrò semplicemente sono quella che ti salverà. Il viso del principe si distese e riprese a dormire.

Il capitano era lì da tempo ad osservare e si avvide che il loro compito era finito. Non sapevano quanto tempo avevano passato in quel buco terribile.

“Riportatelo nella sua cella, e vedete di non esagerare mai più come avete fatto oggi. Gli ordini sono precisi: se lui muore voi morite, e sapete che il principe mantiene sempre le sue promesse!”  Disse ai suoi uomini.

Risalì con le donne che lo seguivano e il carro era pronto. Era buio pesto e la neve scendeva a fiocchi grandi e densi. Ci misero tre ore ad arrivare a casa, era quasi l’alba ed erano esauste, avevano passato nella sala delle torture un giorno intero. Si spogliarono, si lavarono e, senza nemmeno mangiare si coricarono stanche ma felici di aver salvato il principe.

La vita nel piccolo villaggio seguiva le stagioni, così come le nascite e le morti venivano accettate, facevano parte della vita. Quello che faticavano a sopportare erano gli enormi sacrifici per un regno che mal sopportavano.

Dicembre passò e, nella piccola chiesa venne celebrato il nuovo anno. Non c’era particolare allegria, non c’era molta speranza, avevano un solo desiderio: poter continuare a vivere e amare la loro terra e la loro famiglia.

Il nuovo anno non iniziò in modo diverso. Il gelo e la neve costringevano in casa per la maggior parte del tempo.

Muriel e Misha passavano molto tempo a preparare i loro infusi, le loro erbe mediche, uscivano solo se Anders veniva a chiamarle per qualche malato grave.

Misha era triste, e questo non sfuggì alla sua compagna.

“Cosa ti angustia, mia cara?” Le chiese gentilmente.

“Chi sono io, veramente? Ho avuto tanto tempo per pensarci ma non trovo una risposta. Oh quanto vorrei oltrepassare il portale e ritrovarmi nel mondo magico che amo! Tutti loro mi mancano da morire, qui mi sento straniera.” Le rispose con estrema tristezza.

Muriel sospirò. In quel momento sentirono bussare alla porta. Non era certamente Anders, chi poteva arrivare con un tempo simile? Le due donne si guardarono mentre la porta si apriva. Moliniana fece il suo ingresso e il sorriso tornò sul volto di Misha.

“Ben trovate, mie care. Ho sentito che qualcuno aveva bisogno di conforto ed eccomi qui.”  Disse mentre allungava le mani vicino alle fiamme del camino.

Misha era felice di rivedere la sua maestra.

Si sedettero con una grossa tazza fumante di tè fra le mani. Erano in silenzio, aspettavano che l’ospite si decidesse a parlare.

“So che hai conosciuto il principe ereditario.” Esordì Moliniana.

“So che vuoi andare a vivere dentro le mura del castello.” Aggiunse.

“E so pure la promessa che gli hai fatto.” Continuò. “Per questo sono qui.”

Misha non le chiese come lo avesse saputo, conosceva Moliniana e sapeva quali poteri avesse.

“Avvicinati, piccola.” Le comunicò telepaticamente, e lei obbedì.

La strega le pose le mani sul capo e la ragazzina chiuse gli occhi, perdendosi in un mondo sopra le nuvole. Rimase così sospesa solo per pochi minuti, a lei parevano anni, aveva visto quello che sarebbe stato, e quello che era il suo compito in tutto quello che sarebbe successo.

“Ricorda gli insegnamenti, piccola. Non tutto è scritto e tutto si può cambiare, segui sempre il tuo cuore, il tuo istinto, il tuo essere così diversa, e abbi sempre fede.” Le comunicò nella mente, mentre la sollevava e la deponeva delicatamente sul suo giaciglio, profondamente addormentata.

Muriel e Moliniana rimasero un po’ a conversare. Erano entrambe streghe con poteri potenti, ma nessuna poteva eguagliare Misha, che era stata addestrata proprio per il compito che le spettava. Era stata scelta fin da quando era caduta dal carro, l’aspettavano da tempo al di là del portale, ed ora, finalmente era giunto il tempo.

Le due vecchie amiche si salutarono e Moliniana uscì nella bufera di neve e di ghiaccio.

