venerdì 29 maggio 2020

IL SEGRETO DELLA LUNA



IL SEGRETO DELLA LUNA

parte 13






Capitolo sette
Stavolta non c’era la luna a rischiarare la notte ma lampi talmente guizzanti che sembravano tentacoli del cielo.
Correva senza preoccuparsi troppo. Il suo cane gli stava al passo e se ci fosse stato qualcuno lo avrebbe fiutato anche in quella bufera.
Arrivò fradicio al punto più nascosto del convento. Lo aveva esplorato altre volte senza trovare una via per entrare, eppure doveva esserci. L’acqua gli scendeva sugli occhi e non rendeva agevole il suo compito. Aveva portato con sé un cappello del sacrestano, lo fece fiutare a Rufus e lo incitò a trovare le tracce.
Il cane sembrava frastornato, non era la situazione ideale per accontentare il suo padrone e, quello che seguì non fu l’odore del sacrestano ma quello che la sua aguzza vista gli aveva mostrato.
Gastone lo seguì e raccolse da terra un fermaglio per capelli, assolutamente femminile e assolutamente importante, riproduceva il nodo che ricorreva spesso nelle sue ricerche.
Cercando di asciugarsi la faccia dalla pioggia cercò ancora di trovare un accesso, non avrebbe avuto molte altre opportunità per farlo, se era un segreto così ben custodito doveva per forza essere difficile scovarlo.
Era inginocchiato accanto al cane, entrambi fradici da aver perso le loro sembianze e la pioggia non cessava a diminuire di intensità. Cercò riparo contro il muro cercando di riprendere fiato e riordinare i pensieri. Il cane gli saltò sulle ginocchia e lo fece cadere. Istintivamente allungò le mani per cercare di mantenere l’equilibrio e, senza sapere come fosse successo il mattone al quale si era appoggiato cadde a terra in una pozzanghera di fango.
Si inginocchiò e puntò gli occhi in quella fessura. Un lampo molto opportuno rischiarò un piccolo cimitero. Non stette molto a pensarci, prese degli arnesi che aveva portato con sé e decise di scavalcare la muraglia lasciando il cane a guardia. Non era un’operazione facile sotto quel diluvio. Un latrato di Rufus lo distrasse e ricadde a terra. Era ricoperto di fango come il cane, sarebbe stato impossibile riconoscerli. Mancavano poche ore all’alba e lui non aveva ancora scoperto niente di importante. Si guardò intorno e scoprì che il cane era sparito. Un leggero guaito dall’altra parte del muro lo fece trasalire. Come aveva fatto a passare dall’altra parte?
“Rufus, torna qui!”
Il cane, obbedì e fu subito dal suo padrone.
“Portami di là!”
Gastone non si era accorto che una piccola lapide votiva era stata sradicata dal vento e dal fango lasciando aperto un passaggio, un piccolo passaggio. Si chinò e seguì il cane, ben sapendo che non era da lì che le altre persone erano passate, ma per il momento non stette a pensarci.
Sbucò nel piccolo cimitero, doveva essere riservato solo alle suore del convento. La pioggia gli tolse di dosso un po’ di fango e, i suoi occhi già abituati al buio cercavano qualcosa che potesse fare al caso suo.
“Vai Rufus, cerca per me.” Sussurrò l’uomo.
Il cane portò il suo padrone davanti alla porta di legno di una piccola cappella. Era chiusa con un lucchetto che fece saltare in un attimo.
Entrarono insieme. L’interno era rischiarato da un paio di candele. Era una stanza piccola, sicuramente adibita allo svolgimento dei funerali e dei riti delle suore. Si guardò intorno ma era un ambiente troppo piccolo perché potesse essere interessante.
Rufus guaiva. Gastone lo raggiunse e vide i denti bianchi del cane mentre ringhiava sommessamente.
“Cosa hai visto, amico mio?”
Il cane non smetteva di ringhiare e guardare la parete dove era poggiato un piccolo altare.
L’uomo si avvicinò, lo osservava cercando di trovare il motivo del comportamento del suo cane.
Il respiro si era fatto normale e gli occhi si erano adattati al lieve chiarore. Prese il piccolo altare di legno e lo spostò. Rufus ringhiava sempre più forte. Le mani dell’uomo tastavano la parete, poi il pavimento e, finalmente lo trovò, un piccolo anello di ferro sul coperchio di una botola. Non stette molto a pensare. Sollevò il coperchio, prese una candela e scese i cinque gradini di pietra.
Si ritrovò in una vasta stanza, al momento non riusciva a vedere molto. Aprì la sua sacca e tolse una torcia che accese, poggiò la candela su un ripiano e si accinse ad esplorare quel luogo.
Era entrato in una specie di atrio, c’era una fila di armadi in legno. Li contò ma già sapeva che sarebbero stati otto. Seguì uno stretto corridoio. Aveva il cuore in gola, sapeva di aver trovato qualcosa di importante, di molto importante.
Pochi metri e si ritrovò in uno spazio enorme, per quello che riusciva a vedere era grandissimo e non riusciva a distinguere quello che c’era, il buio era troppo fitto. Vide una serie di ripiani fissati al muro, in diverse altezze. Si avvicinò e rischiarò con la torcia quello a lui più vicino. Non era preparato a quello che vide e si portò una mano alla bocca per impedirsi di urlare. Una fila di vasi colmi di liquido contenevano occhi umani. Diresse la luce su quei macabri resti. Un colpo al cuore, si morse dolorosamente la lingua per non urlare, non poteva sbagliarsi, quelli che stava fissando erano gli occhi di sua figlia, li avrebbe riconosciuti ovunque.
Si lasciò cadere a terra e diede libero sfogo al suo dolore che fino a quel momento aveva trattenuto, pianse senza ritegno mentre Rufus gli leccava via le lacrime. Sfogò il suo dolore ma si rialzò subito dopo. Continuò a perlustrare quel posto. Più avanti c’era un grande tavolo rotondo, sette scranni ai lati e al centro una specie di trono. Continuò la sua ricerca e vide la parete riprodotta nel registro che possedeva, era inciso quel maledetto nodo che doveva significare qualcosa di importante. Osservò tutte le pareti e quando diresse la luce a quella dietro il trono rimase senza fiato.
Il simbolo dei Cavalieri della Terra feconda era grande tutta la parete, color giallo oro e una scritta ben visibile era incisa fra le due mezze lune:
LA LUNA, NOSTRA SORELLA E MADRE, CON SANGUE VERGINE TIENE LA TERRA FECONDA.
Gli occhi di Gastone ora erano asciutti, il suo cuore era ridiventato duro e insensibile. Aveva trovato il luogo dove si riunivano, aveva fatto il grande primo passo per mantenere la promessa fatta alle sue donne e a Cincia. Aveva capito che si riunivano nella notte di luna piena e lui avrebbe scoperto chi fossero. Uno lo aveva già individuato, sarebbe stato il primo a soffrire, e molto presto.
Tolse dalla sacca un pezzo di tela e cancellò le sue impronte e quelle del cane, accarezzò il vaso che conteneva gli occhi di sua figlia ma non li guardò. Promise a se stesso che li avrebbe riportati dove dovevano stare. A tempo debito, tutto a tempo debito, finalmente era giunto il momento di dare inizio alla sua vendetta.
Arrivò a casa e Cincia, contrariamente al solito lo aspettava sveglia. L’uomo guardò la vecchia e assentì col capo. La donna sospirò e si ritirò nella sua camera.
La pioggia batteva con insistenza sui tetti della vecchia casa. Erano ore che scrosciava senza sosta, un temporale di tal genere non si vedeva spesso e lui, dopo essersi asciugato e cambiato era sdraiato sul divano in cerca del sonno. Sapeva di dover dormire, era stanco ma, talmente eccitato che non riusciva nemmeno a tenere gli occhi chiusi. Sentiva il respiro regolare di Cincia che dormiva tranquilla nella sua stanza e si chiese come avesse fatto a sopravvivere con quel dolore e per tutti quegli anni, lui, ne era sicuro sarebbe morto prima di crepacuore.
Le giornate successive furono frenetiche per il lavoro in campagna, la forte pioggia aveva danneggiato parecchio i raccolti e gli animali che stavano di solito all’aperto sprofondavano nel fango e avevano bisogno di essere trainati alle stalle.
Mentre Gastone lavorava alacremente pensava a come portare avanti il suo piano di vendetta. Il sacrestano aveva sette figli, cinque maschi e due femmine e lui si sarebbe preso una delle ragazze, erano molto simili e quasi coetanee, per lui l’una o l’altra non faceva differenza, avrebbe preso la prima che avrebbe trovato da sola.
Finalmente fu rimandato a lavorare in distilleria, il mese di giugno stava scorrendo velocemente e lui aveva deciso che prima della successiva luna piena avrebbe compiuto il primo atto della sua vendetta.


