sabato 29 febbraio 2020

KATRIN, LA SUA STORIA


KATRIN, LA SUA STORIA

parte centodieci






Il silenzio avvolgeva la stanza. La candela si consumava lentamente e Katrin teneva gli occhi bassi, conscia di aver fatto a Jacob una richiesta impossibile.
La mano dell’uomo, con gentilezza si posò su quella della donna. Credo di poterlo fare. Disse sottovoce.
Katrin alzò lo sguardo sul viso dell’uomo che più di tutti le era stato vicino, anche se per soli due anni. Non riusciva a chiedergli come fosse possibile.
Si fida di me, lady Katrin? Le chiese ben sapendo la risposta. Aspetti solo qualche minuto, poi dovremo agire in fretta. Aggiunse alzandosi e scomparendo dietro una porta.
Passarono solo pochi minuti e Jacob ritornò con un pesante mantello col cappuccio e glielo fece indossare. Mi segua, lady Katrin, inutile che le dica come si deve comportare, lo sa meglio di me, ma dobbiamo fare attenzione che i soldati non ci sentano. Uscirono e si fermarono qualche secondo per adattare gli occhi al buio.
La donna lo seguiva prestando la massima attenzione a tutti i rumori. Camminarono su un piccolo sentiero e, dopo quasi un’ora si fermarono. Davanti a loro un campo con vari carri e un uomo che cercava di accendere un fuoco sotto un grande pentolone.
Era una carovana di lavoratori itineranti, gente che si presentava nel periodo di maggior lavoro a prestare la loro opera. Uomini e donne che tutti rispettavano, ben sapendo quanto fossero onesti e gran lavoratori. E come ora, alla fine di agosto tornavano da dove erano venuti.
Jacob prese la mano di Katrin e si avvicinò all’uomo. Salve Marcus. Salutò l’uomo che era il capo di quella carovana. Folti baffi e un cappello floscio era quello che si riusciva a distinguere nel buio che molto presto sarebbe sparito per lasciare posto all’alba.
Salve, sir Jacob, è venuto a salutarci? Dopo colazione lasceremo la sua proprietà e spero possiamo rivederci alla prossima stagione. Rispose educatamente.
Jacob stringeva forte la mano di Katrin. Ho un favore da chiederti, amico mio. Vorrei affidarti questa signora, vorrei la portassi con te, ha bisogno di sparire per un po’! lo puoi fare? Gli chiese fiducioso.
E’ una fuorilegge? E’ ricercata per qualche delitto? Lei sa bene che noi non tolleriamo i delinquenti. Rispose senza mai guardare la donna.
Garantisco io per lei, deve solo fuggire da una situazione che la sta facendo soffrire, ha bisogno di tempo per riordinare le idee e non vuole essere trovata. Chiarì.
E’ quella che i soldati stanno cercando? E Jacob annuì, non avrebbe mai mentito a Marcus.
Lei è… Jacob si interruppe, non avrebbe voluto rivelare la vera identità.
Mi chiamo Kate, solo Kate. Sussurrò Katrin.
Nel frattempo Marion, la moglie di Marcus li aveva raggiunti. Il marito la mise velocemente al corrente.
Questa borsa di monete è per il tuo disturbo, per il resto la signora non ha altro che quello che indossa e il suo fagotto, ma ti garantisco la sua onestà. Disse loro Jacob battendosi la mano sul cuore.
Marcus accettò la borsa e Marion prese per mano Katrin. Vieni con me, bambina, lascia a loro i dettagli, rimarrai sul nostro carro e mi farai compagnia. E sparirono.
Nessuno deve sapere né deve vederla, è indispensabile che non ci siano testimoni, e nemmeno io voglio sapere dove andrete. Ti sono grato per quello che stai facendo, ha già sofferto troppo nella sua vita, ha bisogno di ritrovare un po’ di pace. Aggiunse Jacob dandogli la mano.
Ha la mia parola, sir Jacob. E tornò a preparare la colazione mentre l’altro si allontanava.
Marcus raggiunse le due donne sul carro e le mise al corrente di come avrebbero proceduto. Kate doveva rimanere sempre sul carro, tranne per brevi soste, a tempo debito avrebbe informato anche gli altri, ma per il momento nessuno sapeva.
Erano quindici carri che si mossero quando l’alba diede il via al viaggio. Quattro carri erano carichi di derrate alimentari, farina, granaglia, e negli altri alloggiavano scomodamente parecchi uomini e alcune donne.
Marcus guidava la carovana davanti a tutti e sentiva la voce di sua moglie che parlava con Kate. Lui sapeva bene chi fosse quella donna, gli era bastato uno sguardo a quel viso triste e magro per capire che aveva bisogno di aiuto.
Marion stava spiegando a Katrin. Noi siamo lavoratori itineranti, partiamo dal nostro villaggio ad aprile e ci torniamo a settembre. Siamo una bella comunità, e abitiamo in un posto molto nascosto. Per arrivare dobbiamo superare il passo della grande montagna che fra poco sarà inagibile fino ad aprile, siamo praticamente isolati e siamo davvero felici, perché al nostro ritorno ritroviamo le nostre famiglie, le nostre abitudini e trascorriamo i mesi che ci separano dal viaggio successivo con semplicità e affiatamento. Imparerai, bambina, imparerai e apprezzerai. Ti affideremo alle cure di Marta, una vecchia bisbetica che vive da sola da quando ha perso la figlia e sono sicura che, anche se all’inizio non lo dimostrerà, sarà ben felice di avere qualcuno con lei. Che ne dici, Marcus? Marta non dovrà passare da sola l’inverno. Chiese al marito che fece solo un cenno con la testa.
Katrin non si separava mai dal suo fagotto e Marion le chiese gentilmente cosa contenesse.
Katrin tolse i lacci e mostrò a Marion la spada, l’arco e le frecce, e il pugnale che teneva sempre alla vita. Questo è tutto ciò che è mio. Le rispose.
E sai usare quelle armi? Le chiese spalanco gli occhi, proprio non se l’aspettava.
Altroché, signora se le so usare. Le rispose con un sorriso.
Chiamami Marion, bambina. Le disse mentre la ricopriva con delle coperte visto che il marito aveva fatto cenno che sulla strada c’erano dei visitatori.


