giovedì 26 marzo 2020

COMUNICAZIONE PER VOI

COMUNICAZIONE PER I MIEI AMICI LETTORI E LETTRICI

PER QUALCHE SETTIMANA NON POSTERO' ALTRI RACCONTI, STO TERMINANDO LA CORREZIONE DELL'ULTIMO ROMANZO CHE SI INTITOLA 

"IL SEGRETO DELLA LUNA".

UNA STORIA MOLTO DIVERSA DA QUELLE CHE FINO AD ORA AVETE LETTO. IN QUESTA AVVENTURA MI TRASFORMO IN UN SERIAL KILLER E MI VENDICHERO'  SENZA MAI PROVARE RIMORSO.

APPROFITTO PER RINGRAZIARE TUTTI QUANTI VOI CHE SPERO DI RITROVARE:

DALL'ITALIA
DAGLI U.S.A.
DALL'IRLANDA
DAGLI EMIRATI ARABI UNITI
DALLA SVIZZERA
DALLA GERMANIA
DALLA TAILLANDIA
DA HONG KONG
DALLA POLONIA
DA REGIONE SCONOSCIUTA
DAL PAKISTAN
E ALTRI CHE NON RICORDO

MI AVREBBE FATTO PIACERE RICEVERE UN VOSTRO COMMENTO, MA MI FA PIACERE IL FATTO CHE ABBIATE LETTO I MIEI ROMANZI E I MIEI RACCONTI.

PER STUZZICARE LA VOSTRA CURIOSITA' VI POSTO QUELLA CHE SARA' LA PRIMA PAGINA DEL NUOVO ROMANZO, QUELLO CHE DARA' IL VIA A TUTTA LA STORIA.

IL SEGRETO DELLA LUNA

Era grottesco quel corpo di donna nuda inchiodato al tronco dell’albero. Le braccia alte sulla testa unite con un unico grosso chiodo. Le gambe, leggermente divaricate e inchiodate alla base dell’albero. I lunghi capelli le coprivano il volto e tutto il corpo era ricoperto di sangue ormai secco, tanto che non si capiva quante e quali ferite ci fossero.
Il cacciatore che lo aveva appena scoperto era caduto in ginocchio dall’orrore e dalla sorpresa e si puntellava al fucile per non cadere svenuto. Chi era quella ragazza? E chi poteva aver fatto una cosa così orrenda? Non aveva il coraggio di avvicinarsi.
La foschia ancora densa in quell’alba padana avvolgeva quel corpo come un pudico lenzuolo ma, niente avrebbe potuto coprire quel cadavere così devastato.
Il cacciatore cercava di ritrovare il respiro mentre pensava a cosa fare. Toglierla da quell’indecente posizione? Andare a chiamare qualcuno? Scosse la testa cercando di schiarirsi le idee e prendere una decisione.
Faticosamente si rialzò e decise di avvicinarsi per scoprire se conosceva quella disgraziata.

Con mani tremanti le scostò delicatamente i capelli incrostati di sangue dal viso e un urlo gli uscì direttamente dal cuore.

A PRESTO, LA VOSTRA SCRITTRICE DILETTANTE
Milena Ziletti

mercoledì 25 marzo 2020

IO SONO BAMBINO!


IO SONO BAMBINO!




E’ un giorno come tanti, a casa mia fa sempre caldo e c’è molta polvere. Mia mamma è seduta in terra con la schiena appoggiata al muro e mi tiene fra le braccia. Mi accarezza e mi sorride, io non ho mai visto niente di più bello. Sono piccolo, avrò tre o quattro anni, non lo so. Ha una voce dolcissima quando mi canta la ninna nanna ed io sono felice, anche ora mi guarda, e canta qualcosa che quando sarò più grande capirò.
Si blocca di colpo e guarda un gruppo di quattro uomini che si avvicinano e mi accorgo che il suo sguardo è diverso, spaventato. Mi stringe forte e non mi permette di guardare quello che succede. Sento le sue braccia che quasi mi soffocano.
Due di quegli uomini mi strappano dal suo abbraccio e mi metto ad urlare e a piangere, non posso stare senza il suo amore così caldo che mi accompagna in ogni momento.
Urlo e allungo le braccia verso di lei, ma gli altri due uomini la tengono ferma e anche lei allunga le braccia verso di me, ma non riusciamo nemmeno a sfiorarci.
Uno schiaffo mi toglie il fiato e mi ammutolisco, lascio che il mio dolore mi esca solo dagli occhi e bagno il terreno con le mie lacrime.
Sento le sue urla mentre quegli uomini grandi e grossi le strappano i vestiti ed io, atterrito osservo quello che non capisco. Lei se ne accorge e smette di urlare, i suoi occhi sono fissi su di me mentre quelli si abbassano i pantaloni e la stuprano uno alla volta. Lei non fa un fiato ed io nemmeno. Uno di loro torna e mi prende per un braccio, mi carica su una grossa automobile ed io mi appiccico al vetro del finestrino, voglio la mia mamma e continuo a piangere silenzioso. Uno sparo e poi, tutti salgono sull’auto che parte.
Sento risa e volgarità uscire dalle loro bocche e rimango in silenzio, col cuore che mi martella nel petto.
Arriviamo in un posto che non conosco e mi affidano ad una donna e le lasciano delle istruzioni. Lei mi prende per mano e non dice una parola.
Rimango con lei alcuni giorni, mi nutre, mi lava, e un giorno mi veste con un bel vestitino. Io non ho ancora detto una parola, sembra che la mia voce sia sparita con lo sparo che ho sentito e che risento ogni notte mentre dormo.
La donna mi prende per mano e, per la prima volta ha un gesto gentile, mi accarezza i capelli e mi consegna ad un uomo.
Faccio un viaggio lungo ma mi trattano bene. Sono salito su una nave, c’era tanta acqua intorno, io non ne ho mai vista, ed ho perfino volato, ma non so come è andata, mi sentivo sempre assonnato.
Mi ritrovo su un’auto insieme a tre sconosciuti ed è come se non esistessi, nessuno mi parla. Mi torna in mente la mia mamma, il suo sguardo mentre mi portavano via e il suo sorriso mentre quegli uomini la circondavano. Mai più nessuno mi amerà come lei, di questo sono sicuro e sento il mio piccolo cuore che batte come se avessi rincorso una pantera.
Seguo quegli uomini e non capisco dove sono. Una grande e bella casa, io non ho mai visto niente di simile e il campanello suona.
“Ho portato il suo giocattolo.” Dice uno di loro mentre ritira una busta. “Può farne ciò che vuole, vengo a riprenderlo fra tre settimane.” E se ne vanno.
Un uomo mi prende per mano, la mia manina così nera spicca sulla sua così bianca. Mi parla con gentilezza ma io non capisco. Mi porta in una stanza che è grande per me che sono così piccolo.
Molto di quello che scrivo l’ho capito dopo, ma la storia è questa.
“Sei proprio un bel bambino.” Mi dice mentre mi accarezza e mi spoglia. Io mi sento un pezzo di legno mentre un ago mi punge il braccio.
La mia mente comincia ad offuscarsi ma mi accorgo di ogni cosa che succede. L’uomo si spoglia completamente nudo e comincia a toccarmi su tutto il corpo, mi osserva con occhi sgranati.
“Il mio giocattolo” ripete spesso. Io osservo e non capisco fino a che, sento un gran bruciore sul torace e vorrei urlare ma non ci riesco. Lo sconosciuto si diverte a spegnere la sigaretta sul mio corpo per poi asciugarmi le lacrime con la lingua, lingua che sento su tutto il corpo e non posso nemmeno irrigidirmi tanto sono frastornato.
Quella è stata solo la prima volta, poi sono arrivati altri uomini ed io sono stato il giocattolo di tutti loro. Bevevano, ridevano, mi stupravano, mi bruciavano tutto il corpo e si divertivano a vedermi soffrire, ed io non potevo nemmeno piangere.
“Da dove arriva il tuo giocattolo?” sento dire. Ma io, che non ricordo nemmeno come mi chiamo vorrei rispondere “io sono Bambino”. Non riesco a fare altro che piangere e soffrire, e le mie lacrime a questi uomini piacciono molto.
Ogni tanto mi danno da mangiare, da bere, e sento l’ago che mi punge spesso il braccio. Amo questi aghi perché per un po’ non sento niente intorno a me.
Devono essere passate le tre settimane, perché l’uomo che mi ha portato qui è venuto a riprendermi.
Mi osserva ma non dice una parola, ha ritirato un’altra busta e mi porta via.
Io penso che deve essere tutto finito, e lo sarà di lì a poco, ma non come speravo.
Arrivo in un posto sconosciuto e mi devono portare in braccio, io non riesco a camminare.
Mi stendono su un lettino e un uomo vestito di bianco comincia a visitarmi. “Cosa mi avete portato? Lo hanno praticamente squarciato, speriamo che ci sia qualcosa da recuperare.” E un altro ago mi porta in un mondo dal quale non tornerò.
Mi tolgono i reni, il fegato, e altre cose che non conosco, e il mio cuoricino batte ancora, anche se più lento e stanco. Mi squarciano completamente il petto e mi tolgono anche il cuore. Ed io non esisto più.
“Io sono Bambino, uno dei tanti. Non ci credete? O fate finta che non sia esistito?”



