venerdì 21 agosto 2020

SALUTI E A PRESTO

CARI AMICI LETTORI E LETTRICI

sono davvero molto felice della vostra attenzione ai miei scritti,
siete passati dal mio blog da molti parti del mondo e, questo per me, è motivo di orgoglio.
Sono una semplice casalinga di campagna con la passione per la scrittura e, come ogni scrittrice (anche la meno famosa) trova soddisfazione quando c'è chi legge.

 CI RITROVEREMO AD OTTOBRE

non so se riuscirò a terminare quello che ho iniziato, ma ho ancora qualche vecchio racconto da postare.

SE CI SARA' QUALCUNO CHE PASSA DA QUI, LO INFORMO CHE CI SONO TRE SEZIONI (le trova in alto a sinistra)
ROMANZI - dove potrà trovare avventure di vario genere

FIABE - ancora poche ma sempre importanti in quanto hanno un insegnamento per grandi e piccoli

RACCONTI ESTEMPORANEI - qui ci sono scritti davvero importanti per chi sa leggere fra le righe.

Intanto vi saluto tutti con tanto affetto e con una richiesta:
MI FAREBBE PIACERE SE POSTASTE UN COMMENTO NELL'APPOSITA SEZIONE, UN SALUTO DAL PAESE DA DOVE MI LEGGETE.

Spero che abbiate passato buone vacanze o che le passerete.
Un abbraccio con tutto il cuore.

Milena Ziletti, scrittrice dilettante: per diletto.

giovedì 20 agosto 2020

IL SEGRETO DELLA LUNA

IL SEGRETO DELLA LUNA

parte settantuno - ultima






Rimase ad osservare i corpi martoriati delle donne e ancora una volta si chiese cosa provava nel profondo. La risposta non tardò ad arrivargli dritta dal cuore: leggero e libero come solo chi sa di aver compiuto un atto dovuto.
Raggiunse il fiume e si immerse per togliersi dal corpo il sangue che si era già seccato sulla pelle. Era sdraiato col viso rivolto al cielo e cercò la stella di sua figlia. Gli sembrò che tremolasse, che lo salutasse. Presto manterrò anche la promessa che ti ho fatto, ti porterò i tuoi occhi e potrai riposare in pace.
Uscì dall’acqua e si rivestì con gli abiti che aveva nella sacca. Raggiunse Amleto e, leggero come non era mai stato prese la strada del ritorno, non prima di aver fatto saltare con l’ultima dinamite la struttura che conteneva i bauli di denaro e oro.

