mercoledì 31 ottobre 2018

IRINA


IRINA

P. TRE






Fu l’uomo che la spogliò e si soffermò ad ammirare quel corpo quasi perfetto. Alcune piccole cicatrici segnavano l’addome praticamente liscio della donna e le sfiorò con un dito. Ti disturbano quei segni? Gli chiese mentre gli passava la lingua sull’orecchio. Sono bellissime. Le rispose mentre l’accarezzava. Erano nudi sul letto e il sesso che sperimentarono quella notte nessuno dei due lo aveva mai provato.
Erano le due di notte quando il cellulare dell’uomo squillò. Questa è mia moglie, mi chiama sempre quando è in pausa. La informò.
Pronto? Ciao cara…sì qui tutto bene, mi manchi. Buonanotte anche a te. E riattaccò.
La mano di Irina lo accarezzava e ripresero da capo.
Erano le quattro del mattino quando Luca si decise ad andarsene, non voleva che qualcuno notasse la sua auto.
Irina lo osservava mentre si rivestiva. Puoi tornare quando vuoi, ma se dirai anche solo una parola di tutto questo io andrò da tua moglie, sta a te decidere. Io sono qua.
Luca si avvicinò al letto e si sedette vicino alla donna ancora nuda. Nei suoi occhi passavano tutte le emozioni provate quella notte. Tornerò ogni volta che posso. Questa è la mia risposta. La baciò di nuovo e tornò a casa.
Sapeva bene, l’uomo, che non avrebbe detto niente a nessuno. I tre amici avevano una regola molto ferrea: non dovevano avere storie con donne del paese, troppo pericoloso e lui, quella notte l’aveva infranta.
La settimana passò come sempre, l’autunno era ormai arrivato e la foschia aveva già cominciato a inumidire e far gocciolare la statua della Madonna che c’era in piazza oltre al fatto che gli alberi avevano perso quasi tutte le foglie.
Era di nuovo martedì e il campanello avvisò Irina dell’arrivo di Luca. Gli aprì e quando quello arrivò di sopra lei era già nuda e lo aspettava col letto sfatto.
Fu un’altra notte di puro sesso e così fu per varie settimane. Il freddo era arrivato e nessuno sospettava che fra i due ci fosse qualcosa.
Era l’ultimo martedì di novembre gelido e nebbioso, Luca arrivò e come al solito finirono a letto.
Il campanile batte la mezzanotte mentre erano abbracciati sotto il piumone.
Ho sentito che nel piazzale del cimitero a quest’ora ci sono coppie che fanno gli scambisti, mi piacerebbe andare. Disse lei quasi con noncuranza.
Non credo che questa sia la sera giusta. Le rispose.
Andiamo a vedere? Gli rispose mentre completamente nuda indossava la sua lunga giacca a vento, la cuffia di lana e gli stivali imbottiti. Io sono pronta, andiamo?
Tu sei pazza! Ma si alzò dal letto e cominciò a vestirsi.
Irina prese il suo piccolo zaino e lo precedette ridendo. Luca si fece trascinare fino all’auto. In giro non c’era nessuno e la foschia rendeva tutto più romantico.
Arrivarono nel parcheggio del cimitero e non c’era nessuno. La donna scese e aprì lo sportello dell’uomo che non voleva saperne.
Vieni, ho sempre desiderato fare sesso vicino ai morti. Gli sussurrò all’orecchio.
Faceva freddo e Irina tolse dallo zaino una bottiglia di whisky, ne bevvero entrambi e poi cominciò a spogliarlo mentre gli infilava qualcosa in bocca e lo faceva di nuovo bere.
Ridevano entrambi per la pazzia che stavano commettendo.
Dopo pochi minuti Luca si accasciò tenendosi la pancia. Irina lo raggiunse e lo fece sedere in terra con la testa poggiata al pilastro del cancellino.
L’uomo sudava abbondantemente nonostante il freddo e lei gli teneva la mano con sguardo amorevole. Ci sarebbe voluto poco.
Luca spalancò gli occhi sulla donna quando capì che gli stava capitando qualcosa di brutto. Non sentiva né le gambe né le braccia e non riusciva a muoversi.
Perché? Riuscì a sussurrare mentre il soffio vitale lo stava abbandonando.
Irina si abbassò e gli puntò i suoi splendidi occhi neri in facci. Ho aspettato dieci anni, tu sei il primo, poi toccherà anche a loro. Ma lui era già morto.
La donna lo spogliò completamente, portò i suoi vestiti nell’auto, lo cosparse di whisky e lo lasciò lì, nudo davanti al cancello del cimitero.
Tornò all’auto e cancellò le sue impronte, prese un po’ di terriccio e lo mise dalla parte del passeggero. Si voltò solo un secondo per osservare quello che aveva fatto, era solo l’inizio ma tutti e tre avrebbero pagato.
Si incamminò verso casa avvolta da una fitta nebbia. Nessuno l’aveva vista. Sistemò il letto, tolse le lenzuola le infilò nella lavatrice, si fece una doccia e con una tazza fumante in mano si mise alla finestra ad aspettare l’alba.
Come ogni mattina andò al bar per la colazione. Di lì a poco si sentirono le sirene di un’ambulanza e le luci intermittenti delle auto dei carabinieri.
Irina guardò interrogativamente Giada ma nessuno sapeva cosa fosse successo.
Entrò Leonardo, tutto trafelato che teneva per mano la madre anziana che continuava a farsi il segno della croce. La fece sedere e chiese del caffè forte.
Cos’è successo? Gli chiese la barista. L’uomo aspettò che sua madre riprendesse un po’ di colore. Fu lei a dire quello che era successo. Leo mi aveva accompagnata al cimitero e quando siamo arrivati, mentre lui parcheggiava io sono andata avanti. Oddio quello che ho visto! Gesù quello che ho visto! Si agitò l’anziana donna.
Calmati, mamma. Le disse premuroso suo figlio. Continuò lui stesso il racconto. Ho sentito mia madre urlare e sono corso da lei, appoggiato al pilastro del cancellino c’era il corpo completamente nudo di Luca, il commercialista. Aveva in mano una bottiglia di liquore e quasi mi prende un colpo. Mi sono avvicinato per sentire se il cuore batteva ancora ma era tutto freddo. Ho chiamato il 112 e sono rimasto fino a quando sono arrivati, cercando di tenere lontani i pochi mattinieri visitatori.
Giada era sbigottita. Vuoi dire che Luca è morto? Oddio non ci posso credere! E versò per tutti un goccio di liquore.