immagine dal web - diritti e proprietà riservati di Milena Ziletti

martedì 24 marzo 2020

MARGHERITE E SPERANZA


MARGHERITE





La stagione fredda spoglia gli alberi. In Padania i campi si mettono a dormire e si ricoprono di gelo e di brina. Le rive dei fossi, che sono di solito colorati di mille colori dei fiori selvatici sono solo brulle zolle di terra bagnata.
La pioggia si porta via i profumi, il gelo riduce ogni filo d’erba ad uno stelo morto che non serve più nemmeno agli insetti. Temerarie foglie secce ancora tenacemente attaccate ai rami guardano l’acqua ristagnante sapendo che sarà la loro tomba e, un filo di vento le fa danzare per l’ultimo tratto prima di raggiungere il loro destino.
Sono ormai spoglie le rive dei fossi, mentre i campi riposano con terra arata e seminata. Soltanto le nutrie e gli aironi rimangono impassibili al freddo e al gelo cercando qualcosa da mangiare in questa landa nebbiosa.
Passeggio spesso su questa strada poco trafficata, fiancheggiata da ambo i lati da fossi e da rovi. E’ inverno, e così deve essere. Gli insetti nascosti aspettano il sole e il nettare che presto li riporterà in vita.
Tutto sembra lì a riposare, in attesa, quando l’occhio mi cade su un piccolo “cioppo” di margherite. Sono solo tre ma sembrano alzare quel giallo intenso verso di me, sembrano sorridermi e quasi mi parlano. Come vedi noi siamo tenaci, abbiamo perso colore e profumo sotto la neve, abbiamo abbassato la corolla piangendo lacrime di pioggia, eppure siamo qui a ricordarti che la vita va vissuta in ogni circostanza. Piangi pure se è questo che vuoi, a volte serve ma se noi, piccoli fiori su steli corti e tozzi non ci siamo fatte bruciare al gelo e dal vento immagina cosa puoi fare tu, donna/aliena che sai ascoltare la nostra voce.
Mi guardo intorno e vedo un airone ancora immobile e non so cosa aspetta, vedo il rigagnolo d’acqua che si increspa al passaggio di piccoli pesci appena nati, un’unica mela appassita e nera sul ramo abbassato e spoglio. Tutto sembra parlarmi dell’attesa di qualcosa a venire. Se per la natura che mi parla l’attesa è la primavera per me sarà qualcosa di altrettanto meraviglioso: la rinascita è sempre dopo la purificazione.
Che sia così per tutti noi.