romanzo di Milena Ziletti - diritti e proprietà a lei riservati

giovedì 28 maggio 2020

IL SEGRETO DELLA LUNA


IL SEGRETO DELLA LUNA

parte dodici






“Io sono qui per tutto quello che posso fare per te, ora vado a dormire. Il tuo cane si è già messo accanto al sofà, si vede che ti vuole già bene ed io credo molto nei sentimenti degli animali, se piaci a loro sei una brava persona, ricordalo sempre. Buona notte.”
Gastone si sdraiò sul sofà e il cane si sdraiò per terra vicino a lui. L’uomo ripensava a quello che gli aveva detto Cincia, soprattutto degli uomini che aveva visto. Decise che avrebbe tenuto sotto controllo il sacrestano, doveva essere molto discreto, sapeva che se aveva ragione poteva essere pericoloso. Con un mezzo sorriso decise che da quel giorno sarebbe diventato un assiduo frequentatore della chiesa e delle funzioni religiose. Si addormentò in un lampo, il giorno dopo aveva molto lavoro da fare e molte indagini da svolgere con circospezione.
I lavori nei campi tenevano Gastone impegnato e la sera rientrava molto stanco. Si lavava nella vasca della fontana mentre Cincia lo guardava con un leggero sorriso seduta alla tavola apparecchiata. Era diventata una convivenza serena, e la vecchia donna provava per quell’uomo solitario e silenzioso, un affetto che custodiva nel cuore fin da quando era rimasta sola e che ora, finalmente sapeva a chi indirizzare.
“Sembri stanco.”
“Lo sono. Ho dovuto lavorare parecchio per soddisfare le richieste di Ermete, sta cominciando ad esagerare.”
“Già, e tu dormi troppo poco. Anche stanotte sei rientrato che era quasi l’alba. Non puoi continuare così o non avrai la forza né per portare avanti il tuo lavoro tanto meno per portare a termine il tuo compito. Rimani a casa stasera e fatti una sana dormita, un po’ di riposo ti farà recuperare le forze e riprendere il tutto con più energia.”
Gastone guardò quella donna vecchia e ricurva, le sorrise. Si alzò da tavola e si sdraiò sul sofà addormentandosi subito. Il cane sdraiato vicino sembrava vegliare su di lui, mentre Cincia gli accarezzò una guancia ispida di barba e si ritirò senza nemmeno sparecchiare per non fare rumore.
La mattina era già nella distilleria, doveva preparare e pulire i macchinari, presto avrebbe iniziato a produrre un’altra partita di liquore. Era intento nel suo lavoro e il cane fuori iniziò ad abbaiare. Non aspettava nessuno e andò alla porta. Ermete voleva entrare ma il cane ringhiava e gli faceva un po’ paura. Una carezza del suo padrone lo rabbonì e ritornò a cuccia.
“Devo chiederti un grosso favore. Durante la riunione della parrocchia mia moglie si è esposta ed ha detto che tu avresti fatto una cosa per loro.” L’uomo non sapeva come continuare e, mentalmente maledisse sua moglie e i suoi progetti.
“La casa del sacrestano ha bisogno di una riparazione. Vorrebbe che ci pensassi tu ma nel tuo tempo libero.”
“Perché proprio io?”
“Perché lo faresti gratis e lei non dovrebbe fare l’offerta annuale alla parrocchia.”
“Lo faccio se mi dai la metà dell’offerta annuale.”
Ermete sapeva che non poteva pretendere troppo o quell’uomo se ne sarebbe andato. Si era fatto una buona reputazione di gran lavoratore e non avrebbe avuto difficoltà a trovarsi un altro posto di lavoro, lui non voleva perderlo. Maledetta sua moglie e la sua taccagneria.
“Va bene.”
“Li voglio prima di cominciare o non se ne fa niente.”
Pattuirono il dovuto ed ognuno tornò ai propri lavori.
A Gastone non pareva vero di poter entrare nella casa del sacrestano e quella sera, consegnando a Cincia la borsa con le monete la mise al corrente dei suoi piani.
La sera successiva si presentò dal sacrestano. Gualtiero gli mostrò il lavoro da fare, doveva sistemare il tetto o sarebbe di nuovo piovuto nella camera da letto dei suoi figli. Le tavole di legno erano già pronte e presero accordi per iniziare nel tardo pomeriggio del giorno seguente e continuare fino a che la luce del sole lo avrebbe permesso. Ci sarebbero volute un paio di settimane, sperando che non piovesse nel frattempo. Si strinsero la mano e si salutarono.
Il lavoro era faticoso ma uno dei figli del sacrestano lo aiutava. La moglie gli offriva acqua fresca e pane imburrato, sembrava che in quella casa, nonostante i numerosi figli nessuno cucinasse mai.
Era ormai la terza sera e aveva scoperchiato tutto il tetto. Si stava asciugando il sudore mentre Costanzo lo stava osservando. Era un ragazzo di dodici anni, molto magro e piuttosto sveglio. Imparava con rapidità e per Gastone era un piacere averlo vicino e istruirlo.
“Non vedo tuo padre, avrei bisogno di alcune indicazioni.”
“Mio padre non c’è, lo vedrai domani.”
“Non torna stasera?”
“No, quando esce rimane fuori tutta la notte, capita solo una volta al mese.”
“Non importa, glielo chiederò domani. Che ne dici se per stasera finiamo prima?”
Il ragazzino alzò le spalle e scese dalla scala a pioli.
Gastone e Rufus ritornarono veloci a casa.
Cincia non li aspettava così presto ma la tavola era preparata e pronta, lei aveva già mangiato ma lo aspettava sempre per fargli compagnia.
“Non ho tempo per mangiare, lascia tutto lì. Devo uscire di corsa.”
Andò nel suo sgabuzzino, prese il suo fucile e, seguito dal cane uscì nella sera stellata.
Ormai conosceva a memoria il sentiero e, nel silenzio della notte che scendeva, una splendida luna piena rischiarava quasi come fosse l’alba, lui si avvicinava al convento. Rufus lo seguiva ed era silenzioso come il suo padrone. Entrambi si fermarono al limite del bosco, il vasto prato che li separava da quella grande costruzione sembrava illuminato a giorno, non c’era verso di passare inosservati se qualcuno era di sentinella.
Gastone aveva già ispezionato tutta la zona da ogni lato e non c’era verso di avvicinarsi senza essere visto, per questo decise di rimanere appostato in attesa, al sicuro dentro il boschetto. Si pentì di non aver preso del cibo, il suo stomaco lo reclamava ma avrebbe dovuto aspettare. Sapeva di non essere sicuro che, quella gente sarebbe passata proprio da lì, ma lui non poteva tenere sotto controllo tutti i lati, sperava di essere nel posto giusto, non aveva certezze.
La luna era talmente luminosa che l’uomo si chiese come mai non l’avesse mai osservata prima, per lui non era altro che una grossa stella che segnava lo scorrere dei mesi, che indicava il tempo delle semine, dei raccolti, delle cove e delle nascite degli animali. Era davvero importante, non ci aveva mai pensato.
Rufus, acquattato al suo fianco ringhiò sommessamente. Gastone aguzzò la vista e rimase deluso, un gruppo di persone se ne stava andando prendendo il sentiero più lontano da lui. Bestemmiò sottovoce, non poteva seguirli, non poteva rischiare ma, nella sua mente già si formava un piano. La fame lo fece decidere e ritornò a casa.
Mangiò quello che era sulla tavola e ne diede anche al cane, si sdraiò e si addormentò.
Passarono alcuni giorni senza che niente cambiasse. Gastone stava solo aspettando il momento giusto per agire e quella sembrava proprio la sera giusta.
“Presto arriverà un grosso temporale.” Disse la Cincia.
“Per fortuna il tetto del sacrestano è coperto, fra un paio di giorni avrò finito. Stasera rimarrò a casa visto il brutto tempo.”
“Rimarrai a casa?” Sorrise la vecchia. “Ti ho già preparato da mangiare, fallo subito così poi potrai andare dove devi.”
Gastone le rivolse un sorriso gentile, sapeva che poteva contare sempre su quella donna e, anche se non le aveva raccontato molto, quella aveva intuito più di quello che lui stesso sapeva.
I primi tuoni rimbombarono in lontananza. Cincia alzò un sopracciglio in attesa. I loro occhi si incontrarono e si capirono.
Gastone uscì col cane, prese i sui inseparabili fucile e coltello e sparì sotto gli scrosci furibondi della prima pioggia.
Va e trova ciò che cerchi, fallo anche per me. Pensò Cincia prima di coricarsi.


