venerdì 11 dicembre 2020

MISHA

 MISHA

parte dieci



Furono portate nella zona femminile. Varie donne erano pronte al parto e quello non era il luogo migliore per un simile evento. Sudiciume ovunque, donne quasi irriconoscibili tanto erano degradate. Su una branda vicino alla parete più nascosta c’era una ragazza in preda alle doglie, su un altro giaciglio altre due donne pronte al parto. Misha guardò Muriel, lei non aveva mai fatto nascere nessun bambino.

“Stammi vicino, e fai come ti dico.”  La istruì Muriel.

Le due donne urlavano in preda ai dolori del parto, mentre la ragazza tratteneva le grida e il suo corpo era ricoperto da sudore freddo.

“Vai da lei, qui ci penso io.” Le ordinò Muriel.

La giovane guaritrice raggiunse la ragazza, mentre le altre donne si erano ritirate in un angolo per dar modo alle guaritrici di fare il più comodamente possibile il loro lavoro.

La ragazza si morsicava il labbro cercando di trattenere le grida che altrimenti le sarebbero sfuggite.

“Come ti chiami?”  Le chiese dolcemente Misha mentre le detergeva il sudore e cercava di allargarle le gambe che lei stringeva spasmodicamente, come se volesse impedire al suo bambino di nascere.

Lo sguardo della ragazza era appannato dal dolore e dallo sforzo che faceva. Misha si rese conto che da sola non sarebbe riuscita ad aiutarla. Prese dalla borsa una piccola boccetta e le versò qualche goccia in gola, e lei si calmò.

Il bambino era pronto a venire al mondo ma ancora la ragazza lo tratteneva. Intorno a loro si era fatto il vuoto. Misha cercò di entrare nella mente della ragazza per cercare di capire e capì il motivo di tanta tenacia. La ragazza afferrò il braccio di Misha e lo strinse con forza.  “Non deve nascere, deve morire con me!” Trovò la forza di bisbigliare. “Non posso farlo, e tu lo sai. Tutti i bambini hanno diritto di nascere e di vivere, anche questo.”  Le rispose.

In quel momento un grido le uscì dalla gola e fu costretta ad allargare le gambe mentre la testa del suo bambino era lì, pronta a uscire e conoscere la vita. Con destrezza, Misha lo fece nascere ma, capì subito che era stato tutto inutile, il bambino era morto e la madre lo avrebbe seguito di lì a poco, mentre una grossa scia di sangue la stava lentamente uccidendo.

Una delle prigioniere si avvicinò e avvolse il corpicino in una lurida coperta mentre Misha teneva la mano della ragazza, altro non poteva fare, era troppo forte la sua volontà di morire e lei avrebbe rispettato la sua scelta. La immerse in dolci immagini, le cancellò le brutture e le pene che aveva sofferto e fu con un sorriso che esalò l’ultimo respiro.

Muriel la raggiunse, non c’era bisogno di parlare. “Ripuliamo questo povero corpo.” Disse soltanto.

Gli altri neonati stavano bene, ma non era certamente quello il posto dove stare e loro non potevano fare altro.

Il capitano si era tenuto ben lontano, non amava quelle situazioni e ne doveva subire parecchie, a volte, anzi nella maggior parte delle volte, le prigioniere si aiutavano fra di loro ma, la ragazza che era morta non era come le altre e lui aveva cercato di salvarla, senza riuscirci.

In quel momento giunse una guardia con un biglietto per il capitano. Lo lesse e bestemmiò sotto voce, doveva andare. Chiamò il suo sostituto e diede ordine di accompagnare le guaritrici nelle celle che lui sapeva.

Seguirono il vice capitano e andarono nella zona maschile. Uno sguardo scambiato fra le due donne e Muriel distrasse la guardia.

Misha conosceva ormai bene dove si trovava la cella del principe e la raggiunse di corsa.

L’uomo era, come al solito seduto al piccolo tavolo con la candela accesa e leggeva. Sentì ancora prima che lei fosse lì che c’era un che di diverso.

Misha raggiunse le sbarre. “Buon giorno, principe.”  L’uomo la raggiunse e rimasero per qualche attimo a fissarsi negli occhi.

“Io ti conosco, chi sei?”  Per la prima volta udì la sua voce, una voce calma, melodiosa che le arrivò al cuore.

La ragazza allungò la mano oltre le sbarre e seguì con le dita una cicatrice che gli era rimasta sulla fronte, e quella sparì all’istante.

“Io sono quella che ti salverà!” Gli disse prima di correre via.

Il principe si toccò la fronte, ora liscia e si chiese se quella ragazza, della quale non aveva visto nemmeno il volto celato dal cappuccio fosse uno spirito, un angelo un essere umano vero.

Continuando ad accarezzarsi la fronte si rimise a sedere e il suo sguardo si posò sul fiore giallo che, nonostante il tempo trascorso non era appassito. Nella mente gli arrivarono le immagini del suo passato, del suo regno rubato dal fratello e dalla sua perfida sorella, e le parole della ragazza sono quella che ti salverà gli si impressero nella mente, sapeva che l’avrebbe rivista e non aspettava altro che di conoscerla. Si rimise a sedere cercando di continuare la lettura ma la sua mente andava altrove, prese il fiore giallo e lo mise vicino al libro che, con estrema concentrazione riprese a leggere.

Le due guaritrici dovettero curare vari prigionieri, per alcuni di loro non fu possibile fare niente, per altri le loro cure furono invece risolutive.

Erano stanche quando furono accompagnate al carro. Nei bracieri dei corridoi le fiamme ardevano e il calore arrivava nelle celle. Molti prigionieri piangevano, pregavano, bestemmiavano ben sapendo che il loro destino era segnato, conoscevano fin troppo bene la cattiveria del principe usurpatore e non si aspettavano che di sapere quando sarebbe giunta la loro fine.

Stavano raggiungendo l’uscita quando il capitano arrivò di corsa e le fermò. “dovete venire con me!”  Era evidente la contrarietà dell’uomo, ma aveva ordini ai quali obbedire.

Rientrarono e il capitano estrasse alcune chiavi che loro non avevano mai visto. Le precedette in corridoi che non avevano mai attraversato e scesero varie rampe di gradini scivolosi. Il freddo, l’umidità, l’aria ammorbata di puzza di ogni tipo le investiva mano a mano che scendevano.

Il capitano si coprì il viso con una sciarpa e disse alle due donne di fare lo stesso, in quel posto era difficile perfino respirare e, nonostante il freddo avevano il corpo coperto di sudore.

Raggiunsero finalmente il fondo. Muriel non ci era mai stata, nemmeno sapeva dell’esistenza di questi sotterranei. Avevano gli occhi sgranati cercando di vedere qualcosa, il buio era violato solo da alcune piccole fiaccole appese al muro.

Misha contò sei celle, o così le parve, ed erano tutte occupate da più prigionieri. Chi erano quegli uomini? Perché erano tenuti in isolamento in quel modo? La cosa strana era che nessun segno, nessun fiato, nessun rumore usciva da quelle persone imprigionate in modo così inumano.

Romanzo di Milena Ziletti - diritti e proprietà a lei riservati - immagine dalla pagina fb di elfi, fate e mondo incantato

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