MISHA
parte dieci
Furono
portate nella zona femminile. Varie donne erano pronte al parto e quello non era
il luogo migliore per un simile evento. Sudiciume ovunque, donne quasi
irriconoscibili tanto erano degradate. Su una branda vicino alla parete più
nascosta c’era una ragazza in preda alle doglie, su un altro giaciglio altre
due donne pronte al parto. Misha guardò Muriel, lei non aveva mai fatto nascere
nessun bambino.
“Stammi
vicino, e fai come ti dico.” La istruì Muriel.
Le due donne
urlavano in preda ai dolori del parto, mentre la ragazza tratteneva le grida e
il suo corpo era ricoperto da sudore freddo.
“Vai da lei,
qui ci penso io.” Le ordinò Muriel.
La giovane
guaritrice raggiunse la ragazza, mentre le altre donne si erano ritirate in un
angolo per dar modo alle guaritrici di fare il più comodamente possibile il
loro lavoro.
La ragazza
si morsicava il labbro cercando di trattenere le grida che altrimenti le
sarebbero sfuggite.
“Come ti
chiami?” Le chiese dolcemente Misha mentre le detergeva
il sudore e cercava di allargarle le gambe che lei stringeva spasmodicamente,
come se volesse impedire al suo bambino di nascere.
Lo sguardo
della ragazza era appannato dal dolore e dallo sforzo che faceva. Misha si rese
conto che da sola non sarebbe riuscita ad aiutarla. Prese dalla borsa una
piccola boccetta e le versò qualche goccia in gola, e lei si calmò.
Il bambino
era pronto a venire al mondo ma ancora la ragazza lo tratteneva. Intorno a loro
si era fatto il vuoto. Misha cercò di entrare nella mente della ragazza per
cercare di capire e capì il motivo di
tanta tenacia. La ragazza afferrò il braccio di Misha e lo strinse con forza. “Non
deve nascere, deve morire con me!” Trovò la forza di bisbigliare. “Non posso
farlo, e tu lo sai. Tutti i bambini hanno diritto di nascere e di vivere, anche
questo.” Le rispose.
In quel
momento un grido le uscì dalla gola e fu costretta ad allargare le gambe mentre
la testa del suo bambino era lì, pronta a uscire e conoscere la vita. Con
destrezza, Misha lo fece nascere ma, capì subito che era stato tutto inutile,
il bambino era morto e la madre lo avrebbe seguito di lì a poco, mentre una
grossa scia di sangue la stava lentamente uccidendo.
Una delle
prigioniere si avvicinò e avvolse il corpicino in una lurida coperta mentre
Misha teneva la mano della ragazza, altro non poteva fare, era troppo forte la
sua volontà di morire e lei avrebbe rispettato la sua scelta. La immerse in
dolci immagini, le cancellò le brutture e le pene che aveva sofferto e fu con
un sorriso che esalò l’ultimo respiro.
Muriel la
raggiunse, non c’era bisogno di parlare. “Ripuliamo questo povero corpo.” Disse soltanto.
Gli altri
neonati stavano bene, ma non era certamente quello il posto dove stare e loro
non potevano fare altro.
Il capitano
si era tenuto ben lontano, non amava quelle situazioni e ne doveva subire
parecchie, a volte, anzi nella maggior parte delle volte, le prigioniere si
aiutavano fra di loro ma, la ragazza che era morta non era come le altre e lui
aveva cercato di salvarla, senza riuscirci.
In quel
momento giunse una guardia con un biglietto per il capitano. Lo lesse e
bestemmiò sotto voce, doveva andare. Chiamò il suo sostituto e diede ordine di
accompagnare le guaritrici nelle celle che lui sapeva.
Seguirono il
vice capitano e andarono nella zona maschile. Uno sguardo scambiato fra le due
donne e Muriel distrasse la guardia.
Misha
conosceva ormai bene dove si trovava la cella del principe e la raggiunse di
corsa.
L’uomo era,
come al solito seduto al piccolo tavolo con la candela accesa e leggeva. Sentì
ancora prima che lei fosse lì che c’era un che di diverso.
Misha
raggiunse le sbarre. “Buon giorno, principe.” L’uomo la raggiunse e
rimasero per qualche attimo a fissarsi negli occhi.
“Io ti
conosco, chi sei?” Per la prima volta udì la sua voce, una voce
calma, melodiosa che le arrivò al cuore.
La ragazza
allungò la mano oltre le sbarre e seguì con le dita una cicatrice che gli era
rimasta sulla fronte, e quella sparì all’istante.
“Io sono quella che ti salverà!” Gli disse prima di correre via.
Il principe
si toccò la fronte, ora liscia e si chiese se quella ragazza, della quale non
aveva visto nemmeno il volto celato dal cappuccio fosse uno spirito, un angelo
un essere umano vero.
Continuando
ad accarezzarsi la fronte si rimise a sedere e il suo sguardo si posò sul fiore
giallo che, nonostante il tempo trascorso non era appassito. Nella mente gli
arrivarono le immagini del suo passato, del suo regno rubato dal fratello e
dalla sua perfida sorella, e le parole della ragazza sono quella che ti salverà gli si impressero nella mente, sapeva
che l’avrebbe rivista e non aspettava altro che di conoscerla. Si rimise a
sedere cercando di continuare la lettura ma la sua mente andava altrove, prese
il fiore giallo e lo mise vicino al libro che, con estrema concentrazione
riprese a leggere.
Le due
guaritrici dovettero curare vari prigionieri, per alcuni di loro non fu
possibile fare niente, per altri le loro cure furono invece risolutive.
Erano
stanche quando furono accompagnate al carro. Nei bracieri dei corridoi le
fiamme ardevano e il calore arrivava nelle celle. Molti prigionieri piangevano,
pregavano, bestemmiavano ben sapendo che il loro destino era segnato,
conoscevano fin troppo bene la cattiveria del principe usurpatore e non si
aspettavano che di sapere quando sarebbe giunta la loro fine.
Stavano
raggiungendo l’uscita quando il capitano arrivò di corsa e le fermò. “dovete
venire con me!” Era evidente la
contrarietà dell’uomo, ma aveva ordini ai quali obbedire.
Rientrarono
e il capitano estrasse alcune chiavi che loro non avevano mai visto. Le
precedette in corridoi che non avevano mai attraversato e scesero varie rampe
di gradini scivolosi. Il freddo, l’umidità, l’aria ammorbata di puzza di ogni
tipo le investiva mano a mano che scendevano.
Il capitano
si coprì il viso con una sciarpa e disse alle due donne di fare lo stesso, in
quel posto era difficile perfino respirare e, nonostante il freddo avevano il
corpo coperto di sudore.
Raggiunsero
finalmente il fondo. Muriel non ci era mai stata, nemmeno sapeva dell’esistenza
di questi sotterranei. Avevano gli occhi sgranati cercando di vedere qualcosa,
il buio era violato solo da alcune piccole fiaccole appese al muro.
Misha contò
sei celle, o così le parve, ed erano tutte occupate da più prigionieri. Chi
erano quegli uomini? Perché erano tenuti in isolamento in quel modo? La cosa
strana era che nessun segno, nessun fiato, nessun rumore usciva da quelle
persone imprigionate in modo così inumano.
Romanzo di Milena Ziletti - diritti e proprietà a lei riservati - immagine dalla pagina fb di elfi, fate e mondo incantato
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