romanzo di Milena Ziletti- diritti e proprietà a lei riservati

mercoledì 27 maggio 2020

IL SEGRETO DELLA LUNA


IL SEGRETO DELLA LUNA

parte dieci






Capitolo sei
Fischiettando si diresse al fiume, la pesca lo avrebbe rilassato e lui avrebbe potuto immergersi nei suoi pensieri senza essere disturbato da nessuno e avrebbe anche portato del pesce fresco da cucinare.
Mentre percorreva il sentiero un vecchio cane randagio cominciò a seguirlo. Era vecchio e malandato, avrebbe avuto bisogno di un bagno e di tanto cibo per rimettersi in sesto, sembrava più di là che di qua. Gastone si fermò e allungò la mano verso quell’animale dagli occhi spenti. Il cane, sebbene titubante si avvicinò a lui con la coda fra le gambe e allungò il muso senza avvicinarsi del tutto. Un senso di tenerezza che non sentiva da tempo riempì il cuore dell’uomo, rivedeva se stesso in quel cane solo e triste e, visto che lui era stato fortunato a trovare una casa e un’amica decise di dare la stessa possibilità a quel vecchio cane pieno di pulci.
Gli accarezzò il muso, appoggiò la canna ad un masso che delimitava il sentiero e si inginocchiò di fronte al cane. Quello non aspettava altro che un gesto gentile e si avvicinò pieno di speranza a quell’uomo grande grosso, dando fiducia, ancora una volta ad uno di quegli esseri che tanto lo avevano maltrattato.
“Sei solo? Vuoi essere il mio cane?” l’animale gli leccò la mano e sancirono l’inizio di una bella amicizia. “Vieni con me al fiume, faremo un bagno e poi ti porto con me dalla Cincia.”
Distrattamente riprese la canna da pesca che gli scivolò sul terreno erboso. Allungò la mano per prenderla e proseguire quando si arrestò di colpo. Alla base di quel masso c’era di nuovo il nodo, lo stesso nodo che cominciava ad ossessionarlo.
Strappò l’erba che ne ricopriva la base e vide una freccia che indicava la direzione del fiume, esattamente sotto il nodo. Era inciso tutto nella pietra e il tempo lo aveva riempito di sporco, era quasi impossibile notarlo. Seguì la freccia e trovò un altro masso, stavolta piuttosto piccolo con gli stessi simboli. Ne trovò altri e seguì, fischiettando nella direzione segnalata. Erano quasi tutti nascosti dal terriccio e dalle erbacce, bisognava proprio cercarli. Fu molto attento a non lasciare tracce del suo passaggio e lasciava tutto come lo aveva trovato. Percorse un altro sentiero circondato da alberi secolari fino a che si ritrovò in una grande radura, un grande appezzamento di terreno ricoperto da soffice erba. Era strano che non fosse coltivato come gli altri campi con grano o mais, ma anche l’erba era importante per foraggiare gli animali.
Una grande costruzione si intravedeva in lontananza. Si fermò ad osservarla per capire di cosa si trattasse, non conosceva bene quelle zone ma non aveva niente da nascondere e, sempre fischiettando e col cane al fianco si avvicinò per osservare meglio.
Era impossibile non riconoscere un convento. Decise di ritornare al fiume a pescare e farsi un bagno col cane per poi chiedere a Cincia informazioni su quel posto.
Il pomeriggio di quel fine giugno era rovente più del solito. Gastone dopo aver preso alcuni grossi pesci e fatto il bagno col cane, si incamminò verso casa ancora tutto bagnato. Lui e il cane non ci misero molto ad asciugarsi e arrivarono già sudati, Cincia aspettava seduta sotto il portico.
“Chi hai portato con te? Mi sembra messo un po’ male!”
“Un nuovo amico, che ne dici? Come lo chiamiamo?”
Cincia fece una sonora risata, da quando conosceva quell’uomo le capitava spesso di ridere anche per delle sciocchezze, ma lei già si immaginava la lotta che sarebbe avvenuta con la sua gatta e rise ancora più forte.
“Lo chiamerò Rufus.” Andò alla pompa e pulì il pesce. Lo consegnò a Cincia che lo avrebbe preparato per cena.
“Intanto che tu prepari la cena io cerco di ripulire Rufus dalle pulci, entreremo in casa puliti e irriconoscibili.”
Il profumo del pesce che arrostiva arrivava fino a fuori e il cane cominciò ad agitarsi, chissà da quanto tempo non mangiava!
Era quasi buio quando entrarono per cenare. Una ciotola colma di zuppa era sul pavimento vicino al fuoco e il cane si fiondò immergendovi il muso che rialzò solo quando ebbe leccato per ben tre volte la ciotola vuota.
I due compagni mangiarono tranquilli mentre dalle finestre aperte cominciava ad entrare una lieve brezza e i grilli accompagnavano l’arrivo della notte con le loro note canterine, anche le lucciole illuminavano la sera, si stava davvero bene.
Cincia era seduta con la gatta in braccio e Rufus si era sistemato ai piedi di Gastone, sembrava che avessero sempre vissuto insieme, proprio vero che le Anime simili si riconoscono.
“Esci anche stanotte?” Chiese inaspettatamente la vecchia.
Gastone alzò un sopracciglio e la guardò.
“Sono vecchia ma non sorda, e poi dormo poco, sento bene quando vai o vieni, non pensi sia giunto il momento di parlarmene? Da me non hai niente da temere.”
“Oggi mi sono imbattuto in una grande costruzione che ho visto da lontano, sembrava un convento, tu sai di che si tratta?”
“E’ un antico convento di monache, ce ne sono ancora che vivono là dentro, non ricevono molte visite, per quanto ne so, sembra che vivano fuori dal mondo ma, se vuoi un piatto di minestra o del pane, bussi al loro grande portone e ti sfamano. Che ci facevi da quelle parti?”
Gastone sospirò visibilmente, aveva bisogno di risposte e sapeva che doveva dare qualche spiegazione a quella donna.
“Sto cercando qualcosa, qualcuno e …”
“Perché non cominci dall’inizio?”
Gli occhi di Gastone sfavillarono di rabbia per poi inumidirsi dal dolore. Scacciò le lacrime represse e puntò dritto i suoi occhi in quelli rugosi di Cincia.
“Cerco chi ha ucciso mia figlia, causando anche la morte di mia moglie, e credo siano gli stessi che hanno ucciso tua nipote.”
I loro occhi si fissavano e in quelli della vecchia passò un dolore immenso, sembravano sbarrati verso ricordi lontani, strinse i pugni e la gatta saltò giù dalle sue ginocchia.
“Sai chi è?”
“Non chi è , Cincia, sono più di uno e no, non so chi sono ma ho alcuni indizi ed ho bisogno del tuo aiuto.”
“Avrai tutto ciò che posso darti.”
“Per adesso mi servono informazioni, se ne hai e un alibi quando mi servirà. Io sono sempre qui con te se qualcuno ti chiedesse qualcosa.”
“Non dubitare, cosa vuoi sapere?”
“Alcune informazioni sul convento e … sul sacrestano.”
La donna fu sorpresa dalla richiesta ma non fece obiezioni e cominciò a raccontargli quello che sapeva, anche se non era molto.
“Il convento è molto isolato e le monache hanno tutto quello che a loro serve. Aiutano e sfamano chi si presenta al portone ma non fanno mai entrare nessuno, tranne il prete una volta al mese per i loro inutili riti. Io ho sempre abitato qui e non ci sono mai state voci particolari né sulle monache né su quel posto anche se …”
Gastone era in attesa che continuasse.
“Una sera, poco dopo la scomparsa di mia nipote ero fuori a cercarla. Non faceva ancora buio e c’era una luna grande e bellissima, talmente luminosa che si poteva vedere a molta distanza. A quel tempo ero giovane e i miei occhi ci vedevano bene. Sentii dei rumori e mi nascosi, avevo paura. Sul sentiero passarono alcuni uomini che provenivano dal convento. Mi sono sempre chiesta se quelle sgualdrine ricevessero degli uomini di nascosto e l’ho sempre creduto, perché successe altre volte. So che hanno un grande appezzamento di terreno che hanno ricevuto in dono dalla comunità che circonda il convento, e non so altro. Spero ti sia di aiuto.”
“E il sacrestano? Lo conosci?”
“Certamente! Da generazioni la sua famiglia si tramanda quello stupido lavoro. Qui quasi tutti i lavori vengono tramandati di padre in figlio, anche le grandi proprietà passano in eredità ai figli, soprattutto se maschi. Gualtiero, il sacrestano è un uomo di potere in questo piccolo ambiente, prende mance sottobanco per molte cose, dalla scelta del posto al cimitero, alla messa in suffragio di un morto, dai posti migliori da distribuire in chiesa, e dalla cresta che fa sulle offerte. Non mi piace così come non mi piaceva suo padre prima di lui. Il posto di sacrestano doveva essere preso da suo fratello maggiore ma morì in un incidente a cavallo e Gualtiero prese il suo posto. Maritò quella piccola oca di Germana ed hanno una schiera di figli uno più stupido dell’altro. Perché ti interessa? Adesso tocca a te parlare.”
“Ti fidi di me, Cincia? Bene, anch’io mi fido di te o non sarei qui e vorrei tenerti fuori da quello che sto facendo, sarebbe molto meglio per te.”
“Capisco. Dimmi solo una cosa: cosa farai quando troverai le persone che hanno ucciso le nostre ragazze?”
“Farò loro quello che hanno fatto a noi, l’ho giurato sulla tomba di mia figlia e di mia moglie.”
La vecchia annuì, sicura che la vendetta dell’uomo sarebbe stata la sua vendetta.


