martedì 19 maggio 2020

IL SEGRETO DELLA LUNA


IL SEGRETO DELLA LUNA

parte cinque






Gli alberi si stavano diradando e il rumore di alcuni carri giunse alle sue orecchie dall’udito fine come quello di un animale selvatico. La strada sterrata era ancora abbastanza lontana ma il movimento di carri e persone era piuttosto nutrito. Si rese conto che, per la prima volta era uscito dai suoi confini, dalla terra che aveva sempre conosciuto e non sapeva di preciso dove si trovasse ora.
Con circospezione si accucciò vicino ad uno degli ultimi alberi del bosco ed osservò il traffico poco più in là. Gli ci volle poco per capire che erano carri e carretti carichi di merce varia diretti ad un mercato, significava che era vicino ad un centro abitato. Decise di unirsi alla silenziosa carovana e seguirli senza dare nell’occhio.
C’erano uomini, donne, bambini ed ognuno portava qualcosa con sé. Il profumo di pane appena sfornato arrivò fino a lui facendogli brontolare lo stomaco.
Lentamente raggiunse una famigliola che a fatica trascinava due capre e un mulo con due ceste stracolme di mercanzia. Prese la corda delle capre e, senza fatica le condusse con loro. Un bambino piccolo era legato sulla schiena della madre e il padre trascinava il mulo che, stranamente lo seguiva docile. La donna lo ringraziò con un sorriso stanco, felice di lasciargli il compito. Gastone, senza fretta raggiunse l’uomo e si affiancò, salutandolo.
“Grazie per l’aiuto, mia moglie è molto stanca.”
“Non c’è di ché. Io non ho altro da fare e sono felice di darvi una mano. Dove state andando?” Chiese noncurante.
“Al mercato di Vissai, è il più grande della zona e c’è sempre molta folla. Lei da dove viene?”
“Oh, io sono solo di passaggio, vado a trovare dei parenti.”
La strada era polverosa e si sentivano gli incitamenti della carovana alle proprie bestie. Alcuni bambini si rincorrevano, il sole stava salendo e tutti pregustavano il giorno di mercato come una festa.
Le prime case del paese si affacciarono non appena sbucarono dall’ultima curva. Il suono delle campane colse di sorpresa Gastone, non aveva mai sentito un suono come quello. Il suo compagno si accorse del suo sguardo e gli disse che erano le campane del convento dei frati che, ogni giorno di mercato suonavano in quel modo per richiamare alla Santa Messa il maggior numero di persone possibile, e chi ci fosse andato avrebbe trovato anche un pasto caldo. Era una antica comunità di frati, nessuno sapeva dire da quanto fossero in quella zona, sembrava ci fossero sempre stati.
Il paese si andava animando, il canto dei galli, le campane che suonavano ancora, le voci concitate dei venditori che prendevano posto rendevano quel paese, almeno in quel giorno, una giostra di colori e di allegria. I primi richiami dei venditori cominciarono a farsi sentire, Gastone consegnò la corda che teneva le due capre e salutò la famigliola.
Era il primo paese dopo il bosco, di sicuro ce n’erano altri in posizioni diverse ma era arrivato qui e da qui avrebbe iniziato la sua ricerca.
Passava nella strada dove banchetti e carretti esponevano la più varia mercanzia. Si avvicinò al carretto del pane e ne acquistò insieme ad un pezzo di formaggio. Lo divorò in pochi bocconi e si diresse alla taverna per un boccale di birra. Mentre si avvicinava al locale cambiò idea e prese il sentiero che portava al convento. Non poteva sbagliarsi, il suono delle campane lo guidava verso una dolce altura dove spiccava un campanile con la sua croce, un’idea gli frullava in testa.
Non dovette nemmeno bussare, il portone era spalancato e un vecchio frate gli fece strada verso la cappella, la Santa Messa stava per iniziare.
