mercoledì 25 marzo 2020

IO SONO BAMBINO!


IO SONO BAMBINO!




E’ un giorno come tanti, a casa mia fa sempre caldo e c’è molta polvere. Mia mamma è seduta in terra con la schiena appoggiata al muro e mi tiene fra le braccia. Mi accarezza e mi sorride, io non ho mai visto niente di più bello. Sono piccolo, avrò tre o quattro anni, non lo so. Ha una voce dolcissima quando mi canta la ninna nanna ed io sono felice, anche ora mi guarda, e canta qualcosa che quando sarò più grande capirò.
Si blocca di colpo e guarda un gruppo di quattro uomini che si avvicinano e mi accorgo che il suo sguardo è diverso, spaventato. Mi stringe forte e non mi permette di guardare quello che succede. Sento le sue braccia che quasi mi soffocano.
Due di quegli uomini mi strappano dal suo abbraccio e mi metto ad urlare e a piangere, non posso stare senza il suo amore così caldo che mi accompagna in ogni momento.
Urlo e allungo le braccia verso di lei, ma gli altri due uomini la tengono ferma e anche lei allunga le braccia verso di me, ma non riusciamo nemmeno a sfiorarci.
Uno schiaffo mi toglie il fiato e mi ammutolisco, lascio che il mio dolore mi esca solo dagli occhi e bagno il terreno con le mie lacrime.
Sento le sue urla mentre quegli uomini grandi e grossi le strappano i vestiti ed io, atterrito osservo quello che non capisco. Lei se ne accorge e smette di urlare, i suoi occhi sono fissi su di me mentre quelli si abbassano i pantaloni e la stuprano uno alla volta. Lei non fa un fiato ed io nemmeno. Uno di loro torna e mi prende per un braccio, mi carica su una grossa automobile ed io mi appiccico al vetro del finestrino, voglio la mia mamma e continuo a piangere silenzioso. Uno sparo e poi, tutti salgono sull’auto che parte.
Sento risa e volgarità uscire dalle loro bocche e rimango in silenzio, col cuore che mi martella nel petto.
Arriviamo in un posto che non conosco e mi affidano ad una donna e le lasciano delle istruzioni. Lei mi prende per mano e non dice una parola.
Rimango con lei alcuni giorni, mi nutre, mi lava, e un giorno mi veste con un bel vestitino. Io non ho ancora detto una parola, sembra che la mia voce sia sparita con lo sparo che ho sentito e che risento ogni notte mentre dormo.
La donna mi prende per mano e, per la prima volta ha un gesto gentile, mi accarezza i capelli e mi consegna ad un uomo.
Faccio un viaggio lungo ma mi trattano bene. Sono salito su una nave, c’era tanta acqua intorno, io non ne ho mai vista, ed ho perfino volato, ma non so come è andata, mi sentivo sempre assonnato.
Mi ritrovo su un’auto insieme a tre sconosciuti ed è come se non esistessi, nessuno mi parla. Mi torna in mente la mia mamma, il suo sguardo mentre mi portavano via e il suo sorriso mentre quegli uomini la circondavano. Mai più nessuno mi amerà come lei, di questo sono sicuro e sento il mio piccolo cuore che batte come se avessi rincorso una pantera.
Seguo quegli uomini e non capisco dove sono. Una grande e bella casa, io non ho mai visto niente di simile e il campanello suona.
“Ho portato il suo giocattolo.” Dice uno di loro mentre ritira una busta. “Può farne ciò che vuole, vengo a riprenderlo fra tre settimane.” E se ne vanno.
Un uomo mi prende per mano, la mia manina così nera spicca sulla sua così bianca. Mi parla con gentilezza ma io non capisco. Mi porta in una stanza che è grande per me che sono così piccolo.
Molto di quello che scrivo l’ho capito dopo, ma la storia è questa.
“Sei proprio un bel bambino.” Mi dice mentre mi accarezza e mi spoglia. Io mi sento un pezzo di legno mentre un ago mi punge il braccio.
La mia mente comincia ad offuscarsi ma mi accorgo di ogni cosa che succede. L’uomo si spoglia completamente nudo e comincia a toccarmi su tutto il corpo, mi osserva con occhi sgranati.
“Il mio giocattolo” ripete spesso. Io osservo e non capisco fino a che, sento un gran bruciore sul torace e vorrei urlare ma non ci riesco. Lo sconosciuto si diverte a spegnere la sigaretta sul mio corpo per poi asciugarmi le lacrime con la lingua, lingua che sento su tutto il corpo e non posso nemmeno irrigidirmi tanto sono frastornato.
Quella è stata solo la prima volta, poi sono arrivati altri uomini ed io sono stato il giocattolo di tutti loro. Bevevano, ridevano, mi stupravano, mi bruciavano tutto il corpo e si divertivano a vedermi soffrire, ed io non potevo nemmeno piangere.
“Da dove arriva il tuo giocattolo?” sento dire. Ma io, che non ricordo nemmeno come mi chiamo vorrei rispondere “io sono Bambino”. Non riesco a fare altro che piangere e soffrire, e le mie lacrime a questi uomini piacciono molto.
Ogni tanto mi danno da mangiare, da bere, e sento l’ago che mi punge spesso il braccio. Amo questi aghi perché per un po’ non sento niente intorno a me.
Devono essere passate le tre settimane, perché l’uomo che mi ha portato qui è venuto a riprendermi.
Mi osserva ma non dice una parola, ha ritirato un’altra busta e mi porta via.
Io penso che deve essere tutto finito, e lo sarà di lì a poco, ma non come speravo.
Arrivo in un posto sconosciuto e mi devono portare in braccio, io non riesco a camminare.
Mi stendono su un lettino e un uomo vestito di bianco comincia a visitarmi. “Cosa mi avete portato? Lo hanno praticamente squarciato, speriamo che ci sia qualcosa da recuperare.” E un altro ago mi porta in un mondo dal quale non tornerò.
Mi tolgono i reni, il fegato, e altre cose che non conosco, e il mio cuoricino batte ancora, anche se più lento e stanco. Mi squarciano completamente il petto e mi tolgono anche il cuore. Ed io non esisto più.
“Io sono Bambino, uno dei tanti. Non ci credete? O fate finta che non sia esistito?”



immagine dal web - diritti e proprietà riservati di Milena Ziletti

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