IL SEGRETO DELLA LUNA
parte cinque
Gli alberi
si stavano diradando e il rumore di alcuni carri giunse alle sue orecchie
dall’udito fine come quello di un animale selvatico. La strada sterrata era
ancora abbastanza lontana ma il movimento di carri e persone era piuttosto
nutrito. Si rese conto che, per la prima volta era uscito dai suoi confini,
dalla terra che aveva sempre conosciuto e non sapeva di preciso dove si trovasse
ora.
Con
circospezione si accucciò vicino ad uno degli ultimi alberi del bosco ed
osservò il traffico poco più in là. Gli ci volle poco per capire che erano
carri e carretti carichi di merce varia diretti ad un mercato, significava che
era vicino ad un centro abitato. Decise di unirsi alla silenziosa carovana e
seguirli senza dare nell’occhio.
C’erano
uomini, donne, bambini ed ognuno portava qualcosa con sé. Il profumo di pane
appena sfornato arrivò fino a lui facendogli brontolare lo stomaco.
Lentamente
raggiunse una famigliola che a fatica trascinava due capre e un mulo con due
ceste stracolme di mercanzia. Prese la corda delle capre e, senza fatica le
condusse con loro. Un bambino piccolo era legato sulla schiena della madre e il
padre trascinava il mulo che, stranamente lo seguiva docile. La donna lo
ringraziò con un sorriso stanco, felice di lasciargli il compito. Gastone,
senza fretta raggiunse l’uomo e si affiancò, salutandolo.
“Grazie per
l’aiuto, mia moglie è molto stanca.”
“Non c’è di ché.
Io non ho altro da fare e sono felice di darvi una mano. Dove state andando?”
Chiese noncurante.
“Al mercato
di Vissai, è il più grande della zona e c’è sempre molta folla. Lei da dove
viene?”
“Oh, io sono
solo di passaggio, vado a trovare dei parenti.”
La strada
era polverosa e si sentivano gli incitamenti della carovana alle proprie
bestie. Alcuni bambini si rincorrevano, il sole stava salendo e tutti
pregustavano il giorno di mercato come una festa.
Le prime
case del paese si affacciarono non appena sbucarono dall’ultima curva. Il suono
delle campane colse di sorpresa Gastone, non aveva mai sentito un suono come
quello. Il suo compagno si accorse del suo sguardo e gli disse che erano le
campane del convento dei frati che, ogni giorno di mercato suonavano in quel
modo per richiamare alla Santa Messa il maggior numero di persone possibile, e
chi ci fosse andato avrebbe trovato anche un pasto caldo. Era una antica
comunità di frati, nessuno sapeva dire da quanto fossero in quella zona,
sembrava ci fossero sempre stati.
Il paese si
andava animando, il canto dei galli, le campane che suonavano ancora, le voci
concitate dei venditori che prendevano posto rendevano quel paese, almeno in
quel giorno, una giostra di colori e di allegria. I primi richiami dei venditori
cominciarono a farsi sentire, Gastone consegnò la corda che teneva le due capre
e salutò la famigliola.
Era il primo
paese dopo il bosco, di sicuro ce n’erano altri in posizioni diverse ma era
arrivato qui e da qui avrebbe iniziato la sua ricerca.
Passava
nella strada dove banchetti e carretti esponevano la più varia mercanzia. Si
avvicinò al carretto del pane e ne acquistò insieme ad un pezzo di formaggio.
Lo divorò in pochi bocconi e si diresse alla taverna per un boccale di birra.
Mentre si avvicinava al locale cambiò idea e prese il sentiero che portava al
convento. Non poteva sbagliarsi, il suono delle campane lo guidava verso una
dolce altura dove spiccava un campanile con la sua croce, un’idea gli frullava
in testa.
Non dovette
nemmeno bussare, il portone era spalancato e un vecchio frate gli fece strada
verso la cappella, la Santa Messa stava per iniziare.