romanzo di Milena Ziletti - diritti e proprietà a lei riservati

martedì 26 maggio 2020

IL SEGRETO DELLA LUNA


IL SEGRETO DELLA LUNA

parte dieci






Era impossibile che lui si sbagliasse, quel nodo era proprio identico a quello nel suo registro, era un punto di partenza, sapeva di essere nel posto giusto per la sua ricerca.
“Ora devo andare, Cincia. Ti ho lasciato del cibo e devi mangiarlo, ripasserò al più presto a portartene altro, sei l’unica amica che ho e non voglio perderti.”
Una carezza, ruvida e inaspettata sul suo viso lo sorprese.
“Sei un brav’uomo, e so che nascondi dei segreti, di me puoi fidarti. Ora va, o quella vipera della tua padrona ti farà saltare la cena.”
Gastone le fece altre raccomandazioni e tornò nella sua stanza. Prese il registro e lo aprì dove già ben sapeva, c’era un disegno che ritraeva una parete di quel posto, che lui prima o poi avrebbe scoperto, e quel disegno era tale e quale al nodo che aveva visto sulla cornice, non aveva dubbi. Un brivido lo percorse, un piccolo passo alla volta sentiva che si stava avvicinando, doveva essere più osservatore e non lasciarsi sfuggire nemmeno il più piccolo particolare, un pensiero si andava formando nella sua mente. Rimise a posto il registro e raggiunse Ermete e Mariella per la cena.
I suoi datori di lavoro erano già seduti e lui li raggiunse. Come al solito mangiarono in silenzio. A fine pasto, mentre Mariella cominciava a sparecchiare, Gastone disse ai suoi padroni che aveva intenzione di trasferirsi da Giacinta, che nel suo tempo libero avrebbe sistemato quella catapecchia prima che crollasse e avrebbe aiutato quella povera vecchia come poteva. Loro non dovevano preoccuparsi in quando il suo lavoro non ne avrebbe risentito.
“Se davvero vuoi andare a vivere con quella pazza vuol dire che tu sei più pazzo di lei!” Grugnì la donna.
“Perché? Mi sembra soltanto una vecchia sola e malandata, potrebbe essere mia madre e a me non costa niente darle una mano.”
“Quella vecchiaccia è pazza da legare! Pensa che va raccontando da anni che le hanno rapito la nipote, mentre tutti sanno che era una poco di buono e che se n’è andata con uno ancora peggio di lei!”
Ermete si agitava sulla sedia e questo non sfuggì a Gastone.
“Tu hai sentito altre chiacchiere?” Chiese rivolto a Ermete.
“Sono passati tanti anni, so che l’aveva cercata e che voleva che tutto il paese si mobilitasse per aiutarla ma, nessuno fece niente, da allora si è isolata ed è peggiorata diventando ancora più scorbutica. Mi sembra strano che tu le vada a genio, ma se hai deciso di aiutarla è sicuramente una buona cosa.” Disse tutto questo tenendo gli occhi bassi.
“Ma quale buona cosa!” Si inalberò la moglie. “Quella nemmeno il diavolo se la piglia!”
Gastone avrebbe voluto ribattere ma, la sua solita prudenza lo fece desistere. Ogni giorno che passava e conosceva meglio i suoi datori di lavoro capiva quanto bigotti, astiosi, oltre che legati al denaro erano quei due.
“Vi dovevo solo avvisare, mi sembra che della mia vita possa ancora fare quel che voglio.”
Ermete aveva paura di perdere un buon lavoratore e gli disse che non c’erano problemi.
Era estate quando Gastone arrivò una bella mattina da Giacinta con la sua sacca e nient’altro. La vecchia, quando capì le intenzioni dell’uomo sorrise semplicemente, lo fece entrare e gli disse di mettersi dove voleva.
Iniziarono la loro vita insieme ma si vedevano pochissimo, il lavoro teneva impegnato Gastone ma, nei momenti liberi aveva già cominciato a riparare quella baracca.
Si costruì un capanno dove cominciò a portare attrezzi vari e chiese a Cincia di lasciargli quel posto e di non entrarci. Lo chiuse con un grosso lucchetto e infilò la chiave nel manico del coltello.
Dormiva sul sofà in cucina, le stanze di sopra non erano sicure e a lui faceva comodo quella sistemazione.
Sistemò il recinto degli animali, comprò due capre e altri animali con del mangime e Cincia cominciò una nuova vita, sembrava rinata: curava gli animali, preparava da mangiare, finalmente aveva di nuovo uno scopo nella vita ed era felice di non essere più da sola e, anche se non l’avrebbe mai ammesso gli piaceva da morire quella sua nuova esistenza.
Era un’estate come tutte le altre, le giornate erano lunghe e calde e il lavoro non mancava. Gastone aveva cominciato ad aiutare nei campi e, ogni sera, al tramonto rientrava, aveva alcune cose sue da fare. Si lavava, mangiava qualcosa con la sua compagna e si ritirava nel suo capanno fino a notte fonda. Cincia lo sentiva rientrare e sdraiarsi sul sofà che era quasi mattina, non sapeva cosa facesse e non glielo avrebbe mai chiesto, un uomo ha diritto ad avere dei segreti e quello, di sicuro era un uomo con uno scopo ben preciso nella vita e, qualunque fosse lei lo avrebbe aiutato e non si sarebbe mai tirata indietro.
Era domenica mattina e, contro voglia doveva accompagnare i suoi padroni in chiesa. Non aveva più l’obbligo di partecipare alla messa da quando non viveva più con loro ma dovevano consegnare del liquore e avevano bisogno di lui. Li lasciò davanti alla chiesa e andò a fare le sue commissioni. Tornato a riprendere i due coniugi sentì che stavano cantando uno degli inni finali e decise di entrare. Come al solito si mise in disparte appoggiato ad una colonna appena dentro. C’era una bella atmosfera, doveva dare atto a quel giovane prete che era davvero bravo nel suo lavoro e tanta brava gente di quel posto affollava la sua chiesa ogni domenica mattina. Mentre i suoi occhi si abituavano alla penombra si guardava intorno osservando i quadri sacri appesi alle pareti. Davanti ad uno di questi era depositata la cesta in metallo che il sagrestano usava per raccogliere le offerte. Era ai piedi della Madonna col Bambino in braccio e, quasi non se ne accorse: quella ciotola in metallo portava inciso lo stesso nodo che ben conosceva.
Il suo cuore perse un colpo. Quel simbolo in chiesa proprio non se l’aspettava. I suoi occhi erano fissi su quell’oggetto, estrasse una moneta e si avvicinò per depositarla e potere vedere meglio per essere sicuro, ma non aveva dubbi.
Fu data la benedizione, il canto finale era terminato e lui era ancora con lo sguardo incollato a quell’oggetto. La gente cominciava ad uscire ordinatamente e, il sagrestano ritirò la ciotola.
I suoi datori di lavoro gli passarono davanti e lo richiamarono alla realtà.
“Stavo pregando la Madonna.” Disse a quei due, e uscirono.
Arrivò da Cincia che la tavola era apparecchiata e mangiarono insieme.
“Cosa ti succede?” Gli chiese la vecchia.
Gastone alzò lo sguardo su quel viso rugoso e si immerse nello sguardo indagatore di due occhi molto vivi e lucidi.
“Forse ho trovato quel che sto cercando.”
Cincia aspettò che continuasse ma, quello tacque.
“Qualunque cosa sia, sappi che puoi contare su di me.”
“Lo so, vecchia amica, lo so o non sarei qui.”
Cincia sospirò e non chiese altro, sistemò la cucina e si ritirò nella sua camera, quel giorno il caldo era soffocante e lei aveva bisogno di riposare.
Gastone aprì il lucchetto del suo capanno. Lo aveva arredato con un bancone da lavoro, vari attrezzi e un armadio che aveva una chiusura segreta creata da lui. Lo aprì e tolse il diario, lo sfogliò e l’osservò per l’ennesima volta ma quella ciotola non era riportata. Si sedette sullo sgabello da lavoro e cominciò a pensare. Quel simbolo stava diventando davvero ricorrente e di sicuro doveva essere importante visto che era dipinto o scolpito su una parete intera del luogo dove quei maledetti si riunivano. Era di sicuro della chiesa, poteva essere del prete? Pensò a quel giovane parroco arrivato da troppo poco perché potesse c’entravi qualcosa. E se fosse stato del sacrestano? Aveva assolutamente bisogno di sapere, la sua vendetta doveva colpire soltanto i colpevoli, nessun innocente doveva andarci di mezzo. Doveva trovare altri indizi prima di dare inizio a quello che aveva in mente.
Richiuse l’armadio, prese la canna da pesca e uscì, chiudendo col lucchetto come faceva ogni volta, anche se si allontanava per pochi minuti, lì dentro c’erano cose che nessuno doveva conoscere, nemmeno la sua vecchia compagna di casa, anche se sapeva che si sarebbe fatta uccidere piuttosto di tradire la sua fiducia.