immagine dal web - diritti e proprietà riservati di Milena Ziletti

lunedì 23 marzo 2020

EMETIADES VI RACCONTA UNA STORIA


EMETIADES VI RACCONTA UNA STORIA



Oggi è tornata Emetiades. La sento qui in casa con me mentre il silenzio riempie tutte le stanze. Anche fuori è silenzio, soltanto alcuni merli cantano le loro melodie mentre sulla strada passano ambulanze con le sirene spiegate.
Mi sono sempre chiesta come hanno fatto, tutte le persone che ho conosciuto e non, a superare il periodo della guerra; come hanno fatto a mettere da parte la paura e continuare ad andare avanti e sopportare bombe e sacrifici.
Ora, ogni volta che sento la sirena è come se una bomba cadesse vicino a casa. Ora conosco il dolore di veder portar via i tuoi cari e non vederli più se non in una anfora chiusa. E ogni istante mi chiedo chi ci ha portato a questo punto.
E’ qui che lei, Emetiades, oggi si fa sentire più di ogni altro giorno. Mi conosce e sa quando ho bisogno di sostegno, sa quando è il momento di ricordarmi il motivo per il quale sono qui e da quanto tempo mi hanno preparata proprio per questo.
Le sue lunghe dita fredde si posano sui miei capelli puliti, li ho lavati e la lunga striscia di grigio che separa il biondo che di solito mi distingue mi fa ricordare che il tempo passa, che sono ancora viva e che devo esserlo ancora.
Vieni, Umana Aliena (lei mi chiama sempre così) è ora di farci un viaggio.
Appare tutto irreale, ma so che non lo è.
Il nostro viaggio è iniziato ed io non so nemmeno come. Mi accorgo di essere molto in alto ed io, che di solito alzo gli occhi al cielo, adesso li devo abbassare per osservare.
Guarda giù, Umana Aliena, guarda, quello è il Pianeta Terra, stavo per dire il tuo Pianeta ma tu non sei di quel posto. Da qui puoi osservare e fare domande, oppure ascoltarmi, come a volte ti dimentichi di fare.
Vedi quanti colori? Senti quante grida? Annusi le emozioni? Tu sei nata con queste doti particolari ed io ti sono stata messa al fianco per insegnartene altre. Tu sai quante entità ti amano e ti proteggono, ma non è di questo che oggi voglio parlarti. Sul Pianeta Terra è in atto una terribile guerra, da tanti anni; una guerra combattuta senza bombe: una lotta cruenta fra il Bene e il Male, dove i grigi rettiliani, tronfi del loro potere e della loro sicumera, si sono resi conto che non riescono a debellare il Bene.
Se tu ora fossi sulla Terra ed alzassi gli occhi non vedresti niente, per questo ti ho portata quassù, da qui puoi vedere tutto.
Oltre le scie, che da laggiù tolgono la possibilità di osservare il cielo fin dove l’occhio umano può riuscire c’è tutto quello che stai osservando. Vedo che stai ricordando quello che ti è stato messo nell’Anima prima di tornare sul Pianeta, ebbene, ora parla tu, e se dovessi sbagliare qualcosa, ti correggerò.
La guardo e so che mi sta sorridendo anche se il suo viso così particolare non cambia mai espressione, ho imparato a leggere nel profondo dei suoi occhi solo perché è lei stessa che me lo permette, e perché sa chi sono.
Quello che vedo è spaventoso. Ci sono vari livelli e su ognuno c’è una guerra.
Sul livello più vicino alla Terra ci sono migliaia di macchine volanti di un metallo così grigio che la luce del sole fa vedere solo il loro scintillio. Si combattono da tempo immemorabile, mentre i Terrestri nemmeno se ne accorgono. Continenti contro altri continenti, uomini contro altri uomini, ognuno vuole superare l’altro per il possesso di beni e ricchezze e nessuno ancora è riuscito a sopraffare l’altro. Più gli anni passano e più queste macchine volanti diventano sempre più tecnologiche, più terribili e mentre loro combattono, i terrestri, ignari ne pagano le conseguenze con malattie, carestie, manipolazioni climatiche, terremoti, inquinamento…
A differenza di quello che succede sulla Terra, dove tutti combattono contro tutti, vedo armi che sulla Terra nessuno ha mai visto, solo gli addetti ai lavori e chi comanda il mondo ne è a conoscenza. Guerre sul Pianeta e Guerre sul primo livello vicino alla Terra.
Come può migliorare il Pianeta se è circondato da tanto Odio e Cattiveria? Come può l’Uomo comune fare qualcosa per migliorarlo?
Noi, persone che percepiamo anche il più piccolo soffio di piuma stiamo male e, finché non riusciamo a trovare un appiglio veniamo trascinate in un baratro dove non si può respirare. Dio! Quante volte ho invidiato la massa che non si accorge di niente e che continua senza pensieri la propria vita. Ma una cosa l’ho imparata, cara Emetiades, che prima o poi a tutti, la vita presenta il conto.
Non voglio uscire dal seminato, ma non posso nemmeno sottrarmi ai miei sentimenti, alle mie sensazioni che sono ancora molto Umane.
Osservo quel groviglio di lotte e di morte mentre il cuore mi lacrima sangue, non posso fare proprio niente per rimediare TUTTO E’ COME DEVE ESSERE fino a che l’Uomo Terrestre non avrà compreso il vero significato della Vita.
La mano di Emetiades mi risolleva il viso, devo smaltire il dolore che provo alla vista di tanta distruzione e mi immergo nel suo sguardo così limpido.
E’ inutile, Umana Aliena che tu continui a chiederti il perché di tutto questo, lo sai bene, ma ancora non lo hai accettato. Tu lo sai come sarà il futuro, così come sai quanto doloroso sarà arrivarci.
Non riesco a staccare gli occhi da quello che sta succedendo, sento la mano fredda di Emetiades che stringe la mia e sento la sua voce nella mia mente più dolce del solito e capisco.
Mentre la lotta fra quelle macchine volanti che riesco solo a intravedere continua, vedo arrivare, cinque grosse navi (non so nemmeno come definirle) e si posizionano ognuna dalla parte del proprio contendente. Ognuna di queste apre uno sportello e tutto si ferma, in attesa. E’ una sfida più grande delle solite. C’è una concentrazione che si taglia, ed io trattengo il fiato.
Devi guardare, Umana Aliena.
E’ una lotta psicologica fra ogni fazione in guerra, poi quasi contemporaneamente viene sganciata una piccolissima navicella e la lasciano cadere sulla Terra, e non è la prima volta che succede.
Osservo quelle navicelle che quasi galleggiano prima di raggiungere l’atmosfera terrestre, dove con una fiamma piccolissima si dissolvono e… il virus arriva sul Pianeta.
Tutti loro, a parole avevano garantito che non avrebbero mai usato armi batteriologiche, e tutti loro sapevano di mentire, infatti erano tutti pronti a distruggere l’Umanità per non cedere il posto a nessuno.
Ora capisci, Umana Aliena? E’ sempre la solita questione di potere e di essere più grande degli altri. Le persone che soffrono e muoiono sono solo effetti collaterali e a loro non interessa nulla. Cosa ne pensi?
Penso che tutti loro fossero d’accordo, che questa strage di esseri umani sia una strategia che hanno concordato da tempo, infatti, dalla loro azione contemporanea nello sganciare la navicella si capisce molto bene. Ora faranno finta di combattere il male che loro stessi hanno distribuito, faranno a gara a chi avrà più potere nel gestire la questione, maledetto “potere”.
E secondo te, quei capi di stato e grandi comandanti avrebbero progettato tutto questo?
Non loro, soltanto alcuni insieme ad altri che agiscono nell’ombra ma che sono molto potenti.
Tu lo sai, vero che possono porre fine alla pandemia quando vogliono?
Già, lo so, e questo mi rende il cuore tristissimo.
Senza aggiungere altro mi trasporta più in alto. Abbiamo sotto di noi vari livelli, dove guerre e battaglie si combattono con “armi” che proprio non conosco. Vedo che sono sempre di meno a combattere e aspetto una spiegazione.
Quello che vedi è un livello importante, sono rimaste due fazioni a combattersi e sono le peggiori. Nessuna di loro vuole desistere e diventa sempre più violenta e spietata. Hanno sopraffatto le altre ed ora è il loro duello finale: chi vincerà avrà il dominio completo sul Pianeta. E mentre qui si combattono fra di loro il Pianeta muore, perché è proprio là che si subiscono le conseguenze.
Mi accorgo di essere molto in alto e non capisco se sono in un altro universo o ancora a casa mia. Questi viaggi spesso mi confondono ma, alla fine risultano molto chiari.
Le due fazioni continuano a combattersi, non finirà ma questa atrocità?
Emetiades mi sorride con gli occhi.
Tranquilla, qui non può succederti nulla. Osserva e diffondi.
Flotte di navi aliene, che riconosco all’istante come casa mia sono immobili mentre altre più piccole sorvolano vari gruppi come a difenderli. Sono navicelle di esploratori che tornano dalle loro missioni e stanno trasmettendo ai loro capi.
Da tempo sono pronte ad intervenire per aiutare la Terra, e molte volte lo hanno fatto senza che nessuno (o pochi) se ne accorgessero. Osservano la lotta finale fra le due fazioni e aspettano.
Una cosa ricordo benissimo quando vivevo con loro: mi hanno raccontato una storia, la storia che avrei vissuto e che ora sto vivendo, e  mi hanno mostrato il finale.
Guardo Emetiades e aspetto di sapere se la posso raccontare e mi fa cenno di proseguire.
“C’era una volta un Pianeta bellissimo, che nel tempo ha subìto calamità e rinascite di ogni tipo, nessun umano le conosce tutte, ma il finale è sempre lo stesso: alla fine, anche dopo dolore, disperazione, morte, distruzione, catastrofi naturali, malattie, epidemie… ecco, alla fine il Male viene sempre sconfitto. Siccome siamo molto vicini alla sconfitta di quello che viene considerato il Male, ecco che prima di arrendersi vuole fare più stragi possibili. Non posso dire che non costerà caro, non è mai stato così, ogni guerra lascia milioni di cadaveri, ma questa volta molte fiammelle si alzano verso l’alto, dove i due contendenti stanno combattendo ancora e se riusciremo, con le nostre armi d’Amore a raggiungerli dimostrando di meritarci di vivere, le flotte aliene interverranno e ci daranno quell’aiuto che stanno aspettando di dare.”
Emetiades mi riprende per mano, mentre le sue dita si posano sui miei occhi. Mi parla nella sua lingua, è la benedizione del suo Popolo e dei Popoli Alieni che infonde su di me.
Fratelli Alieni, fratelli delle Stelle, è qui che si soffre, venite presto. E il silenzio di casa mia mi riaccoglie.