Il luogo era
davvero bello, giardini, piccoli prati verdi, altro non fece in tempo a vedere
perché fu guidato all’interno della piccola chiesa. Le candele e due grandi
vetrate rischiaravano quell’ambiente che profumava di fiori. I suoi occhi,
lentamente si abituarono alla luce fioca. Si sedette su una panca mentre i
frati iniziavano a cantare. Non era un uomo che frequentava la chiesa ma colse
l’opportunità per pregare per le sue donne, si ricordò che non l’aveva ancora
fatto. Rimase seduto fino alla fine con lo sguardo puntato alla statua della
Madonna e al crocifisso. Il rito gli fluiva intorno senza che lui lo seguisse e
quasi non si accorse che era finito se non per il silenzio che, tutto ad un
tratto lo avvolse.
Era talmente
assorto che il frate non lo richiamò subito. Gli si sedette vicino e aspettò.
Gastone alzò
il viso verso il frate, era bagnato di lacrime, lacrime silenziose che non era
riuscito a trattenere. Doveva essere colpa di quel posto, lui nemmeno si era
accorto che stava piangendo.
Il frate gli
posò una mano sul ginocchio. “Vuoi parlarmene?” Ma non ottenne risposta. Allora
gli batté affettuosamente la mano sulla spalla. “Vieni, il desco è preparato e
tutti ci stanno aspettando per cominciare a mangiare, senza di te non si
inizia, non facciamoli attendere oltre. Vieni.”
I due uomini
uscirono dalla piccola chiesa e si diressero al refettorio. Un lungo tavolo
teneva occupata la stanza per tutta la lunghezza ma, solo pochi posti erano occupati.
Con gentilezza, il frate lo fece sedere e gli si mise al fianco. Tutti quelli
seduti avevano davanti una scodella fumante come la sua. Il frate seduto a capo
tavola benedisse il cibo e iniziarono a mangiare. Nessuno parlava, c’era
un’atmosfera di tranquillità che Gastone non aveva mai provato. Mangiò in
silenzio, come tutti gli altri commensali.
Una voce
dolcissima iniziò un canto di ringraziamento. Un giovane frate si era alzato da
tavola e, mentre sparecchiava cantava un canto in una lingua che Gastone non
conosceva.
Il frate che
lo aveva accolto lo fece alzare e lo accompagnò fuori.
“Vieni,
facciamo due passi. Ti mostro il nostro convento, poi potrai parlare con il
nostro Priore.”
Il silenzio
che si respirava in quel posto era simile a quello che lui conosceva quando
andava nel bosco. Al suo fianco il frate sorrideva tranquillo mentre lo
accompagnava nel loro grande orto, nel giardino, nel frutteto. C’era perfino un
piccolo stagno con alcune anatre che sguazzavano tranquille. Era piuttosto
grande e tutto ben tenuto.
Il frate
condusse Gastone all’interno e gli fece visitare la cucina, la dispensa, la
sala refettorio dove avevano mangiato, una piccola infermeria. Tutto era
ordine, silenzio, perfino i frati che incrociavano sembravano camminare a un palmo
da terra tanto erano silenziosi, e tutti lo salutavano con un cenno del capo e
un sorriso.
“Ora ti
accompagno dal Priore. E’ un uomo anziano, un frate che per noi è come un
padre, con lui puoi parlare di tutto, puoi stare sicuro che saprà ascoltarti e
confortarti.”
Arrivarono
davanti ad una porta di legno uguale a tutte le altre e il frate bussò. Senza
aspettare l’invito ad entrare, aprì la porta e fece cenno a Gastone di passare.
“Io non
entro. Lui ti aspetta, sa che sei qui, che oggi avevamo un ospite, ed è sempre
felice di incontrare qualcuno che non sia uno di noi. Va tranquillo, io sarò
qui quando uscirai.”
Con la sacca
in spalla varcò la soglia. La stanza era abbastanza grande, in un angolo c’era
il letto ma quello che saltava subito agli occhi era la scrivania piena di
libri e carte di varie dimensioni, le pareti erano formate da ripiani tutti
occupati da libri e arrivavano fino al soffitto. Aspettò che i suoi occhi si
adattassero alla penombra prima di muoversi. Da esperto cacciatore quale era notò
ogni cosa.
Seduto
dietro il grande tavolo stava il frate Priore. Gastone si avvicinò e quello gli
fece cenno di sedersi. Due sedie scomode erano davanti alla scrivania. L’ospite
posò la sacca ai piedi e, silenzioso osservò il vecchio frate.