Capitolo 2

In groppa ad Amleto riprese la via di casa. Il cielo si stava pian piano tingendo di giallo, un altro giorno stava nascendo e il mondo, almeno quella piccola parte di mondo avrebbe vissuto giorni migliori ora che la setta era stata sgominata. Ce l’aveva fatta, ci erano voluti tre anni per riuscirci ed ora, era finalmente libero, o quasi.
Non riposò più dello stretto necessario ed era il tredici di ottobre quando Margherita lo accolse con un abbraccio.
Entrarono in casa ancora abbracciati. Gastone osservava la sua donna, la sua casa e non desiderava altro che vivere il resto della sua vita finalmente in pace.
“Ti vedo un po’ stanca, Margherita.” Le disse Gastone. “Ora sono qui e non andrò più da nessuna parte senza di te.” Aggiunse.
Lei era seduta sulle sue ginocchia, come facevano spesso. Gli prese la mano e la poggiò sul suo ventre solo lievemente arrotondato. Aveva i suoi teneri occhi negli occhi di lui cercando di cogliere anche la più leggera sfumatura, voleva essere certa che anche lui fosse felice di diventare padre.
Lo sguardo di Gastone dapprima si fece serio, poi capì, e un gran sorriso, il più bel sorriso che lei gli avesse mai visto, gli illuminò gli occhi.
“Quando nascerà?” Le chiese con gli occhi ancora lucidi.
“A fine marzo, o giù di lì” Le rispose con il viso appoggiato al suo petto.
Rimasero accoccolati a lungo, assaporando il calore dei loro corpi.
L’inverno arrivò impietoso, ma nella loro casa si respirava solo amore e aspettativa. Tutto il borgo era a conoscenza del lieto evento.
Gastone passava il tempo a costruire la culla, giochi, a sistemare la piccola cameretta che avrebbe ospitato il loro figlio, o figlia. Spesso si prendevano in giro perché lei avrebbe preferito una femmina e lui un maschio, ben sapendo che non interessava proprio a nessuno dei due.
Il parto si avvicinava, così come la primavera era iniziata. Margherita era affaticata e felice, era anche preoccupata, non era più molto giovane ed era spaventata ma le donne del villaggio le erano molto vicine e fu il ventinove marzo che nacque uno splendido bambino. Tutto si era svolto nel modo migliore e stavano entrambi bene.
Gastone osservava con occhi lucidi la sua donna e suo figlio, sentiva dentro di sé una felicità immensa, ma ancora non era pronto al grande passo. Margherita aspettava di sapere, con la sua immensa fiducia nel suo uomo.
La stava osservando allattare il bambino. “Mi piacerebbe chiamarlo Simone.” Le disse. Lei gli sorrise. “Anche a me piace Simone.”
Rimasero un po’ in silenzio.
“Ricordi, Margherita che ti promisi che avremmo fatto un viaggio? Quando potremo partire senza che il piccolo ne risenta?” le disse mentre accarezzava la testolina di suo figlio.
“Se il piccolo non avrà problemi potremo partire anche a fine maggio. E’ un viaggio lungo?” Volle sapere.
“Un po’, ma faremo delle tappe, devo fare ancora due ultime cose, due semplici cose e vorrei che tu e Simone foste con me.” Le rispose.
Gastone sistemò il carro, lo coprì con un telone impermeabile, lo imbottì con materassi e coperte, fece scorta di cibo e, l’ultima settimana di maggio partirono.
“Torneremo presto.” Informarono i paesani venuti a salutarli.
Ora erano due i cavalli a tirare il carro e per non affaticare troppo la sua donna facevano tragitti non troppo lunghi. Si fermarono ogni volta che trovavano una locanda, tutto era tranquillo e Margherita aspettava che lui le confidasse il suo segreto.
Gastone stava guidando il carro su un sentiero piuttosto mal ridotto quando si sentirono le campane. “Siamo arrivati. Qui potremo riposare qualche giorno prima di riprendere per l’ultima tappa.”
Il convento era ancora più malandato di come lo ricordava. Il portone era chiuso ma si sarebbe aperto anche con un solo soffio.
I frati avevano sentito arrivare il carro e, solerte, frate Carlo aprì il portone.
Il buon frate lo riconobbe subito. Con un gran sorriso spalancò le braccia e lo accolse con un grande abbraccio.
“Gastone, sei tornato! Come sono felice, entra!” Gli disse prendendo le redini dei cavalli.
Fermò il carro e Gastone aiutò Margherita a scendere, teneva in braccio il piccolo Simone.
Il frate spalancò gli occhi e si portò le mani alla bocca aperta dalla sorpresa. Passò lo sguardo fra i tre e cominciò a saltellare dalla gioia.
Altri frati arrivarono per vedere cosa succedeva e lo riconobbero.
Margherita era esterrefatta. Non si capacitava di quello che vedeva.
Gastone la prese per mano e la presentò. “E’ qui, mia cara che mi sono rifugiato per curare alcune ferite, è qui che ho riacquistato un minimo di razionalità ed ho conosciuto un grande uomo. Dov’è il priore Romano?” Chiese.
“Il priore ormai non si alza dal letto da tempo, ma è ancora molto lucido, ti aspettava. Venite che vi accompagno da lui.”
“Accompagnate la signora e mio figlio in camera, devo parlare da solo col priore.”
Il vecchio frate riconobbe i passi di Gastone e quando entrò aveva sul viso un grande sorriso. “Sei tornato, hai mantenuto la promessa.” Gli disse quasi sussurrando.
Gastone posò accanto a lui il libretto che gli aveva dato. “Ho mantenuto la promessa, priore, li ho trovati tutti e li ho cancellati, una setta assetata di sangue di vergini, vuole sapere tutto?” Gli chiese. Il vecchio frate scosse la testa. “Avvicinati e passami la ciotola dell’acqua benedetta.” Intinse le dita nell’acqua, gli fece il segno della croce sulla fronte “Io ti assolvo da tutti i tuoi peccati, nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.”
“Amen.” Rispose Gastone con gli occhi pieni di lacrime, questo non se l’aspettava, credeva di dover morire con le colpe commesse sulla coscienza anche se non provava nessun rimorso.
“C’è un peccato dal quale non mi ha ancora assolto. Torno subito.” Gli disse correndo fuori.
Tornò dopo pochi minuti con Margherita e il piccolo Simone.
“Priore, questa è Margherita e questo è nostro figlio Simone, se davvero vuole assolvermi da tutti i miei peccati ci sposi e battezzi nostro figlio.” Gli chiese mentre il viso di Margherita si illuminava di felicità.
Il frate sorrideva mentre osservava quella famigliola. “Brigante, hai trovato una donna meravigliosa e hai un figlio e non me lo avevi detto?” Gli disse facendo finta di essere arrabbiato.
“Presentatevi domani mattina alla funzione delle dieci e sarò io stesso a provvedere, anche se sarò su una carrozzina. Ora lasciatemi riposare, mi avete reso molto felice, la lunga attesa non è stata vana.” Li guardò mentre uscivano e si sentiva sereno, ora poteva morire in pace, non prima di aver mantenuto la promessa che aveva appena fatto.
Fu una cerimonia semplice. Il priore volle celebrare il matrimonio e Margherita fu sorpresa quando vide i due anelli che Gastone aveva portato. Era felice, davvero felice. Il priore diede l’incarico ad un altro frate di battezzare il piccolo Simone mentre lui assisteva seduto su una scomoda carrozzina. Tutti i frati erano presenti, ed erano solo cinque e quel giorno festeggiarono con un pranzo succulento.
Margherita e Gastone rimasero alcuni giorni immersi in quella beatitudine e silenzio che quel posto metteva nelle loro anime.
“Ora sei mia moglie.” Le disse mentre l’abbracciava nell’orto del convento.
Ancora non le aveva detto che l’amava, ma lei era felice così.
Salutarono tutti i frati e il priore li benedisse, non si sarebbero più rivisti.
Il carro aveva ripreso il suo viaggio.
“Dove siamo diretti, ora?”Chiese Margherita.
“A dire addio al mio passato.” Le rispose.
Viaggiarono per tre giorni. Il paesaggio era come lo ricordava, lo riconosceva anche dall’odore. Era estate e il bosco era pieno di vita. Diresse il carro fino a quella che era la stata la sua casa, aveva una grande tristezza nel cuore e Margherita se ne avvide. Gli strinse la mano.
Gastone arrestò il carro e aiutò a scendere sua moglie e il piccolo Simone.
“Questa che vedi era la mia casa.” La prese per mano e insieme andarono alle tombe di sua moglie e di sua figlia. Ormai non si distinguevano più, le erbacce erano cresciute e nascondevano ogni cosa, ma lui sapeva bene dove fossero.
Lasciò la mano di Margherita facendole cenno di aspettare.
Gastone si inginocchiò fra le due tombe come aveva fatto prima di partire. Estrasse un piccolo barattolo che conteneva gli occhi di sua figlia e con il coltello scavò un buco vicino a dove si trovava il viso e ve li depose. Mio piccolo tesoro, ho mantenuto la promessa, riposa in pace e tieni stretta la mano di tua madre. Recitò nella mente mentre le sue mani erano posate sulle due tombe.
Si alzò e fece avvicinare Margherita con in braccio il bambino. La prese per mano. “Ines, Lisa, questa è mia moglie Margherita e mio figlio Simone. Vegliate su di noi, io li amo con tutto il cuore.” E mandò un bacio d’addio alle donne che erano state le più importanti del suo passato.
Era ora di pensare al futuro, di godere di una famiglia, di stare con suo figlio e di insegnargli tutto quello che lui sapeva. Sperava che anche il suo piccolo, crescendo amasse la natura e gli animali, ma se avesse amato altro non sarebbe stato lui a proibirglielo.
Erano ancora assorti davanti a quelle che una volta erano tombe e che ora erano solo erbacce.
“Hai concluso la tua missione?” Gli chiese Margherita.
“No, c’è ancora una cosa che voglio dirti, e proprio qui, in questo luogo e vicino a loro: io ti amo Margherita.”Si abbracciarono proprio lì, dove tutto era cominciato e ora tutto era finito per dare inizio ad un futuro fatto di amore.
“Torniamo a casa.” Disse prendendo per mano sua moglie e accarezzando suo figlio.
Fine