Il luogo era davvero bello, giardini, piccoli prati verdi, altro non fece in tempo a vedere perché fu guidato all’interno della piccola chiesa. Le candele e due grandi vetrate rischiaravano quell’ambiente che profumava di fiori. I suoi occhi, lentamente si abituarono alla luce fioca. Si sedette su una panca mentre i frati iniziavano a cantare. Non era un uomo che frequentava la chiesa ma colse l’opportunità per pregare per le sue donne, si ricordò che non l’aveva ancora fatto. Rimase seduto fino alla fine con lo sguardo puntato alla statua della Madonna e al crocifisso. Il rito gli fluiva intorno senza che lui lo seguisse e quasi non si accorse che era finito se non per il silenzio che, tutto ad un tratto lo avvolse.
Era talmente assorto che il frate non lo richiamò subito. Gli si sedette vicino e aspettò.
Gastone alzò il viso verso il frate, era bagnato di lacrime, lacrime silenziose che non era riuscito a trattenere. Doveva essere colpa di quel posto, lui nemmeno si era accorto che stava piangendo.
Il frate gli posò una mano sul ginocchio. “Vuoi parlarmene?” Ma non ottenne risposta. Allora gli batté affettuosamente la mano sulla spalla. “Vieni, il desco è preparato e tutti ci stanno aspettando per cominciare a mangiare, senza di te non si inizia, non facciamoli attendere oltre. Vieni.”
I due uomini uscirono dalla piccola chiesa e si diressero al refettorio. Un lungo tavolo teneva occupata la stanza per tutta la lunghezza ma, solo pochi posti erano occupati. Con gentilezza, il frate lo fece sedere e gli si mise al fianco. Tutti quelli seduti avevano davanti una scodella fumante come la sua. Il frate seduto a capo tavola benedisse il cibo e iniziarono a mangiare. Nessuno parlava, c’era un’atmosfera di tranquillità che Gastone non aveva mai provato. Mangiò in silenzio, come tutti gli altri commensali.
Una voce dolcissima iniziò un canto di ringraziamento. Un giovane frate si era alzato da tavola e, mentre sparecchiava cantava un canto in una lingua che Gastone non conosceva.
Il frate che lo aveva accolto lo fece alzare e lo accompagnò fuori.
“Vieni, facciamo due passi. Ti mostro il nostro convento, poi potrai parlare con il nostro Priore.”
Il silenzio che si respirava in quel posto era simile a quello che lui conosceva quando andava nel bosco. Al suo fianco il frate sorrideva tranquillo mentre lo accompagnava nel loro grande orto, nel giardino, nel frutteto. C’era perfino un piccolo stagno con alcune anatre che sguazzavano tranquille. Era piuttosto grande e tutto ben tenuto.
Il frate condusse Gastone all’interno e gli fece visitare la cucina, la dispensa, la sala refettorio dove avevano mangiato, una piccola infermeria. Tutto era ordine, silenzio, perfino i frati che incrociavano sembravano camminare a un palmo da terra tanto erano silenziosi, e tutti lo salutavano con un cenno del capo e un sorriso.
“Ora ti accompagno dal Priore. E’ un uomo anziano, un frate che per noi è come un padre, con lui puoi parlare di tutto, puoi stare sicuro che saprà ascoltarti e confortarti.”
Arrivarono davanti ad una porta di legno uguale a tutte le altre e il frate bussò. Senza aspettare l’invito ad entrare, aprì la porta e fece cenno a Gastone di passare.
“Io non entro. Lui ti aspetta, sa che sei qui, che oggi avevamo un ospite, ed è sempre felice di incontrare qualcuno che non sia uno di noi. Va tranquillo, io sarò qui quando uscirai.”
Con la sacca in spalla varcò la soglia. La stanza era abbastanza grande, in un angolo c’era il letto ma quello che saltava subito agli occhi era la scrivania piena di libri e carte di varie dimensioni, le pareti erano formate da ripiani tutti occupati da libri e arrivavano fino al soffitto. Aspettò che i suoi occhi si adattassero alla penombra prima di muoversi. Da esperto cacciatore quale era notò ogni cosa.
Seduto dietro il grande tavolo stava il frate Priore. Gastone si avvicinò e quello gli fece cenno di sedersi. Due sedie scomode erano davanti alla scrivania. L’ospite posò la sacca ai piedi e, silenzioso osservò il vecchio frate.