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venerdì 28 febbraio 2020

KATRIN, LA SUA STORIA



KATRIN, LA SUA STORIA

parte centonove





Si sentiva piuttosto al sicuro sopra la torre, anche se non stava molto comoda, doveva stare sdraiata e le ossa cominciavano a farle male. Osservava ogni cosa e la sorprese che i tre soldati non si allontanassero mai troppo dalla casa padronale, sembrava proprio che la stessero aspettando.
Il cibo le sarebbe bastato per un paio di giorni mentre studiava come arrivare in casa di Jacob.
Un altro giorno tramontò e lei non vedeva l’ora di poter scendere dalla torre e sgranchirsi le gambe. La notte era buia, senza luna ma lei aveva visto i tre soldati che si erano accampati sotto il portico, proprio davanti all’entrata principale.
Lei era assolutamente decisa a non farsi vedere da nessuno, nessuno doveva poter avvisare Robin o lord Sheppard, e questo doveva saperlo anche Jacob.
Era di nuovo sulla torre e il sole era già sorto, la vita riprendeva e i soldati avevano abbandonato la loro postazione e, a cavallo cominciavano di nuovo a perlustrare i dintorni.
Verso mezzogiorno Katrin vide una fila di donne con varie ceste colme di erbe che presumeva fossero medicinali o aromatiche. Raggiunsero il portico che circondava la casa e cominciarono a stenderle ovunque, lasciando solo un piccolo spazio per aprire la porta di casa.
Sorrise, in quel modo i soldati non potevano passare lì la notte ma dovevano andare vicino al fienile o dietro la casa. Capì che quella notte Jacob l’aspettava.
Si sentiva agitata per l’aspettativa e sembrava che quel giorno non finisse mai.
Era la notte che precedeva il trenta agosto, aspettò fino a quando tutti i rumori si furono placati e ridiscese dalla torre. Strisciò come un serpente nell’erba fresca che la separava da casa e, a pochi metri vide che la porta era socchiusa e una flebile luce usciva come una soave voce che la chiamasse.
Le erbe erano profumate e lei sgaiattolò fino all’entrata. Aprì cautamente la porta che non fece il minimo rumore e vide la candela sul tavolo, mentre un’ombra chiudeva velocemente la porta.
Benvenuta, lady Katrin. Sussurrò la voce di Jacob aiutandola ad alzarsi.
La ragazza aveva il fiatone, si tolse dalle spalle il suo fagotto e lo appoggiò al muro. Ho accettato il suo invito, sir Jacob. Gli rispose sottovoce.
L’uomo la fece avvicinare alla candela e vide quello che era ora la bellissima Katrin, sarebbe stato difficile per tutti riconoscere in lei la splendida lady.
Venga Lady Katrin, le ho preparato una vasca e dell’acqua per lavarsi, dei vestiti e biancheria pulita. L’accompagnò nel piccolo bagno e la lasciò. Intanto le preparo qualcosa da mangiare, faccia con calma, la notte è ancora lunga. Le bisbigliò.
Katrin non vedeva l’ora di togliersi di dosso gli abiti lacerati e sporchi e di potersi finalmente lavare. Non perse tempo e si immerse nella piccola vasca di acqua ormai fredda. Cercò di lavarsi i lunghi capelli ma erano un groviglio inestricabile, prese le forbici e con un taglio netto li tagliò fino alla sommità della nuca.
Si rivestì con biancheria pulita e c’erano perfino un paio di scarponi che calzò con estremo piacere.
Si sentiva rinata quando raggiunse Jacob in cucina. Sul tavolo fette di pane, di prosciutto, di formaggio, patate, birra, vino e acqua.
Niente le era sembrato più bello dopo il bagno. Iniziò a mangiare di gusto sotto gli occhi attenti di Jacob che non diceva niente.
Quando la fame fu placata versò un boccale di birra anche per Jacob.
Era venuto il momento di parlare.
Dove sono sua moglie e sua madre, sir Jacob? Gli chiese.
Sono nelle loro stanze, sanno di non muoversi di lì. Non si deve preoccupare di loro. Le rispose.
Katrin, finalmente pulita e sazia posò le mani rovinate sul tavolo e alzò il suo sguardo in faccia all’uomo. Lei sapeva, sir Jacob? Gli chiese soltanto.
Non dall’inizio, lady Katrin. Quando sono stato scelto per accompagnarla ero all’oscuro delle motivazioni. Poi cominciai a ricevere missive da amici che lavoravano al castello che mi riferivano quello che succedeva. Ho messo insieme le varie notizie e poi ho capito. Erano passati alcuni mesi dalla nostra partenza quando mi sono fatto un quadro chiaro della situazione. Le disse sinceramente.
E’ per questo che non è venuto al nostro matrimonio? Volle sapere.
In parte sì, non sarei stato in grado di guardarla in viso, assistere alla sua felicità sapendo quello che era stato tramato ai suoi danni. E l’altra parte è che avevo paura che il lord scoprisse quello che sapevo e potesse vendicare la sua collera su di me. Non sono tranquillo, lady Katrin, i soldati che ha sicuramente visto vengono sostituiti ogni tre giorni e non smettono mai di interrogare e investigare. Le rispose.
L’ho messa in pericolo, vero sir Jacob? Le disse tristemente.
Sono stato io ad invitarla ed ero sicuro che sarebbe venuta da me. La conosco, lady Katrin, mi dica come ci è riuscita? Era curioso di sapere.
Non è stato facile, sir Jacob. Gli disse mostrandogli le mani sanguinanti. Nessuno mi ha vista, ho camminato di notte tenendomi nascosta di giorno, non so nemmeno quanti giorni sono passati esattamente dalla mia fuga. Ma sono qui. Aggiunse speranzosa.
Rimasero alcuni minuti ad osservarsi, l’uomo avrebbe voluto abbracciarla, lo voleva da tanto tempo ma sapeva che non lo poteva fare, provava un sincero affetto per quella ragazza forte e coraggiosa.
Sono venuta da lei, sir Jacob perché è stato l’unico che risolveva i miei problemi, le mie richieste e, ho la speranza, una infondata speranza che lo possa fare anche stavolta. Gli confessò.
Cosa vuole, lady Katrin?
Scomparire.