immagine dal web - diritti e proprietà riservati di Milena Ziletti

martedì 30 ottobre 2018

IRINA



IRINA

P. DUE





La barista la osservava e ascoltava i commenti di alcuni clienti. Si stavano inventando un sacco di storie su quella donna.
Ad un tavolino un po’ appartato c’erano tre uomini che, come ogni domenica si ritrovavano lì per la colazione. Si conoscevano fin dall’asilo ed erano diventate persone importanti in paese. Riccardo era architetto, Lorenzo ingegnere, Luca commercialista, erano amici fin dall’infanzia ed erano rimasti insieme fino alle superiori dopo di che ognuno aveva seguito la propria inclinazione e si erano laureati nello stesso periodo. Erano sposati con figli e conducevano una vita piacevole e agiata. L’architetto e il commercialista avevano il loro studio in paese, mentre l’ingegnere faceva il pendolare e lavorava in città.
 Bevevano e chiacchieravano raccontandosi la loro settimana, era una routine che andava avanti da sempre, spesso parlavano sottovoce e si confidavano avventure e scappatelle che solo fra loro potevano raccontarsi.
Che ne dite di quella bella donna? Chiese Riccardo ai suoi amici. Una gran bella donna! Rispose Luca. Io me la scoperei volentieri. Aggiunse Lorenzo. Non avevano segreti fra di loro e ognuno conosceva le storie degli altri e molto spesso si creavano alibi fra di loro per poter uscire dalla solita vita famigliare. Tutti e tre avevano avuto storie e avventure ma nessuno di loro avrebbe mai lasciato la propria famiglia, avevano raggiunto un compromesso fra di loro e non si sarebbero mai traditi. C’era un legame che nessun altro era mai riuscito a capire fino in fondo.
Sono sicuro che ognuno di noi ci proverà a portarsela a letto. Disse Riccardo. Vediamo chi ci riesce per primo. Aggiunse Luca. Al solito patto che poi dovremo raccontarci l’avventura. Aggiunse Lorenzo.
Ridevano conversando e raccontando la loro ultima storia di sesso, che spesso era inventata, ma fra di loro era quasi un gioco che andava avanti da anni.
Le campane suonarono l’ultima chiamata per la messa e i tre amici si alzarono per raggiungere le loro mogli in chiesa.
Irina era rimasta l’unica avventrice e fece cenno a Giada di raggiungerla al tavolino.
Buongiorno signorina, finalmente un po’ di calma, almeno fino all’ora dell’aperitivo. Le disse sorridendo. La domenica è sempre un caos. Le rispose la ragazza.
C’è tanta bella gente in questo paese, molta aggregazione, mi piace questo modo così cameratesco di aiutarsi e stare insieme, non si vede spesso. Disse Irina.
E’ vero, qui non succede mai niente di strano a parte qualche scappatella che subito rientra, ci conosciamo tutti e niente sfugge agli occhi e alle orecchie di tante pettegole e pettegoli. Sapesse quanto sono pettegoli anche gli uomini! Aggiunse Giada.
Irina sorrise. Quei tre bei ragazzi sembravano divertirsi un mondo. Disse senza aggiungere altro.
Noi li chiamiamo i tre amiconi, sono sempre insieme fin da quando sono nati, un’amicizia che non si è mai assopita. Sono uomini di prestigio e influenti nel nostro piccolo paese. La informò la barista.
Mi potrebbe indicare una trattoria dove andare a mangiare qui nei dintorni? Un posto che possa raggiungere a piedi o in biciletta, avrei voglia di qualcosa di diverso dai soliti panini. Chiese Irina.
C’è un piccolo locale appena fuori il paese, cucina casalinga e prezzi buoni, glielo garantisco e glielo consiglio, lo gestisce mia sorella. Le dica che la mando io. Anzi la chiamo e le faccio riservare un tavolo. Si offrì.
Irina aspettò di avere la conferma e la ringraziò. Uscì in strada e il paese era praticamente deserto, la messa attirava tutti in chiesa.
Raggiunse il suo appartamento e accese la musica. I ricordi la colpirono come un pugno in faccia e gli occhi le si inumidirono. Scacciò le immagini dalla sua mente e riprese il controllo. Dentro di lei ribolliva una rabbia e un dolore che avrebbe trovato sollievo solo quando avrebbe portato a termine la sua vendetta, o almeno era quello che sperava.
Cominciò a prepararsi, avrebbe raggiunto a piedi la trattoria, era un modo come un altro per passare il tempo di quelle giornata vuote e noiose ma che passo dopo passo la portavano al traguardo che solo lei conosceva.


La trattoria era piuttosto piccola, tavoli apparecchiati con tovaglie inamidate, una usanza che non si trovava molto spesso ora che erano di moda quelle di carta usa e getta. Fuori, sotto il pergolato un tavolo apparecchiato per varie persone.
Si presentò alla titolare che la fece accomodare ad un tavolo con vista sul giardino.
Fecero una breve conoscenza mentre gli avventori iniziavano ad arrivare.
Lucia, cominciò a servirla. Aveva un bel sorriso e un piacevole modo di fare con i clienti e, cosa molto importante il cibo era veramente ottimo.
Il tavolo sotto il pergolato cominciò ad animarsi, le famiglie dei tre “amiconi” presero posto mentre i loro bambini correvano in giardino. Li poteva osservare senza essere vista.
Erano tipiche famiglie unite, sembravano felici. Le osservava mentre nel suo cuore e nella sua mente passavano pensieri che niente avevano di piacevole anche se dalla sua espressione non trapelava niente di quello che provava.
Lucia arrivò con il dessert. Irina chiese il caffè e il conto. Lucia era felice che la nuova cliente le avesse prenotato il tavolo anche per la domenica successiva e le regalò l’ultima rosa del suo giardino.
Irina uscì dal locale seguita dagli sguardi di tutti. I tre amici faticavano a distogliere lo sguardo da quella bella donna, e si rivolsero cortesi alle loro mogli.
Quel giorno aveva conosciuto le tre famiglie che avrebbe distrutto. C’erano anche dei bambini ma nel suo cuore questo non contava proprio niente.
Settembre passò con la sua dolcezza e nella solita routine. Irina aveva imparato le abitudini di quella gente e non aveva fatto amicizia con nessuno, soltanto Giada ogni tanto si fermava a scambiare poche parole ma aveva capito che la signora non amava essere coinvolta con nessuno.
Era il secondo martedì di ottobre e, come ogni giorno Irina stava correndo nella sua tuta felpata. Raggiunse il fiume che era quasi il crepuscolo, aveva deciso che era ora di mettere in pratica il suo piano.
Aspettò di sentire i passi di quello che stava aspettando e si accasciò fingendo dolore ad una caviglia. L’uomo la vide e le si avvicinò.
Ha bisogno di aiuto, signora? Si è fatta male? Le chiese gentilmente.
Ho preso una storta alla caviglia ed ho paura di non riuscire a tornare a casa. Gli rispose.
Luca, per la prima volta sentiva il suono della voce della sconosciuta, una voce bassa e decisamente sexy, pensò.
Mi chiamo Luca e abito in paese, se vuole l’accompagno a casa, ho l’auto proprio qui vicino. Le disse preoccupato.
Le sono molto riconoscente, se non fosse per lei avrei dovuto passare qui la notte! Gli rispose sorridendo faticosamente.
L’uomo l’aiutò a rialzarsi e la sorresse fino all’auto. Sentiva il calore di quel corpo femminile e il suo profumo, le sue mani scivolavano noncuranti verso il suo corpo e lei faceva finta di non accorgersene.
Raggiunsero l’appartamento di Irina che era quasi buio. Luca scese dall’auto e la sorresse mentre salivano le scale e raggiunsero il bilocale.
Posso fare qualcosa per lei, signora? Chiese cortese l’uomo.
Ho del ghiaccio in frigo, se me lo porta poi la lascio libero, ho già approfittato anche troppo della sua gentilezza. Gli rispose lei.
Irina era seduta sul piccolo divano con la gamba tesa poggiata sulla sedia e il ghiaccio sul piede. Luca era titubante e non sapeva come comportarsi.
Ora posso cavarmela da sola, non vorrei che la sua famiglia si preoccupasse per la sua assenza. Gli disse guardandolo negli occhi.
Non si deve preoccupare, signora. Mia moglie è di turno in ospedale e mia figlia è dai nonni, come vede non ho impegni. Si sentì in dovere di dire.
Vuole fermarsi a mangiare qualcosa con me? Così posso ricambiare il suo aiuto, c’è poco in frigo ma può bastare. Aveva lanciato l’amo e aspettava che lui abboccasse.
Solo se ci potremo dare del tu. Gli rispose lui.
Lei gli sorrise annuendo. Mi chiamo Irina e voglio che la nostra amicizia, se nascerà rimanga segreta, se non è in grado di soddisfare la mia richiesta può andarsene subito. Era una richiesta che richiedeva solo una risposta.
L’uomo si portò la mano sul cuore. Te lo giuro, Irina.
In frigorifero c’erano prosciutto e formaggio, aprirono un pacchetto di patatine e della birra fresca, mangiarono seduti sul divano ascoltando la musica che si diffondeva in tutta la stanza.
Sei molto bella, Irina e da quando ti ho vista mi sento scombussolato. Le disse l’uomo che non era certamente timido con le donne.
Sei un uomo sposato. Gli rispose soltanto.
E’ vero, ma sono soprattutto un uomo e tu mi piaci molto. Le disse mentre le sue mani si muovevano sulle lunghe gambe della donna.
Lei lo guardava in modo languido. Vuoi scopare? Le sussurrò ad un orecchio.
L’uomo la prese in braccio e la portò in camera da letto.