Si guardavano a vicenda. Gastone notò subito il sorriso come quello di tutti i frati che vivevano lì, così come notò i pochi capelli bianchi e la grande magrezza di quel viso incavato. Quello che lo sorprese di più furono gli occhi del frate, erano azzurri e talmente chiari da sembrare un tutt’uno. Le sopracciglia erano spettinate, lunghe e cespugliose. Era assorto ad osservare quell’uomo facendosi un sacco di domande, quando sussultò al suono della sua voce.
“Hai guardato bene ogni cosa?”
Gastone si sentì arrossire, non si era accorto di essere stato così palesemente scortese. Fece per scusarsi ma il Priore lo prevenne.
“Io sono il frate Priore di questo convento, il mio nome nel mondo al di fuori di qui era Santo ma quello che ho scelto per la mia vita dedicata al Signore è Romano, tu chi sei che ti porti dietro un fardello così pesante?”
Istintivamente, Gastone posò la mano sulla sacca, non era gran cosa per lui e stava per dirglielo.
“Non quel fardello, ma quello che porti nel cuore, quello che ti opprime.”
Come faceva quel frate a sapere queste cose? Gastone non riusciva a capacitarsi, avrebbe voluto fuggire, ma lo sguardo del Priore era come se lo tenesse inchiodato alla sedia.
Rimasero entrambi in silenzio, ognuno aspettava che fosse l’altro a parlare, ad iniziare a dire qualcosa.
“Perché non ti avvicini? Io fatico a camminare. Vieni, voglio osservarti meglio. Non temere sono solo un vecchio curiosone che raramente vede uno straniero, qui non entra quasi nessuno se non per prendere del cibo e scappare, come se fossimo appestati.”
Il vecchio lo fece inginocchiare e gli posò la mano sulla testa bisbigliando parole che l’uomo non riuscì a capire. Alla fine gli fece il segno della croce sulla fronte e sul cuore.
Tenendo la mano sul cuore di Gastone, il priore gli parlò, bisbigliando come se qualcuno fosse lì nascosto e potesse origliare.
“Troppo dolore, troppa rabbia hai dentro al cuore. Vuoi raccontarmi cosa ti è successo?”
Gastone aveva un nodo che gli serrava la gola e non riusciva a parlare, fece solo un cenno con la testa per dire di no. Il frate gli accarezzò il viso con una dolcezza infinita.
“Hai bisogno di riposo, di vero riposo, resta con noi per un po’, potrai aiutarci con semplici lavori, avrai una stanzetta per te e, quando sarai pronto mi parlerai. Non puoi andare nel mondo con quello che porti nel cuore, lascia che ti aiuti, rimani con noi e raccogli le idee. Nessuno ti tratterrà un minuto in più di quello che tu deciderai.”
Gastone prese la mano del frate fra le sue e la baciò. “Solo pochi giorni, non posso rimanere oltre.”
Il Priore suonò un piccolo campanello che aveva sul tavolo e congedò Gastone.
Il frate che lo aveva accompagnato era già lì ad attenderlo e, senza aggiungere una parola lo accompagnò nella sua cella.
Rimase solo ed assorto. Il piccolo letto era una semplice branda, l’arredo era formato da un catino con la brocca di acqua, un piccolissimo tavolo con una sedia, un orinale e un minuscolo armadio dove posò la sacca. Una finestra, piccola e posta in alto faceva entrare un po’ di luce, avrebbe dovuto presto accendere la candela perché il buio sarebbe arrivato in fretta.
Si sdraiò sulla branda con l’intenzione di raccogliere le idee su tutto quello che gli era successo, quello che aveva scoperto e sul Priore che doveva avere un dono speciale per aver capito quello che lui teneva così ben nascosto. Chiuse gli occhi per pensare meglio e si addormentò.
Un leggero bussare lo fece sussultare. Per un nano secondo non ricordò dove si trovasse ma si riebbe subito. Si alzò e aprì la porta. Il solito frate col solito sorriso gli disse che la colazione era già in tavola.


romanzo di Milena Ziletti - diritti e proprietà a lei riservati

Nessun commento:

Posta un commento