venerdì 21 febbraio 2020

KATRIN, LA SUA STORIA


KATRIN, LA SUA STORIA

parte centoquattro






Nei giorni successivi non cambiò le sue abitudini. Riprese anche ad allenarsi con la spada, e spesso Robin rimaneva ad osservarla senza mai farsi avanti. La sua mente gli diceva che l’aveva persa, ma il suo cuore non voleva accettarlo. Era combattuto, avrebbe voluto rapirla e andare lontano dove suo nonno non sarebbe potuto intervenire, ma lui non conosceva un posto così.
Era passata una settimana dall’incontro con lord Sheppard, e quella mattina Colette entrò con il viso sconvolto.
Suo nonno mi ha licenziata. Disse. Devo andarmene col carro di sabato prossimo.
Lord Sheppard non è mio nonno. Dove andrai, Colette? Le rispose.
Ho una sorella che vive da sola da quando suo marito è morto, da lei posso stare fin che voglio, ne sarà felice. Rispose sciugandosi gli occhi.
Anch’io sarò su quel carro. Le svelò finalmente il suo piano.
Ogni quindici giorni un carro portava le serve e le cameriere nei loro villaggi nel giorno di riposo. Partiva prima dell’alba e rientrava a sera. Nessuno faceva molto caso a questa uscita, un’usanza che veniva rispettata da sempre.
Mancavano dieci giorni e doveva darsi da fare coi preparativi.
Per prima cosa avvolse le sue armi in un informe fagotto. Tutte le donne che tornavano a casa portavano con sé cibo e articoli vari, e anche lei si sarebbe confusa fra di loro. Colette le procurò del cibo che potesse durare alcuni giorni, lo avrebbe conservato in un involucro di stoffa legato alla vita, avrebbe indossato i suoi pantaloni e sopra l’abito scuro delle cameriere, un comodo mantello e una sciarpa sui capelli. Con un pezzo di legno bruciacchiato si sporcò unghie e mani, quelle potevano tradirla.
Mano a mano che si avvicinava la data lei diventava sempre più nervosa, da quello dipendeva la sua vita, il suo futuro e lei non voleva commettere errori.
Era il quattordici agosto, la sera prima della fuga e Katrin stava ricontrollando ogni cosa, usando il legno bruciato si scurì le occhiaie e le mani, il cuore le batteva a mille e cercò di calmarsi. Colette era già pronta e l’aveva salutata, non si sarebbero più riviste. Katrin non le aveva detto niente altro del suo piano per non metterla in pericolo.
Era seduta, pronta da ore in attesa di sentire i passi delle donne che raggiungevano il cortile per salire sul carro.
L’alba non era ancora spuntata, faceva ancora buio quando uscì dalla porta della servitù e si unì a un gruppetto di donne assonnate che raggiungevano veloci il carro.
Colette uscì dalla porta principale con la sua borsa, ben vestita si distingueva dalle altre. Tutte sapevano che era stata licenziata e nessuna disse una parola.
Erano quindici donne sul carro e il conducente stava arrivando zoppicando. Mentre lui saliva a cassetta Katrin raggiunse di corsa il carro che si stava muovendo e vi salì.
Si accomodò nel primo posto, sarebbe scesa per prima.
Colette non alzò nemmeno lo sguardo, mentre le altre avevano la testa appoggiata al telone che ricopriva il carro, sonnecchiavano e stringevano sulle ginocchia il loro prezioso fagotto da consegnare a casa.
Il carro sobbalzava mentre raggiungeva il primo villaggio. Era passata solo mezz’ora e il conducente sentì il segnale che lo invitava a fermarsi. Rallentò e aspettò solo un minuto prima di ripartire.
Katrin era scesa senza destare nessun sospetto e si incamminò veloce nel fitto della boscaglia, doveva allontanarsi in più in fretta possibile, mettere la massima distanza fra lei e il castello, sapeva che quando si fossero accorti della sua fuga avrebbero sguinzagliato i soldati alla sua ricerca.
Aveva ripassato nella mente innumerevoli volte il suo piano, si sarebbe diretta a sud, molto a sud, avrebbe camminato col buio stando riparata di giorno, per nessun motivo doveva essere notata, i soldati avrebbero interrogato tutti e lei doveva fare molta attenzione.
Cominciò a correre cercando il fiume che per un pezzo di strada le avrebbe fatto compagnia.
Passò la mattina a correre, ogni tanto si fermava, riprendeva fiato e si guardava intorno, ascoltando anche il più piccolo rumore. Era sicura che al castello non si fossero ancora accorti della sua assenza, e se era fortunata aveva ancora parecchie ore di vantaggio, doveva sfruttarle al massimo. Era tardo pomeriggio e doveva abbandonare il corso del fiume, trovare un posto per riposare prima di riprendere il viaggio col buio.
Un folto di rovi spinosi fece al caso suo. Vi si infilò cercando inutilmente di non graffiarsi. Si sedette, riprese fiato e consumò poco cibo e acqua, doveva farlo durare anche se sapeva che non era sufficiente, ma ora aveva bisogno di riposare.
Si sdraiò nel piccolo spazio e si addormentò, era davvero molto stanca.
Si svegliò che era buio, non aveva idea di quanto tempo avesse dormito, aspettò che gli occhi si abituassero al buio, una splendida luna piena l’aiutò. Alzò il viso e immerse lo sguardo in quel tappeto di stelle luminose e, graffiandosi ancora uscì dal suo nascondiglio e riprese il suo cammino.
Camminava a passo svelto, aveva bisogno di fare molta strada e non voleva stancarsi troppo correndo. Tolse la mappa che lei stessa aveva disegnato e cercò di orientarsi. Gli insegnamenti di Robin le tornarono molto utili. Trovò la direzione e si incamminò senza porre indugio.

immagine dal web - diritti e proprietà riservati di Milena Ziletti

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