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lunedì 29 ottobre 2018

IRINA


IRINA


1
Aveva destato molta curiosità l’arrivo di quella bella e giovane signora in paese. Non era certo un luogo dove qualcuno potesse venire a villeggiare o in vacanza, non c’erano attrattive particolari e il clima non era dei migliori.
In piena Pianura Padana, col fiume lontano dal centro, la nebbia in inverno e l’afa in estate non era molto accogliente, ma ci abitava tanta brava gente e la vita andava avanti al solito modo.
Aveva preso in affitto il bilocale del farmacista che era vuoto da tempo. In passato era servito per gente che si separava e non sapeva dove andare nell’immediato, ma da tempo non lo usava nessuno, così il farmacista lo aveva dato in gestione ad una società e in poco tempo era arrivata l’inquilina.
Sul campanello aveva scritto solo “Irina” e nient’altro, aveva affittato una casella postale, e nessuno sapeva per quanto si sarebbe fermata.
Era una donna di circa quarant’anni, con un fisico leggermente abbondante e con le curve armoniose, un seno generoso, un tipo di quelli che piacciono molto agli uomini. Il suo viso sembrava rispecchiare una certa tristezza, aveva i capelli lunghi e leggermente mossi, scuri come scuri erano i suoi occhi che ancora nessuno aveva avuto il piacere di osservare da vicino o avrebbe notato la profondità e l’abisso in cui potevano trascinare.
Era arrivata a fine agosto e aveva portato con sé poche cose, nessuno sapeva quanto si sarebbe fermata e cosa era venuta a fare, aveva destato molte chiacchiere e pettegolezzi.
Aveva scelto il bar delle “Due sorelle” per la colazione e ogni mattina, col suo portatile si sedeva ad un tavolino a consumare il cappuccino e la brioche. Usava la connessione e rimaneva un’oretta a leggere e scrivere velocemente sulla tastiera mentre intorno a lei uomini e donne andavano e venivano con la voglia di fermarsi al suo tavolo e cercare di conoscerla, ma lei non dava confidenza a nessuno.
Giada, la barista le portò un bicchiere d’acqua e si sedette di fronte a lei. La osservava aspettando il momento giusto per iniziare una conversazione ma Irina batteva velocemente sulla tastiera ed era immersa in quello che faceva.
Sentendosi osserva, alzò lo sguardo e sorrise alla ragazza. Giada rimase incantata, per la prima volta la osservava così da vicino e non poteva non vedere la dolcezza di quel viso e la profondità degli occhi neri.
“Voleva dirmi qualcosa, signorina?” Le chiese gentilmente. Anche la sua voce, così sussurrata era gradevole, così diverso l’accento e il modo di parlare da quelli del posto.
“Viene qui ogni mattina da due settimane e la osservo, le chiedo scusa per la mia curiosità ma qui, ormai tutti si chiedono chi sia lei e che cosa sia venuta a fare in questo posto. Anch’io me lo chiedo e se non sono indiscreta mi piacerebbe saperlo.”
Irina abbassò il monitor del portatile e poggiò le braccia al tavolino. Aveva un sorriso appena accennato, si aspettava che qualcuno prima o poi le rivolgesse delle domande. Sorseggiò l’acqua.
“Non nascondo niente di speciale, sono una scrittrice e avevo bisogno di un posto dove concentrarmi per poter trovare l’ispirazione per il romanzo che sto scrivendo. Un posto tranquillo dove poter trascorrere le mie giornate senza distrazioni e l’agenzia mi ha proposto il suo paese.”
Giada le sorrise. Ora avrò qualcosa da raccontare a chi mi farà domande su di lei, se non se ne è accorta il mio lavoro è aumentato da quando lei frequenta il mio bar per la colazione, oggi offro io e la prego, torni ogni mattina e non la disturberò più! Le disse tornando ai suoi compiti.
Irina riaprì il pc e riprese a leggere le notizie che le interessavano.
Rimase per un’altra ora prima di salutare e uscire. Il negozio di alimentari era a due passi, comprò qualcosa per pranzo e cena e ritornò nel suo appartamento.
Scelse una chiavetta e accese la sua musica preferita. Non aveva molto da fare durante le giornate che si stavano accorciando e regalavano un clima veramente piacevole. Indossò una tuta e scarpe da ginnastica e uscì per la solita corsa giornaliera.
Si sentiva osservata ma le cuffie che portava la tenevano isolata dal resto del mondo, correva ascoltando musica e spesso arrivava fino al fiume prima di fermarsi, fare qualche allungamento e tornare a casa.
Si sentiva sola, aveva un buco nel cuore e una missione da compiere e niente e nessuno l’avrebbe distolta dal suo piano, ed era lì, proprio in quel paese che l’avevano portata le sue ricerche.
Doveva coltivare la conoscenza con la barista, aveva bisogno di informazioni e chi più di una persona che gestisce il bar della piazza era più adatta?
La mattina dopo si presentò al solito tavolino per la colazione e Giada la servì sorridendole. Era domenica e quasi tutta la popolazione sarebbe andata a messa, ma lei no, aprì il suo pc e iniziò la lettura dei giornali.



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domenica 28 ottobre 2018

DISPERAZIONE


DISPERAZIONE






Stare seduto sulla riva del fiume, in pieno inverno col fiato che si condensa e sale in alto sopra le nuvole scure, lasciando che i pensieri mi avvolgano la mente, mentre il corpo è come paralizzato da tutto quello che provo.
L’acqua scorre lenta e silenziosa, in questo tardo pomeriggio gli ultimi raggi di sole non riescono più a rischiarare la terra, è quasi buio, come dentro di me.
Lacrime amare e silenziose mi solcano il viso dalla barba incolta, non le asciugo e le lascio cadere sul terreno già umido, dove anch’io sono seduto con i pantaloni già fradici. Chiudo gli occhi e la rivedo, la mia splendida e adorata compagna in quella calda giornata di sole che mi aspetta sui gradini di casa, il suo sorriso le illumina il viso, gli occhi e mi corre incontro. Dio com’è bella, e quanto la amo! Indossa il suo abito leggero e colorato e mi fa una danza prendendomi per mano. Credo di sapere cosa mi deve dire. Mi guarda fisso negli occhi e il suo sorriso diventa ancora più grande: avremo un bambino, sì amore mio avremo un bambino. La stringo a me e le bacio il collo e i capelli, sento il suo profumo e la sua felicità aumenta la mia, saremo una vera famiglia, finalmente il nostro sogno si avvera.
Apro gli occhi e guardo l’acqua che si è fatta più scura, il cielo è quasi nero e grosse gocce di pioggia iniziano a cadere, io non le sento nemmeno e ritorno indietro nel tempo.
La prima ecografia è stata un’emozione, le tenevo la mano mentre sul monitor passavano immagini che io non sapevo distinguere, ma la dottoressa diceva che tutto era a posto e questo mi bastava, ci bastava.
Furono mesi difficili e felici, fra nausee e malesseri vari che sparirono d’un tratto come per miracolo.
Mi viene da sorridere se penso a quei mesi così intensi e felici, ma poi tutto è precipitato. Ho perso il lavoro e la disperazione è penetrata nel mio essere.
Ho cercato, dio solo sa quanto ho cercato un’altra occupazione ma non c’è stato niente da fare. Lei mi consolava, aveva fiducia in me mentre il suo ventre germogliava e il nostro bambino cresceva con la voglia di nascere. Le nostre famiglie ci aiuteranno, mi diceva, non dobbiamo abbatterci, il nostro bambino ha bisogno di noi. Quante volte me lo ha ripetuto, e più sentivo queste parole più mi veniva voglia di scomparire.
Che padre posso essere se non sono nemmeno in grado di trovare un lavoro per mantenere la mia famiglia? Che marito posso essere se non ho nemmeno il coraggio di guardare in faccia la donna che amo più di me stesso? Che futuro posso aspettarmi se non ho più nemmeno la forza di essere felice per loro?
Stamattina è nato il mio bambino, splendido, sano e la mia compagna aveva gli occhi lucidi quando me lo ha mostrato. Ho visto in quegli occhi tanto amore e tanta paura, ho visto la mia colpa, il mio essere inutile. Ho accarezzato la testolina di mio figlio ed ho sentito un tuffo al cuore. Mi sono sentito inadeguato. Non ho resistito e li ho salutati. Lei mi ha seguito con lo sguardo, mi ha chiamato, mi sono voltato e le sue lacrime sono state tante pugnalate nel mio cuore. Non andartene, mi ha detto ma io le ho mandato un bacio e sono uscito.
Ed ora sono qui, sulla riva del fiume a meditare sulla mia vita, sul mio futuro ma soprattutto su quello che posso dare alle due persone che più amo al mondo e non trovo soluzione.
Piango e i singhiozzi mi squassano ogni fibra del corpo, le lacrime mi accecano mentre a piccoli ma decisi passi mi avvicino al precipizio, al salto che metterà fine al mio immenso dolore e alla disperazione.
Il cielo è quasi buio e la pioggia si è fatta più insistente, sento il vuoto sotto di me e l’acqua che mi circonda. Non sento nemmeno il freddo e mi lascio trasportare dalla corrente, ho il viso rivolto al cielo che sembra si stia schiarendo. E’ un segno, il mondo sta meglio senza di me, la mia compagna, mio figlio staranno meglio senza di me ed io troverò sollievo alla mia disperazione.
Una nullità per il mondo, questo mi sento ma ora sono in pace.
Perdonatemi.



