KATRIN, LA SUA STORIA
parte centodue
I giorni
successivi Katrin li passò in solitudine. Colette provvedeva alle sue necessità
e questo, per il momento le bastava.
Ogni giorno
Robin bussava e si scorticava le nocche, chiamava il suo nome, la supplicava di
aprirgli ma lei non gli rispondeva mai, stava seduta sul sofà con entrambe le
asce appoggiate ai fianchi.
Erano
passati una decina di giorni e il cameriere di suo nonno era di nuovo alla
porta a chiedere di seguirlo, ma lei non rispondeva mai nemmeno a lui.
In quei
giorni di solitudine aveva pensato molto alla sua situazione. Per lei non
sarebbe più stato possibile tornare con Robin, non dopo quello che le aveva
fatto. Di suo padre e di suo nonno che considerava ora dei perfetti estranei
non le importava proprio niente. Soffriva, soffriva molto per il tradimento di
suo marito e capiva che la ferita che le aveva impresso non si sarebbe mai più
sanata, e questo doveva saperlo anche lui.
Era conscia
che doveva andarsene, che quella non era più casa sua, lei non la considerava
più tale, ma ancora non era riuscita ad escogitare un piano che avesse anche la
minima possibilità di soluzione. Era fiduciosa che ci sarebbe riuscita, su
questo non aveva dubbi, aveva solo bisogno di liberare un po’ la mente per
essere più leggera e libera di pensare.
Erano dieci
giorni che non usciva da quella stanza, era ora di farlo. Indossò gli abiti da
cavallerizza, prese le sue armi e uscì mentre Colette stava entrando.
Vado a fare una cavalcata. Disse alla cameriera.
Alba fu
felice di rivederla e nitrì di soddisfazione ma fiutò subito lo stato d’animo
della sua padrona e rimase docile sotto le sue mani mentre la sellava.
Finalmente
un po’ di sole dopo giorni chiusa nella sua stanza. Faceva caldo, era primo
pomeriggio e quasi nessuno osava uscire in quell’orario.
Lasciò che
Alba seguisse il suo istinto e si inoltrarono in un piccolo boschetto, uno dei
tanti che circondava il castello, posti che lei amava anche se pieni di ricordi
che le avrebbero fatto male.
Era
piacevole sentire l’alito caldo del soffio di aria che le foglie verdi e salde
sui rami spandevano intorno. Il canto degli uccelli non si sentiva ma il
frullare di ali nei nidi riusciva a distinguerlo.
Aveva l’arco
e la faretra in spalla e se li tolse, li appoggiò ad un grosso albero e si
sedette con la schiena contro la ruvida corteccia. Respirava a pieni polmoni,
le era mancata la vita all’aria aperta, lei era uno spirito dei boschi e li
conosceva, Robin le aveva insegnato come comportarsi in quei posti.
Come evocato
dai suoi pensieri, riconobbe il rumore di zoccoli e capì che Robin l’aveva
seguita. Non aveva dubbi che fosse sorvegliata, dentro e fuori il castello
c’erano sempre guardie che non la perdevano di vista.
Lei non alzò
il viso, non aveva niente da dirgli. Robin, come era solito fare in passato si
sedette con la schiena poggiata ad un albero vicino e la osservava
attentamente. Passarono lunghi minuti in silenzio, nessuno dei due parlava, lei
perché non aveva niente da dirgli e lui perché sapeva che qualunque cosa avesse
detto sarebbe stata fraintesa.
Quello
sarebbe stato il momento giusto per parlarle, per dirle che si sbagliava. Lui
era davvero innamorato di lei, e lo era da tanto tempo ma sapeva che non
avrebbe avuto possibilità di averla come moglie, fino a quando lord Sheppard
gli aveva fatto la proposta. Lui aveva accettato non perché lei sarebbe stata
poi sua moglie, ma proprio perché la voleva in moglie. Tutto quello che aveva
fatto era stato per poter essere degno di sposarla, di avere il consenso di suo
nonno. Lui un semplice soldato non avrebbe mai potuto avere in moglie una lady,
soprattutto la nipote di lord Sheppard. Era solo per amore di lei che aveva
accettato, ed erano stati due anni di duro lavoro e studio, e di prove di
lealtà che spesso avevano messo a dura prova la sua tempra di soldato.
Queste cose
avrebbe voluto dirle, oltre che prenderla fra le braccia. Ma sapeva bene che se
glielo avesse detto lei gli avrebbe riso in faccia e non lo avrebbe creduto, e
lui questo non poteva sopportarlo. Sperava, col suo silenzio che col tempo e
con tanta perseveranza l’avrebbe potuta riconquistare, ma ora non poteva
rischiare di peggiorare la situazione.
Si alzò e le
si avvicinò. Lei fece scivolare in mano il pugnale, e alzò lo sguardo su di
lui.
Hai ripudiato tuo padre e tuo nonno,
lo hai potuto fare perché loro non sono niente per te, ma io sono tuo marito, e
questo è una dato di fatto che non puoi cambiare. Io sarò tuo marito per
sempre. Le disse
mentre raggiungeva il suo cavallo. Rimani
pure quanto vuoi, ci sono due guardie che ti aspettano per accompagnarti dove
vuoi, è per la tua sicurezza. Aggiunse.
Puoi mettere anche un battaglione di
soldati, ma quando me andrò tu non te ne accorgerai nemmeno. Gli rispose.
Mentre Robin
montava in sella un brivido gli percorse la schiena, sapeva che lo avrebbe fatto,
e sapeva anche che ci sarebbe riuscita.
Vai, torna da lord Sheppard,
scodinzola come un bravo cagnolino, otterrai altro potere e altro denaro. Gli disse sprezzate.
Robin non
rispose ma aveva il cuore a pezzi.
Nessun commento:
Posta un commento