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giovedì 27 febbraio 2020

KATRIN, LA SUA STORIA


KATRIN, LA SUA STORIA

parte centootto






Era il venticinque agosto, dieci giorni erano passati dalla fuga di Katrin.
Robin non si dava pace e aveva dato ordini precisi: la ricerca sarebbe continuata ad oltranza, e drappelli di soldati si sarebbero dati il cambio alla tenuta di Alfred e di Jacob, era sicuro che sarebbe andata da loro; altri soldati avrebbero setacciato tutte le strade note e meno note di tutta la zona.
Aveva bisogno di riposo ma lord Sheppard lo aspettava nel suo studio, si tolse la polvere della lunga cavalcata e bevve un boccale di birra, non aveva tempo per mangiare, si cambiò gli abiti e si recò dal lord.
Il vecchio lord era seduto dietro la sua scrivania e fece cenno a Robin di sedersi. Lo osservò per alcuni istanti. Ancora niente, vero? Chiese ben sapendo la risposta.
Non ho trovato nemmeno il più piccolo indizio. Ho dato ulteriori ordini ai soldati, il tempo non sarà clemente ancora a lungo e se mia moglie è là fuori può succederle di tutto. Gli rispose con la morte nel cuore.
Lord Sheppard rimase in silenzio per pochi attimi, assorto ad osservarlo. Fra meno di una settimana i delegati della Cerchia Ristretta saranno qui, è assolutamente indispensabile che Katrin sia qui. Disse rabbioso battendo il bastone sulla scrivania. E’ meglio che ti dia da fare e che vada tu stesso a cercarla, sei l’unico che ci può riuscire. Aggiunse con tono aspro.
So bene quello che devo fare. Ora ho bisogno di riposarmi e domani mattina partirò di nuovo, rivoglio mia moglie, lord Sheppard, mi interessa solo questo. Gli rispose seccato prima di alzarsi e di uscire.
Raggiunse la sua stanza e si sdraiò addormentandosi di colpo, era talmente stanco che non avrebbe potuto fare nemmeno un altro passo senza crollare.
La notte era sopraggiunta scura e piena di rumori. Katrin si era già incamminata, era stanca e affamata ma determinata a non mollare, era sicura che la direzione era quella giusta e che mancava poco alla sua meta.
Mentre camminava aveva tutti i sensi all’erta anche se sapeva che nessuno passava di notte da quelle parti, o almeno era quello che sperava. Ansimava e si fermò appoggiandosi al tronco di un vecchio albero. Si dissetò cercando di riprendere fiato, aveva i piedi quasi nudi, le sue scarpe si erano consumate e cominciava ad avere piccole ferite. Prese la grande sciarpa e col pugnale la tagliò a metà, l’avvolse a coprire i piedi e la legò ben stretta. Sospirò e riprese il suo viaggio.
L’alba stava sorgendo e gli uccelli erano già usciti dal nido. Era spettinata, sporca, e molto, molto stanca. Cercò con lo sguardo un riparo e salì veloce su un albero dalle fronde spesse.
Prese posto il più comodamente possibile e gli occhi le si chiusero ma li riaprì di colpo, da quell’altezza vedeva nettamente la torre di legno della proprietà di Jacob. Il suo cuore ballò nel petto, era arrivata a destinazione. Ce l’aveva fatta, e si addormentò finalmente contenta.
Si svegliò che il buio non era ancora sceso. Rimase immobile ad osservare fin dove poteva arrivare il suo sguardo e si rese conto di essere molto vicina alla casa padronale. Un ampio terreno coltivato ad erba separava il boschetto dalla proprietà. Più vicina era invece la torre di legno.
Quello che non si aspettava era di vedere tre soldati che perlustravano la zona, sarebbe stato molto difficile raggiungere la casa di Jacob senza essere vista, doveva trovare una strategia, il tempo non le mancava ma il cibo sì.
Mentre l’ultimo barlume del tramonto mandava la sua dolce carezza prese il suo arco e una freccia. Aveva le braccia stanche e le mani le tremavano ma la sua mente era concentrata. Incoccò la freccia e prese la mira, la freccia si conficcò proprio dove lei voleva, e sorrise soddisfatta, Jacob avrebbe capito.
Il buio scese e lei non riusciva a stare ferma. Con le mani ferite e i piedi doloranti ridiscese dall’albero e, con molta circospezione si avvicinò alla torre. Era solida e aveva sopportato le intemperie di tanti anni. Alzò lo sguardo ma non riuscì a vederne la sommità, decise di arrampicarsi, da quell’altezza avrebbe avuto tutto sotto controllo e non poteva essere vista, almeno era quello che lei sperava.
Nel frattempo, uno dei lavoranti della tenuta aveva estratto la freccia e aveva bussato alla porta del suo padrone. Gliela consegnò dicendo dove l’aveva trovata e se c’erano dei pericoli in giro. Jacob lo rassicurò e gli impose di non parlarne a nessuno.
Uscì sotto il portico con la freccia in mano e lasciò che il suo sguardo spaziasse intorno ma il buio non lasciava molto spazio. Dov’è, lady Katrin? Come posso aiutarla? Pensò quasi sperando che le giungessero i suoi pensieri. Poi un movimento attrasse la sua attenzione e vide un’ombra che, svelta e silenziosa come un gatto saliva in cima alla torre. L’aveva trovata, e lei aveva trovato lui, aveva sempre saputo che sarebbe arrivata lì. Rientrò in casa e nascose la freccia. La notte passò come le altre.
Jacob uscì di casa che il sole non era ancora sorto. Raggiunse la torre e lasciò una sacca con del cibo, rientrò che nessuno si era accorto di niente.
Katrin lo aveva visto e fu felice di sapere che lui l’aveva trovata. Era stanca ma doveva scendere veloce dalla torre e prendere il cibo prima che il sole sorgesse. Le sue mani e i suoi piedi sanguinavano ma fu veloce e si ritirò sulla cima della torre, era un posto piuttosto comodo rispetto ai rami degli alberi.
Mangiò e bevve cercando di riposare. Ben nascosta osservava la vita che riprendeva come ogni giorno alla tenuta di Jacob. Sapeva che l’aspettava e lei lo avrebbe raggiunto.


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mercoledì 26 febbraio 2020

KATRIN, LA SUA STORIA


KATRIN, LA SUA STORIA

parte centosette






Il viso della donna sbiancò. Ci mise qualche secondo a ritrovare la voce. Buongiorno, sir Robin? E’ successo qualcosa al castello? Gli chiese con l’ansia che le chiudeva lo stomaco.
Posso entrare, miss Colette? Ed entrò senza aspettare risposta.
Mary, la sorella di Colette osservava senza capire.
Robin fu invitato a sedersi nel piccolo cucinino e gli offrirono del tè. Erano entrambe in ansia, Colette non aveva detto nemmeno una parola a sua sorella.
Sa perché sono qui, miss Colette? Esordì Robin.
La donna scosse la testa.
Lady Katrin è sparita, e mi chiedevo se lei ne fosse al corrente. Continuò.
Colette aveva ripreso il controllo. Se n’è andata davvero? Lo diceva ogni giorno che non sarebbe rimasta al castello, ma ho sempre creduto che fosse solo un modo per scaricare la rabbia. Aggiunse senza timore.
La stiamo cercando da giorni, e sono venuto fin qui per chiederle se lei ne sa qualcosa, se ha qualche indizio che mi può aiutare a ritrovarla. Le disse con speranza.
Non ne so niente, sir Robin. Io ero solo una cameriera non un’amica, anche se le ero davvero affezionata. So solo che negli ultimi giorni non parlava più nemmeno con me, passavamo ore sedute nella sua stanza senza dire nemmeno una parola, vedevo tanto dolore sul suo volto e una tristezza infinita, era cambiata, e lei conosce bene il motivo. Rivoltò il coltello nella piaga con immenso piacere.
Robin la osservava attentamente per capire se diceva il vero o il falso, decise di essere più accondiscendente, mentre avrebbe voluto prenderla per il collo e farle sputare tutto quello che sapeva.
Lady Katrin è mia moglie, e vorrei tanto che ritornasse a casa, lei deve sapere che l’amo davvero. Quasi bisbigliò.
Colette lo osservava ma non riusciva a provare pietà per l’uomo che aveva distrutto la sua padrona. Mi dispiace, sir Robin, ha fatto un viaggio per niente. E si alzò accompagnandolo alla porta.
L’uomo ebbe un attimo di rabbia e la prese per un braccio. Lei mi deve aiutare, deve sapere! Aveva gli occhi che sprizzavano scintille, era esasperato, stanco.
Se ne vada da casa mia. Gli disse Mary. Qui non è il benvenuto. Esca immediatamente!
Robin le osservò entrambe e capì che da loro non avrebbe ottenuto niente, lo sapeva fin dal principio. Non salutò nemmeno quando si chiuse la porta alle spalle.
Insieme ai suoi uomini raggiunsero la stalla e tornarono velocemente al castello.
Katrin era in viaggio da nove giorni e da due aveva finito il cibo. Era stanca, sporca, affamata ma sempre più determinata nel suo intento. Presto avrebbe lasciato la sua postazione per riprendere il viaggio, l’oscurità stava calando e cominciava a rinfrescare, per fortuna non aveva mai piovuto o avrebbe rischiato di prendersi un malanno.
Un solo spicchio di luna non riusciva a rischiarare il sentiero e lei faticava ad orientarsi. Sentì alcuni rumori e si nascose in un angolo buio, in ascolto. Non si era accorta di essersi avvicinata ad un piccolo agglomerato di casupole. Era vicino ad una misera capanna circondata da un orto e con un recinto per animali, era quello il rumore che aveva sentito.
Cercò di appiattirsi contro i tronchi degli alberi. Il cancelletto sgangherato dell’orto era aperto e lei vi entrò con estrema circospezione.
A tastoni cercò qualcosa che potesse mangiare e, aiutandosi col pugnale e a mani nude riuscì a prendere due rape e qualche carota. Le infilò nella sacca ormai vuota e se ne tornò nel folto degli alberi.
Non si fermò ma continuò il suo viaggio, aveva la speranza di essere vicina alla meta, prima o poi avrebbe avvistato la torre di legno costruita dal bisnonno di Jacob per indicare la sua proprietà.
Sentì il rumore dell’acqua e un piccolo ruscello dalla riva sassosa fece al caso suo. Lavò sommariamente la verdura e riempì di acqua la borraccia. Si risciacquò il viso, le mani, dio quanto desiderava un bagno profumato! Gli uccelli si stavano risvegliando e per lei era giunto il momento di cercare un posto per ripararsi e aspettare di nuovo il buio.
Contò sulle dita delle mani per sapere da quanti giorni era scappata, nove o dieci, ormai aveva perso il conto e non riusciva ad immaginare cosa fosse successo al castello in quel periodo. Un sorriso soddisfatto l’accompagnò mentre si arrampicava su un grosso albero. I rami cominciavano a perdere prematuramente le foglie, si preannunciava un autunno e un inverno rigidi e lei aveva bisogno di trovare un riparo, ma dove nessuno potesse trovarla.
Prese dalla sacca il suo misero cibo e sgranocchiò lentamente le carote. Mai niente le era sembrato così dolce e buono. Si accomodò il meglio possibile, gli occhi le si chiusero senza che nemmeno se ne accorgesse.