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sabato 27 ottobre 2018

VISANO E LA MALEDIZIONE DEL ROGO (un assaggio)


TRATTO DA “VISANO E LA MALEDIZIONE DEL ROGO”



 Con i polsi ben stretti, Lena fu condotta davanti al suo patibolo. Tone aspettava che anche gli altri si avvicinassero.
Procedi. L’uomo strattonò la ragazza fino al palo e la legò senza che lei si ribellasse. Lena levò lo sguardo e trafisse con gli occhi ognuno di loro. Io, Lena Ferdinandi vi maledico. Tu, Mariano Livorni, sai già cosa ti aspetta. Tu, Tina Livorni, ogni volta che sentirai il mio odore saprai che una disgrazia sta per capitarti. Tu, Tone Anastase, non riuscirai a godere di quello che otterrai. Tu, Antonio Anacleto Spiga (e qui fece una lunga pausa senza mai abbassare gli occhi) tu otterrai onori, ricchezze, terre e ogni cosa che desideri, ma la tua stirpe finirà prima che il 1000 e non più 1000 scocchi i rintocchi. La tua discendenza sarà quella che più soffrirà per causa tua. E voi, uomini di chiesa, verrete giudicati dalla storia ma soprattutto da quel Dio che avete così spudoratamente tradito. Io sono pronta, ma ricordate, non sono finita.
Tina tremava visibilmente, ricordando lo strano odore che aveva percepito.
Mariano ribolliva di rabbia e non vedeva l’ora che quella puttana andasse in fumo per correre da Agata e dimostrare che il suo calvario era finito.
Tone sorrideva senza timore.
Antonio Anacleto Spiga si rigirava il sigaro fra le labbra, imperturbabile come sempre.
L’inquisitore, avvezzo a tutto questo, aveva solo il desiderio di porvi fine in fretta.
Il Vicario alzò gli occhi al cielo e gli sembrò di vedere un lampo, come se il suo Dio gli mandasse un segno, e cominciò ad avere paura.
Procedete.
Tone aveva già acceso la torca e cominciò a dare fuoco alle fascine.
Lentamente il fuoco si avvicinava alla ragazza e le vesti cominciarono a bruciare. Nessuno dei presenti riusciva a staccare gli occhi dalla scena che avrebbero ricordato per tutta la vita.
Quando le fiamme cominciarono a lambire la carne di Lena, la ragazza cominciò ad urlare.
Che Dio vi maledica. Che siate maledetti, tutti quanti maledetti. Continuò a ripetere le stesse parole fino a quando il fuoco l’avvolse.