Romanzo di Milena Ziletti - diritti e proprietà a lei riservati

mercoledì 19 agosto 2020

IL SEGRETO DELLA LUNA


IL SEGRETO DELLA LUNA

parte settanta






Capitolo trentatre
Si avvicinava il plenilunio di dicembre e la contessa era furiosa. Ormai aveva capito che quei maledetti non sarebbero tornati. Presa dal suo delirio convocò sua sorella e le ordinò di trovare due ragazze da sacrificare. Carmela piangeva a dirotto e, per la prima volta rifiutò di obbedirle.
Non c’era più Domenico a bloccare i suoi scatti di rabbia. La contessa prese una frusta e ridusse la schiena di sua sorella quasi a una poltiglia. Il viso della donna era trasformato mentre con tutta la forza e la rabbia che aveva in corpo sfogava sulla sorella la frustrazione di quei mesi e di tutti gli inconvenienti che erano successi. Fu solo l’arrivo di Mariuccia che, atterrita alla vista di quello che stava succedendo, urlò a sua madre di smettere e cercò di difendere il corpo martoriato della zia prendendosi anche lei un paio di frustate prima che la contessa ritrovasse un minimo di lucidità.
Il respiro affannoso della contessa si stava lentamente placando. Mollò la frusta e anche la sua mano sanguinava. Guardò sua sorella svenuta e il viso sconvolto di Mariuccia. “Portala nella sua camera e cerca di medicarla. Guai a te se chiami qualcuno o parli con qualcuno!”
La contessa raggiunse il suo studio e si medicò la ferita sulla mano. Ora aveva il terrore che i guai che avevano subìto i cavalieri potessero toccare anche a lei, doveva stare in guardia ed essere vigile anche ai più piccoli dettagli.
Lasciò che passassero le festività, l’anno nuovo era appena cominciato e Carmela si stava riprendendo. Le ferite non erano ancora guarite ma, la ferita più grossa l’aveva subita la sua mente, che ora vacillava. Era tormentata dai rimorsi per tutto quello che sua sorella l’aveva costretta a fare in quegli anni, dal fatto di non poter svelare a sua figlia che era lei sua madre e, giorno dopo giorno si perdeva in un mondo dove niente era reale.
Mariuccia si teneva alla larga da sua madre, ora che aveva conosciuto quel lato nascosto ne era impaurita e aveva notato che i suoi occhi erano sempre cattivi, come se si aspettasse un cataclisma da un momento all’altro.
I sentieri erano ancora innevati, era gennaio e la neve cadeva abbondante quando la contessa prese il suo cavallo e, solitaria andò a controllare che i bauli pieni di monete e di oro fossero ancora al loro posto. La sua era diventata una fissazione: controllava i lavori, che erano quasi nulli in quel periodo, interrogava i suoi lavoranti che a turno chiamava nel suo studio, andava a vedere se gli animali stavano bene, non si fidava più di nessuno e in tanti avevano notato il cambiamento, soprattutto la mancanza di Domenico, l’unico che riusciva in qualche modo a gestirla.
Passarono i mesi e, mentre fuori tutto procedeva come doveva essere, in casa l’aria si era fatta irrespirabile. Ogni tanto la contessa passava a trovare sua sorella che ora aveva perso l’intelletto e trascorreva le giornate a guardare fuori dalla finestra accudita da alcune cameriere.
Mariuccia non aveva più rivolto la parola a sua madre e passava molto tempo con la zia, in silenzio e, spesso era costretta ad asciugare le lacrime di quella che era la sua vera madre.
Era appena cominciata l’estate, la contessa controllava ossessivamente i lavori, aveva assunto altri uomini di fiducia ma ormai non si fidava più di nessuno. Nonostante tutto procedesse nel modo migliore non riusciva a rilassarsi.