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martedì 25 febbraio 2020

KATRIN, LA SUA STORIA



KATRIN, LA SUA STORIA.

parte centosei





Robin uscì e mandò i suoi soldati a ispezionare i dintorni.
Sara uscì col suo bimbo in braccio e il soldato li osservò senza avere il coraggio di parlare. Rimase più di tre ore ad aspettare il ritorno dei suoi uomini senza che Alfred gli offrisse nemmeno da bere.
Era quasi mezzogiorno quando se ne andò senza voltarsi indietro.
Aveva il cuore a pezzi, era disperato, sapeva bene che Alfred aveva ragione, ma non era a conoscenza di tutto e lui non poteva svelare niente. Dove sei Katrin? Sospirò con la morte nel cuore.
Katrin continuava il suo viaggio, ancora non sapeva quanto mancava alla fattoria di Jacob, ma non se ne preoccupava, ci sarebbe arrivata, prima o poi. E poi? Non doveva pensare a dopo ma doveva stare all’erta ora, durante il viaggio.
Il giorno splendeva mentre lei era appollaiata su un albero, aveva imparato a trovare quello che poteva servirle. Si era seduta da poco in mezzo al fogliame quando sentì il rumore di zoccoli. Era strano che dei cavalieri passassero nel folto della boscaglia. Cercò di mimetizzarsi il più possibile e di trattenere perfino il fiato.
Due soldati passarono proprio di lì e si fermarono vicino alla sua postazione. La stavano cercando, avevano la divisa di suo nonno e chissà quanti ce n’erano in giro per tutto il territorio.
Perlustrarono meticolosamente ma lei era stata brava a non lasciare tracce, e alla fine se ne andarono.
Era in fuga da tre giorni e il cibo stava scarseggiando. Tolse un po’ di acqua e di pane ormai secco e cercò di placare lo stomaco che si lamentava da ore, aspettando che calasse l’oscurità.
Robin e i soldati avevano cavalcato per tutta la notte ed erano tornati al castello stanchi, affamati e impolverati.
Lord Sheppard andò nell’alloggio del capitano per avere notizie. Il soldato si stava togliendo la polvere e sperava anche la stanchezza mentre sul tavolo un piatto di cibo si stava raffreddando.
Non serviva che il vecchio lord glielo chiedesse, l’espressione di Robin esprimeva la sua delusione.
Cosa farai, ora? Gli chiese lord Sheppard.
Non ho elementi, non so dove possa essere andata, devo trovare Colette e chiederle se ne sa qualcosa, ma ho paura che sarà un viaggio a vuoto. Gli rispose.
Fra tre settimane gli inviati del Cerchio Ristretto arriveranno qui e vorranno sapere come stanno le cose. Sai bene quanto me come sia importante che Katrin sia qui, a costo di incatenarla e trascinarla. Disse furente il lord.
Il problema non è trascinarla a casa, il vero problema e riuscire a trovarla e, se la conosco bene aveva già un piano quando se n’è andata, le ho insegnato proprio io le tecniche giuste. Rispose Robin.
Se è vero quello che dici puoi anticipare le sue mosse e trovarla. Sostenne il lord.
Proprio per lo stesso motivo, so bene che non ci riuscirò, ma questo non mi farà desistere. Gli rispose mentre si sedeva a tavola e mangiava il cibo freddo e insipido.
Se ne è andata senza portare niente di valore con sé, nemmeno una moneta, niente, come può fare a sopravvivere? Ribadì sempre più incollerito il lord.
Robin sorrise e non rispose, lui sapeva bene che poteva farcela, aveva una motivazione forte che la spronava, un addestramento militare e di sopravvivenza, ed una resistenza che nessuno, tranne lui conosceva.
La notte calò con dolcezza sul folto del boschetto e Katrin discese dall’albero agile come uno scoiattolo e riprese il suo viaggio.
Sembrava un gatto selvatico che aggredisce il buio in cerca di ratti, era silenziosa e guardinga ma sempre ben all’erta e aveva imparato a riconoscere i rumori e degli animali notturni. Non si fermò nemmeno una volta e all’alba cercò un albero che facesse al caso suo, vi salì e cercò di riposare, la stanchezza si faceva sentire ma la determinazione era ancora più forte del disagio.
Era il venti di agosto, cinque giorni dalla fuga di Katrin e al castello ora ne erano tutti a conoscenza.
Robin e due soldati erano pronti a partire alla volta della città dove si trovava Colette. Il suo sguardo non prometteva niente di buono, l’unica speranza era che Katrin si fosse lasciata sfuggire inconsapevolmente qualche dettaglio, ci avrebbe pensato lui interrogare la cameriera.
Cavalcarono due giorni con soste brevissime prima di arrivare nella piccola città. Era mattina e c’era il mercato, i tre viaggiatori lasciarono i cavalli alla stalla e si mescolarono alla folla mentre gli strilloni decantavano la loro merce.
Alla locanda pranzarono e si informarono sull’abitazione della sorella di Colette, ci arrivarono che era primo pomeriggio.
La casa era piccola e circondata da un piccolo giardino ben curato, sul retro si intravedeva un orto e un ricovero per piccoli animali
Dalle finestre aperte sentirono distintamente delle risate, le due sorelle si stavano divertendo col gatto che giocava per casa.
Si bloccarono quando sentirono bussare, e tanta fu la sorpresa di Colette quando riconobbe Robin.