pubbicato da Gilgamesh edizioni - scritto da Milena Ziletti

venerdì 26 ottobre 2018

ELOISE


ELOISE

ULTIMA PARTE




E anche il mattino del nove settembre spuntò come se niente fosse cambiato sulla terra.
Sir Power si svegliò e i suoi uomini gli servirono la colazione. Lì vicino c’erano gli abiti che avrebbe dovuto indossare. Nessuno parlava, soltanto Leonard canticchiava sottovoce mentre gli altri lo guardavano sorpresi.
Lo sposo si preparò. Fuori c’era già fermento e la giornata era davvero piacevole. Sembrava che anche il sole volesse benedire l’unione dei due recalcitranti sposi.
Il vescovo era già vestito coi sacri paramenti e stava sistemando tutto sull’altare. Alla sua destra c’erano gli scranni per i sovrani, subito dietro tutte le sedie per gli invitati, e più infondo altro spazio per tutti quelli che volevano assistere.
E’ ora, sir Power, dobbiamo andare. Disse Allen. Anche le sue guardie vestivano una nuova uniforme e sarebbero rimasti molto vicini agli sposi.
Su un piccolo palco alle spalle del vescovo c’erano alcuni musicanti che suonavano musica sacra e avrebbero accompagnato tutta la funzione.
Ogni singolo posto era occupato.
Arrivò la regina, seguita dalla sposa in uno splendido abito. Il velo bianco le copriva il volto e, sua altezza l’accompagnò all’altare dove lo sposo l’attendeva.
Il vescovo disse a tutti che potevano rimanere seduti in attesa dell’arrivo del re e che non avrebbe iniziato senza di lui.
I minuti passavano e molti uomini e donne sudavano sotto i vestiti pomposi che indossavano. C’era un certo nervosismo, sembrava che soltanto il vescovo e la regina fossero immuni da tutto.
Finalmente sentirono arrivare la carrozza reale e tutti si alzarono in piedi voltandosi verso il loro re, pronti all’inchino.
Dalla carrozza scese il re e poi una sconosciuta vestita in uno splendido abito da sposa.
Ci fu un mormorio generale ma nessuno osava dire niente.
Il re, con la mano della sconosciuta poggiata sulla sua iniziò a dirigersi verso l’altare.
Miss Mariclaire e sir Power erano esterrefatti.
Il vescovo osservava la scena sorridendo, fra i pochi a sapere quello che sarebbe successo.
Il re e la sposa sconosciuta avanzavano verso l’altare mentre i presenti s’inchinavano doverosamente.
A metà tragitto si fermarono e tutti rimasero col fiato sospeso.
Senza scomporsi di un millimetro il re prese la parola. Arrestate quella donna! Quattro delle sue guardie personali raggiunsero Mariclaire e le bloccarono le mani dietro la schiena.
E’ accusata di alto tradimento. Portatela nelle prigioni di palazzo e aspettate il mio ritorno. Ordinò il sovrano.
Si avvicinò anche il comandante in capo di tutte le guardie e Leonard lo riconobbe. Il re aveva usato i suoi migliori uomini per sventare il tradimento.
State commettendo un errore, sire! Gridò Mariclaire mentre le veniva strappato il velo.
Il re attese che fosse tradotta sulla carrozza blindata e riprese ad avanzare verso lo sposo.
Sir Power, ecco la sua sposa. E gli passò la mano guantata.
Ci volle qualche istante prima che si riprendesse, nel frattempo il re aveva raggiungo il suo posto accanto alla regina. Spero che tu sia estranea a tutto questo o la pagherai cara, in ogni modo dovrai subire il tuo castigo, visto quello che è successo. Le disse in un orecchio. La sovrana aveva la faccia sconvolta.
 Il vescovo si spazientì. Vogliamo cominciare? Ben sapendo che tutti erano curiosi di sapere chi fosse la sposa accompagnata dal re.
Sir Power le sollevò il velo e non si trattenne. La strinse in un abbraccio e ci volle tutta l’autorità del vescovo per dare inizio alla cerimonia.
Vi dichiaro marito e moglie. Ora può baciare la sposa.
In fondo alla folla Rose piangeva senza ritegno mentre Tom le teneva la mano. Quella era la loro figlia che coronava il suo sogno d’amore.
Gli sposi cominciarono a passare fra gli invitati per fare le presentazioni. I primi ad essere ringraziati furono i sovrani.
Grazie, sire. Non sapeva cosa altro aggiungere.
Ci volle un bel po’ prima che il banchetto iniziasse. Tutti volevano congratularsi e, finalmente poterono sedersi mentre i camerieri cominciavano a servire il banchetto.
In un tavolo appartato le quattro guardie del corpo stavano bevendo del buon vino.
Allen osservava Leonard che faceva finta di niente. Allora, mi sembra sia giunto il momento che tu ci dia spiegazioni. Abbiamo atteso fin troppo a lungo. Disse.
Davvero volete che vi tedi con il racconto? Li prese in giro Leonard.
Quelli fecero finta di arrabbiarsi e lui cominciò a spiegare.
Io sono un agente del re, quello che voi chiamate semplicemente una spia. Lavoro per lui direttamente e sono stato mandato qui per scoprire quello che stava succedendo dopo l’attentato a sir Power. Devo confessarvi che non è stato facile trovare il bandolo della matassa fino a quando Eloise mi ha mostrato i ritratti che Oliver aveva fatto. Ero sicuro di riconoscere uno di loro ma non sapevo come collocarlo. Poi quando hanno tentato di annegare Eloise ho avuto dei sospetti: chi poteva volere morta una semplice ragazza?  Soltanto una donna potente e gelosa poteva ordinare la sua morte. All’inizio miss Mariclaire la voleva morta solo per gelosia poi per molto altro. Era lei a capo delle spie nemiche e se fosse venuta a vivere qui non avrebbe più potuto avere sotto controllo i movimenti del palazzo reale, ed essendo molto vicina alla regina aveva un posto privilegiato.
Intervenne Leroi, la regina è sua complice?
Non credo. Continuò Leonard. Ma pagherà lo stesso se conosco bene il re. Sono andato a parlare col re e gli ho esposto i miei sospetti, non potevo indagare dentro il palazzo ma lui poteva farlo e mi ha inviato un aiuto quando ha scoperto quello che stava succedendo. Mariclaire voleva morti sia sir Power che Eloise, o almeno la ragazza che la riteneva una preda più facile per discreditare sir Power davanti al re dimostrando che questo è un posto insicuro e che il padrone del castello non riusciva a proteggere nemmeno una ragazzina, figurarsi la sua stessa moglie. Sapeva di avere la regina dalla sua parte e si faceva forte di questo. Ci hanno provato in tanti modi e non è stato facile riuscire ad arrivare in fondo salvaguardando la vita di Eloise.
Ci fu silenzio mentre assimilavano le notizie di Leonard.
Hai avuto un bel da fare! Gli disse Allen. Non ci sarei riuscito senza di voi, siete uomini leali e avete mantenuto la vostra lealtà anche nei miei confronti. Sir Power può essere fiero di avervi al suo servizio. Non potete allentare la sorveglianza, i nemici sono sempre in agguato. Gli rispose.
Rimarrai con i noi? Gli chiesero. Mi piacerebbe ma per altri dieci anni vado dove il mio re mi manderà. Se fossi rimasto mi sarei proposto io prima di sir Power ed Eloise sarebbe stata mia moglie. Aggiunse ridendo e brindando.
Cos’è questa storia? Chiese sir Power giungendo al loro tavolo con la sua sposa al braccio.
Eloise era splendente, la felicità le si irradiava dagli occhi. Abbracciò Leonard. Avevi ragione a dire che non finisce finchè non è finita. Lo hai sempre saputo? Gli disse nell’orecchio.
Sir Power, miss Eloise vi auguro una vita lunga e felice rallegrata di tanti bambini e tante femmine belle come te. Disse facendo un inchino.
Quasi dimenticavo, Eloise, ho una cosa per te.
Estrasse dal taschino un pezzo di carta sgualcito che lei riconobbe subito. Sir Power osservava quel pezzo di carta. Non ce lo vuoi mostrare?  Le chiese.
Eloise mostrò ai presenti quel pezzo di disegno rimasto: una mano che teneva una rosa la donava ad un’altra mano che la riceveva, erano due donne che si scambiavano un pegno.
In quel momento tutti udirono il sospiro di sollievo del fantasma rosa e il profumo di rose avvolse tutti i presenti.
Un lampo di calore esplose nel cielo e cadde nel piccolo cimitero, proprio dove c’era il pozzo. Una nube di polvere che tutti videro benissimo somigliante ad una donna volò col fulmine e sparì. Finalmente Sara aveva raggiunto i suoi cari, ben sapendo che il suo castello, ora era ben custodito.
Verrai a salutarmi prima di partire? Chiese a Leonard.
L’uomo le baciò la mano. Sparirò e nessuno se ne accorgerà. Ma ti prometto che tornerò a trovarti. Ora andate, il re vi sta chiamando.
I due sposi raggiunsero i sovrani.
Non vi ho ancora dato il mio regalo. Disse il re porgendo ad Eloise un piccolo scrigno. Lo apra misiss Power. Le suggerì il re.
Eloise aveva le mani che le tremavano, non si aspettava nessun regalo dal re, le aveva già dato tutto quello che desiderava.
Sollevò il coperchio e sul fondo era posta un splendida rosa d’oro e di pietre preziose. Grazie, sire. Disse con gli occhi colmi di lacrime.
Guardò Leonard che le strizzò l’occhio.
Mi vuole concedere il primo ballo, missis Power?  Le chiese il re.
La festa continuò per tutta la sera e parte della notte.
Finalmente gli sposi si ritrovarono stanchi ma felice nella loro camera che qualcuno aveva provveduto a liberare dai bauli di Mariclaire.
Benvenuta nel mio castello, amore mio.
Poi non ci furono più parole, ma solo tanta passione.