romanzo di Milena Ziletti - diritti e proprietà a lei riservati

lunedì 25 maggio 2020

IL SEGRETO DELLA LUNA



IL SEGRETO DELLA LUNA

parte nove






Non era ancora ora di cena, si era già lavato e si sdraiò sul letto col registro in mano. Come spesso gli accadeva si soffermò sui visi di quelle ragazze, diciassette ragazze giovani che erano state uccise per qualche motivo, come la sua Lisa. Al pensiero di sua figlia e di sua moglie strinse le palpebre per trattenere le lacrime e continuò a sfogliare il quaderno.  Lo aveva osservato già per ore, lo conosceva praticamente a memoria ma, ogni momento libero lo dedicava a decifrare quelle figure.
Maggio arrivò col suo profumo di rose e di fiori. La signora Mariella tolse da una teca la statua della Madonna e la pose in centro al tavolo della cucina e non la toglieva nemmeno quando mangiavano. Gastone non smetteva di stupirsi di quella coppia, aveva capito che mostravano una faccia che non era la loro ma non erano affari suoi.
Andava in paese a consegnare il liquore alla casa di tolleranza ma non si fermava mai più del necessario, quello non era posto per lui.
Era domenica mattina e si stavano preparando per andare a messa. Gastone avrebbe preferito farne a meno ma doveva guidare il carretto perché Ermete si era ferito ad un braccio.
A malavoglia entrò in chiesa e, come al solito si mise in fondo, non voleva mescolarsi con gli altri, e quello era un ottimo punto di osservazione.
Non seguiva nemmeno una parola o un gesto di quello che diceva e faceva il prete, il suo sguardo osservava ogni persona, ogni gesto cercando qualcosa che lo aiutasse nella sua ricerca.
Nel pomeriggio andò a trovare Giacinta che lo aspettava seduta sulla sua sedia a dondolo e Lina sulle ginocchia.
“Sei venuto, finalmente!”
“Buongiorno, Cincia. Già, ora sono qui.” Prese un sacchetto con del cibo e lo mise sul tavolo in cucina.
La gatta aprì un occhio, lo guardò e si rimise a dormire.
“Hai avuto l’approvazione di Lina, adesso posso darti anche la mia.”
“Ha dei lavori da fare? Posso dare una mano?”
“E che vorresti fare? Solo un miracolo può tenere in piedi ancora questa vecchia baracca, lascia che crolli quando vuole, tanto non ha più nessun valore, né per me né per nessuno. Piuttosto, dimmi, cos’è che ti tormenta? Si vede lontano un chilometro che hai lo sguardo triste, e dammi del tu, potrei essere tua nonna.”
“Va bene, Cincia. Vorrei solo conoscere di più di questo posto, delle persone che ci abitano, delle storie che si raccontano, delle usanze … delle disgrazie.”
“Mi chiedi questo perché sono vecchia, ed hai ragione. Cosa ti interessa?”
Gastone non sapeva come introdurre il discorso, ancora non si fidava, nessuno doveva conoscere la sua storia e quello che voleva fare, era indispensabile il massimo riserbo, parlarne col priore era un conto, un vecchio frate chiuso in un convento ma, parlarne a persone sbagliate poteva significare mandare tutto all’aria.
“Vedo che non vuoi parlare, comincerò io, sono una vecchia sola da troppo tempo, anch’io avevo una famiglia, una bella famiglia!” I suoi occhi si accesero al solo pensiero dei suoi cari.
“Che fine hanno fatto?”
“Mio marito e morto mentre lavorava nei campi. Avevo due figli maschi, il più giovane se ne andò e non ne ho più saputo niente, credo che si sia arruolato e morto su qualche campo di battaglia. Il più grande si sposò ed ebbe una figlia, Lina. Sua moglie morì di parto e lui poco dopo dal dispiacere. Mia nipote visse con me, poi sparì e nessuno la rivide più. L’ho cercata finché ho avuto la forza, e ancora l’aspetto, ma so, so per certo che non tornerà più!”
“Doveva essere molto bella tua nipote, parlami di lei.”
La vecchia continuava ad accarezzare la gatta ed era persa in ricordi e pensieri lontani.
“Era molto dolce, timida, un carattere schivo e non amava la compagnia. Andava spesso al fiume, era una sognatrice, cantava strofe che lei stessa componeva. La sua voce era dolcissima e perfino gli uccelli si incantavano ad ascoltarla. Questo le dicevo spesso sei talmente brava che incanti anche gli uccelli. Ricordo come fosse oggi la sua risata, il suo abbraccio, era lei che consolava me e non il contrario. Aveva capelli lunghi e armoniosi, bruni come le foglie in autunno e un viso dall’ovale perfetto, tale e quale a quello della sua povera mamma. Le dicevo spesso che era il suo ritratto e che non poteva essere più bella. Se entri in casa c’è piccolo ritratto della mia povera nuora, puoi vedere da te quanto fosse bella.”
Gastone andò a vedere il ritratto nella cornice e se lo stampò bene nella mente, lo avrebbe confrontato con i diciassette volti del suo registro.
“E’ davvero bella con un bel porta ritratto, hai ragione era davvero una ragazza stupenda.”
“E’ il ricordo di mio figlio, il porta ritratto fu un regalo per il loro matrimonio.”
“Quanti anni aveva tua nipote?”
“Aveva sedici anni, ed era bellissima.” Giacinta si asciugò gli occhi. Il ricordo della sua dolcissima nipote non l’abbandonava mai, viveva la sua scomparsa come una colpa, toccava a lei sorvegliarla e, invece le aveva lasciato troppa libertà e lei non era più tornata.
Gastone vedeva la sofferenza su quel viso rugoso e capiva il dolore di quella vecchia donna.
“Davvero non vuoi che faccia qualche lavoretto per te? Non sono abituato a starmene con le mani in mano!”
Giacinta si alzò e gli fece cenno di seguirla.
La casupola era in penombra e il freddo del nudo pavimento si irradiava in ogni stanza. Era una casa fredda, una casa con tanti fantasmi e tanto dolore e nemmeno il camino più grande del mondo avrebbe potuto riscaldare quell’ambiente.
Gastone ebbe un brivido e si chiese come potesse ancora stare in piedi quell’ammasso di travi ed assi corrose dai tarli e dal tempo.
La vecchia condusse il suo ospite al piano superiore, lei non ci saliva da tempo. Viveva nelle due stanze al piano terra e le bastavano.
Il piano superiore aveva tre piccole stanze ricoperte di polvere e ragnatele. Giacinta aprì una porta e si fermò sulla soglia. Il suo sguardo si perdeva in qualcosa che solo lei poteva conoscere. Gastone la raggiunse e vide una piccola camera, impossibile non capire che doveva essere di Lina. C’erano un paio di orsacchiotti consumati dal tempo, un piccolo letto ricoperto da un lenzuolo colorato, un quadro della Madonna alla parete, un comò e poche altre suppellettili.
“Quando se n’è andata ha lasciato tutto così, come vedi ora. Ti sembra la stanza di una ragazza che voleva andarsene per non tornare più?”
“Cosa pensi che le sia successo?” Gastone drizzò le orecchie in attesa della risposta.
“Qualcuno me l’ha portata via, sì qualcuno l’ha rapita e poi …” Non finì la frase, non ci riuscì.
“Per quale motivo l’hanno rapita?”
La donna si voltò verso di lui e gli lanciò uno sguardo da incenerirlo. “Devi essere proprio ottuso se mi fai questa domanda, per quale motivo rapiscono una bella ragazza, giovane, vergine? Per approfittarsene, cosa credi! La usano come un giocattolo e poi la buttano via! Almeno potessi riavere il  suo corpo e darle degna sepoltura accanto ai suoi genitori!”
“Non ti sei rivolta a nessuno per denunciarne la scomparsa?”
“Pensi che mi avrebbero creduta? Che qualcuno avrebbe mosso un dito per aiutare una vecchia mezza pazza? Che a qualcuno interessasse della nostra vita? No, ci ho pensato da sola. L’ho cercata per mesi ma non l’ho più trovata, e mai più la ritroverò!”
“Anch’io ho perso mia figlia … e mia moglie!” Si lasciò sfuggire l’uomo.
Giacinta si sedette sul piccolo letto e fece segno a Gastone di sedersi vicino a lei.
“E’ questo dolore che ti tormenta, un dolore simile al mio, per questo l’ho riconosciuto subito quando ti ho visto la prima volta! Dio quanto è ingiusta la vita, perché non si è preso la mia vita invece di quella della mia giovane nipote? Non potrò mai perdonarlo, mai e poi mai, per avermi dato un dolore così grande!”
Rimasero entrambi seduti in silenzio, avvolti dal loro dolore e dalle lacrime silenziose che bagnavano il viso rugoso di Giacinta e quello scurito dal sole di Gastone.
Gastone prese la mano di Cincia e ridiscesero. Il suo sguardo si posò sul ritratto della nuora, poi capì. C’era qualcosa che lo aveva attratto, non era il ritratto della bella donna ma la cornice. Si avvicinò e la prese in mano, sfiorandola. Aveva dei disegni, dei simboli in risalto e fu attratto da uno speciale nodo che aveva più volte notato nei disegni del registro che gli aveva dato il priore.
Pose il ritratto sul tavolo, davanti alla vecchia. “Dimmi, Cincia ha qualche significato questo simbolo? E questo? E questo?” Non voleva sbilanciarsi, non avrebbe abbandonato la sua cautela, non ancora.
Gli occhi ancora umidi si alzarono per osservare quello che il suo ospite le mostrava. Passò con le dita sui rilievi di quei simboli e scosse la testa in segno di diniego.
“Non so cosa intendi, ma per me non hanno nessun significato.”


