KATRIN, LA SUA STORIA
parte centosette
Il viso
della donna sbiancò. Ci mise qualche secondo a ritrovare la voce. Buongiorno, sir Robin? E’ successo qualcosa
al castello? Gli chiese con l’ansia che le chiudeva lo stomaco.
Posso entrare, miss Colette? Ed entrò senza aspettare risposta.
Mary, la sorella
di Colette osservava senza capire.
Robin fu
invitato a sedersi nel piccolo cucinino e gli offrirono del tè. Erano entrambe
in ansia, Colette non aveva detto nemmeno una parola a sua sorella.
Sa perché sono qui, miss Colette? Esordì Robin.
La donna scosse
la testa.
Lady Katrin è sparita, e mi chiedevo
se lei ne fosse al corrente. Continuò.
Colette
aveva ripreso il controllo. Se n’è andata
davvero? Lo diceva ogni giorno che non sarebbe rimasta al castello, ma ho
sempre creduto che fosse solo un modo per scaricare la rabbia. Aggiunse
senza timore.
La stiamo cercando da giorni, e sono
venuto fin qui per chiederle se lei ne sa qualcosa, se ha qualche indizio che
mi può aiutare a ritrovarla. Le disse con speranza.
Non ne so niente, sir Robin. Io ero
solo una cameriera non un’amica, anche se le ero davvero affezionata. So solo
che negli ultimi giorni non parlava più nemmeno con me, passavamo ore sedute
nella sua stanza senza dire nemmeno una parola, vedevo tanto dolore sul suo
volto e una tristezza infinita, era cambiata, e lei conosce bene il motivo. Rivoltò il coltello nella piaga con
immenso piacere.
Robin la
osservava attentamente per capire se diceva il vero o il falso, decise di
essere più accondiscendente, mentre avrebbe voluto prenderla per il collo e
farle sputare tutto quello che sapeva.
Lady Katrin è mia moglie, e vorrei
tanto che ritornasse a casa, lei deve sapere che l’amo davvero. Quasi bisbigliò.
Colette lo
osservava ma non riusciva a provare pietà per l’uomo che aveva distrutto la sua
padrona. Mi dispiace, sir Robin, ha fatto
un viaggio per niente. E si alzò accompagnandolo alla porta.
L’uomo ebbe
un attimo di rabbia e la prese per un braccio. Lei mi deve aiutare, deve sapere! Aveva gli occhi che sprizzavano
scintille, era esasperato, stanco.
Se ne vada da casa mia. Gli disse Mary. Qui non è il benvenuto. Esca immediatamente!
Robin le
osservò entrambe e capì che da loro non avrebbe ottenuto niente, lo sapeva fin
dal principio. Non salutò nemmeno quando si chiuse la porta alle spalle.
Insieme ai suoi
uomini raggiunsero la stalla e tornarono velocemente al castello.
Katrin era
in viaggio da nove giorni e da due aveva finito il cibo. Era stanca, sporca,
affamata ma sempre più determinata nel suo intento. Presto avrebbe lasciato la
sua postazione per riprendere il viaggio, l’oscurità stava calando e cominciava
a rinfrescare, per fortuna non aveva mai piovuto o avrebbe rischiato di
prendersi un malanno.
Un solo
spicchio di luna non riusciva a rischiarare il sentiero e lei faticava ad
orientarsi. Sentì alcuni rumori e si nascose in un angolo buio, in ascolto. Non
si era accorta di essersi avvicinata ad un piccolo agglomerato di casupole. Era
vicino ad una misera capanna circondata da un orto e con un recinto per
animali, era quello il rumore che aveva sentito.
Cercò di
appiattirsi contro i tronchi degli alberi. Il cancelletto sgangherato dell’orto
era aperto e lei vi entrò con estrema circospezione.
A tastoni
cercò qualcosa che potesse mangiare e, aiutandosi col pugnale e a mani nude
riuscì a prendere due rape e qualche carota. Le infilò nella sacca ormai vuota
e se ne tornò nel folto degli alberi.
Non si fermò
ma continuò il suo viaggio, aveva la speranza di essere vicina alla meta, prima
o poi avrebbe avvistato la torre di legno costruita dal bisnonno di Jacob per
indicare la sua proprietà.
Sentì il
rumore dell’acqua e un piccolo ruscello dalla riva sassosa fece al caso suo.
Lavò sommariamente la verdura e riempì di acqua la borraccia. Si risciacquò il
viso, le mani, dio quanto desiderava un bagno profumato! Gli uccelli si stavano
risvegliando e per lei era giunto il momento di cercare un posto per ripararsi
e aspettare di nuovo il buio.
Contò sulle
dita delle mani per sapere da quanti giorni era scappata, nove o dieci, ormai
aveva perso il conto e non riusciva ad immaginare cosa fosse successo al
castello in quel periodo. Un sorriso soddisfatto l’accompagnò mentre si
arrampicava su un grosso albero. I rami cominciavano a perdere prematuramente
le foglie, si preannunciava un autunno e un inverno rigidi e lei aveva bisogno
di trovare un riparo, ma dove nessuno potesse trovarla.
Prese dalla
sacca il suo misero cibo e sgranocchiò lentamente le carote. Mai niente le era
sembrato così dolce e buono. Si accomodò il meglio possibile, gli occhi le si
chiusero senza che nemmeno se ne accorgesse.
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