immagine dal web - diritti e proprietà riservati di Milena Ziletti

sabato 21 marzo 2020

KATRIN, LA SUA STORIA



KATRIN, LA SUA STORIA

finale





Quella sera, finito di cenare, mentre i gemelli giocavano davanti al fuoco, Katrin chiese a Liam di sedersi con lei.
Ti ho visto oggi con quella ragazzina, chi è? Gli chiese dolcemente.
Si chiama Alice, ci conosciamo da sempre. Le rispose timido.
Mi piacerebbe conoscerla, se piace a te deve essere una personcina davvero speciale. Gli disse sorridendo.
Anche Liam le sorrise.
Oggi ho visto Robin. Iniziò. E Liam si adombrò subito.
L’ho visto per caso e non ci siamo avvicinati, mi ha solo salutata con un cenno del capo. Questo mi ha fatto riflettere. Tu sai che ho promesso di dire sempre la verità, sia a te che ai miei figli, ma ora ho bisogno del tuo consiglio. Gli disse.
Non capisco, Kate, sono solo un ragazzo. Le rispose.
Tu sei il mio ragazzo, serio e che ci ama, per questo chiedo solo a te. Aggiunse.
Liam aspettava di conoscere il seguito e rimase in silenzio.
Presto Peter e Sally cominceranno a farmi le domande ed io non voglio mentire loro. Un padre ce l’hanno ed è giusto che lo sappiano e lo conoscano, per questo ho deciso di incontrarmi con Robin e ascoltarlo. Voglio farlo qui, in casa mia e voglio che tu sia presente, il tuo giudizio sarà molto importante per me, te la senti? Gli chiese speranzosa.
E’ una grande responsabilità che mi dai, Kate. Io non lo conosco e parto prevenuto, ti prometto che ascolterò cercando di essere giusto e imparziale ma, ti prego, segui il tuo cuore, quello non mente mai. Le rispose.
Katrin era meravigliata della saggezza di quel giovane uomo. E se lo facessimo già domani? Disse rimanendo in sospeso.
Rimasero in silenzio, ognuno aveva pensieri che martellavano nella testa ma erano assolutamente d’accordo che era una cosa da fare.
Vado da Marion e prendo accordi con sir Robin per domani a pranzo. Liam uscì di corsa prima di ripensarci.
Katrin trasse un lungo sospiro. Ora non si ritornava indietro, guardava i suoi figli giocare felici e sapeva, dentro di lei sapeva che avevano bisogno di una famiglia, ma lei, lei cosa voleva? Sospirò, lo avrebbe scoperto il giorno successivo.
Fu una mattinata piuttosto nervosa. Katrin aveva cucinato e Liam aveva preparato la tavola. I gemelli erano davanti al fuoco e giocavano sereni.
Sentirono i passi e poi bussare alla porta. Lo sguardo di Liam si soffermò sul viso di Katrin che gli fece un cenno e lui andò ad aprire.
Robin entrò e il suo sguardo fu prima catturato dal viso di sua moglie e poi si spostò sui gemelli che curiosi avevano alzato lo sguardo su di lui prima di riprendere a giocare.
Buon giorno, Katrin. Buon giorno Liam. Disse impacciato.
Katrin non riusciva a parlare, un nodo le stringeva la gola. Mai avrebbe immaginato che Robin sarebbe potuto essere lì, in quella casa, dopo tutto quel tempo.
Accomodati, è tutto pronto. Lo invitò. Chiamò i bambini e tutti insieme si misero a tavola. I gemelli erano gli unici a loro agio e sorridevano allo sconosciuto che non smetteva di guardarli.
Robin osservava la sua famiglia, per la prima volta riunita e aveva gli occhi lucidi dalla commozione. Avrebbe voluto abbracciare sua moglie, coccolare i suoi figli ma si trattenne con estrema fatica.
Mentre mangiavano soltanto i piccoli tenevano viva la casa. Robin non sapeva cosa fare, Liam non lo mollava con lo sguardo e Katrin stava sistemando i bambini per il sonnellino. Ci volle poco prima che tornasse e si sedesse.
Hai voluto vedermi, Katrin, e ti ringrazio. Le disse.
Tu mi conosci, Robin e sai come la penso. Niente nella mia vita può continuare nella menzogna, lo devo ai miei figli, per questo, per loro ho accettato di incontrarti. Ora, se vuoi, puoi spiegarti, noi ti ascoltiamo. Disse rivolgendosi anche a Liam.
Tu non conosci tutta la storia. Io sapevo da tempo che ti eri innamorata di me, me lo hai fatto capire in tanti modi, ma io non potevo ricambiare, tu eri Lady Katrin Semple Sheppard, ed io solo un soldato. Ero al soldo della Cerchia e tuo nonno, lord Sheppard era uno dei più influenti di loro. Aveva un piano che partiva già dalla tua nascita, e quando scoprì che non eri sua nipote fece in modo che non si venisse mai a sapere. Tu dovevi portare avanti i suoi piani. Aveva bisogno di te per avere gli eredi che servivano alla Cerchia e per questo era disposto a tutto. Quando si accorse del tuo interesse per me ne fu molto contrariato e mi mandò a chiamare. Mi disse chiaramente che non avrebbe mai approvato la nostra unione, a meno che non avessi obbedito alle richieste della Cerchia, che erano quelle che lui stesso aveva suggerito. Per questo fosti allontanata, per darmi modo di entrare nei ranghi che spettano ad un appartenente della Cerchia, e fu tuo nonno che si diede da fare per riuscirci. Che tu ci creda o no, tutto quello che ho fatto l’ho fatto solo per poterti sposare, per poter essere degno di Lady Katrin. Terminò sottovoce.
Potevi dirmelo quando ho scoperto la verità. Gli rispose.
E mi avresti creduto? Ormai avevo perso la tua fiducia e quel giorno, l’ultimo incontro che abbiamo avuto nel boschetto volevo parlartene ma ho capito che mi avresti odiato ancora di più, proprio perché non avresti creduto alla storia. Ho deciso allora di aspettare il momento giusto per chiarire ogni cosa ma tu sei scappata, ed io mi sono dannato a cercarti, perfino Alfred mi ha scacciato in malo modo, nessuno sapeva il motivo di quello che avevo fatto e non potevo dirlo a nessuno. Continuò.
Tu non sai quello che è successo quando quelli della Cerchia hanno scoperto la tua fuga e che nessuno riusciva a trovarti. Tuo nonno perse molto potere e divenne intrattabile con tutti, diede a me la colpa di tutto, di non essere stato capace di domarti, sì, disse proprio così: di domarti, quel vecchio non ti aveva mai conosciuta come me, io sapevo che nessuno lo poteva fare, che sei sempre stata uno spirito libero e testardo, hai messo a repentaglio la tua vita più di una volta là nella torre ma non ti saresti mai arresa. Abbiamo rischiato la vita, Alfred ed io per tirarti fuori, avevamo la certezza che non ne saresti usciva viva, non quella volta.Aggiunse.
Io avevo un accordo con lord Sheppard, quel bastardo che diceva di essere mio nonno e di amarmi: avrei avuto l’ultima parola sulla scelta di mio marito. Disse Katrin.
Robin sorrise tristemente. Posso capire che allora tu fossi una ragazza ingenua ma, alla luce di quello che ora conosci, pensi davvero che te lo avrebbe permesso? Tutto quello che ho fatto l’ho fatto solo per te, per il tuo bene, per il mio amore per te, perché sapevo, lasciamelo dire senza timore di sbagliare: soltanto io avrei potuto renderti felice. E alcune lacrime gli bagnarono le guance.
Liam non aveva perso una parola e sul volto di Katrin erano passati anni di ricordi e di emozioni che avrebbe preferito dimenticare, ma sapeva che Robin aveva ragione, suo nonno si era sempre servito di lei e non l’avrebbe mai lasciata libera, una volta che avesse avuto dei figli lei sarebbe stata sua prigioniera per sempre o le avrebbe tolto i figli.
Io ti amo, Katrin, ti amo davvero e con tutto me stesso. Da quando mi hai sfidato e non ti sei arresa ho capito che non eri una ragazza qualunque snob e viziata. Poi ho conosciuto la tua storia, molto prima che tu me la raccontassi, non per niente sono stato un soldato e una spia, e ho imparato ad amarti senza fartelo sapere o mi avrebbero allontanato, non rientrava nei loro piani il nostro amore. Confessò.
Allungò la mano sul tavolo e prese fra le sue quella di Katrin. Lei non la tolse mentre lacrime liberatorie le scendevano copiose. Liam si alzò per lasciarli soli ma Katrin gli fece cenno di restare.
E come puoi dire che ora siamo al sicuro? Gli chiese.
Perché ho fatto una cosa che non si aspettavano, e non hanno potuto rifiutare: ho rinunciato a tutti i beni e i possedimenti di lord Sheppard che erano passati a me, in cambio della nostra libertà. Ora non ho più niente tranne la mia spada, nemmeno il cavallo, e vivo di carità in casa di persone che nemmeno conosco, sono qui davanti a te solo col mio immenso amore. Le disse.
Il silenzio calò come il buio di una notte senza luna. Katrin alzò il viso a incontrare quello di Liam e vide che anche i suoi occhi erano lucidi. Le fece un piccolo cenno e li lasciò da soli.
Hai rischiato la vita per tornare qui. Gli disse.
Ho rischiato la mia inutile vita senza di voi, siete la mia famiglia e non sarebbe stata vita che potevo vivere. Le rispose.
Il pomeriggio era arrivato e quasi passato. Liam mise della legna sul fuoco, vestì i gemelli e uscì. Avevano bisogno di stare da soli e lui era felice perché aveva capito che Katrin avrebbe riunito la sua famiglia, che meritava di essere felice e lui di essere libero di lasciarla vivere per vivere lui stesso la propria vita senza rimorsi.
Poco lontano incontrò Marion che aspettava con aria pensosa. Va tutto bene, Marion. E sospirarono soddisfatti.
Non sarebbe stato facile ricominciare, dovevano ripartire da zero, dimenticare il passato e portare avanti soltanto il loro amore.
Posso abbracciarti, Katrin?
Lei si alzò e lui fece altrettanto. Quasi timidamente la prese fra le braccia e la strinse stretta sul suo cuore. Lasciò che si sfogasse in un pianto liberatorio e unì le sue lacrime a quelle di lei.
Ti prometto, Katrin, amore mio che non ci lasceremo più. Cercò la sua bocca e fu da quel bacio, che ripresero la loro vita, niente aveva più importanza se non il loro futuro.