Era iniziato agosto e Margherita si accorse di aspettare un bambino. Non lo aveva ancora detto al suo uomo, non lo avrebbe fatto, non ancora.
Margherita notava l’espressione di Gastone che stava cambiando, qualcosa stava succedendo, sapeva che era solo questione di tempo prima che la situazione cambiasse, ma lei aveva fiducia nel suo uomo, le aveva promesso che sarebbe tornato e lei lo avrebbe aspettato.
Gli abitanti del piccolo villaggio avevano imparato ad apprezzare Gastone, sempre disponibile e prodigo di consigli, Margherita sempre pronta a dare una mano a chi ne aveva bisogno, soprattutto agli anziani, si erano integrati ed erano felici, ma…
Era quasi finito agosto e l’aria da quelle parti era già piuttosto fresca. Gastone e Margherita erano a tavola mentre fuori la sera scendeva con un tramonto talmente rosso che sembrava sangue che colava dietro le nuvole. Lei allungò la mano e prese quella di lui. “Ci siamo, Gastone? Vedo nei tuoi occhi che qualcosa è maturato, fa quello che devi, io ti aspetto, so che manterrai la tua promessa e che tornerai, mi troverai qui. Ti chiedo solo di non lasciarmi sola troppo a lungo, mi mancherai.”
Gastone strinse la mano esile della sua donna, sapeva di amarla ma come poteva dirglielo fino a quando il suo cuore non fosse stato del tutto libero?
“Partirò molto presto, ti prometto che non starò lontano a lungo e che quando tornerò tutto sarà diverso fra noi. Ti porterò a fare un viaggio ma sarà qui che torneremo, amo questo posto, ed è qui che voglio vivere insieme a te.” Avrebbe voluto dirle “amo anche te” che voleva sposarla, e lo avrebbe fatto, sì lo avrebbe fatto ma solo dopo aver portato a termine la sua vendette.