 Foto dal web - diritti e proprietà riservati di Milena Ziletti

giovedì 25 ottobre 2018

ELOISE


ELOISE

P. OTTANTASEI OTTANTASETTE OTTANTOTTO






Era notte fonda quando Leonard uscì furtivo dall’alloggio. Scuro come il buio si diresse all’alloggio delle false guardie reali. Si avvicinò cercando di scoprire se stessero parlando di qualcosa e vide che fuori c’erano due di loro seduti di guardia. Doveva cambiare il piano che aveva pensato.
Tirò un sospiro e si avvicinò a loro. Quelli si alzarono immediatamente e sfoderarono le spade.
Calma, calma. Sono uno di voi. Sono uscito per ispezionare i dintorni dopo che ho sentito rumori sospetti. Avete sentito qualcosa? Chiese loro.
I due uomini erano sospettosi ma si comportarono da professionisti. Parlarono poco ma dissero che sarebbero stati ancora più attenti e vigili. Poi lo salutarono tornando a sedersi davanti alla porta.
Leonard aprì la fialetta e, senza essere visto ne versò buona parte nell’acqua della botte che usavano per lavarsi.
 Ritornò sui suoi passi e ne versò una goccia in altre quattro botti, in modo che non si potesse sospettare un attacco alle guardie reali.
Sapeva di cosa si trattava, difficilmente avrebbe ucciso qualcuno ma non sapeva se era stato aggiunto dell’altro.
Ritornò all’alloggio e si mise a dormire.
Ci vollero due giorni prima che i primi sintomi dell’epidemia si facessero sentire. Tutte le false guardie erano costrette a stare a riposo per la febbre alta e brividi accompagnati da diarrea incontenibile.
Altri lavoranti furono colpiti ma si ripresero in fretta.
Due settimane passarono senza che le false guardie potessero uscire di nuovo. Nel frattempo, Leonard e il suo collega non avevano smesso di perlustrare il territorio in cerca di altri nemici ma non ne avevano trovati.
I preparativi per il matrimonio erano quasi conclusi. Le cucine pronte a lavorare a pieno ritmo, le stalle pulite e fornite di foraggio, varie postazioni pronte per contenere le carrozze e lo spiazzo ripulito e pronto per essere sistemato per la cerimonia.
Sir Power stava osservando tutto quanto. Sentì un grande vuoto dentro di lui. Aveva tanto sperato di poter portare nel suo castello e nella sua vita la donna che amava che si sentì morire. Ancora si chiedeva per quale motivo il suo re non lo avesse ascoltato. Non gli aveva mai chiesto niente e, davvero non se lo aspettava.
Raddrizzò le spalle e chiamò alcuni operai. Diede istruzioni su come procedere e rientrò nella sua camera.
Allen e Leonard, si scambiarono uno sguardo eloquente mentre stavano fuori dalla porta.
Che ne pensi? Chiese Allen.
Che sta soffrendo molto. Gli rispose Leonard.
Non possiamo farci niente, purtroppo. Continuò il capo scorta.
Forse. Rispose con un sorrisetto l’altro.
Si era fatta sera e sir Power non era più uscito. Steven e Leroi vennero a dare loro il cambio che ancora il buio non era sceso del tutto.
Sul tavolo del loro alloggio c’era la cena pronta ma Leonard non si fermò. Dovrai coprire la mia assenza questa notte. Disse prima di uscire.
Prese il cavallo e senza preoccuparsi di non essere visto cavalcò fino alla casa del fabbro.
Era notte quando arrivò e legò il cavallo prima di bussare.
Fu King il primo a sentirlo e cominciò a guaire fino a che Tom aprì la porta.
Il collega di Leonard lo aveva visto arrivare e sorrise al pensiero di quello che il suo amico era venuto a fare, si mise comodo e, per alcune ore potè dormire tranquillo.
Leonard era a tavola con la famiglia al completo. Rimase a parlare con loro fino all’alba e, quando uscì per tornare al castello aveva il cuore leggero e contento.
Mentre rientrava al castello incrociò le false guardie reali che uscivano, ne mancavano due che non si erano riprese del tutto dal malore. Non alzarono lo sguardo mentre lui passava loro accanto.
Raggiunse il loro alloggio ed entrò. Due uomini erano addormentati. Si avvicinò, li osservò attentamente, poi uno alla volta li pugnalò al cuore. Teneva la sua mano premuta sulla bocca e nessuno si accorse di niente.
Uscì stando attento a chi incontrava e andò alla stalla a consegnare il cavallo.
Ci sarebbe stato del bel movimento da quel giorno.
Raggiunse il suo alloggio che Allen era pronto a uscire per il suo turno. Temevo non saresti arrivato. Gli disse. Ho avuto da fare. Gli rispose quasi sorridendo Leonard.
Mancava una settimana al nove di settembre e tutto era pronto per il matrimonio.





L’agente del re sentì arrivare i cavalli ancora da lontano. Si mise comodo e vide le false guardie reali arrivare e fermarsi davanti alla casa del fabbro.
In due scesero da cavallo, entrarono circospetti in casa e non trovarono nessuno. Richiamarono anche gli altri e cominciarono a ispezionare ogni angolo. Il fuoco della fucina era spento, tutte le stanze erano in ordine ma non c’era nessuno.
Quello che doveva essere il capo uscì per osservare i dintorni. Sembrava impossibile ma qualcuno doveva averli avvisati, e se davvero era così anche la loro copertura era saltata. Richiamò i suoi uomini, risalirono a cavallo e tornarono velocemente al castello.
Ora che sapevano di essere stati scoperti erano molto guardinghi e sospettosi ma nessuno sembrava trattarli in modo diverso dal solito. Raggiunsero il loro alloggio e scoprirono i cadaveri degli altri due. Dovevano andarsene in fretta se non volevano essere scoperti. I loro ordini erano chiari, oltre a portare a termine l’uccisione di sir Power o della ragazza, meglio se di entrambi, era tassativo che non si facessero scoprire. La fonte non doveva essere rivelata per nessun motivo o tutto sarebbe stato inutile.
Raccolsero velocemente le loro cose, avvolsero i due cadaveri nelle lenzuola e uscirono dal castello come se niente fosse.
Leonard era seduto fuori dall’alloggio quando arrivò il solito ragazzino. Non aspettò che parlasse, prese le sue armi e uscì dal castello galoppando veloce.
Il suo collega lo stava aspettando. Non ce la faremo mai a ucciderli tutti. Sono ben addestrati e sanno di essere stati scoperti. Disse Leonard.
Seguivano le tracce del gruppo che avanzava piuttosto velocemente. Li avevano quasi raggiunti e quelli se ne accorsero. Incitarono i loro cavalli ad aumentare l’andatura, dovevano raggiungere il fiume ed attraversarlo il più in fretta possibile, sull’altra sponda avrebbero trovato i loro complici ad aiutarli.
Leonard e l’altro li raggiunsero e cominciarono a menare colpi con la spada. Due caddero a terra, feriti gravemente. Ne rimanevano quattro ed erano molto allenati. Tre di loro si misero di mezzo per lasciare libero il loro capo di raggiungere la salvezza mentre loro erano disposti a dare la vita per farlo.
Fu una battaglia davvero dura, ebbero la meglio sulle finte guardie ma il loro capo era già lontano.
Leonard guardò il suo compagno. Che facciamo? Gli chiese ansimando. Non preoccuparti. Finiamo questi ora. Gli rispose.
Due erano morti e gli altri agonizzanti. Non ebbero pietà nel finirli, erano spie nemiche e il loro compito era di tenere al sicuro il re e tutto il regno. Chi era responsabile di tutto questo l’avrebbe pagata molto cara.
Eloise e la sua famiglia? Volle sapere Leonard. Sono al sicuro. Gli rispose mentre trasportavano i corpi e li gettavano in un anfratto scosceso e nascosto. Saranno cibo per gli animali selvatici, non meritano altro. Disse l’amico.
Non conosco il tuo nome ma conosco il tuo valore. Gli disse Leonard. Nemmeno io ti conosco, non ci siamo mai incontrati. Gli rispose.
Io devo rientrare. Tu che farai? Chiese Leonard.
Lo scoprirai. Gli rispose già in sella al suo cavallo mentre spariva.
Leonard arrivò al castello e raggiunse subito il suo alloggio. Aveva bisogno di darsi una ripulita. Ce l’hai fatta anche stavolta. Sbrigati che dobbiamo dare il cambio agli altri. Gli disse Allen mentre gli porgeva una camicia pulita.
Quel giorno iniziarono ad arrivare carovane colme di tutto quello che poteva servire, dal cibo agli arredi, al fieno per i cavalli e molto personale che i vari signori avevano mandato per preparare e controllare i loro alloggi e anticipare le loro necessità.
C’era un movimento incredibile. Era impossibile controllare tutti ma anche i soldati erano stati avvisati di tenere sotto controllo ogni movimento e di riferire ad Allen qualsiasi sospetto sorgesse, anche il più piccolo.
Sir Power era indaffarato. Controllava le stanze destinate agli invitati più illustri che sarebbero arrivati il giorno precedente al matrimonio. Non sapeva quando Mariclaire sarebbe arrivata ma i suoi bauli erano già nella sua stanza, la stessa che sarebbe diventata la loro camera nuziale.
Era lì, solitario che osserva tutta quella roba cercando di abituarsi all’idea. Non aveva più rivisto Eloise ma non passava giorno che non fosse nei suoi pensieri. Come stava? Cosa pensava? E quel maledetto fantasma che continuava a lamentarsi, a sospirare, era diventato insopportabile e non sapeva come liberarsene.
Uscì rabbioso e mandò alcune cameriere a sistemare quel caos, rivoleva la sua stanza ma sapeva che non sarebbe più stato così.
Furono giorni convulsi e caotici, ma in quel caos tutto procedeva regolarmente. Le cucine erano attive giorno e notte.
Mancavano due giorni al matrimonio quando arrivò il vescovo. Andò a consacrare la piccola cappella e il cimitero in compagnia solo di sir Power e della sua scorta. Era un uomo alto e magro, sorrideva raramente e non era abituato a stare con le mani in mano. Diede disposizione su come posizionare l’altare e le sedie, lasciando abbastanza spazio fra una parte e l’altra per far passare gli sposi.
Ancora un giorno, e sir Power era sempre più triste e intrattabile.
Era primo pomeriggio quando la carrozza reale arrivò al castello. La regina scese seguita da Mariclaire. Aveva la faccia schifata e osservava ogni cosa come se niente fosse di suo gradimento. Sorrise solo quando il vescovo le andò incontro.
Sir Power accolse la sua futura sposa e l’accompagnò nella sua stanza.