FINE



immagine dal web - diritti e proprietà riservati di Milena Ziletti

venerdì 20 marzo 2020

KATRIN, LA SUA STORIA


KATRIN, LA SUA STORIA

parte centoventisette/ventotto






Katrin non riusciva a rimanere tranquilla.
Erano passati alcuni giorni e, come le aveva promesso di fare, Marion passava da lei ogni giorno per rassicurarla e metterla al corrente delle condizioni di Robin.
Non ti devi allarmare, bambina, ti ripeto che qui sei al sicuro, insieme ai tuoi figli, Liam sa cosa fare in caso di necessità. Robin ogni tanto si riprende ma non credo capisca dove si trova, delira e parla di cose che non permetto a nessuno di ascoltare. Il suo corpo non ha ancora ripreso tutte le funzioni e la febbre non lo ha ancora abbandonato. Ha rischiato molto per venire qui, lo sapeva ma non ci ha rinunciato, un motivo ci sarà. Le disse quel giorno.
Peter era salito in grembo a Marion, lei lo osservò con occhio critico e sorrise di cuore quando si rese conto che stava bene. Sally per non essere da meno si era appoggiata alle sue gambe e lei le accarezzava i capelli. Dio quanto amava quella famiglia!
Grazie Marion, per tutto quello che fai e per l’amore che non ci fai mancare, tu non sai quanto sia importante per me, per noi, e anche per Liam, il fratello grande di questa famiglia. Disse sorridendo al ragazzo che era seduto con loro.
Marion rimase ancora qualche minuto prima di ritornare a casa, non voleva lasciare troppo solo Robin e, soprattutto non voleva che le donne che la stavano aiutando potessero ascoltare i suoi deliri. In quei deliri lei era riuscita a capire tante cose, si era fatta un’idea quasi esatta di quello che era successo e, prima o poi doveva conoscerlo anche Kate.
Era iniziato novembre e, finalmente a Robin era scesa la febbre. Aveva momenti prolungati di lucidità e aveva cominciato a fare qualche domanda a Marion.
Era molto debole e ogni giorno Fiona veniva per fargli fare esercizi alle gambe che ancora non rispondevano del tutto. Le due donne non ne avevano ancora parlato ma avevano il timore che non potesse più camminare.
Robin era seduto sul letto appoggiato a numerosi cuscini, Marion gli aveva portato del cibo e si era seduta per fargli compagnia mentre mangiava. Era pallido, con i capelli e la barba in disordine, soltanto gli occhi mostravano una certa vivacità. Posò il piatto e chiuse gli occhi. Marion si alzò per uscire e lasciarlo riposare.
Per favore, non se ne vada, la prego, non conosco nemmeno il suo nome ma sono sicuro che conosce il mio e sa chi sono. Le disse.
Lei si sedette vicino al letto. Mi chiamo Marion e sono la moglie del capo di questo villaggio, sono la madrina dei suoi figli e amo Kate come se fosse mia figlia. Chiarì.
Lei sa che sono qui? Chiese ben sapendo la risposta.
Certo che lo sa, e voleva scappare sotto la bufera di neve e ghiaccio; deve averle fatto molto male, sir Robin, non l’ho mai vista così spaventata. Gli rispose.
Non deve più avere paura, ho sistemato la questione e nessuno più la cerca o le vuole fare del male. E raccontò quello che aveva fatto. Può informarla di questo per me? Le chiese.
No, sir Robin, non lo farò. Lo farà direttamente a lei, se e quando lei stessa lo vorrà. Io la sto aiutando a rimettersi in piedi ma ho bisogno della sua parola d’onore. E si soffermò ad osservare gli occhi dell’uomo, voleva essere ben certa che capisse quello che le stava dicendo. Lei qui è un ospite indesiderato, basterebbe una parola mia o di mio marito e non avrebbe nessuno dalla sua parte. Qui tutti amano Kate e i gemelli, si è guadagnata la nostra lealtà e la nostra riconoscenza in questi anni, di lei, sir Robin sappiamo solo che l’ha fatta talmente soffrire da indurla a scappare mettendo a rischio la sua stessa vita pur di riuscirci. Lei mi deve giurare, e dico giurare che non la cercherà, che non tenterà di parlarle o di interagire coi gemelli o io la lascerò morire qui, in questo letto, senza rimorsi. E se lo facesse senza il suo consenso sarà Liam a intervenire e lei non può nemmeno immaginare cosa quel ragazzo può fare per Kate e i gemelli. Ha capito bene, sir Robin? Ribadì di nuovo.
A Robin scesero alcune lacrime che si asciugò subito. Doveva essere la debolezza a fargli quello scherzo. Ho capito, miss Marion. Ho capito che mi dà la possibilità di rimanere e di dimostrare la verità di quello che le ho confessato. So di non poter pretendere altro, ma le giuro che riunirò la mia famiglia e che non forzerò Katrin, ho avuto pazienza per tanti anni prima di poterla sposare e stia sicura che non mi arrendo ora. Starò alle sue regole, le capisco e le accetto. Ha la mia parola d’onore che rispetterò i patti, e le sono riconoscente per tutto quello che sta facendo per me. Le rispose.
Bene, allora cerchi di impegnarsi di più se vuole rimettersi in piedi, qui nessuno è a sua disposizione. E uscì senza voltarsi.
Robin rimase a lungo a pensare alle parole di Marion. Scostò le coperte e cercò di scendere dal letto ma, quando aiutandosi con le braccia riuscì a mettere i piedi in terra cadde come un sacco di patate.
Marion sentì il rumore ma non intervenne. Se davvero voleva essere il marito di Kate e il padre dei gemelli che cominciasse a soffrire e impegnarsi.
I rumori della sua stanza giungevano nitidi fino in cucina, così come gli improperi che lanciava l’uomo che, sudato e spossato era riuscito a rimettersi a letto. Si battè i pugni sulle cosce imprecando ma non riuscì a mettersi in piedi.
Si appoggiò ai cuscini sfinito. Rimase immobile solo pochi minuti e poi, deciso rimise con molta fatica le gambe giù dal letto e di nuovo cadde ma nessuno andò in suo aiuto. Andò avanti per ore, era in un bagno di sudore quando Marion gli portò la cena, ma non disse niente e uscì con un sorriso strano sulle labbra.
Forza, ragazzo. Pensò.