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lunedì 24 febbraio 2020

KATRIN, LA SUA STORIA


KATRIN, LA SUA STORIA

parte centocinque






I primi cinguettii degli uccelli l’avvisarono che l’alba era spuntata. Doveva porre la massima attenzione. Cercava di orientarsi ma era sicura della direzione che aveva preso, il sole non mentiva sulla sua posizione.
Una strada sterrata le segnalò che era vicina a qualche villaggio. Si inoltrò nel folto del bosco e cercò un riparo. Aveva davanti una lunga giornata da passare stando nascosta. Avrebbe voluto continuare il suo cammino ma sentì il rumore di ruote e di carri e la fecero desistere. Non vedeva nascondigli e doveva assolutamente togliersi da lì. Un grosso albero fece al caso suo, vi salì e trovò una posizione il più comoda possibile per rimanerci fino al tramonto. Non sarebbe stato facile, ma niente della sua vita, dopo la fuga sarebbe stato facile, lo sapeva bene.
Le ore sembravano non passare, era trascorso più di un giorno dalla sua fuga, chissà se lo avevano scoperto, se era fortunata non era ancora successo. Per tutto il giorno era stata in ascolto dei carri e dei cavalli che transitavano sulla vicina strada, le sue gambe erano rigide ma aveva trovato una biforcazione fra due rami e si era potuta sedere. Aveva consumato poca acqua e poco cibo cercando anche di appisolarsi e riposare in attesa del buio e riprendere il cammino.
Il sole era tramontato e lei ridiscese dall’albero, cecò di liberare le gambe dalla rigidità accumulata, si avvolse mantello e sciarpa e riprese il cammino. Camminò per tutta la notte, con brevi soste e l’alba stava già spuntando sul secondo giorno della sua libertà.
Trovò un albero che potesse sostenerla e vi salì appena in tempo prima che un contadino passasse proprio da lì. Sospirò e cercò di riposare.
Nel frattempo al castello il nervosismo stava aumentando. Nonostante Colette fosse via da due giorni, Katrin non era ancora uscita dalla sua stanza.
Lord Sheppard e Robin, accompagnati da un soldato armato di mazza erano davanti alla sua porta.
Vieni subito fuori o farò abbattere la porta! Urlò il vecchio lord. Ma nessuno rispose. Con un cenno del capo diede l’ordine di abbattere la porta ma questa si aprì al tocco di Robin.
Con un terribile presentimento Robin entrò e chiamò a gran voce il nome di sua moglie, ma gli rispose solo il silenzio. Cercò in ogni anfratto ma già sapeva che lei non c’era, che, come aveva promesso se n’era andata e loro non se ne erano accorti.
Lord Sheppard era cadaverico dalla collera, mentre Robin era disperato.
Trovala e riportala subito qui! Gli ordinò battendo con forza il bastone sul pavimento, ma Robin era già corso via.
Radunò i soldati e cominciò ad impartire ordini. Vari drappelli furono inviati in tutte le direzione a interrogare tutti nei villaggi limitrofi, mentre con sé prese due soldati e praticamente volò alla fattoria di Alfred, anche se non aveva la minima speranza che fosse là, ma doveva pur cominciare da qualche parte.
Viaggiarono per tutto il giorno facendo solo una breve sosta e arrivarono alla fattoria che la mattina era spuntata da poco.
Alfred li sentì arrivare e aspettò di vedere chi fosse che arrivava così presto e così di fretta.
Riconobbe Robin e aspettò che smontasse da cavallo, e li invitò ad entrare per dissetarsi e mangiare qualcosa, era evidente che cavalcavano da molte ore.
In disparte Alfred e Robin stavano discutendo.
Cosa succede, capitano? Gli chiese.
Robin sapeva che di lui poteva fidarsi. Katrin se n’è andata, è sparita e ho sperato, che fosse venuta da voi, per quanto ne so siete i suoi unici amici.
Alfred lo osservava e capiva che stava soffrendo. Qui non c’è, capitano, se vuoi controlla in ogni posto, sai bene che se non vuole essere ritrovata qui non poteva venire, e me ne dispiace, Sara ed io vogliamo bene a Katrin. Mi puoi dire cosa l’ha spinta alla fuga? Mi sembrava felice quando vi siete sposati. Gli chiese ancora.
Robin rimaneva in silenzio.
Ha a che fare con le tue assenze passate? Con il tuo stare troppo con lord Sheppard? Non sono a conoscenza dei dettagli ma conosco quello che stavi facendo, per questo me ne sono andato, non potevo più fidarmi del mio capitano. Gli disse senza tentennamenti.
Quello che non sai è che io l’ho fatto solo per lei, era l’unico modo per averla, io l’amavo da tempo ma non avevo nessuna possibilità, un semplice soldato, anche se capitano non sarebbe mai potuto diventare il marito di lady Katrin nipote di Lord Sheppard! Lei ha scoperto il mio ruolo nel peggior modo possibile, quando ancora non avevo potuto dirle la verità e, da quel momento non ha più voluto saperne né di suo nonno né di me. Devo ritrovarla, non perché me lo ordina lord Sheppard ma perché non posso vivere senza di lei. Gli confessò.
Tu non hai mai voluto capire, caro capitano che a lei non sono mai interessati denaro e potere, quante volte l’hai sentita dire questo? Ha sempre desiderato soltanto una famiglia, una sua famiglia, quella che le è sempre mancata, ed ora, ha ricevuto un’altra delusione. Io lo so che la ami, ma spero tanto che tu non la possa ritrovare, non te la meriti, capitano, ed ora controlla dove vuoi e poi vattene dalla mai proprietà. Gli rispose molto arrabbiato.