Mariclaire seguì in silenzio il suo futuro sposo. Chiusero la porta alle loro spalle. Le cameriere avevano dato una parvenza di ordine alla stanza ma c’erano bauli in ogni angolo.
La donna raggiunse il letto e vi si sedette. Finalmente si decise a guardare sir Power. Dobbiamo parlare. Gli disse facendogli segno di avvicinarsi.
L’uomo rimaneva in attesa di scoprire cosa avesse da dire la sua fidanzata e si sedette su una poltroncina di fronte a lei.
La donna sospirò. Nessuno di noi due ha deciso questo matrimonio ma non possiamo andare contro il volere del re. So che è innamorato di un’altra, e questo mi rattrista. Disse col volto addolorato. Quello che voglio dirle, sir Power, è che farò di tutto per essere una buona moglie solo se anche lei sarà un buon marito. Me lo può promettere? Aggiunse allungando le mani per prendere quelle dell’uomo che rimase immobile.
Io sono e sarò sempre leale al re, e se questo comporta la mia fedeltà matrimoniale sono disposto ad obbedire. Le rispose serio.
Impareremo a vivere in questo meraviglioso castello, daremo una discendenza a questo posto e, sono sicura che sapremo anche essere felici. Si alzò e gli prese il viso fra le mani, gli sorrise e gli baciò delicatamente le labbra.
E’ quello che credo anch’io. Si sforzò di rispondere. Ora la lascio a sistemare le sue cose, le mando le cameriere, io devo provvedere ad altro. E uscì impettito.
Il vescovo era in compagnia della regina nel salone e parlavano fitto fra di loro. L’uomo di chiesa si accorse dell’arrivo del padrone del castello e lo invitò ad unirsi a loro.
Stavo spiegando a sua altezza come si svolgerà la cerimonia religiosa e come ho destinato i posti a sedere. Alle undici di domani mattina celebrerò il vostro matrimonio. E’ tutto pronto, dovremo solo attendere l’arrivo del re per iniziare. Gli comunicò il vescovo.
E’ tutto in ordine. Rispose rivolto alla regina. Il nostro re è stato trattenuto? Volle sapere.
Di malavoglia la regina gli rispose. Il re aveva un impegno improrogabile ma mi ha assicurato che sarà presente all’ora stabilita.
Sir Power fece un inchino e se ne andò.
Doveva controllare le varie stanze, alcune erano già occupate dagli ospiti più importanti. Si intrattenne con ciascuno di loro per sincerarsi che tutto fosse in ordine e per informare che ci sarebbe stata una cena informale nel salone.
Andò alle cucine e vide un gran movimento. Rimase sulla porta solo qualche secondo e si avviò alle stalle. Anche qui era tutto in ordine, sembrava che tutto girasse nel verso giusto e che non ci fosse bisogno di lui.
Prese il suo cavallo e, seguito dalle sue guardie uscì dal castello.
Era facile capire dove fosse diretto, per l’ultima volta voleva stare sull’ansa del fiume dove aveva sperimentato il vero amore.
Vi giunse e lasciò il cavallo. Leonard lo seguiva a distanza, non lo avrebbe disturbato in quei momenti così dolorosi.
Dove sei, Eloise? Pensò fra sé. Dirti addio è stato ciò che di più doloroso abbia dovuto fare. Resterai l’unico vero amore della mia vita. Spero che, ovunque andrai tu possa trovare la felicità, perché nel mio castello è sceso un velo di tristezza che lo ammanta in ogni angolo. Perfino il fantasma rosa è più triste del solito e, nonostante tutto spero che non se ne vada mai finchè io vivrò lì, sarà il suo lamento e il suo sospiro quello che mi ricorderà ciò che ho perso con te. Addio, amore mio. Non lo avrebbe mai creduto possibile, ma aveva gli occhi lucidi e il cuore che sanguinava.
Rimase ancora qualche minuto, ben sapendo che non sarebbe mai più tornato lì. Accarezzò il piccolo masso dove si era tanto spesso seduto con lei e ritornò al cavallo.
Rientrò al castello come un prigioniero che va al patibolo.
Prima di raggiungere l’entrata della sua dimora raddrizzò le spalle e cancellò tutto quello che aveva nella mente. Era ora di pensare al futuro, comunque fosse doveva onorare la sua fedeltà al re, che era stato molto generoso con lui.
Era ora di scendere a cena e raggiunse il salone che era già parecchio affollato. La regina era seduta a capotavola e lo guardò storto. Gli fece cenno di sedersi a fianco di Mariclaire e la cena iniziò.
Fu una cena fredda sotto tutti i punti di vista. Sir Power accompagnò Mariclaire nella sua stanza ma lui non si fermò, per quella notte poteva ancora dormire come un uomo libero e raggiunse l’alloggio delle sue guardie.
Lo fecero accomodare e gli offrirono un boccale di birra. Gli misero davanti un piatto di carne e verdura e si sedettero con lui mentre, in silenzio consumava il primo pasto della giornata.
Domani è il grande giorno. Gli disse Allen, ma sir Power nemmeno gli rispose.
Avete una branda per me? Chiese.
I suoi uomini più fidati lo fecero sdraiare e montarono la guardia senza dire una parola.
Il destino si stava compiendo.