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PARTE SECONDA
Capitolo uno
Gastone aprì gli occhi e per un istante non capì dove fosse. Poi si ricordò. Era lì, era arrivato proprio dove la storia avrebbe avuto conclusione.
Aveva dormito nei boschi, ispezionato terreni, aveva già visto dove era sepolto il tesoro dei cavalieri, sapeva dove abitava la contessa. Era stato fortunato, aveva trovato una grotta vicino al fiume e vi si era stabilito, nessuno si era accorto della sua presenza. Aveva impiegato del tempo a preparare quello che gli serviva e aveva in mente quello che voleva fare. La grotta distava circa trecento metri dal pozzo dei mille tagli. Tutto nella sua mente era pronto e avrebbe agito con estrema rapidità.
Il buio era sceso e in paese i festeggiamenti continuavano. In piazza si ballava e si beveva a volontà e lui raggiunse un tavolo ordinando da mangiare e da bere.
Molti ragazzini si rincorrevano, c’era molta allegria. Una donna sorridente gli portò quello che aveva ordinato. Osservava ogni cosa e riconobbe la contessa che da giorni spiava. Era una donna piuttosto bassa e tozza e accanto a lei la ragazzina che spacciava a tutti come sua figlia.
Accese un sigaro e rimase a guardarle mentre dentro di lui ribolliva l’attesa di quello che sarebbe successo.
Era la prima domenica di ottobre e le giornate si erano accorciate, da alcuni giorni una leggera foschia rendeva tutto più romantico se solo avesse avuto cuore per capirlo.
Ora la ragazzina si alzò e diede il braccio ad un ragazzo che l’accompagnò a ballare. La contessa era seduta da sola mentre lui gli passò vicino e le fece scivolare un biglietto nella tasca della giacca appesa alla sua sedia.
Era il primo passo. Gastone tornò nella sua grotta e controllò che tutto fosse pronto.
Andò alla tenuta, aveva nella testa ogni particolare che si era impresso in quegli ultimi giorni. Entrò da un portoncino che quasi più nessuno usava e si ritrovò nel cortile. Era buio ma dalle finestre usciva abbastanza luce. Con estrema circospezione entrò nel palazzo e salì uno scalone che portava ai piani superiori. Aprì diverse porte prima di trovare quello che cercava: Carmela dormiva tranquilla nel suo letto. Le coprì il viso con un panno imbevuto di cloroformio e, sempre senza far nessun rumore la condusse nella sua grotta. Avrebbe dormito ancora alcune ore, il tempo per continuare il suo piano. Non si fermò nemmeno un attimo e uscì.
Si appostò vicino all’entrata principale della tenuta e rimase in attesa.
Non dovette aspettare molto. Un calesse guidato dalla contessa con al fianco la ragazzina arrivava lentamente. Si sentivano le voci concitate delle due ma lui non le stette ad ascoltare.
Con un balzo uscì dal suo nascondiglio, fermò il cavallo e puntò il coltello alla gola della contessa. “la ragazza viene con me, con te ho un appuntamento. E’ tutto scritto nel biglietto.” Così come era apparso sparì nella notte tenendo fra le braccia il corpo addormentato di Mariuccia.
La contessa Scarioli frustò il cavallo e raggiunse le stalle. Era fuori dalla grazia di dio ma non poteva chiedere aiuto a nessuno. Rovistò nella tasca e trovò il pezzo di carta se vuole rivedere vive sua nipote e sua sorella, segua le mie indicazioni, tu sai chi sono io! E di seguito le indicazioni da seguire.
La donna corse nella camera di sua sorella ma già sapeva che non l’avrebbe trovata. Quell’uomo teneva prigioniere le due donne e lei non poteva farne parola con nessuno o il suo tesoro sarebbe saltato in aria. Fosse stato solo per loro due gliele avrebbe volentieri lasciate, ma al tesoro non voleva rinunciare.
Cercò di calmarsi ma non era facile. Era nella sua camera e  gettava oggetti contro il muro urlando come una pazza quale era. Nessuno arrivò a vedere cosa stesse succedendo, anzi si tennero molto alla larga. Si cambiò d’abito e uscì senza che nessuno se ne accorgesse, diretta all’appuntamento.
Raggiunse il limite della tenuta e non si accorse del braccio che le strinse la gola facendole perdere i sensi.
Ora era tutto pronto.
La prima a svegliarsi fu la contessa che vide i corpi delle altre due ancora addormentati, seduti in terra con la schiena appoggiata alla parete di spessa pietra.
Alcune torce rischiaravano il posto e lei osservò atterrita le tre croci appoggiate vicine ad ognuna di loro. Erano tutte e tre con mani e piedi legati e un bavaglio sulla bocca.
Gastone non aveva ancora detto una parola. Si sedette in attesa che si svegliassero anche le altre.
Alcuni gemiti della ragazza, seguiti da quelli di Carmela lo fece alzare e si mise in modo che ognuna di loro lo potesse osservare.
“Credo di aver catturato la vostra attenzione. Ora vi tolgo il bavaglio ma al primo grido vi taglierò la lingua, mi avete capito?” E quelle assentirono all’infuori di Carmela che aveva gli occhi sbarrati e pieni di lacrime.
“Chi sei tu?” Chiese la contessa.
“Tu, brutta stronza non sei autorizzata a parlare, taci o la tua lingua sarà la prima a sanguinare.” Gastone parlava con tono calmo, era il suo sguardo quello che faceva più paura.
“Ora facciamo il gioco della verità, prima che la ragazzina muoia ha diritto di saperla. Come ti chiami?” Le chiese.
“Mariuccia” sussurrò.
“Bene, Mariuccia lo sai chi sono quelle donne? La contessa è tua zia e quell’altra è la tua vera madre. State zitte.” Disse al primo cenno di rivolta della contessa.