romanzo di Milena Ziletti - diritti e proprietà a lei riservati

venerdì 22 maggio 2020

IL SEGRETO DELLA LUNA



IL SEGRETO DELLA LUNA

parte otto






I cavalli tiravano il carro e i due uomini a cassetta rimanevano in silenzio. Il sigaro di Ermete lasciava scie di fumo che si mischiavano ai pensieri di Gastone per andare a disperdersi in nuvole lontane.
“Da dove vieni?” Chiese il vecchio.
“Non vengo da un posto preciso, ho viaggiato molto, non amo rimanere a lungo nello stesso posto, mi sento soffocare, ho bisogno di spazi, di libertà!”
“Per quanto tempo hai intenzione di fermarti da me? Ho del lavoro che va svolto e vorrei essere sicuro di poter fare affidamento su di te almeno fino all’autunno.”
A Gastone non costava proprio niente dare all’uomo la risposta che voleva e gli confermò che sarebbe rimasto fin quando ce ne fosse stato bisogno.
Ermete, tranquillizzato continuò a guidare il carro fino al paese. Era un grosso agglomerato di case sparse senza una linea precisa. Ce n’erano di ogni dimensione e la strada sterrata si fece più larga quando entrano nel villaggio. I cavalli sembravano conoscere la loro meta e si fermarono davanti ad un grande stabile di color verde.
Gastone scese e cominciò a scaricare le casse e i barili. Non sapeva cosa contenessero e non gli interessava, ma quando varcò la soglia si ritrovò nel bel mezzo di una casa di tolleranza. Era impossibile sbagliarsi. Una bella signora salutò Ermete con un sorriso, firmò dei documenti e lanciò uno sguardo languido a Gastone.
“Chi è il bel giovanotto che ti accompagna, vecchio farabutto?”
“Lascialo perdere, è impegnato in fattoria, potrà venire da te solo nel suo giorno libero, e per ora è molto occupato.”
“Vieni quando vuoi, bell’uomo! Qui troverai di sicuro qualche ragazza di tuo gradimento, ti aspetto.”
I due uomini uscirono che il sole cominciava a scaldare per bene l’aria.
“Vieni, ti offro un boccale di birra prima di rientrare ma dobbiamo fare in fretta o mia moglie mi farà una testa grossa così!”
La locanda era fresca e gli avventori, a quell’ora del mattino erano pochi. Gli occhi di Gastone osservavano ogni cosa e niente gli sfuggiva, per il compito che doveva portare a termine aveva bisogno di non tralasciare nessun particolare.
Giunsero alla fattoria e una donna tutta pelle e ossa era sulla porta della casa padronale, mani sui fianchi scrutava il viottolo e un sospiro di sollievo le sollevò il petto quando vide in lontananza il carro del marito. Si accorse di uno sconosciuto seduto vicino a lui e corse in casa a mettere un altro piatto in tavola.
I due uomini sistemarono i cavalli, si lavarono le mani e le braccia ed entrarono in casa dove un buon profumo di arrosto li accolse, invitante.
Un fuoco scoppiettava sotto un paiolo colmo di polenta.
“Sei arrivato, finalmente! Sedetevi che è tutto pronto.”
Gastone si meravigliò che non chiedesse spiegazioni. Si sedette a tavola e fu servito per primo.
Mentre mangiavano nessuno parlò, era regola di quella casa, anzi della padrona di casa che il pasto doveva essere consumato in silenzio.
La donna servì una fetta di dolce e finalmente parlò.
“Chi è questo forestiero?”
“E’ il mio nuovo aiutante, rimarrà fino all’autunno, lo sai che ho bisogno di aiuto.”
La donna guardò Gastone con insistenza, lo scrutava come se volesse leggergli nell’anima, poi, finalmente, allungò la mano e si presentò.
“Io sono Mariella, ti porgo il benvenuto e spero ti troverai bene. Se rispetterai le nostre regole non avremo problemi, vieni ti mostro la tua stanza.”
Mentre lo accompagnava gli elencava tutte le regole che doveva rispettare e lui l’ascoltava cercando di tenerle a mente ma la sua testa era occupata in altre faccende. Arrivarono ad un piccolo stabile vicino alle stalle. La donna aprì con una grossa chiave e lo fece accomodare. C’erano due stanze, una con un letto, un armadio e un piccolo comò e quella d’ingresso che aveva un bel camino, un sofà, un tavolo e alcune suppellettili.
Gastone si guardava attorno mentre la donna continuava a chiacchierare.
“Il gabinetto è appena fuori dove c’è anche una grossa vasca con la pompa dell’acqua, i pasti li prenderai con noi, qui non c’è posto per cucinare e a me fa piacere avere qualcuno a tavola da quando non c’è più mio figlio. Adesso metti a posto le tue cose, fra poco mio marito verrà e ti spiegherà i compiti che ti spettano. Una cosa dimenticavo, qui la domenica si va tutti alla messa, tutti senza eccezioni.” E uscì senza aspettare risposta.
Non ci volle molto a Gastone per riporre le sue poche cose, nascose il fucile dietro la biancheria dell’armadio e la borsa con i suoi preziosi scritti la ficcò sotto il letto.
I passi di Ermete l’avvisò che doveva sbrigarsi. Aprì la porta e lo fece entrare. Si sedettero come due buoni amici e il vecchio lo istruì su quello che si aspettava da lui. Gli raccomandò di seguire le regole di sua moglie che era fissata per certe cose poi uscirono insieme.
La fattoria aveva un grande vigneto, alcuni campi, un grande pezzo di terra coltivato ad orto dalla signora, un allevamento di maiali e vari altri animali. C’erano due uomini che lavoravano da tempo con lui curando gli animali. Camminavano inoltrandosi in un boschetto ed a Gastone sembrò ritornare a casa, sentì una fitta al cuore e continuò a camminare di fianco ad Ermete. Raggiunsero una baracca isolata e si fermarono un poco distante.
Ermete alzò lo sguardo e guardò il suo compagno negli occhi, era venuto il momento di decidersi se poteva fidarsi di lui, fece un sospiro e, ben sapendo che non aveva scelta gli chiese: “Cosa ne sai di una distilleria?”
“Ne so poco, io sono più portato al lavoro con gli animali, ma imparo in fretta.” Aveva capito al volo quello che gli stava chiedendo.
“Dovrai occuparti della distilleria, non è difficile ed io ti insegnerò ogni cosa, passerai qui dentro parecchio tempo, in solitudine. Voglio sapere se te la senti.”
A Gastone non parve vero di poter lavorare da solo, avrebbe avuto tutto il tempo di pensare e studiare il registro che gli aveva dato il priore.
“Mi sta bene, ma vorrei avere anche qualche ora da passare all’aria aperta.”
“Avrai molto tempo anche per quello. Il lavoro qui non impegna tutte le ore del giorno, anzi, dovrò chiederti a volte di aiutarmi anche in altri lavori.”
Entrarono nella distilleria e il vecchio cominciò a spiegare a Gastone il procedimento da seguire, i vari arnesi da usare, le cautele da rispettare. Tutto sembrava abbastanza facile e la supervisione di Ermete avrebbe ovviato a qualunque errore potesse fare, quello che al vecchio serviva era la discrezione che, aveva capito poteva avere da Gastone.
Sorrise al pensiero della bigotta signora Mariella, era impossibile che non sapesse cosa faceva suo marito in quel posto, ma a lui stava bene così, avrebbe usato questo come arma per non andare in chiesa, non aveva tempo da perdere ma, poi ci ripensò e decise in modo diverso.
Iniziò il suo lavoro insieme al trascorrere della primavera. All’inizio era un po’ goffo e titubante ma gli insegnamenti di Ermete erano chiari e non era difficile eseguirli.
La signora Mariella si rivelò davvero una gran cuoca, una gran bigotta e molto attaccata al denaro. Gastone non riusciva a capire quella coppia di vecchi
Ogni sera, nella sua camera apriva il registro e cercava di capirci di più. I CAVALIERI DELLA TERRA FECONDA, doveva essere una vecchia setta segreta dove si tramandava il posto che rimaneva vacante, non poteva essere molto lontana da lì. Anche se la zona era vasta, di sicuro due omicidi erano avvenuti lì vicino, quello di sua figlia e quello della sorella del priore, ma come fare a scoprire di più? Lui era un uomo riservato, di indole solitaria e non amava la vita di società ma, capiva che doveva cambiare atteggiamento se voleva conoscere quei posti e soprattutto la gente che vi abitava.