Nonostante il gelo e la neve che non smetteva di imbiancare tutto il paesaggio, il carro arrivò di buon mattino a inizio febbraio.  Le due guaritrici lo stavano aspettando, ora anche Misha sapeva quando prepararsi per l’occasione.

Ci impiegarono un tempo infinito per giungere al castello e furono velocemente introdotte nelle prigioni.  Molti bracieri, molti camini erano accesi ma nelle celle nemmeno un briciolo di caldo arrivava a ristorare i poveri disgraziati che ci erano rinchiusi.

Il capitano le stava conducendo verso le celle dei prigionieri più bisognosi e, mentre passava vicino ad un braciere, Misha soffiò sulle fiamme e disperse il loro calore anche nelle celle. Fu un solo tremolio della fiamma che nessuno notò, ma fu un gran ristoro per quei poveri disgraziati.

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mercoledì 9 dicembre 2020

MISHA

 MISHA

parte otto



Ritornarono indietro e stavolta era concentrata su quello che l’aveva prima incuriosita. Lasciò che la sua mente entrasse in quella cella e vide una stanza piuttosto ampia, pulita, con le pareti ricoperte di libri. Un letto piuttosto comodo e un uomo immerso nella lettura.

Avrebbe voluto saperne di più ma uno spintone del capitano la tolse dalla sua  meditazione e raggiunsero Muriel.

Visitarono altri carcerati, erano ridotti davvero male e cercarono di alleviare le loro sofferenze come potevano.

“Siete fortunate, oggi niente sala delle torture, sono tutti morti.” Disse il capitano con una risata sguaiata.

Vennero accompagnate fuori e il carro era già in attesa. Respirarono aria fresca a pieni polmoni e, senza dire nemmeno una parola salirono sul carro per fare ritorno a casa.

Era buio quando scesero dal carro. La prima cosa che fecero appena chiusero la porta fu di spogliarsi di ogni indumento e immergerlo in una grossa vasca di legno con polvere e liquido disinfettante, poi nell’altra vasca misero acqua calda e erbe aromatiche e vi si immersero insieme inspirando gli aromi che le stesse sprigionavano.

Che mi dici, Misha?”  Le chiese la vecchia cercando di lavare via ogni odore anche dai capelli.

“Ho visto il principe ereditario.” Le rispose.

“Stai attenta, piccola, se solo scoprono quello che sai finirai nel pozzo dei  mille tagli.” L’avvisò.

Era quasi notte fonda quando si misero a tavola, si coricarono poco dopo mentre fuori la pioggia continuava a cadere creando una sinfonia col vento che spassava fra i rami degli alberi.

Misha si addormentò, cercando di entrare di nuovo nella cella del principe. Il suo sogno sembrava essere vero. Si ritrovò ai piedi del letto ad osservare il principe che dormiva, mentre la candela che debolmente illuminava la cella si stava smorzando. Si guardò intorno e vide tanti libri, una finestra sbarrata ma più ampia delle altre, un piccolo armadio, una tinozza, tutto quello che serviva per una persona, per le sue necessità, ma niente più del necessario. Sul piccolo tavolo un piatto con degli avanzi di cibo e una brocca mezza vuota.

Sentì il respiro regolare dell’uomo e si avvicinò. Le sarebbe piaciuto vederlo in viso ma la posizione supina e le coperte tirate gli coprivano il viso. Allungò la mano verso di lui, mantenendosi a distanza e sentì il battito regolare del suo cuore, così come il suo respiro lento e tranquillo. Quello non era un uomo spaventato, tutt’altro, e lei capì che non sarebbe stato facile per nessuno riuscire a piegarlo ai propri voleri.

Spaziò con lo sguardo in tutta la cella e vide un piccolo vaso di vetro, non riuscì a trattenersi, fece apparire un piccolo fiore giallo e ve lo immerse. Sorrise pensando alla sorpresa che avrebbe avuto il principe al risveglio, e ritornò nel suo letto continuando a dormire.

L’inverno si avvicinava e molte persone, soprattutto anziani e bambini avevano sempre più bisogno delle guaritrici.