Passò anche novembre. Robin si impegnò e, finalmente potè uscire dalla sua stanza e unirsi ai suoi ospiti per i pasti.
Non parlavano molto, Marcus era molto sospettoso e, se non fosse stato per sua moglie quel forestiero lo avrebbe rimandato indietro senza indugio ancora appena arrivato.
Dicembre era come tutti gli anni in quel villaggio e per Robin era una cosa nuova. Osservava fuori, imparava anche le usanze che Marion buttava là nei discorsi che facevano. Lei imparava a conoscerlo meglio e lui avrebbe voluto fare qualcosa.
Dovette passare tutto il mese di dicembre prima che Robin riprendesse quasi completamente le forze. Ora, rimanere inattivo lo logorava, avrebbe voluto fare qualcosa e lo chiese quella sera mentre erano a tavola.
Mi piacerebbe rendermi utile, sono stanco di questa inattività. C’è qualcosa che posso fare? Chiese a Marcus.
E di grazia, sir Robin che cos’è che sa fare che ci sia utile? Gli rispose sarcastico. Marion gli rifilò un calcio da sotto il tavolo ed intervenne. In questo periodo non c’è molto da fare ma un aiuto alla cura degli animali è sempre gradito. Lei ne è capace? Gli chiese.
Non l’ho mai fatto, so solo curare i cavalli ma per il resto sono pronto ad imparare. Le rispose convinto.
Va bene, sir Robin, domani mattina l’accompagnerò al ricovero delle capre e delle pecore, aiuterà a mungere e curare questi animali che ci sostengono da sempre. Ci penso io a svegliarla presto, ora vada pure a riposare. Gli disse.
Iniziò così la sua nuova vita. Al principio fu trattato con distacco e prudenza, tutti sapevano chi era ed erano diffidenti, ma Marion li aveva istruiti e loro non mettevano in discussione i suoi ordini.
Katrin era al corrente, Marion le aveva promesso che non le avrebbe tenuto nascosto niente e, come sempre manteneva la parola data.
Bambina, non vuoi incontrarlo? Sei sicura di non volergli parlare? Potrebbe spiegarti per quale motivo è venuto fin qui da solo, dovresti dargli una possibilità. Le chiedeva spesso.
Katrin osservava i suoi figli e, ogni volta il suo cuore mancava qualche battito, ancora non si fidava e temeva il momento in cui il passo fosse stato libero.
Quest’anno non andrò con gli itineranti, nemmeno Marcus, siamo troppo vecchi per meritarci la paga, guiderà la carovana Stephen e sua moglie, saranno bravi capi, in attesa che qualcun altro di mia conoscenza diventi più grande e ne prenda il posto. Disse ammiccando verso Liam.
Il ragazzo le sorrise ma non rispose, lui non avrebbe abbandonato Kate, le aveva dato la sua parola che potevano partire in primavera.
Katrin fu felice di sapere che i suoi amici sarebbero rimasti. A Marion non sfuggì che arco, frecce e spada erano ancora lì, pronti per ogni evenienza.
Ogni giorno, Robin sperava di vedere Katrin almeno da lontano, ma lei non venne mai a prendere il latte o il formaggio. Era sempre Liam che, silenzioso si presentava, ritirava quello che gli serviva e se ne andava senza dire nemmeno una parola.
Era la fine di gennaio e Robin, mentre consegnava il formaggio a Liam, alzò su di lui lo sguardo e prese coraggio. Come stanno mia moglie e i miei figli? Gli chiese. Liam non se l’aspettava e rimase senza risposta, alla fine gli disse soltanto stavano meglio prima che lei arrivasse qui. E se ne andò.
L’inverno era nel pieno, era iniziato febbraio e la neve cadeva da una settimana senza sosta. Molti uomini erano impegnati a pulire i sentieri e fra loro c’era anche Robin. Fece il possibile per avvicinarsi alla casa di Katrin me il capo dei lavori lo raggiunse e lo riportò sul sentiero. Tutti sapevano che doveva stare alla larga da Katrin e i gemelli.
Fu il caso che li fece incontrare. Era metà febbraio e il cielo si era rasserenato. Lo spettacolo dei monti imbiancati che circondavano il villaggio era sempre un incanto e Katrin aveva portato fuori i gemelli per parlare loro di quanto fosse bella la natura anche in quel frangente.
Li teneva per mano e canticchiava con loro una canzoncina che avevano imparato, una filastrocca che raccontava i nomi dei monti, delle valli, dei fiumi e delle fate che li abitavano. I bambini erano allegri e si meravigliarono quando la loro madre si interruppe di colpo.
Robin stava portando alcuni contenitori di latte a quelle famiglie che non potevano andare a prenderlo.
Katrin si fermò ad osservarlo e lui se ne accorse. Si bloccò col secchiello del latte in mano.
Stava per fare un passo verso di loro ma si bloccò, aveva una promessa da mantenere e non voleva rischiare di essere rimandato via. Fece un cenno con la testa ed entrò nella casa.
Katrin riprese a canticchiare e cambiò strada.
I gemelli avevano quasi tre anni ed era quasi impossibile continuare a tenerli all’oscuro di tutto. Aveva anche lei una promessa da mantenere a se stessa, quella che avrebbe sempre detto la verità ai suoi figli ed era ora di cominciare a pensare a come fare.
Mentre passeggiavano intravidero Liam che parlava con una ragazzina. Era impossibile, anche a quella distanza non notare lo sguardo innamorato dei due. Un sorriso le scaldò il cuore, Liam aveva quasi quindici anni ed era un bel ragazzo, forse troppo serio e la ragazza che ne avrebbe conquistato il cuore sarebbe stata molto fortunata.
Rientrò mentre il vento si era levato e ululava la sua canzone.