“Voglio raccontarti una storia, per farti capire il motivo per il quale morirai e come morirai. Quelle due vipere sono, anzi erano a capo di una setta segreta, I cavalieri della terra feconda, una setta nata molti e molti anni fa, fondata da un vostro avo. Eh sì, ho pure trovato il libro della fondazione che è finito in cenere.” Disse con un sorrisetto rivolto alla contessa.
“Questa setta aveva a capo tua zia, c’erano altri sette cavalieri che le obbedivano e che ora sono tutti morti, insieme ai loro figli, con i loro terreni avvelenati e gli animali morti, tutto per mano mia.” Aspettò che le sue parole fossero penetrate nella mente di tutte.
“E sai cosa facevano durante il plenilunio? Sacrificavano una vergine, ne bevevano il sangue e svolgevano il loro rito. Nessuno si è mai preoccupato di sapere chi fosse la sventurata né del dolore inflitto alle loro famiglie, quello che a loro importava erano beni e ricchezze.”
Carmela si lamentava come un animale ferito mentre il pianto le squassava il petto.
“Tua zia conduceva il rito, poi tua madre, quella vera, aiutata da altre donne, prendeva il corpo della sventurata e lo inchiodava ad un albero. Lo lasciava lì, come se fosse spazzatura. Ecco perché tu ora farai la stessa fine.” Disse rivolto alla ragazza che si agitava molto spaventata.
Rimise il bavaglio a tutte.
Sollevò il corpo leggero di Mariuccia e lo mise davanti alla croce che aveva lui stesso costruito. Fu preso da un attimo di dubbio, ma lo scacciò senza timore.
Appoggiò il corpo tremante della ragazza, prese un lungo chiodo e trapassò il palmo della mano inchiodandolo al legno. Le donne urlavano da dietro il bavaglio e avevano gli occhi inondati di lacrime.
Le prese l’altra mano e la inchiodò.
“E’ tutto regolare?” Chiese rivolto a Carmela. “Dopo tutto sei tu l’esperta.”
Le unì i piedi e inchiodò anche quelli al palo di legno. Mariuccia era svenuta, soltanto poche lacrime le bagnavano le guance.
Gastone prese il coltello e le tagliò i vestiti. Incise i segni sul seno e sul pube. Il sangue colava a goccioloni.
“Ed ora gli occhi.” Disse.
Le due donne sembravano impazzire, cercavano in tutti i modi di liberarsi dai lacci, erano terrorizzate.
Gastone poggiò una mano sul cuore della ragazza. Batteva ancora, ma era ormai già nell’altro mondo. Prese dalla sua sacca l’arnese che lui stesso aveva costruito e che aveva usato su tutte le ragazze e, con destrezza le cavò gli occhi. Li mise in una boccetta e glieli mise ai piedi. Incise il polso sinistro e il sangue cominciò a sgorgare veloce.
Sempre dalla borsa prese il calice che i cavalieri usavano per i sacrifici e lo mostrò alla contessa. “Numero uno, lo riconosci?” La donna sgranò gli occhi, ancora non si capacitava di come quel maledetto uomo sapesse tante cose.
Lo posizionò in modo che raccogliesse il sangue della ragazza che aveva ancora solo pochi attimi di vita.
“Ed ora passiamo a te.” Disse a Carmela che non aveva mai smesso di piangere.
La inchiodò alla croce come aveva fatto con sua figlia. “Sono stato bravo? Ho eseguito tutto correttamente?”Le chiese sputandole in faccia. “Tu avresti potuto fermarla, sei colpevole quanto e più di lei.” Le tagliò la leggera camicia e la denudò. Incise i simboli sul seno e sul pube, ma non le cavò gli occhi, non ancora.
Sospirò e si mise di fronte alla contessa. “Numero Uno sei pronta?” quella ansimava e aveva il cuore che non avrebbe retto ancora a lungo.
La denudò facendole sentire tutta la vergogna che le vergini avevano provato. La inchiodò con estrema lentezza e le tolse il bavaglio. “Non la passerai liscia” Gli disse faticosamente.
Gastone rise di gusto. “Nessuno scoprirà mai niente, stanne certa.” Le rispose.
Prese il boccale col sangue di Mariuccia e si avvicinò e recitò: Io, Grande sacerdotessa dei Cavalieri della Terra Feconda, bagno il mio corpo, la mia Anima Nera e quella di tutti i cavalieri, dono a te, Santo Protettore il sangue di questa vergine perché possa donarci prosperità, lunga vita, denaro e potere.
“Adesso bevilo! Così come hai bevuto quello di mia figlia!” Urlò facendo uscire tutta la sua disperazione.  Le avvicinò il calice e le fece ingoiare varie sorsate di sangue.
Lo stesso fece con Carmela, poi con rabbia gettò a terra la coppa.
“Come hai potuto, come avete potuto dare tanto dolore! E per cosa? Ora l’inferno vi inghiottirà e nessuno saprà mai quello che vi è successo. Il tuo tesoro sparirà e nessuno lo troverà mai, è macchiato di sangue innocente e del dolore di troppi genitori. Il pozzo dei mille tagli sarà la vostra tomba.” Riprese fiato.
Prima a Carmela, poi alla contessa cavò gli occhi, ancora non erano morte, ma ci sarebbe voluto ancora poco. L’alba sarebbe sorta dopo un paio d’ore e lui voleva essere già lontano prima del sorgere del sole.
Si sedette, piangeva come un bambino, era la prima volta che piangeva davvero dopo la morte delle sue donne. Ora più nessuno avrebbe sofferto come lui. Carmela era spirata ma la contessa ancora respirava. Le si avvicinò. “Sai che ti dico? Ho cambiato idea, vi metterò in bella mostra, come avete fatto con i corpi delle povere ragazze.”
Portò fuori la croce con Mariuccia e la appoggiò ad un albero. Vicino mise quella di sua madre. Rientrò e l’altra donna ancora non era morta, la portò fuori ma in un ultimo sfregio la lasciò sdraiata a terra, ai piedi delle altre due. Pochi minuti e anche lei esalò l’ultimo respiro.
Tutto era compiuto. I suoi abiti erano fradici di sangue e il suo respiro stava tornando lentamente alla normalità.