Anders si era autoproclamato intermediario fra i bisognosi e le guaritrici, ogni scusa era buona per andare da loro, soprattutto per rivedere Misha e parlare come buoni amici.

Le strade si erano ricoperte di ghiaccio dopo le abbondanti nevicate. Dicembre era arrivato col suo carico di freddo e gelo, Muriel e Misha stavano preparando le loro sacche, il giorno dopo sapevano che sarebbe arrivato il carro, Muriel lo sapeva sempre.

Erano pronte e fuori c’era ancora buio. Il freddo era intenso e si erano coperte con quello che di più pesante avevano. Era strano che il carro fosse giunto così presto, non era mai successo, per questo si aspettavano qualcosa di grave.

Salirono sul carro con le loro sacche mentre le ruote del carro slittavano sul ghiaccio e i cavalli faticavano a fare presa sul sentiero. Ci impiegarono molto più tempo del solito ad arrivare, ma era solo metà mattina e furono introdotte nelle prigioni e accolte dal solito capitano che aveva i baffi ghiacciati.

“Entrate, svelte! Qui si gela.” Disse mentre rimetteva alla cintura le numerose chiavi.

Le due donne non dissero una parola ma Muriel capì che le stava conducendo nella sala delle torture.

Dovettero scendere varie rampe di scalini viscidi e sporchi prima di raggiungere la più terribile parte della prigione.

Giunsero in una ampia stanza dove molti strumenti di tortura facevano bella mostra. Un grande fuoco ardeva in un braciere e il fumo usciva da varie feritoie molto in alto. Varie torce erano appese alla pareti e il caldo era soffocante.

Misha si guardò intorno ma non riconobbe nessuno di quei macchinari infernali, inventati proprio per  torturare e far soffrire tante persone spesso innocenti.

Due erano i carnefici che grondavano sudore, erano enormi, a dorso nudo e con lunghi capelli legati dietro la nuca. Avevano mani talmente enormi che da sole potevano spezzare il collo o qualsiasi osso del corpo senza sforzo. Erano seduti in disparte e mangiavano mentre su un grezzo e sporco tavolo stava un uomo coperto solo da un lercio pezzo di stoffa a coprirne le nudità. Era senza sensi e sul corpo c’erano vari segni di torture.

“Curatelo e fatelo rinvenire. Se non ci riuscirete vi lascio nelle mani dei miei uomini.” Disse loro il capitano.

Muriel e Misha iniziarono a pulire le ferite, a detergere il sudore. L’uomo aveva il volto bollente e mani e piedi ghiacciati. Il suo cuore batteva come se dovesse fermarsi all’improvviso. Fu quel battito che Misha riconobbe, quello era il principe e lo comunicò con lo sguardo anche a Muriel.

Cosa gli avevano fatto? Perché lo avevano torturato fino a quasi ucciderlo? Cosa volevano da lui? Si chiese mentalmente la ragazza.

Pulirono, disinfettarono, cucirono, detersero sudore per ore, ma l’uomo non si svegliava. Misha passò leggermente la sua mano fresca sulla fronte del principe e cercò di entrare nella sua mente. Vide quello che vedeva lui, prati immensi e un cavaliere in groppa al suo cavallo che rincorreva una donna felice. La riconobbe mentre quella si girava e mandava un bacio al suo amato. Il principe stava sognando la sua vita passata, il suo amore perduto. Entrambi correvano nel vento e sullo sfondo si vedeva il palazzo, il suo palazzo, il suo regno, la sua futura sposa, e tutto era felicità pura. Fu con grande tristezza che gli comunicò la morte della sua fidanzata.

Il cuore del principe cominciò a battere all’impazzata e il suo petto si alzava e abbassava mentre cercava, con grande difficoltà di ritrovare il respiro. Fu in quel momento che decise di non voler morire, di non lasciarsi andare, che sarebbe riuscito a riprendersi il posto che gli spettava.

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lunedì 7 dicembre 2020

MISHA

 MISHA

parte sette



Poco dopo arrivò anche Muriel e la mise al corrente di quello che era successo.

“Tu sai se la storia che mi ha raccontato Anders è vera?” Le chiese incuriosita.