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venerdì 21 febbraio 2020

KATRIN, LA SUA STORIA


KATRIN, LA SUA STORIA

parte centoquattro






Nei giorni successivi non cambiò le sue abitudini. Riprese anche ad allenarsi con la spada, e spesso Robin rimaneva ad osservarla senza mai farsi avanti. La sua mente gli diceva che l’aveva persa, ma il suo cuore non voleva accettarlo. Era combattuto, avrebbe voluto rapirla e andare lontano dove suo nonno non sarebbe potuto intervenire, ma lui non conosceva un posto così.
Era passata una settimana dall’incontro con lord Sheppard, e quella mattina Colette entrò con il viso sconvolto.
Suo nonno mi ha licenziata. Disse. Devo andarmene col carro di sabato prossimo.
Lord Sheppard non è mio nonno. Dove andrai, Colette? Le rispose.
Ho una sorella che vive da sola da quando suo marito è morto, da lei posso stare fin che voglio, ne sarà felice. Rispose sciugandosi gli occhi.
Anch’io sarò su quel carro. Le svelò finalmente il suo piano.
Ogni quindici giorni un carro portava le serve e le cameriere nei loro villaggi nel giorno di riposo. Partiva prima dell’alba e rientrava a sera. Nessuno faceva molto caso a questa uscita, un’usanza che veniva rispettata da sempre.
Mancavano dieci giorni e doveva darsi da fare coi preparativi.
Per prima cosa avvolse le sue armi in un informe fagotto. Tutte le donne che tornavano a casa portavano con sé cibo e articoli vari, e anche lei si sarebbe confusa fra di loro. Colette le procurò del cibo che potesse durare alcuni giorni, lo avrebbe conservato in un involucro di stoffa legato alla vita, avrebbe indossato i suoi pantaloni e sopra l’abito scuro delle cameriere, un comodo mantello e una sciarpa sui capelli. Con un pezzo di legno bruciacchiato si sporcò unghie e mani, quelle potevano tradirla.
Mano a mano che si avvicinava la data lei diventava sempre più nervosa, da quello dipendeva la sua vita, il suo futuro e lei non voleva commettere errori.
Era il quattordici agosto, la sera prima della fuga e Katrin stava ricontrollando ogni cosa, usando il legno bruciato si scurì le occhiaie e le mani, il cuore le batteva a mille e cercò di calmarsi. Colette era già pronta e l’aveva salutata, non si sarebbero più riviste. Katrin non le aveva detto niente altro del suo piano per non metterla in pericolo.
Era seduta, pronta da ore in attesa di sentire i passi delle donne che raggiungevano il cortile per salire sul carro.
L’alba non era ancora spuntata, faceva ancora buio quando uscì dalla porta della servitù e si unì a un gruppetto di donne assonnate che raggiungevano veloci il carro.
Colette uscì dalla porta principale con la sua borsa, ben vestita si distingueva dalle altre. Tutte sapevano che era stata licenziata e nessuna disse una parola.
Erano quindici donne sul carro e il conducente stava arrivando zoppicando. Mentre lui saliva a cassetta Katrin raggiunse di corsa il carro che si stava muovendo e vi salì.
Si accomodò nel primo posto, sarebbe scesa per prima.
Colette non alzò nemmeno lo sguardo, mentre le altre avevano la testa appoggiata al telone che ricopriva il carro, sonnecchiavano e stringevano sulle ginocchia il loro prezioso fagotto da consegnare a casa.
Il carro sobbalzava mentre raggiungeva il primo villaggio. Era passata solo mezz’ora e il conducente sentì il segnale che lo invitava a fermarsi. Rallentò e aspettò solo un minuto prima di ripartire.
Katrin era scesa senza destare nessun sospetto e si incamminò veloce nel fitto della boscaglia, doveva allontanarsi in più in fretta possibile, mettere la massima distanza fra lei e il castello, sapeva che quando si fossero accorti della sua fuga avrebbero sguinzagliato i soldati alla sua ricerca.
Aveva ripassato nella mente innumerevoli volte il suo piano, si sarebbe diretta a sud, molto a sud, avrebbe camminato col buio stando riparata di giorno, per nessun motivo doveva essere notata, i soldati avrebbero interrogato tutti e lei doveva fare molta attenzione.
Cominciò a correre cercando il fiume che per un pezzo di strada le avrebbe fatto compagnia.
Passò la mattina a correre, ogni tanto si fermava, riprendeva fiato e si guardava intorno, ascoltando anche il più piccolo rumore. Era sicura che al castello non si fossero ancora accorti della sua assenza, e se era fortunata aveva ancora parecchie ore di vantaggio, doveva sfruttarle al massimo. Era tardo pomeriggio e doveva abbandonare il corso del fiume, trovare un posto per riposare prima di riprendere il viaggio col buio.
Un folto di rovi spinosi fece al caso suo. Vi si infilò cercando inutilmente di non graffiarsi. Si sedette, riprese fiato e consumò poco cibo e acqua, doveva farlo durare anche se sapeva che non era sufficiente, ma ora aveva bisogno di riposare.
Si sdraiò nel piccolo spazio e si addormentò, era davvero molto stanca.
Si svegliò che era buio, non aveva idea di quanto tempo avesse dormito, aspettò che gli occhi si abituassero al buio, una splendida luna piena l’aiutò. Alzò il viso e immerse lo sguardo in quel tappeto di stelle luminose e, graffiandosi ancora uscì dal suo nascondiglio e riprese il suo cammino.
Camminava a passo svelto, aveva bisogno di fare molta strada e non voleva stancarsi troppo correndo. Tolse la mappa che lei stessa aveva disegnato e cercò di orientarsi. Gli insegnamenti di Robin le tornarono molto utili. Trovò la direzione e si incamminò senza porre indugio.