Romanzo di Milena Ziletti - diritti e proprietà a lei riservati

martedì 18 agosto 2020

IL SEGRETO DELLA LUNA


IL SEGRETO DELLA LUNA

parte sessantanove






Il camino era acceso e le fiamme danzavano mentre lui era lì ad osservarle e ad osservare quel libro che non aveva ancora avuto voglia di aprire. Avrebbe potuto conoscere tutto di quella setta, ma ora non gli interessava più. Li maledisse tutti ancora una volta e con rabbia strappò le pagine e, con gli occhi pieni di lacrime le gettò sul fuoco. La copertina era di pelle molto vecchia e ci mise parecchio tempo a consumarsi, ma alla fine non rimase nemmeno la cenere. Gastone si asciugò gli occhi, domani sarebbe partito e avrebbe dato fuoco alla casa.
Non riuscì a dormire, l’alba non era ancora sorta su quel primo ottobre. Aveva terminato di caricare il baule sul carro insieme ai suoi attrezzi e ad una sacca coi suoi abiti. Amleto avrebbe faticato a trascinare tutto quel peso ma era ancora un cavallo forte.
Gastone salì a cassetta e si allontanò dalla casa prima di fermare il cavallo. Tornò indietro e appiccò il fuoco, aspettò che attecchisse e ritornò al carro. Amleto con uno sforzo diede uno strappo e si allontanarono verso un altro destino, mentre Rufus gli faceva compagnia sul carro.
Teneva le briglie con destrezza e Amleto rispondeva anche al più piccolo tocco del suo padrone. Gastone sapeva dove si trovava Margherita, ci avrebbe impiegato qualche giorno, di preciso non lo sapeva nemmeno lui. Durante il viaggio aveva tempo di pensare a quello che aveva fatto nei due anni precedenti. Da solo aveva sgominato una setta che da anni uccideva indisturbata giovani ragazze. Si chiese come sarebbe stata ora la vita degli abitanti di quei posti senza i “signori” ricchi e potenti a dare loro degli ordini, ora che la terra sarebbe stata avvelenata ancora per anni a venire. Tutto questo non lo turbava. Se non si fossero adagiati nella loro quiete fasulla molte ragazze non sarebbero morte e altrettante famiglie non avrebbero sofferto così tanto. Una stretta al cuore gli ricordò sua figlia, sua moglie, Cincia e anche il priore, anche con lui aveva una promessa da mantenere e lui era un uomo di parola.
L’inverno si stava avvicinando e da quelle parti sapeva essere molto rigido, per questo lui voleva passare un po’ di tempo con Margherita prima di compiere l’atto finale del suo progetto, e poi, chissà magari finire anche la sua vita insieme a lei, se mai avesse avuto la pazienza di aspettarlo fino alla fine.
Era il quarto giorno che era in viaggio e in lontananza si vedeva alzarsi il fumo di vari camini. Il paesaggio era davvero molto bello, una grande pianura contornata da alte montagne con le cime già innevate. Era parecchio lontano dalla sua meta finale, ma desiderava tanto potersi fermare e farsi coccolare, era stanco, una stanchezza che gli prendeva la mente più che il corpo.
Amleto ci mise poco a raggiungere la periferia di quel paese. C’era una unica strada e tanti sentieri che si diramavano verso piccoli gruppi di case. Era solo l’inizio di ottobre ma lì faceva già molto freddo. Fermò il carro davanti alla taverna ed entrò per riscaldarsi e bere qualcosa.
Dietro il bancone una bella donna non più giovanissima dal sorriso accattivante gli servì birra e pane fresco. Non si vedevano molti forestieri da quelle parti e lei si incuriosì. “E’ di passaggio, signore?” Gli chiese.
Gastone le sorrise. “Cerco una persona e forse mi può aiutare. Si chiama Margherita e si è trasferita qui da poco.” Non aggiunse altri particolari, non era nel suo stile.
“La conosco di vista, è vero, è arrivata qui da poco tempo e conduce una vita ritirata, ha comprato la casa del vecchio Nando, prenda il terzo sentiero sulla sinistra, la sua è proprio l’ultima casa.” Gli rispose gentile.
Gastone finì la sua birra, pagò il conto, ringraziò e uscì. Ora che era molto vicino sentiva il cuore battergli veloce, e se lei non lo avesse voluto? Scacciò il pensiero e raggiunse il terzo sentiero che imboccò senza indugiare oltre. Non ci volle molto per arrivare all’ultima casupola. Dal camino usciva il fumo e lui fermò Amleto. Si fermò ad osservare il piccolo giardino recintato davanti alla casa, avrebbe avuto bisogno di manutenzione. Il portico davanti alla porta era simile a tutti quelli delle altre case, era una fila di abitazioni di una decina di casupole poco distanti l’una dall’altra. Qualcuna aveva un granaio, altre un orto, altre una stalla, ma quella di Margherita era semplicemente circondata da un giardino e da un orto dietro casa.
Era pomeriggio inoltrato e presto sarebbe sceso il buio. Il fiato già si condensava. Scese da cassetta e andò a bussare. Non ci volle molto prima che Margherita venisse ad aprire. Spalancò gli occhi meravigliata e una grande felicità le invase il cuore. Non riusciva a parlare.
“Posso entrare, signora?” Le chiese gentilmente.                                             
Rufus scodinzolava felice e lei lo accarezzò.
Gli spalancò la porta. Un buon profumo di dolce si spandeva in tutta la casa. La donna rimase solo un attimo incerta, poi con gli occhi pieni di lacrime si buttò fra le braccia dell’uomo che ancora amava con tutta se stessa.
Gastone se la strinse al cuore e le accarezzava i capelli. Si baciarono e ritrovarono la passione che fra di loro c’era sempre stata.
“Sei venuto.” Ripeteva come se fosse stato un desiderio che si realizzava.
“Devo sistemare carro e cavallo, come posso fare?” Ci volle solo un’ora per scaricare il baule e portare cavallo e carro da un vicino che li poteva accogliere.
Mentre cenavano, Gastone le raccontò di Cincia.
“Rimarrai con me, Gastone?” Gli chiese speranzosa.