“Vieni, siediti. Io vado al palazzo quando mi chiamano, e presto tu dovrai venire con me. Vado nelle prigioni, addirittura nei sotterranei dove ci sono persone torturate che soffrono terribilmente ma che il principe non vuole che muoiano fino a quando non sarà soddisfatto di quello che avrà ottenuto.” Sospirò prima di continuare. “Anche a me hanno raccontato la stessa storia, credo che corrisponda al vero ma nessuno di quelli che vado a curare si fida a parlare, sono in celle fatiscenti ed hanno paura di finire nei sotterranei. Ci sono sempre due guardie che mi accompagnano, ti garantisco che dovrai essere pronta a sopportare questo compito, e non sarà semplice. Non so mai quando vengo chiamata. Mandano un carro a prendermi e poi mi riportano indietro. Sono ancora viva perché servo a loro e mi temono.” Finì di raccontare.

Misha aveva lo sguardo perso. “Anch’io sono stata prelevata da un carro, dal quale fortunatamente sono caduta. Non ho mai smesso di chiedermi che fine fanno tutti quei bambini che vengono tolti alle loro famiglie. Tu ne sai qualcosa?” Le chiese.

“Misha, dolcezza, non ti devi angustiare. Le cose di palazzo restano a palazzo, difficile che qualcuno fuori da quelle mura ne parli.” Le disse stringendole la mano.

“Allora andrò a palazzo, e ci rimarrò fino a quando non scoprirò la verità!” Le rispose convinta.

Muriel sapeva che non avrebbe potuto fare niente per trattenerla, lei vedeva oltre e le si stringeva il cuore. “Se è quello che vuoi sarà così, ma devi prima farmi una promessa: aspetta ancora un paio di anni …”

“Un anno, non un giorno di più!” Le rispose risoluta. “ Quando avrò quindici anni io me ne andrò a palazzo!” Ribadì.

L’autunno arrivò con dolcezza. La pioggia era lieve e una notte che ancora non era gelida, Misha uscì con la speranza di ritrovare Oridea. La ragazza vagò per il bosco, vicino alla riva del ruscello, ma della sua amata Oridea non vide traccia.

Rientrò che era fradicia e Muriel l’aiutò a spogliarsi e riscaldarsi vicino al fuoco.

“Non l’hai trovata, vero? Sarà lei a farsi trovare quando servirà, non sei più oltre il portale e qui le cose sono diverse. Stenditi e riposa che il giorno arriva presto e sono sicura che anche il carro sarà qui prima di mezzogiorno.” Le disse mentre le sistemava le coperte.

L’alba spuntò su un giorno grigio e uggioso. Il vento passava fra i rami degli alberi e costringeva le foglie a staccarsi e cadere grondanti sul terreno. Era autunno e già i camini di quelle casupole sbuffavano fumo da giorni.

Muriel e Misha stavano sistemando alcuni vasi di erbe e medicinali vari, due grosse sacche erano pronte mentre il rumore delle ruote del carro si avvicinava.

“Dobbiamo andare, Misha. Indossa il tuo mantello e non abbassare mai il cappuccio, fa in modo di passare inosservata e, ti prego non fare gesti inconsulti o ne andrà della nostra vita, segui i miei ordini e tutto andrà bene.” La istruì.

Il carro si arrestò davanti alla porta e le due donne erano già pronte, ognuna con una sacca in spalla e salirono sul carro coperto, mentre la pioggia batteva senza sosta.

Per un attimo nella mente di Misha passò un ricordo di un altro carro, di altra pioggia e cercò di scacciarlo.

Ci vollero due ore per giungere al palazzo. Il carro le lasciò davanti ad un grande portone sorvegliato da guardie. Una di loro lo aprì e un soldato le accompagnò dal capitano.

Il capo delle guardie della prigione era un uomo piccolo e robusto, con occhi che non smentivano quella che era la prima impressione: sguardo che non lasciva speranza a nessuno, un uomo senza cuore, ligio al suo dovere e al suo principe.

“Avrete parecchio da fare, oggi.”Disse loro. “Vedo che ti sei decisa a prenderti un’aiutante, era ora.” Disse mentre prendeva varie chiavi e apriva sbarre.