Si guardavano
a vicenda. Gastone notò subito il sorriso come quello di tutti i frati che
vivevano lì, così come notò i pochi capelli bianchi e la grande magrezza di
quel viso incavato. Quello che lo sorprese di più furono gli occhi del frate,
erano azzurri e talmente chiari da sembrare un tutt’uno. Le sopracciglia erano
spettinate, lunghe e cespugliose. Era assorto ad osservare quell’uomo facendosi
un sacco di domande, quando sussultò al suono della sua voce.
“Hai
guardato bene ogni cosa?”
Gastone si
sentì arrossire, non si era accorto di essere stato così palesemente scortese.
Fece per scusarsi ma il Priore lo prevenne.
“Io sono il
frate Priore di questo convento, il mio nome nel mondo al di fuori di qui era
Santo ma quello che ho scelto per la mia vita dedicata al Signore è Romano, tu
chi sei che ti porti dietro un fardello così pesante?”
Istintivamente,
Gastone posò la mano sulla sacca, non era gran cosa per lui e stava per
dirglielo.
“Non quel
fardello, ma quello che porti nel cuore, quello che ti opprime.”
Come faceva
quel frate a sapere queste cose? Gastone non riusciva a capacitarsi, avrebbe
voluto fuggire, ma lo sguardo del Priore era come se lo tenesse inchiodato alla
sedia.
Rimasero
entrambi in silenzio, ognuno aspettava che fosse l’altro a parlare, ad iniziare
a dire qualcosa.
“Perché non
ti avvicini? Io fatico a camminare. Vieni, voglio osservarti meglio. Non temere
sono solo un vecchio curiosone che raramente vede uno straniero, qui non entra
quasi nessuno se non per prendere del cibo e scappare, come se fossimo
appestati.”
Il vecchio
lo fece inginocchiare e gli posò la mano sulla testa bisbigliando parole che
l’uomo non riuscì a capire. Alla fine gli fece il segno della croce sulla
fronte e sul cuore.
Tenendo la
mano sul cuore di Gastone, il priore gli parlò, bisbigliando come se qualcuno
fosse lì nascosto e potesse origliare.
“Troppo
dolore, troppa rabbia hai dentro al cuore. Vuoi raccontarmi cosa ti è
successo?”
Gastone
aveva un nodo che gli serrava la gola e non riusciva a parlare, fece solo un
cenno con la testa per dire di no. Il frate gli accarezzò il viso con una
dolcezza infinita.
“Hai bisogno
di riposo, di vero riposo, resta con noi per un po’, potrai aiutarci con
semplici lavori, avrai una stanzetta per te e, quando sarai pronto mi parlerai.
Non puoi andare nel mondo con quello che porti nel cuore, lascia che ti aiuti,
rimani con noi e raccogli le idee. Nessuno ti tratterrà un minuto in più di
quello che tu deciderai.”
Gastone
prese la mano del frate fra le sue e la baciò. “Solo pochi giorni, non posso
rimanere oltre.”
Il Priore
suonò un piccolo campanello che aveva sul tavolo e congedò Gastone.
Il frate che
lo aveva accompagnato era già lì ad attenderlo e, senza aggiungere una parola
lo accompagnò nella sua cella.
Rimase solo
ed assorto. Il piccolo letto era una semplice branda, l’arredo era formato da
un catino con la brocca di acqua, un piccolissimo tavolo con una sedia, un
orinale e un minuscolo armadio dove posò la sacca. Una finestra, piccola e
posta in alto faceva entrare un po’ di luce, avrebbe dovuto presto accendere la
candela perché il buio sarebbe arrivato in fretta.
Si sdraiò
sulla branda con l’intenzione di raccogliere le idee su tutto quello che gli
era successo, quello che aveva scoperto e sul Priore che doveva avere un dono
speciale per aver capito quello che lui teneva così ben nascosto. Chiuse gli
occhi per pensare meglio e si addormentò.
Un leggero
bussare lo fece sussultare. Per un nano secondo non ricordò dove si trovasse ma
si riebbe subito. Si alzò e aprì la porta. Il solito frate col solito sorriso
gli disse che la colazione era già in tavola.
romanzo di Milena Ziletti - diritti e proprietà a lei riservati
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