foto dal web - diritti e proprietà riservati di Milena Ziletti

mercoledì 24 ottobre 2018

ELOISE


ELOISE

P. OTTANTAQUATTRO E OTTANTACINQUE




Leonard e il suo compagno si prepararono all’assalto, due contro quattro, non sarebbe stato facile. I loro nemici non si erano ancora mossi, aspettavano di poter vedere chi erano i loro assalitori e quanti fossero.
Leonard bisbigliò qualcosa all’orecchio del suo amico. Contemporaneamente lanciarono il loro pugnale che raggiunsero due dei quattro, la ferita non era mortale ma ne avrebbe ridotto le forze.
I due non indugiarono oltre e affrontarono il gruppetto. Leonard mise fine in fretta ai due feriti mentre l’altro teneva a bada gli altri. Lo raggiunse e, finalmente ora le forze in campo erano in parità. Non fu facile sopraffarli, ma alla fine ci riuscirono.
I due compagni ripresero fiato, avevano alcune ferite leggere ma erano incolumi.
Cosa ne facciamo dei corpi? Chiese Leonard.
Dobbiamo scavare una buca e seppellirli, non devono essere trovati. Ce ne sono altri che prenderanno il posto di questi maledetti. Ho visto altri tre bivacchi e credo siano molto ben organizzati. Gli rispose.
Si addentrarono nel folto degli alberi e, nonostante fossero stanchi scavarono una buca abbastanza larga per i quattro cadaveri e le loro selle.
Li perquisirono ma, oltre alla mappa del posto non trovarono niente di rilevante.
Era quasi l’alba quando si separarono.
Leonard entrò nell’alloggio e Allen si alzò dalla sua branda. Vedendo le condizioni del suo sottoposto lo aiutò a levarsi gli indumenti sporchi e insanguinati. Nottata dura! Gli disse mentre quello si lavava via polvere e sangue. Non immagini quanto! Gli rispose buttandosi sulla branda e addormentandosi.
Allen rimase sveglio ad osservarlo. Capiva molte cose ma rispettava il riserbo del suo sottoposto, gli aveva promesso che lo avrebbe messo al corrente appena possibile, e lui aspettava paziente di scoprire tutta la verità su quello che stava succedendo.
Era quasi mezzogiorno quando Steven e Leroi rientrarono dal loro turno di guardia. Allen e Leonard presero il loro posto.
Davanti alla casa del fabbro tutto sembrava tranquillo. L’agente del re si era appostato in modo da non perdere un movimento e cercò di rilassarsi e recuperare un po’ del sonno perso. I suoi sensi lo avrebbero avvertito di qualsiasi situazione pericolosa.
Al castello regnava la solita frenesia, la data del matrimonio si avvicinava e tutti erano molto impegnati.
Leonard osservava ogni uomo e ogni donna come se dovesse carpire i loro segreti. Chi stai cercando? Gli chiese Allen. Tutto quello che è fuori posto. Gli rispose.
Sir Power si stava intrattenendo con gli ingegneri e fuori le due guardie non perdevano di vista niente e nessuno.
C’è una donna che è passata di qui già tre volte, non credo abbia qualcosa da fare da queste parti. Disse Allen. Stai in guardia, io la seguo. Gli rispose.
Era una bella ragazza vestita da contadina e portava una cesta da consegnare alla cuoca. Lei non si accorse di essere seguita ed entrò nelle cucine dalla porta riservata al personale e ai fornitori.
Leonard si appostò sotto una finestra mentre quella consegnava la cesta a qualcuno senza dire nemmeno una parola. La lasciò andare quando uscì, l’avrebbe raggiunta più tardi ora che ne conosceva il volto.
Entrò in cucina e vide un uomo che teneva in mano la cesta.
Posala. Gli disse estraendo il pugnale.
L’uomo non reagì e obbedì.
Leonard alzò il panno che la copriva e, insieme a uova e verdure varie vide un foglio, lo prese e se lo infilò nel taschino.
Ora vieni con me. Il suo sguardo era truce e manteneva a stento la calma.
Raggiunsero una parte isolata dopo le stalle e lo mise con le spalle al muro mentre estraeva il foglio, ben sapendo cosa conteneva, la stessa mappa del territorio.
A chi la devi consegnare? Gli chiese mentre gli puntava la lama alla gola.
Io non so niente, dovevo solo portare la cesta nelle cantine, al fresco. Lo faccio ogni giorno. Gli rispose mentre tremava in tutto il corpo.
Leonard lo fissava dritto negli occhi cercando di capire se mentiva o meno, poi gli osservò le mani e capì.
A chi devi consegnare la cesta? Gli chiese di nuovo mentre la punta del pugnale entrava sottopelle e gocce di sangue gli scendevano sui vestiti.
L’uomo non rispondeva e anche il suo sguardo era mutato. Non ci voleva molto a capire che non avrebbe parlato nemmeno ora che la sua vita era in pericolo.
Leonard lo perquisì ma non trovò niente. Gli prese i polsi e lo condusse in un angolo ancora più nascosto.
Chi siete? Cominciò ad interrogarlo. Ma quello non rispondeva.
Non ho bisogno che tu confessi, io so già tutto. Gli disse quasi ringhiando.
Sapeva che non avrebbe ottenuto niente, erano votati alla morte pur di non tradire la loro missione, lui stesso avrebbe avuto lo stesso comportamento.
Non stette a pensarci molto e gli tagliò la gola. Lo sconosciuto ci mise poco a morire dissanguato.
Tenne il cadavere per le spalle e ritornò indietro, trascinandolo.
Lo legò al centro di uno spiazzo, dove tutti potevano vederlo e tornò da Allen.
Sei più insanguinato del solito. Gli disse il suo capo.





Il pomeriggio era bollente, il sole picchiava sul cadavere legato nella piccola piazza. Quelli che passavano di lì si facevano il segno della croce e allungavano il passo.
Sir Power uscì e vide il sangue sui vestiti della sua guardia. Corrugò la fronte. Cosa è successo? Volle sapere.
C’è un cadavere sulla piazzetta, mi sono imbrattato del suo sangue mentre cercavo di capire chi fosse, ma non lo conosco. Gli rispose.
Sir Power volle vedere la scena. Rimase pochi minuti ad osservare un uomo che non aveva mai visto e che era morto di morte violenta nel suo castello. Fatelo rimuovere. Disse mentre si allontanava.
Il padrone si ritirò nella sua camera. Fuori Allen e Leonard erano in piedi, in silenzio.
Meglio se vai a darti una ripulita. Disse il caposcorta, e l’altro non se lo fece ripetere due volte.
Cenarono nel grande salone mentre il buio scendeva accompagnato dal canto dei grilli.
Allen e Leonard rientrarono nel loro alloggio.
Esci anche stanotte? Hai bisogno di aiuto? Gli chiese Allen ben sapendo la risposta.
Leonard uscì che la notte era nera come la pece.
Ispezionò parecchio territorio ma non trovò nessuno. Era stata una notte tranquilla. Il cadavere dell’uomo che aveva sgozzato e messo bene in vista aveva sortito il suo effetto. Chiunque fosse implicato nella storia aveva deciso di rallentare l’operazione.
Rientrò e si buttò sulla branda ancora prima di togliersi i vestiti.
Passò una settimana allo stesso modo, piuttosto tranquilla. Mancavano quattro settimane al matrimonio, Leonard sentiva in ogni millimetro della sua pelle che qualcosa sarebbe successo. Avrebbe voluto andare da Eloise, ma sapeva che era ben sorvegliata e che lui doveva sorvegliare il castello.
Era mattina presto quando sentirono gli zoccoli di vari cavalli entrare al castello. Otto guardie reali fecero il loro ingresso come se quello fosse casa loro.
Allen andò loro incontro. Non aspettavano nessuno e le accompagnò alle stalle per mettere a riposo i cavalli poi li accompagnò nel salone facendo loro servire delle bevande fresche. Sir Power non ci mise molto ad arrivare e prese un boccale di birra.
Non vi aspettavo così presto. Disse loro.
Il capitano prese la parola. Il re ha deciso di anticipare il nostro arrivo per dare una mano a controllare il castello e il territorio. Per il matrimonio saranno presenti personalità importanti, oltre ai sovrani e vuole che tutto sia sicuro. Disse l’uomo senza abbassare lo sguardo.
Potete aggiornarvi con la mia scorta. Disse loro.
Non è necessario. Questo documento ci autorizza a svolgere in autonomia quello che riteniamo necessario. Gli rispose mostrandogli il documento col sigillo reale.
Sir Power lo lesse e lo passò ad Allen che fece altrettanto.
Il capo della mia scorta provvederà ad assegnarvi un alloggio e sarà a disposizione per qualunque cosa abbiate bisogno. E se ne andò.
Ora che si avvicinava il momento del matrimonio, sir Power si sentiva inquieto, sentiva la catena intorno al collo che lo soffocava, gli sarebbe piaciuto rompere gli anelli e scappare con Eloise in capo al mondo, invece aveva una promessa da mantenere.
Fu una giornata convulsa. Le guardie reali iniziarono la loro ispezione e non rientrarono se non a tarda sera.
Allen e Leonard erano nel loro alloggio quando entrò il ragazzino dell’altra volta. Si bloccò vedendo i due uomini e Leonard lo seguì fuori.
Il tuo amico ti aspetta. Gli disse prima di scappare via.
Leonard rientrò, prese le armi e uscì senza dire niente altro.
I due si incontrarono poco fuori dalle mura del castello.
Cosa succede di così importante? Volle sapere Leonard.
L’altro lo prese per un braccio e si nascosero.
Gli otto uomini che sono arrivati sono degli impostori. Non sono le guardie del re. Devono essere alle strette per rischiare così. Gli disse.  
E tu come lo sai? Gli chiese bisbigliando.
Perché ho trovato la fossa con gli otto cadaveri delle vere guardie. Disse tutto d’un fiato.
Mio dio! Abbiamo il nemico in casa con l’autorizzazione del re a fare quel che vogliono! Leonard aveva i brividi. Non possiamo liberarci di loro, cosa possiamo fare?
Non ci sono alternative. I nostri ordini sono precisi, li dobbiamo eliminare! e tocca a te farlo, devi trovare il modo se vuoi che la ragazza continui a vivere. Disse cupo.
Nella mente di Leonard passarono tanti pensieri. L’altro gli passò una fialetta. Usala.
 E’ quello che penso io? Gli chiese. E tu che farai? Aggiunse.
Il mio lavoro, non perderò di vista nemmeno per un momento la ragazza. Tu fa il tuo. Ed era già sparito.
Silenzioso come era uscito rientrò nel suo alloggio. Allen lo osservava e si accorse che qualcosa lo turbava, stavolta non era riuscito a mantenere l’impassibilità che lo contraddistingueva.

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