immagine dal web - diritti e proprietà riservati di Milena Ziletti 

giovedì 19 marzo 2020

KATRIN, LA SUA STORIA


KATRIN, LA SUA STORIA

parte centoventicinque/ventisei






Erano passati solo due giorni dal ritorno degli itineranti. Era solo metà settembre ma l’aria era già gelida e sui picchi delle montagne che circondavano il villaggio si vedeva la neve aumentare giorno dopo giorno.
Liam e Katrin stavano cenando con i bambini. Quando i piccoli furono a letto Katrin si sedette accanto a Liam e gli prese la mano. Dobbiamo parlare.
Liam attese che lei continuasse. Ho deciso di partire fra due o tre giorni, ho bisogno di sapere se sei sempre dell’idea di venire con noi. Gli chiese, e lui assentì. Puoi procurare un carro, un cavallo e cibo per l’animale? Il ragazzo assentì di nuovo. Al resto penso io, da giorni ho iniziato a preparare cibo da portare con noi e abiti e coperte pesanti, se tu ce la fai possiamo partire fra due giorni, prima che il passo sia impraticabile. Lo mise al corrente.
E dove andremo, Kate? Volle sapere.
Da amici, da chi mi è sempre stato amico. Rispose.
Liam sapeva che non sarebbe riuscito a farla desistere, e non l’avrebbe mai fatta partire da sola. Due giorni da oggi e saremo pronti.
Raggiunsero ognuno la propria camera cercando di prendere sonno.
Il giorno seguente Liam si procurò quello che Katrin gli aveva chiesto, era stato facile, aveva detto che doveva correre da suo padre e il ragazzo che ben conosceva non aveva fatto storie.
Mancava solo un giorno alla partenza. Marion si era accorta di ogni cosa, provava una grande tristezza ma sapeva di non poter fare nulla per trattenerla.
Passò da loro e giocò un po’ coi gemelli, abbracciò Katrin e tornò a casa, aveva capito che non l’avrebbe più rivista.
La sera calò gelida come poche volte era successo in settembre, avevano davanti ancora un solo giorno e all’alba successiva sarebbero partiti, era tutto pronto.
Katrin si rigirava nel letto, stava passando in rassegna tutti i preparativi e cercava di capire se poteva fare altro. Piena di pensieri, alla fine si addormentò.
Le sembrava di aver appena chiuso gli occhi quando sentì Liam che la strattonava delicatamente. Kate, Kate, svegliati. Peter sta male, devi venire subito. Le disse il ragazzo.
Lei balzò fuori dal letto e corse nell’altra cameretta. Si accorse subito del respiro affannoso di Peter, gli posò la mano sulla fronte ed era bollente. Lanciò uno sguardo a Sally che dormiva tranquilla.
Riaccendi il fuoco, Liam, io porto Peter sul tavolo. Prese coperte e cuscino e depose il suo bambino sul tavolo mentre le fiamme del camino riscaldavano l’ambiente. Si fece portare una pezzuola e una bacinella d’acqua e cominciò a passarla sulla fronte del suo bimbo mentre gli parlava dolcemente.
Il respiro si faceva sempre più affannoso e a volte sembrava fermarsi. Katrin era molto spaventata. Liam, copriti bene e corri a chiamare Fiona, fa presto ti prego!
Il ragazzo corse fuori nella notte fredda e raggiunse di corsa la casa di Fiona. La guaritrice era avvezza ad essere chiamata a tutte le ore e, in men che non si dica fu di ritorno con la sua cesta di medicine.
Fiona si accorse subito che il bambino era grave, il respiro si faceva sempre più lento, più flebile e lei capì subito che dipendeva dai polmoni.
Denudò il piccolo e cominciò a frizionargli il petto con unguenti dall’odore terribile, diede vari ordini a Katrin e Liam, bisognava agire in fretta. Il corpicino di Peter grondava sudore, era rosso dalla febbre e non riusciva nemmeno ad aprire gli occhi.
La porta si aprì e Marion entrò senza nemmeno bussare. Cosa succede? Ho sentito i tuoi passi, Fiona. Si avvicinò al tavolo e vide il corpo nudo di Peter che passava dal sudore ai brividi mentre Fiona cercava di nascondere la sua preoccupazione. Marion prepara l’infuso giallo, subito! A Marion venne la pelle d’oca ma obbedì all’istante. Mise a bollire dell’acqua sul fuoco e aggiunse una polvere gialla. In pochi istanti in tutta la casa aleggiò un odore orribile. Fiona prese in braccio Peter ancora incosciente e lo portò vicino al fuoco, dove l’essenza dell’infuso era più forte. Katrin aveva gli occhi sbarrati mentre osservava Marion che con mani delicate massaggiava il corpo di suo figlio mentre Fiona lo aiutava a respirare con delicate ma decise manovre sul suo torace. Le due donne continuarono per ore, e fuori il sole era spuntato su una splendida giornata fredda e limpida.
Sally si era svegliata e Liam andò da lei.
Katrin non riusciva a muoversi tanto era spaventata. Poi accadde il miracolo, Peter cominciò a tossire e a vomitare muco e catarro giallo come era l’acqua dell’infuso. Lo girarono su un fianco e Fiona riprese a massaggiarlo mentre Marion gli teneva la testa. Fino a quel momento nessun aveva detto una parola, tanto erano impegnate a salvare la vita a Peter.
Marion si accorse che la fronte del piccolo iniziava ad essere meno bollente. Va meglio ora, Kate, decisamente meglio. Ci volle ancora parecchio prima che Peter smettesse di tossire e il suo respiro si facesse più normale. Rivesti tuo figlio, Kate e tienilo al caldo, dormirà parecchio, ma quando si risveglierà starà meglio.
Katrin prese suo figlio e lo baciò delicatamente.
Le due donne erano sfinite, non si erano dette molto ma ognuna sapeva che il bambino stava morendo e solo la capacità di Fiona e la sua competenza con l’aiuto di Marion erano riuscite in quello che potevano chiamare miracolo.
Si sedettero al tavolo e Sally sorrise alle due donne che, stancamente ricambiarono. Liam aveva pronto il tè e fette di pane con marmellata che Fiona e Marion mangiarono avidamente.
Katrin le raggiunse, era stravolta. Peter dormiva finalmente tranquillo.
Io ripasso più tardi. Disse Fiona e Katrin l’abbracciò stretta prima che se ne andasse.
Marion rimase ancora e si guardò in giro. Vai da qualche parte, Katrin? Le chiese.
Non al momento, Marion, non al momento. Le rispose.
Vedo che hai parecchie pagnotte pronte, ne prendo qualcuna prima che si irrancidiscano, anch’io passerò più tardi, bambina, riposa anche tu, sei stravolta. Le disse accarezzandola.
Grazie Marion, grazie di tutto. E scoppiò a piangere.



Sally salì in grembo a sua madre che la coccolò come faceva ogni mattina. Liam le porse una tazza di tè e si sedette accanto a lei.
Vai a riposare, Kate, sei stravolta, penso io a Sally e tengo d’occhio Peter, ti chiamo se succede qualcosa, qualsiasi cosa. Le disse.
Lei alzò su di lui il viso inondato di lacrime. Ti rendi conto, Liam, che ho rischiato di perdere mio figlio? E se fosse successo domani, mentre eravamo in viaggio? Oddio non posso pensarci. E ricominciò a singhiozzare.
Liam le prese la mano. E’ tutto finito, ed è finito bene, Peter si riprenderà e noi abbiamo solo rimandato il viaggio, lo faremo con la bella stagione. Per ora possiamo stare tranquilli, fra pochi giorni nessuno potrà oltrepassare il passo.
Katrin si alzò stancamente, non si era accorta di quanto fosse stravolta, si buttò sul letto e si addormentò senza nemmeno rendersene conto.
Fiona e Marion arrivarono insieme a controllare Peter e furono davvero felici di vedere che il piccolo stava meglio. Ci sarebbero voluti tempo e cure ma il peggio era passato.
Fiona se ne andò presto, aveva altri ammalati da visitare, Marion rimase a giocare un po’ con Sally e furono raggiunte da Katrin.
Grazie Marion, senza di voi non so cosa sarebbe successo. Avete salvato la vita del mio bambino ed io ve ne sarò per sempre grata. Le disse con gli occhi ancora gonfi di lacrime e di stanchezza.
Bambina, tu hai salvato il nostro villaggio, noi ti abbiamo reso una parte di quello che hai fatto. Abbi fiducia in noi, Kate, qui nessuno potrà farvi del male, te lo prometto. Le rispose con uno stanco sorriso.
I giorni ripresero il loro ritmo e settembre passò con un freddo e gelido vento che non permetteva alla neve o alla pioggia di cadere.
Ottobre si presentò uguale a settembre: freddo gelido e nessuna precipitazione. Parecchie persone si erano rotte gambe o braccia cadendo sul terreno duro e viscido e Fiona non aveva un attimo di respiro.
Katrin osservava i suoi figli e ringrazia Dio di aver salvato il suo bambino.
A metà ottobre, finalmente la neve cominciò ad imbiancare tutto. Il vento non si era placato ed era una bufera di fiocchi di neve gelati. Molti bambini erano fuori a giocare e lei, con i gemelli stavano alla finestra a guardarli.
Lo sguardo di Katrin fu catturato da un bambino che segnava col dito verso il sentiero che arrivava dal passo. Spinse anche lei lo sguardo in quella direzione e intravide un cavallo che arrivava zoppicando.
Alcuni abitanti erano già stati avvisati e andarono incontro a chiunque fosse quel disperato che aveva superato il passo.
Un brivido attraversò tutto il corpo di Katrin. Non riusciva a staccare gli occhi dal sentiero, aspettando di vedere altri cavalli arrivare. Liam era corso fuori e lei aveva sistemato arco e frecce a portata di mano. Nessun altro cavallo seguiva il solitario cavaliere e lei cercò di rilassarsi.
Alcuni uomini avevano guidato il cavallo al villaggio, il cavaliere era svenuto e legato all’animale, privo sensi e quasi assiderato.
Portatelo da me. Ordinò Marion. E chiamate Fiona.
L’uomo era privo di sensi, talmente assiderato che rischiava di perdere un arto. Fiona arrivò di corsa e si diede immediatamente da fare. Rimase ore a massaggiare e cercare di fargli inghiottire dei medicinali. Quando non ci fu altro da fare ma solo aspettare che si svegliasse, Fiona potè finalmente raggiungere Marion in cucina e godersi del tè caldo con un pezzo di torta.
Tu sai chi è quel forestiero? Chiese la forestiera.
Ho un vago sospetto. Le rispose Marion.
Entra, Liam. Chiamò la padrona di casa.
Il ragazzo si avvicinò al letto e osservò l’uomo che ancora dormiva. Lo guardò a lungo ma lo aveva riconosciuto subito.
Sì, Marion. E’ Robin, il marito di Kate. Devo andare ad avvisarla. Ripose il ragazzo.
Ci penso io, Liam. Da qui tanto non si muove e non si muoverà per parecchio tempo, sempre che si riprenda. Rimani qui, torno presto. Gli disse prima di uscire.
Il crepuscolo era sceso veloce come accadeva in quel villaggio nella stagione fredda. Marion raggiunse la casa di Katrin, bussò ed entrò. Vide subito l’arco e le frecce pronte all’uso, e cercò di sorriderle per tranquillizzarla.
Si sedette con lei e, dopo aver abbracciato i gemelli le disse soltanto è lui.
Katrin scattò in piedi come una molla. Devo andarmene, Marion, non possiamo restare, se arrivano anche gli altri non potrò salvare i miei figli. Tremava dall’ansia.
Non arriverà nessuno fino alla prossima primavera, non so come abbia fatto ad oltrepassare il passo. E’ vero che ha nevicato di meno ma il ghiaccio era terribile, abbiamo dovuto far abbattere il cavallo tanto era stremato e con una zampa ridotta troppo male per essere curata. Lui è incosciente e non so quando si riprenderà, ha rischiato di morire assiderato, è stato fortunato ad affidarsi all’istinto dell’animale, lui era privo di sensi da ore quando lo abbiamo slegato dalla sella. Stai tranquilla, Kate, io non permetterò niente che tu stessa non voglia, hai la mia parola e quella di tutto il villaggio. La rassicurò.