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giovedì 20 febbraio 2020

KATRIN, LA SUA STORIA



KATRIN, LA SUA STORIA

parte centotre





Era arrabbiata, delusa e arrabbiata. Come aveva fatto a farsi imbrogliare in quel modo? Quello che le aveva fatto suo nonno era un contesto che mai e poi mai avrebbe potuto immaginare. Era una donna ferita, e soffriva in modo atroce. Inutile negarlo a se stessa, Robin aveva ragione, sarebbe sempre stato suo marito e lei non smetteva di amarlo, sperava di riuscirci col tempo.
Rimase seduta ancora a respirare l’aria pulita. Come doveva comportarsi con suo nonno? Era un uomo potente e lei era consapevole che non poteva tenergli testa a lungo. Ora come ora poteva perdere, se già non era successo, tutti i privilegi del suo rango. Non le interessava particolarmente, non aveva mai anelato a ricchezze e potere, ma all’amore sincero di una famiglia, quella famiglia che non aveva mai avuto, quello sì. In quel momento rimpianse più che mai di non essere cresciuta con la sua vera famiglia. Chissà dov’erano e se ogni tanto pensavano a lei.
Abbassò il capo e copiose lacrime le caddero sugli abiti da maschiaccio. Lasciò che sfogassero almeno in parte quello che sentiva dentro e che aveva sopportato in quei giorni, anche se sapeva che non sarebbero servite proprio a niente.
Alba sentiva il dolore della sua padrona e le si avvicinò. Avvicinò il dolce muso al viso bagnato di lacrime di Katrin e la consolò a modo suo. Lei ricambiò con una carezza. Presto ci dovremo separare, dolce amica. Rimontò in sella e tornò al castello scortata da due guardie che si tenevano a distanza.
Erano passati tre giorni e lei era uscita con Alba ogni mattina. Tentava di capire come fosse il controllo al quale era sottoposta, si comportava con estrema disinvoltura ma non si faceva sfuggire niente.
Conosceva la zona molto bene, aveva osservato e studiato spesso la mappa che suo nonno teneva appesa nel suo studio, e sulla quale aveva studiato e imparato quante e quali fossero i possedimenti da controllare, se solo fosse riuscita ad andarsene sapeva come orientarsi, e poi? Poi dove poteva andare? Non da Sara e Alfred, sarebbe stato il primo posto in cui l’avrebbero cercata e lei non voleva essere trovata, mai più!
Stava ancora pensando a tutto questo mentre si pettinava davanti allo specchio. Colette non aveva molto da fare e rimaneva spesso ad osservarla a lungo.
Bussarono con forza e insistenza alla porta che, come al solito era sbarrata. Riconobbe il bastone di suo nonno, infatti la voce del vecchio si fece sentire. Da quando l’aveva ripudiato non lo aveva più sentito né visto, se era lì doveva esserci un motivo importante.
Katrin, esci immediatamente o farò abbattere la porta. Urlò con quanto fiato aveva.  Se non ti presenti fra dieci minuti nel mio studio manderò qualcuno a buttare giù la porta. E si allontanò zoppicando.
Cosa intende fare, lady Katrin? Le chiese Colette.
Vuole che vada? Bene, ci andrò, ma non sono obbligata a parlargli. Era ora di vedere fino a dove poteva spingersi.
Indossò uno degli abiti da cameriera, neri e informi che aveva cominciato ad indossare, si slegò i capelli e si diresse nello studio di suo nonno.
Bussò ed entrò. Il vecchio lord, con sguardo fiero e arcigno era seduto sulla sua poltrona e le fece cenno di accomodarsi di fronte a lui.
Lei non abbassava lo sguardo mentre lui la scrutava.
Voleva parlarmi, lord Sheppard? Gli chiese quasi irridendolo.
Lui battè con forza il bastone sulla scrivania, quasi volesse colpire quella sfrontata, ma lei non fece una mossa.
Da quando mia nipote si veste come l’ultima delle serve? Urlò di nuovo.
Da quando non sono più sua nipote, lord Sheppard. Gli rispose senza esitazione.
Adesso basta! E’ ora di finire questa sceneggiata. Si alterò battendo con più forza di nuovo il bastone sulla scrivania.
Se non la smetti immediatamente di comportarti da scriteriata ti rispedisco da tuo padre e ti faccio rinchiudere nella torre, voglio vedere se torni a più miti consigli. Le ringhiò.
Katrin si alzò in piedi e, come aveva fatto in passato con suo padre, appoggiò le mani alla scrivania e avvicinò il suo viso a quello del lord. Io non andrò mai più nella torre, lord Sheppard, ci scommetto la vita. Gli disse prima di rimettersi a sedere.
Lei ancora non lo sapeva, ma lord Sheppard aveva assolutamente bisogno di lei, ancora poche settimane e alcuni inviati della Cerchia ristretta sarebbero venuti a controllare se i rapporti che ricevevano corrispondevano al vero. Qualche voce era arrivata anche a loro.
Il vecchio signore non si fece intimidire, o almeno non lo diede a vedere. Hai tre giorni di tempo per riprendere il tuo posto, oppure manderò via la tua cameriera. Ora puoi andare, pensa bene a quello che fai, tu sai di cosa sono capace. Le ricordò stringendo il bastone.
Katrin si alzò, fece un irriverente inchino che mandò su tutte le furie il lord. Uscì col sorriso sulle labbra, non gli avrebbe mai dato la soddisfazione di farsi vedere vulnerabile da lui, e da nessun altro.
Raggiunse la sua stanza. Colette era in pensiero ma si calmò quando la vide rientrare.
Dobbiamo parlare, Colette. E’ ora di mettere in atto il mio piano di fuga. Mio nonno ti manderà via ed io non voglio tornare ad essere una sua pedina. Io sono Katrin, una plebea senza titoli, e così voglio rimanere. Disse all’esterrefatta cameriera.
Un sorriso disegnò le labbra di Katrin, adesso aveva un piano.


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mercoledì 19 febbraio 2020

KATRIN, LA SUA STORIA


KATRIN, LA SUA STORIA

parte centodue






I giorni successivi Katrin li passò in solitudine. Colette provvedeva alle sue necessità e questo, per il momento le bastava.
Ogni giorno Robin bussava e si scorticava le nocche, chiamava il suo nome, la supplicava di aprirgli ma lei non gli rispondeva mai, stava seduta sul sofà con entrambe le asce appoggiate ai fianchi.
Erano passati una decina di giorni e il cameriere di suo nonno era di nuovo alla porta a chiedere di seguirlo, ma lei non rispondeva mai nemmeno a lui.
In quei giorni di solitudine aveva pensato molto alla sua situazione. Per lei non sarebbe più stato possibile tornare con Robin, non dopo quello che le aveva fatto. Di suo padre e di suo nonno che considerava ora dei perfetti estranei non le importava proprio niente. Soffriva, soffriva molto per il tradimento di suo marito e capiva che la ferita che le aveva impresso non si sarebbe mai più sanata, e questo doveva saperlo anche lui.
Era conscia che doveva andarsene, che quella non era più casa sua, lei non la considerava più tale, ma ancora non era riuscita ad escogitare un piano che avesse anche la minima possibilità di soluzione. Era fiduciosa che ci sarebbe riuscita, su questo non aveva dubbi, aveva solo bisogno di liberare un po’ la mente per essere più leggera e libera di pensare.
Erano dieci giorni che non usciva da quella stanza, era ora di farlo. Indossò gli abiti da cavallerizza, prese le sue armi e uscì mentre Colette stava entrando.
Vado a fare una cavalcata. Disse alla cameriera.
Alba fu felice di rivederla e nitrì di soddisfazione ma fiutò subito lo stato d’animo della sua padrona e rimase docile sotto le sue mani mentre la sellava.
Finalmente un po’ di sole dopo giorni chiusa nella sua stanza. Faceva caldo, era primo pomeriggio e quasi nessuno osava uscire in quell’orario.
Lasciò che Alba seguisse il suo istinto e si inoltrarono in un piccolo boschetto, uno dei tanti che circondava il castello, posti che lei amava anche se pieni di ricordi che le avrebbero fatto male.
Era piacevole sentire l’alito caldo del soffio di aria che le foglie verdi e salde sui rami spandevano intorno. Il canto degli uccelli non si sentiva ma il frullare di ali nei nidi riusciva a distinguerlo.
Aveva l’arco e la faretra in spalla e se li tolse, li appoggiò ad un grosso albero e si sedette con la schiena contro la ruvida corteccia. Respirava a pieni polmoni, le era mancata la vita all’aria aperta, lei era uno spirito dei boschi e li conosceva, Robin le aveva insegnato come comportarsi in quei posti.
Come evocato dai suoi pensieri, riconobbe il rumore di zoccoli e capì che Robin l’aveva seguita. Non aveva dubbi che fosse sorvegliata, dentro e fuori il castello c’erano sempre guardie che non la perdevano di vista.
Lei non alzò il viso, non aveva niente da dirgli. Robin, come era solito fare in passato si sedette con la schiena poggiata ad un albero vicino e la osservava attentamente. Passarono lunghi minuti in silenzio, nessuno dei due parlava, lei perché non aveva niente da dirgli e lui perché sapeva che qualunque cosa avesse detto sarebbe stata fraintesa.
Quello sarebbe stato il momento giusto per parlarle, per dirle che si sbagliava. Lui era davvero innamorato di lei, e lo era da tanto tempo ma sapeva che non avrebbe avuto possibilità di averla come moglie, fino a quando lord Sheppard gli aveva fatto la proposta. Lui aveva accettato non perché lei sarebbe stata poi sua moglie, ma proprio perché la voleva in moglie. Tutto quello che aveva fatto era stato per poter essere degno di sposarla, di avere il consenso di suo nonno. Lui un semplice soldato non avrebbe mai potuto avere in moglie una lady, soprattutto la nipote di lord Sheppard. Era solo per amore di lei che aveva accettato, ed erano stati due anni di duro lavoro e studio, e di prove di lealtà che spesso avevano messo a dura prova la sua tempra di soldato.
Queste cose avrebbe voluto dirle, oltre che prenderla fra le braccia. Ma sapeva bene che se glielo avesse detto lei gli avrebbe riso in faccia e non lo avrebbe creduto, e lui questo non poteva sopportarlo. Sperava, col suo silenzio che col tempo e con tanta perseveranza l’avrebbe potuta riconquistare, ma ora non poteva rischiare di peggiorare la situazione.
Si alzò e le si avvicinò. Lei fece scivolare in mano il pugnale, e alzò lo sguardo su di lui.
Hai ripudiato tuo padre e tuo nonno, lo hai potuto fare perché loro non sono niente per te, ma io sono tuo marito, e questo è una dato di fatto che non puoi cambiare. Io sarò tuo marito per sempre. Le disse mentre raggiungeva il suo cavallo. Rimani pure quanto vuoi, ci sono due guardie che ti aspettano per accompagnarti dove vuoi, è per la tua sicurezza. Aggiunse.
Puoi mettere anche un battaglione di soldati, ma quando me andrò tu non te ne accorgerai nemmeno. Gli rispose.
Mentre Robin montava in sella un brivido gli percorse la schiena, sapeva che lo avrebbe fatto, e sapeva anche che ci sarebbe riuscita.
Vai, torna da lord Sheppard, scodinzola come un bravo cagnolino, otterrai altro potere e altro denaro. Gli disse sprezzate.
Robin non rispose ma aveva il cuore a pezzi.

