IL SEGRETO DELLA LUNA
parte sette
“Domani me
ne vado, non ho altro da fare qui. Avete la mia riconoscenza per quello che mi
avete dato in questi giorni ma devo riprendere la mia strada e, stavolta non
farò altre tappe per nessuna ragione.”
Il vecchio
frate sembrava perso in pensieri che solo lui conosceva.
“Ti voglio
raccontare una storia. La terra è l’unico sostentamento che la gente ha sempre
avuto. Siccità, inondazioni, epidemie hanno spesso rovinato i raccolti e, molte
famiglie pativano fame e freddo. La brava gente di Fede, davanti alle
disgrazie, spesso si allontana dalla
retta via e comincia a dare ascolto a falsi profeti. Un tempo molto lontano ce
ne sono stati alcuni che chiedevano sacrifici umani per scongiurare qualsiasi
calamità. Fu così che tutto ebbe inizio. Se la gente parlasse senza paura ti
racconterebbe di quante fanciulle, nel corso degli anni sono finite inchiodate
ad un albero ma, non troverai nessuno che lo farà, tu stesso non l’hai fatto,
ed è su questo silenzio che loro
fanno affidamento per continuare impuniti nei loro misfatti. Se li vuoi trovare
ti devi trasformare in un lupo, devi saper fiutare la direzione e riuscire a
far parlare qualcuno che sa.”
“Perché non
me lo dite voi? Voi sapete molto di più di quello che mi state dicendo!”
“Perché ho
fatto un giuramento e non posso romperlo, ma è ora che qualcuno metta fine a
questa storia, vai con la mia benedizione e … con questo.” Aprì un cassetto e
consegnò all’uomo un vecchio libro chiuso da un lucchetto.
“Non puoi
aprirlo in questo luogo ma, fuori di qui puoi fare quello che vuoi. Vai e cerca
la tua vendetta, e che il Signore mi perdoni, fa che sia anche la mia, se ci
riuscirai ripassa di qui e riportami quel diario, non fosse altro che lo
depositerai sulla mia tomba.”
Per la prima
volta il vecchio frate si alzò a fatica dalla sua sedia, girò intorno al tavolo
e pose le sue mani sulla testa di Gastone. Lo benedisse, lo baciò e lo lasciò
andare.
Gastone non
avrebbe passato in convento nemmeno un altro minuto. Andò nella sua piccola
cella, prese le sue cose e uscì nella notte rischiarata da una mezza luna e
miliardi di stelle.
Il portone
del convento si chiuse con un sordo rumore. Gastone alzò gli occhi al cielo e
respirò profondamente l’aria profumata della primavera. Posò a terra la sacca
ed estrasse il fucile da mettere in spalla. Trovò sul fondo un grosso fagotto
con due pagnotte, formaggio e frutta. Volse il viso al convento e ringraziò
quelle meravigliose persone che si erano prese cura di lui senza nulla
chiedere. Riprese il cammino rinnovando il suo giuramento di vendetta.
Capitolo quattro
Si inoltrò
nel fitto del bosco, ambiente che ben conosceva e trovò riparo contro una
roccia. Si sedette, e nel silenzio rotto solo dalle grida degli uccelli
notturni si appisolò aspettando l’alba.
Il sole del
nuovo giorno non era ancora sorto quando Gastone aprì gli occhi. Si sentiva
vivo, e per un attimo pensò di esser fuori per il suo lavoro col desiderio di
tornare a casa per colazione, ma durò poco, e subito la sua mente fu presa
dagli eventi vissuti.
La schiena
gli doleva per essere stata appoggiata alla roccia così a lungo, ma ancora non
si mosse. Estrasse dalla sacca il libro che il Priore gli aveva dato, usando il
suo coltello fece saltare il lucchetto e, dopo un attimo di esitazione lo aprì.
Si vedeva
che era molto vecchio, le pagine erano ingiallite e alcune con i margini che
sembravano rosicchiati. Lo teneva con cura, alzò la copertina ruvida e logorata
dal tempo e la prima cosa che vide fu il simbolo che ben conosceva che occupava
tutta la prima pagina. Il grande cerchio e le due mezze lune attaccate alla
base del cerchio formavano un tutt’uno, erano colorate ma sbiadite, si vedeva
bene che dovevano essere state color oro. Passò alla pagina successiva e c’era
lo stesso simbolo, questa volta era il puntale di un lungo bastone che dal
centro del cerchio reggeva il simbolo. Osservava cercando di capire, passò alle
pagine successive, qualcuno aveva disegnato molto, senza aggiungere nemmeno una
riga di commento. Riconobbe gli otto massi col simbolo al centro simile a
quello che aveva trovato anche lui, su un’altra pagina un immenso cielo
stellato ed una grande luna, poi varie pagine con disegni di alberi.