La prima cosa che colpì la ragazza fu il tanfo di quel posto, poi sentì tutta la paura e il terrore che vi ristagnava. Muriel se ne accorse e le prese la mano. In silenzio seguirono il capitano che le condusse nelle celle che c’erano nel primo settore.

Si sentivano gemiti, preghiere, bestemmie, urla raccapriccianti.

“Da dove vuoi che cominciamo?”Gli chiese Muriel.

“Seguitemi.” Rispose soltanto.

Il corridoio era lungo e sporco, poche aperture sbarrate per l’aria facevano entrare quel poco che serviva per sopravvivere. Su ambo i lati le celle erano occupate da persone che si faticava a riconoscere talmente erano degradate dal livello umano.

Il capitano aprì una cella. “Cominciate da qui.” Disse semplicemente.

Le due guaritrici entrarono. Un uomo piuttosto giovane era sdraiato sul pagliericcio, una profonda ferita all’addome si era infettata e già emanava odore di morte.

In silenzio Muriel sollevò lo straccio sporco che lo ricopriva, aveva già capito che gli rimaneva poco da vivere. “Perché vuoi salvare questo uomo? Dovevi chiamarci prima!” Disse la vecchia.

“E’ importante che viva, devi fare il possibile e anche l’impossibile.”Le rispose.

“Intanto tu, vieni con me!” Si rivolse a Misha.

Lo sguardo di Muriel le trasmise tutta la sua preoccupazione.

Il capitano la condusse attraverso un altro corridoio non diverso dal primo. Ogni cella era occupata. Lei si teneva ben saldo il cappuccio e il mantello strisciava sul pavimento lercio.

Fu meravigliata nel notare una cella diversa dalle altre. Per un attimo volse lo sguardo ma il capitano con uno strattone la costrinse a continuare. “Quello non ti riguarda!” Le disse minaccioso.

In quella cella, decisamente diversa dalle altre un uomo era seduto ad un tavolo e, alla luce di una candela leggeva qualcosa.

Fu un soffio o qualcosa di diverso che lo costrinse ad alzare lo sguardo ma vide solo il bordo di un mantello e rimase a fissare le sbarre cercando di capire cosa gli fosse capitato.

Anche Misha si era accorta che qualcosa era passato da quelle sbarre e si concentrò per riuscire ad arrivare con la sua mente fin dentro la cella. Non le fu possibile perché il capitano aprì una cella, proprio l’ultima e, con uno strattone la fece entrare.

“Avanti, fai il tuo lavoro!” Le disse senza tanti complimenti.

La ragazza si avvicinò alla branda ricoperta da coperte putride e le sollevò. Una giovane donna, forse una ragazza, ma era talmente conciata male che non era possibile capirlo. La ragazza distesa faticava a respirare e non riusciva nemmeno a parlare. Cercò di calmare il forsennato battito di quel cuore e, come aveva imparato da Moliniana, fece un incantesimo e quel  cuore ritornò a battere in modo regolare. Con un panno imbevuto di una sostanza disinfettante le pulì il volto, il petto e vide che era ricoperta da varie ustioni, non fu difficile capire che era stata barbaramente torturata. “Fammi morire.” Le disse in un soffio quasi soffocato. “Non posso, sono qui per curarti.” Le rispose dolcemente. “Non vedi come sono ridotta? Non vedi quello che mi fanno? Ti prego, poni fine alle mie sofferenze!” Non aveva la forza nemmeno di parlare, ma Misha riusciva a leggerle la mente. “Chi sei?” Le chiese. “Sono lady Marion Elisabeth Green, la fidanzata del vero principe ereditario e mi terranno così fino a quando il principe reggente non avrà finito di torturarmi. Ti prego, poni fine alla mia pena!”

Misha sentiva ogni dolore, ogni sofferenza di quel corpo e di quella mente martoriata e provò una pena indicibile. Non si capacitava della malvagità degli esseri umani. Le fece un incantesimo e quella si addormentò. “Ti sveglierai in un mondo migliore!” Le disse mentre le baciava la fronte bollente. Una lacrima non trattenuta bagnò il viso martoriato della lady. La ricoprì e uscì dalla cella.

“Ora dorme, ha la febbre molto alta, non arriverà a domani.” Disse semplicemente al capitano.

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