Capitolo cinque
Era il suo giorno libero e decise di trascorrerlo al fiume con la canna da pesca. Nella mente sempre gli stessi pensieri, si sentiva come un prigioniero che cercava il punto in cui scavare per fuggire, non riusciva a trovare nessuna traccia di quello che cercava. Aveva ispezionato vari luoghi ma senza rinvenire niente di interessante.
Stava oltrepassando un vecchio casolare con una stalla decrepita ed un recinto fatiscente dove pascolavano alcune capre. Si fermò incuriosito ad osservare quel posto che un tempo doveva essere stato ben diverso. Una vecchia stava cercando di spaccare dei grossi ciocchi di legna con una fatica, per lei, non indifferente.
Gastone la raggiunse e le tolse di mano l’accetta, in poco tempo spaccò un bel po’ di legna e gliela sistemò sotto uno sgangherato portico.
Mentre lavorava, la vecchia non aveva smesso di guardarlo ed ora, che aveva finito, gli fece cenno di entrare in casa.
“Lavati le mani e il viso prima di entrare.”
Gastone si fermò alla pompa, si rinfrescò, si dissetò ed entrò in quella casa che sembrava potesse crollare da un momento all’altro.
La vecchia aveva messo sul tavolo del pane e della frutta, era tutto quello che aveva.
“Mangia con me, non mi capita mai di avere compagnia. Inoltre non so come ringraziarti. Chi sei?”
Gastone spezzò un grosso pane e cominciò a mangiarne.
“Mi chiamo Gastone e lavoro per il vecchio Ermete.”
“Quel vecchio ingordo, con una moglie falsa e avida!”
La vecchia brontolava mentre prendeva una caraffa di acqua e una bottiglia di vino da offrire al suo ospite.
“Io sono Giacinta, per gli amici Cincia, ma ormai non mi chiama più nessuno in questo modo. Vivo da sola dopo la morte di mio marito e dei miei figli e maledico il Signore ogni santo giorno,perché  non mi accoglie e non mi porta da loro. Che ci sto a fare qui? Se avessi il coraggio mi butterei nel fiume e la farei finita!”
Gastone capiva bene i sentimenti e il dolore di quella povera vecchia, almeno lui si era dato un compito da assolvere o sarebbe impazzito di dolore proprio come lei.
“Quanto anni ha, signora Giacinta?”
“Per favore, almeno tu, che potresti essere mio figlio chiamami Cincia. Ho settantacinque anni, non ti sembrano giusti per andarsene?”
“Le faccio una proposta, cosa ne dice se nei miei momenti liberi vengo a darle una mano?”
“E cosa vuoi in cambio?”
“Che mi parli un po’ di questo posto, di chi ci abita, magari le racconterò anche della famiglia che ho perso.”
Giacinta guardava quel forestiero cercando di capire cosa ci fosse sotto ma, qualunque cosa fosse a lei non importava, quello che le faceva piacere era avere un po’ di compagnia.
 “Vieni quando vuoi, io sono qui con le mie capre e la mia gatta, spero che tu le piaccia, non è molto socievole e non ama gli estranei.”
“Grazie per lo spuntino, vado a pesca e nel ritorno le lascerò del pesce, magari faccio amicizia con la sua gatta.”
“Si chiama Lina, la mia gatta si chiama Lina.” Sussurrò con gli occhi bassi stringendo le mani.
Gastone riprese la strada del fiume, forse aveva trovato qualcuno che potesse aiutarlo nella sua ricerca, doveva essere prudente, come al solito.
Nel ritorno si fermò a lasciare del pesce a Giacinta, la salutò e tornò nella sua stanza.


romanzo di Milena Ziletti - diritti e proprietà a lei riservati

giovedì 21 maggio 2020

IL SEGRETO DELLA LUNA


IL SEGRETO DELLA LUNA

parte sette





“Domani me ne vado, non ho altro da fare qui. Avete la mia riconoscenza per quello che mi avete dato in questi giorni ma devo riprendere la mia strada e, stavolta non farò altre tappe per nessuna ragione.”
Il vecchio frate sembrava perso in pensieri che solo lui conosceva.
“Ti voglio raccontare una storia. La terra è l’unico sostentamento che la gente ha sempre avuto. Siccità, inondazioni, epidemie hanno spesso rovinato i raccolti e, molte famiglie pativano fame e freddo. La brava gente di Fede, davanti alle disgrazie, spesso  si allontana dalla retta via e comincia a dare ascolto a falsi profeti. Un tempo molto lontano ce ne sono stati alcuni che chiedevano sacrifici umani per scongiurare qualsiasi calamità. Fu così che tutto ebbe inizio. Se la gente parlasse senza paura ti racconterebbe di quante fanciulle, nel corso degli anni sono finite inchiodate ad un albero ma, non troverai nessuno che lo farà, tu stesso non l’hai fatto, ed è su questo silenzio che loro fanno affidamento per continuare impuniti nei loro misfatti. Se li vuoi trovare ti devi trasformare in un lupo, devi saper fiutare la direzione e riuscire a far parlare qualcuno che sa.”
“Perché non me lo dite voi? Voi sapete molto di più di quello che mi state dicendo!”
“Perché ho fatto un giuramento e non posso romperlo, ma è ora che qualcuno metta fine a questa storia, vai con la mia benedizione e … con questo.” Aprì un cassetto e consegnò all’uomo un vecchio libro chiuso da un lucchetto.
“Non puoi aprirlo in questo luogo ma, fuori di qui puoi fare quello che vuoi. Vai e cerca la tua vendetta, e che il Signore mi perdoni, fa che sia anche la mia, se ci riuscirai ripassa di qui e riportami quel diario, non fosse altro che lo depositerai sulla mia tomba.”
Per la prima volta il vecchio frate si alzò a fatica dalla sua sedia, girò intorno al tavolo e pose le sue mani sulla testa di Gastone. Lo benedisse, lo baciò e lo lasciò andare.
Gastone non avrebbe passato in convento nemmeno un altro minuto. Andò nella sua piccola cella, prese le sue cose e uscì nella notte rischiarata da una mezza luna e miliardi di stelle.
Il portone del convento si chiuse con un sordo rumore. Gastone alzò gli occhi al cielo e respirò profondamente l’aria profumata della primavera. Posò a terra la sacca ed estrasse il fucile da mettere in spalla. Trovò sul fondo un grosso fagotto con due pagnotte, formaggio e frutta. Volse il viso al convento e ringraziò quelle meravigliose persone che si erano prese cura di lui senza nulla chiedere. Riprese il cammino rinnovando il suo giuramento di vendetta.