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martedì 18 febbraio 2020

KATRIN, LA SUA STORIA


KATRIN , LA SUA STORIA

parte centouno






Katrin cercò di recuperare un minimo di calma, ma non ci riuscì. Guardava Colette che aveva un’espressione di terrore sul viso e decise di parlarle.
Da oggi ho ripudiato sia mio nonno che mio marito. Le disse soltanto.
Colette non era una ingenua, sospettava da tempo che qualcosa non andava ed ora metteva insieme le poche informazioni che aveva e, anche se non riusciva a farsi un quadro esatto della situazione ci andava molto vicina.
Katrin controllò con lo sguardo che le porte fossero sbarrate. Andò nella piccola sala e poi nel salotto e cominciò a devastare ogni cosa. Con l’ascia fracassava vetri, specchi, suppellettili e soprammobili tutto di grande valore. Sembrava indiavolata e Colette tratteneva la paura coi pugni in bocca per non urlare. Quando ebbe finito richiuse la porta a chiave lasciando tutta la distruzione che aveva fatto.
Con passo deciso si avvicinò al grande letto a baldacchino, quello che l’aveva vista sposa innamorata e appassionata e con colpi secchi e decisi abbattè le colonne e il tetto del letto cadde rumorosamente. Con colpi sempre più forti continuò nella sua demolizione. Ansimava e sudava ma non aveva nessuna intenzione di fermarsi.
Apri la finestra, Colette, e dammi una mano.
La cameriera corse ad aprire i vetri e le due donne iniziarono a gettare dalla finestra i pezzi di letto, i materassi, i cuscini e la biancheria. Fu faticoso ma non ci impiegarono molto.
Poi Katrin andò nello spogliatoio di Robin e prese tutto ciò che era di suo marito e lo gettò dalla finestra, si guardò intorno per essere sicura che non ci fosse più niente di quell’essere miserabile e quando fu soddisfatta aprì il suo armadio e tolse il suo abito da sposa. Lo lacerò facendolo a brandelli e buttò anche quello nel cortile di sotto.
Il respiro era ancora affannoso. La stanchezza si faceva sentire. Si sedette sulla poltrona con le asce appoggiate ai lati.
Finalmente un po’ di silenzio. Durò poco perché Robin cominciò a battere contro la porta. Apri Katrin, per l’amor di dio apri! E continuava a battere mani e piedi contro la solida porta sbarrata.
Lei non rispondeva, non aveva niente da dirgli, non si riteneva più sua moglie e non lo voleva vedere, sapeva che non sarebbe stata in grado di trattenere la sua collera, doveva saperlo anche lui, perché dopo più di mezz’ora e con le nocche sanguinanti, Robin capì che non avrebbe ottenuto nulla.
Lanciò un grido di rabbia e di dolore prima di allontanarsi, ma Katrin non fece una mossa.
Aspettò che il respiro tornasse normale chiamò Colette. Vieni Colette, siedi qui vicino, dobbiamo parlare.
La cameriera ancora tremava, non aveva mai visto nessuno comportarsi in quel modo.
Grazie per essere dalla mia parte, e grazie per quello che farai per me. Io non ho nessuno e conto su di te, sulla tua alleanza. Dovrai portarmi cibo e quello che mi serve, io da qui non esco per ora, devo studiare il modo per andarmene. Le disse in tutta sincerità.
Ma come farà Lady Katrin? Le chiese molto preoccupata.
Troverò il modo, ne sono sicura, ma per il momento ho bisogno di essere lasciata in pace da tutti e mi isolerò per qualche giorno qui, in questa camera vuota. Questo giorno resterà impresso dentro di me come un marchio di fuoco. Un giorno ti racconterò tutta la storia, hai il diritto di conoscerla, ma per adesso voglio solo essere lasciata sola. Conto sulla tua discrezione o per me sarà davvero finita. Le disse sdraiandosi sul sofà.Vai pure ora, ci vediamo domani mattina. E sbarrò la porta dietro di lei.
Si sdraiò e chiuse gli occhi, dio quanto desiderava dormire. Fu accontentata e si addormentò con l’ascia poggiata al sofà.
Robin non si dava pace mentre lord Sheppard non dava segni di nervosismo. Calmati Robin, dalle qualche giorno e poi sarà costretta a cedere.
Robin fu solo in quel momento che capì chi era veramente lord Sheppard: un uomo che per raggiungere i suoi scopi e le sue mete non guardava in faccia a nessuno e se si era servito di Katrin con tanta falsità e disinvoltura chissà cosa altro era capace di fare. Vado a vedere di trovarmi una stanza. E uscì senza aggiungere altro.
La servitù ormai sapeva cosa era successo e si scansava mentre Robin attraversava corridoi e stanze. Chiamò la governante e fece la sua richiesta. Gli venne assegnata una stanza ben distante da quella di sua moglie ed ebbe il dubbio che l’avessero fatto apposta. Ci si chiuse dentro e sprofondò sul letto cigolante. Non si era tolto nemmeno gli stivali e stava lì, al buio a pensare a cosa poteva fare per riportare sua moglie da lui, era consapevole che non sarebbe stato facile, poteva dire quel che voleva lord Sheppard ma Katrin era Katrin e nessuno la conosceva bene quanto lui, per questo gli tremava il cuore al pensiero di quello che poteva fare. Aveva una intelligenza da soldato oltre che da donna tradita e dava per scontato che già in quel momento stava studiando il modo per andarsene senza essere vista. Lui stesso le aveva insegnato ogni tattica di attacco e di difesa, di sopravvivenza ed ora si malediva per essere stato così meticoloso negli insegnamenti.
Il suo cuore non aveva ancora smesso di martellargli nel petto. Tutto era precipitato, e lui non aveva un piano per porvi rimedio.



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