immagine dal web - diritti e proprietà riservati di Milena Ziletti

martedì 17 marzo 2020

KATRIN, LA SUA STORIA


KATRIN, LA SUA STORIA

parte centoventiquattro






Le giornate ripresero il solito ritmo. Katrin dava lezioni ai ragazzi e si meravigliava di quanto fossero svegli e intelligenti.
Anche le lezioni di scherma con Liam erano uno spasso per tutti; tutto sembrava procedere nel solco della loro semplice vita.
A Liam non era sfuggito che l’arco, le frecce e la spada non erano state rimesse via, erano lì, vicino alla porta, pronte all’uso in ogni momento, così come non gli era sfuggito lo sguardo fisso verso il sentiero che portava al passo che più volte al giorno Katrin lanciava in quella direzione.
Passò giugno, luglio e anche agosto. Era stata una stagione proficua, i raccolti erano stati abbondanti, tutto era stato messo nel grande magazzino, e ogni singolo abitante aspettava con ansia il ritorno della carovana di Marcus e Marion.
Anche il ventiduesimo compleanno di Katrin era passato. Lei era felice coi suoi bambini e con Liam che non era più tornato sull’argomento “Robin” ma lei si era accorta che si era fatto più premuroso coi gemelli e con lei.
Il fatto che nessuno fosse arrivato al villaggio dopo la visita di Robin avrebbe dovuto tranquillizzarla, ma così non era, sapeva che lui non avrebbe lasciato perdere ed era meravigliata che se ne fosse andato così facilmente, senza nemmeno voler conoscere i nomi dei suoi figli, questo la rendeva ogni giorno più nervosa. Il suo bel viso si era assottigliato e il suo sguardo, quando non era posato sui suoi figli cambiava e diventava triste, quasi spaventato. Liam sapeva che Katrin stava pensando al peggio, e non sapeva come aiutarla.
Mancavano pochi giorni al ritorno degli itineranti, il fresco già si faceva sentire e tutti dicevano che si preannunciava un inverno molto rigido.
La casa era silenziosa e il camino era già acceso, fuori il buio era sceso e il vento faceva vibrare gli alberi che avevano ormai perso tutte le foglie. Liam osservava Katrin che, dopo aver messo a letto i gemelli stava sistemando un ciocco sul fuoco e le si avvicinò. Le posò una mano sulla spalla e la costrinse a guardarlo. Lei si asciugò le lacrime e diede colpa al fumo che si era sprigionato.
Tu te ne vuoi andare, vero Kate? Le chiese. Ci hai pensato in tutti questi mesi, io l’ho capito, vuoi fuggire ancora ma, stavolta non sai proprio dove andare. Aggiunse.
Qui non sono più al sicuro, Liam, e non voglio mettere in pericolo nessuno di voi. Devo andarmene per forza, devo farlo. Gli rispose dando libero sfogo alle lacrime.
Liam l’abbracciò e la tenne stretta. Io verrò con voi, ovunque andiate io verrò con voi. Le sussurrò fra i capelli.
Non dire niente a nessuno, Liam. Gli rispose soltanto.
E finalmente il giorno del ritorno degli itineranti arrivò fra canti e felicità per tutti. Il carro di Marion e Marcus apriva la colonna e raggiunse per primo la piazza. Marion salutò tutti e corse da Katrin e dai gemelli. Non le sfuggì lo sguardo triste e il viso smunto della donna ma non disse niente. Prese in braccio Peter e Sally e li ricoprì di baci, dando ad ognuno di loro un giocattolo che aveva portato.
Ora vado, Kate, la mia gente mi aspetta, ma domani mattina sarò da voi a colazione. Le disse senza aggiungere altro.
Marion si è accorta che qualcosa non va. Disse Liam. Cosa le dirai domani mattina?
La verità, solo la verità, almeno in parte. Gli rispose tornando verso casa.
Il sole era spuntato da poco quando i passi di Marion si sentirono prima che lei bussasse. I gemelli le corsero incontro e lei li coccolò mentre Katrin e Liam preparavano la colazione per tutti.
Mangiarono e i bambini tennero tutti allegri, ma lo sguardo di Marion non lasciava il viso di Katrin. I piccoli si sedettero coi loro giochi e i tre rimasero seduti al tavolo.
Come suo solito, Marion andò dritta al punto. Cosa è successo, Kate? Chiese soltanto.
Mio marito mi ha trovata. Le rispose.
E’ stato qui? E come è potuto succedere? Le chiese esterrefatta.
La mise al corrente senza tralasciare niente, anche se c’era poco da dire.
Tu qui sei al sicuro, ti cambieremo posto e ti assegneremo una casa nascosta fra tante altre, qui sei troppo isolata… stava continuando quando Katrin la bloccò.
Potresti anche nasconderci nei sacchi di farina ma non servirebbe, quello è un uomo potente e potrebbe farvi del male pur di ottenere il suo scopo, ed io questo non lo posso permettere. Le rispose.
Non può essere così cattivo l’uomo che hai amato, sei sua moglie e loro i suoi figli, perché vorrebbe farvi del male? Le chiese incredula.
Per raggiungere lo scopo per il quale mi ha sposata: portarmi via i miei figli. Le rispose guardandola dritta in faccia.
Marion rimase pensierosa, in silenzio a lungo, proprio non si capacitava che il padre dei gemelli, il marito di quella splendida donna potesse fare loro del male.
E che intenzioni hai? Le chiese spaventata.
Un giorno ti sveglierai e noi saremo spariti, un’altra volta dovrò sparire. Non posso rimanere qui, per il vostro bene. Le disse con tutta la convinzione che riusciva a provare.
Tu non farai niente di simile!
Nessuno piò fermarmi, Marion, nessuno.
Lo sguardo di Marion passò al viso di Liam ma lui non abbassò il suo, e lei capì che qualcosa già bolliva in pentola.
Lasciami parlare con Marcus, lascia che proviamo ad aiutarti. Le disse con le lacrime agli occhi, ma già sapeva che aveva perso, Katrin aveva già deciso.


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