Capitolo quattro
Si inoltrò nel fitto del bosco, ambiente che ben conosceva e trovò riparo contro una roccia. Si sedette, e nel silenzio rotto solo dalle grida degli uccelli notturni si appisolò aspettando l’alba.
Il sole del nuovo giorno non era ancora sorto quando Gastone aprì gli occhi. Si sentiva vivo, e per un attimo pensò di esser fuori per il suo lavoro col desiderio di tornare a casa per colazione, ma durò poco, e subito la sua mente fu presa dagli eventi vissuti.
La schiena gli doleva per essere stata appoggiata alla roccia così a lungo, ma ancora non si mosse. Estrasse dalla sacca il libro che il Priore gli aveva dato, usando il suo coltello fece saltare il lucchetto e, dopo un attimo di esitazione lo aprì.
Si vedeva che era molto vecchio, le pagine erano ingiallite e alcune con i margini che sembravano rosicchiati. Lo teneva con cura, alzò la copertina ruvida e logorata dal tempo e la prima cosa che vide fu il simbolo che ben conosceva che occupava tutta la prima pagina. Il grande cerchio e le due mezze lune attaccate alla base del cerchio formavano un tutt’uno, erano colorate ma sbiadite, si vedeva bene che dovevano essere state color oro. Passò alla pagina successiva e c’era lo stesso simbolo, questa volta era il puntale di un lungo bastone che dal centro del cerchio reggeva il simbolo. Osservava cercando di capire, passò alle pagine successive, qualcuno aveva disegnato molto, senza aggiungere nemmeno una riga di commento. Riconobbe gli otto massi col simbolo al centro simile a quello che aveva trovato anche lui, su un’altra pagina un immenso cielo stellato ed una grande luna, poi varie pagine con disegni di alberi. Continuando a sfogliare si bloccò su una pagina col viso di una ragazza, un’altra pagina con il viso di un’altra ragazza. Alla fine ne contò 17, diciassette pagine con i volti di ragazze. Si somigliavano un po’ tutte, soprattutto erano giovani, ed erano morte, come la sua Lisa. Strinse i pugni ma continuò a sfogliare. Una doppia pagina ritraeva un grande masso, anelli e catene che servivano a tenere imprigionata una persona, la pagina successiva ritraeva due ciotole che riportavano il solito simbolo e in una di queste c’erano due occhi umani. Gastone chiuse i pugni mentre il suo cuore si lacerava dal dolore, no! Non avrebbe dato ascolto al suo cuore, no, no, no. Le mani gli tremavano mentre continuava a sfogliare, trovò disegni su ogni pagina: pugnali, strumenti chirurgici, vasi di vetro, e molto altro. Era quasi arrivato alla fine e aveva il cuore serrato dal dolore, un’altra doppia pagina ritraeva otto persone incappucciate sedute intorno al grande masso, soltanto una aveva il cappuccio diverso dalle altre e teneva in mano il lungo bastone col simbolo sul puntale. Erano tutti rivolti verso il corpo nudo di una ragazza che giaceva sulla lastra di pietra. Erano disegnati con dovizia di particolari ma gli occhi pieni di lacrime di Gastone riuscivano solo a vedere gli assassini di sua figlia. Era giunto all’ultima pagina, la girò con il petto squassato dai singhiozzi e lesse le uniche parole scritte in tutto quel quaderno-diario “I CAVALIERI DELLA TERRA FECONDA.”
Teneva in mano quel manoscritto chiedendosi chi lo avesse disegnato, di sicuro doveva essere qualcuno molto dotato nell’arte del disegno, e soprattutto come era finito nelle mani del Priore? Cosa aveva voluto dire di aver giurato e non poter rompere il giuramento? Era coinvolto anche lui? Poi pensò alla morte della sorella quando lui era ancora bambino e capì che la sua mente stava formulando pensieri fuori di testa. Doveva calmarsi, doveva riprendere il controllo. Si asciugò nervosamente gli occhi e rimise in fondo alla sacca quel registro, perché tale doveva essere, un registro.
 Raggiunse un piccolo corso d’acqua, si rinfrescò e mangiò. Aveva molta strada da fare e soprattutto molte cose a cui pensare, e doveva seguire il consiglio del Priore, trasformarsi in lupo e trovare qualcuno che sapeva, molto più facile a dirsi che a farsi, ma era tutto quello che lui voleva fare, e in un modo o nell’altro ci sarebbe riuscito.
La zona dove lui era nato e cresciuto si trovava al nord dello stivale, al di là del grande fiume che sembrava tagliare in due quella nazione dalla forma così strana. Era tutto un susseguirsi di boschi, campi, vallate, corsi d’acqua e montagne che si vedevano sullo sfondo e che avevano le cime ricoperte di neve. Non si era mai allontanato molto da casa sua e, mentre camminava in silenzio, si rese conto che non era molto diverso dalla zona da cui proveniva.
I campi erano ancora addormentati ma presto sarebbero stati ricoperti da grano e granturco, da erba tenera per foraggiare gli animali. Eh sì, la natura seguiva il suo corso indifferente a tutto se non alle stagioni.
Era un uomo sano e robusto, presto nei campi avrebbero avuto bisogno di lavoranti e lui doveva solo decidere dove stabilirsi per iniziare la sua ricerca.
Camminava su un sentiero sterrato in mezzo ad un bosco di alberi ancora spogli. Era ancora presto e si sorprese di vedere un carro trainato da due cavalli fermo proprio in mezzo al sentiero. Un vecchio imprecava tenendo un sigaro fra i denti. Una ruota si era spezzata e lui non sapeva come fare, il peso da sollevare era troppo faticoso per lui.
Gastone si avvicinò. L’uomo era ben vestito ed aveva due occhi azzurri chiari come il cielo.
“Posso aiutarla?”
Il vecchio alzò lo sguardo e sorrise, facendo sì con la testa.
Dovevano scaricare il carro per poter sistemare la ruota ed iniziarono di gran lena. Sul carro c’erano casse e barili ma Gastone non indagò su cosa contenessero. Si arrotolò le maniche della camicia ed iniziò a scaricare. Poi, usando gli attrezzi del vecchio, sistemò la ruota e ricaricò il carro. Ci erano volute due ore per portare a termine il lavoro.
“Come posso sdebitarmi? Hai fatto un ottimo lavoro!”
“Sto cercando lavoro, se conosce qualcuno che mi può assumere è tutto quello che le chiedo.”
Il vecchio lo osservava attentamente, come si osserva un animale al mercato, lo valutava, cercando di decidersi.
“Ho perso mio figlio da poco, se ti interessa c’è un posto libero nella mia fattoria. Non posso pagarti molto ma vitto e alloggio sono compresi e mia moglie è una brava cuoca. Il lavoro non manca. Sei uno straniero e questo mi rende diffidente, ma ho visto che sai lavorare e mi hai fatto un grande favore. Perché non sali con me a cassetta e mi accompagni? Potremo parlare un po’! Io mi chiamo Ermete, e tu?”
“Io mi chiamo Gastone, e accetto la tua offerta.”
Così dicendo salì al fianco del vecchio, se da qualche parte doveva cominciare avrebbe seguito quello che il destino gli aveva offerto proprio in quella giornata. I cavalli ripreso a tirare il carro e il fumo del sigaro si disperse nell’aria fresca del mattino.


romanzo di Milena Ziletti - diritti e proprietà a lei riservati