Continuando a sfogliare si bloccò su una pagina col viso di una ragazza,
un’altra pagina con il viso di un’altra ragazza. Alla fine ne contò 17,
diciassette pagine con i volti di ragazze. Si somigliavano un po’ tutte,
soprattutto erano giovani, ed erano morte, come la sua Lisa. Strinse i pugni ma
continuò a sfogliare. Una doppia pagina ritraeva un grande masso, anelli e
catene che servivano a tenere imprigionata una persona, la pagina successiva
ritraeva due ciotole che riportavano il solito simbolo e in una di queste
c’erano due occhi umani. Gastone chiuse i pugni mentre il suo cuore si lacerava
dal dolore, no! Non avrebbe dato ascolto al suo cuore, no, no, no. Le mani gli
tremavano mentre continuava a sfogliare, trovò disegni su ogni pagina: pugnali,
strumenti chirurgici, vasi di vetro, e molto altro. Era quasi arrivato alla
fine e aveva il cuore serrato dal dolore, un’altra doppia pagina ritraeva otto
persone incappucciate sedute intorno al grande masso, soltanto una aveva il
cappuccio diverso dalle altre e teneva in mano il lungo bastone col simbolo sul
puntale. Erano tutti rivolti verso il corpo nudo di una ragazza che giaceva
sulla lastra di pietra. Erano disegnati con dovizia di particolari ma gli occhi
pieni di lacrime di Gastone riuscivano solo a vedere gli assassini di sua
figlia. Era giunto all’ultima pagina, la girò con il petto squassato dai
singhiozzi e lesse le uniche parole scritte in tutto quel quaderno-diario “I CAVALIERI DELLA TERRA FECONDA.”
Teneva in
mano quel manoscritto chiedendosi chi lo avesse disegnato, di sicuro doveva
essere qualcuno molto dotato nell’arte del disegno, e soprattutto come era
finito nelle mani del Priore? Cosa aveva voluto dire di aver giurato e non
poter rompere il giuramento? Era coinvolto anche lui? Poi pensò alla morte
della sorella quando lui era ancora bambino e capì che la sua mente stava
formulando pensieri fuori di testa. Doveva calmarsi, doveva riprendere il
controllo. Si asciugò nervosamente gli occhi e rimise in fondo alla sacca quel
registro, perché tale doveva essere, un registro.
Raggiunse un piccolo corso d’acqua, si
rinfrescò e mangiò. Aveva molta strada da fare e soprattutto molte cose a cui
pensare, e doveva seguire il consiglio del Priore, trasformarsi in lupo e
trovare qualcuno che sapeva, molto più facile a dirsi che a farsi, ma era tutto
quello che lui voleva fare, e in un modo o nell’altro ci sarebbe riuscito.
La zona dove
lui era nato e cresciuto si trovava al nord dello stivale, al di là del grande
fiume che sembrava tagliare in due quella nazione dalla forma così strana. Era
tutto un susseguirsi di boschi, campi, vallate, corsi d’acqua e montagne che si
vedevano sullo sfondo e che avevano le cime ricoperte di neve. Non si era mai
allontanato molto da casa sua e, mentre camminava in silenzio, si rese conto
che non era molto diverso dalla zona da cui proveniva.
I campi
erano ancora addormentati ma presto sarebbero stati ricoperti da grano e
granturco, da erba tenera per foraggiare gli animali. Eh sì, la natura seguiva
il suo corso indifferente a tutto se non alle stagioni.
Era un uomo
sano e robusto, presto nei campi avrebbero avuto bisogno di lavoranti e lui
doveva solo decidere dove stabilirsi per iniziare la sua ricerca.
Camminava su
un sentiero sterrato in mezzo ad un bosco di alberi ancora spogli. Era ancora
presto e si sorprese di vedere un carro trainato da due cavalli fermo proprio
in mezzo al sentiero. Un vecchio imprecava tenendo un sigaro fra i denti. Una
ruota si era spezzata e lui non sapeva come fare, il peso da sollevare era
troppo faticoso per lui.
Gastone si
avvicinò. L’uomo era ben vestito ed aveva due occhi azzurri chiari come il
cielo.
“Posso
aiutarla?”
Il vecchio
alzò lo sguardo e sorrise, facendo sì con la testa.
Dovevano
scaricare il carro per poter sistemare la ruota ed iniziarono di gran lena. Sul
carro c’erano casse e barili ma Gastone non indagò su cosa contenessero. Si
arrotolò le maniche della camicia ed iniziò a scaricare. Poi, usando gli
attrezzi del vecchio, sistemò la ruota e ricaricò il carro. Ci erano volute due
ore per portare a termine il lavoro.
“Come posso
sdebitarmi? Hai fatto un ottimo lavoro!”
“Sto
cercando lavoro, se conosce qualcuno che mi può assumere è tutto quello che le
chiedo.”
Il vecchio
lo osservava attentamente, come si osserva un animale al mercato, lo valutava,
cercando di decidersi.
“Ho perso
mio figlio da poco, se ti interessa c’è un posto libero nella mia fattoria. Non
posso pagarti molto ma vitto e alloggio sono compresi e mia moglie è una brava
cuoca. Il lavoro non manca. Sei uno straniero e questo mi rende diffidente, ma
ho visto che sai lavorare e mi hai fatto un grande favore. Perché non sali con
me a cassetta e mi accompagni? Potremo parlare un po’! Io mi chiamo Ermete, e
tu?”
“Io mi
chiamo Gastone, e accetto la tua offerta.”
Così dicendo
salì al fianco del vecchio, se da qualche parte doveva cominciare avrebbe
seguito quello che il destino gli aveva offerto proprio in quella giornata. I
cavalli ripreso a tirare il carro e il fumo del sigaro si disperse nell’aria
fresca del mattino.
romanzo di Milena Ziletti - diritti e proprietà a lei riservati
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