“Non ti ho mai mentito, rimarrò con te, se tu vorrai per un po’ di tempo. Sono stanco e ho bisogno di te, Margherita, ma ho ancora alcune cose in sospeso e, se avrai pazienza ti giuro che poi tutto sarà diverso e conoscerai parecchie cose che mi riguardano. Arriverà il momento che il mio cuore sarà libero e allora potremo formare una vera famiglia, ma non ora.” Le disse col cuore in mano.
“Ormai lo hai capito che ti amo, così come sono sicura che anche tu provi lo stesso per me. Aspetterò che tu sia pronto a dirmelo e, nel frattempo la mia casa è la tua casa, fino a quando vorrai.” Gli volò fra le braccia e raggiunsero la camera da letto dando sfogo al loro amore e alla loro passione, mentre Rufus si era disteso davanti al camino.
Iniziarono la loro vita insieme. Margherita era felice come non lo era mai stata e Gastone si stava rilassando dopo i due anni pieni di tensioni.
La neve iniziò a cadere già dai primi di novembre e loro si godevano quelle giornate in casa, facendo l’amore e mangiando davanti al fuoco.
Furono i mesi più belli che Margherita conobbe e anche Gastone era felice, anche se spesso lei notava il suo sguardo perso chissà dove.
L’inverno aveva lasciato il posto alla primavera. Gastone e Margherita erano seduti a tavola a fare colazione. L’uomo la guardava, quei mesi erano stati meravigliosi e sul viso della donna c’era sempre un’espressione felice.
“Si avvicina il tempo in cui te ne andrai?” Gli chiese.
“Non ancora, ma arriverà. Ti prometto che prima del prossimo inverno tutto sarà finito ed io sarò finalmente libero dai lacci che tengono ingarbugliato il mio cuore. Mi aspetterai, Margherita?” Le rispose.
“Sarò qui, so che tornerai.”
Ripresero la loro vita mentre la primavera lasciava il posto all’estate e la vita di quel villaggio prendeva vita così come le farfalle variopinte che svolazzavano numerose.
Mentre Gastone si godeva il suo riposo e l’amore di Margherita, nella tenuta della contessa le cose erano ben diverse. La contessa Scarioli era su tutte le furie, Domenico non era più tornato e il non sapere cosa fosse successo la mandava in delirio. Da psicopatica quale era doveva tenere tutto sotto controllo. Sua sorella Carmela era tornata ed era felice di aver rivisto sua figlia Mariuccia che ora aveva quindici anni. Mariuccia chiamava mamma sua zia, non aveva mai saputo di chi fosse figlia veramente. C’era solo un anno di differenza fra le due sorelle ed erano diverse come di più non si poteva, tanto era autoritaria e dura Giulia Rosa, che era la più giovane, tanto era timida e remissiva Carmela. L’odio di Giulia Rosa verso sua sorella scoppiò quando scoprì che quella era incinta, non accettava il fatto che sua sorella, molto bella e tranquilla avesse avuto un amore e lei no. Non le fu difficile estorcerle il nome dell’uomo, era un giovanotto del posto e avrebbe desiderato sposare Carmela ma non arrivò in tempo. Giulia Rosa gli diede appuntamento in un posto appartato, lo sedusse e, mentre quello si rimetteva le braghe, nel momento in cui stava in equilibrio su una gamba gli diede una spinta e lo buttò nel pozzo dei mille tagli. Il ragazzo non ebbe nemmeno il tempo di urlare. Giulia Rosa ricoprì il pozzo, raccolse la sua giacca e raggiunse la sorella. “Prendi, questo è tutto ciò che avrai da lui e quando partorirari, se vuoi che tua figlia viva te ne andrai ed eseguirai i miei ordini, oppure tu e la tua bastarda raggiungerete il tuo caro amante.” Carmela era terrorizzata da sua sorella, nessuno la conosceva bene come lei, piangeva e si disperava ma lo sguardo di sua sorella non lasciava adito a niente di buono e, per amore del figlio che portava in grembo giurò di esserle fedele.
La contessa aveva sguinzagliato anche altri uomini fidati in cerca di Domenico e non erano ancora tornati dopo più di un mese di ricerche, sarebbero tornati presto e sapeva già da ora che non avrebbero portato buone notizie.
Era chiusa nel suo studio e controllava il registro dei conti della sua proprietà e della setta. Lei era una donna ricchissima, ed ora che non esisteva più nemmeno un cavaliere era la padrona anche di tutte le ricchezze che negli anni erano state accumulate e che solo lei sapeva dov’erano.
Si chiedeva continuamente com’erano potuti succedere tutti quei fatti. Chi poteva essere stato a distruggere quello che i suoi avi avevano impiegato decine di anni a creare e portare avanti? In quanti erano? Era forse una setta sorta per portare via il suo posto? Nel suo delirio non riusciva ad ammettere che potessero essere stati scoperti senza che qualcuno dei cavalieri che aveva giurato col sangue avesse tradito ma, ora, chiunque fosse stato era morto e sepolto. Tamburellava sul registro mentre altri pensieri la assillavano. E se qualcuno di loro avesse parlato con un figlio, la moglie o qualcuna delle puttane che aveva sempre messo a loro disposizione? C’erano troppe variabili e non poteva far fuori tutti quanti i sospettati. Battè il pugno sul tavolo mentre il suo viso si colorava di porpora e la rabbia la divorava dall’interno. La distruggeva il non sapere, lei che aveva sempre saputo ogni cosa che riguardasse i cavalieri, interrogava perfino le puttane e i ragazzini con i quali si sollazzavano ma non aveva mai avuto nessun sospetto. Dove aveva sbagliato? Cosa le era sfuggito? Cosa doveva fare ora?
L’inverno era alle porte e la devastava non poter più praticare il sacrificio delle vergini. Era l’anno del doppio sacrificio e nel suo delirio di onnipotenza decise che lo avrebbe praticato lo stesso.
Chiamò sua sorella e le diede ordine di preparare una stanza nei sotterranei del loro palazzo.
Aspettò che tornassero gli uomini che aveva mandato a cercare Domenico e, pagandoli profumatamente chiese loro di portarle due ragazze vergini. Se voleva salvare le sue ricchezze doveva portare avanti la tradizione. Al plenilunio di dicembre avrebbe tenuto il rito.
Carmela era disperata ma non sapeva come sottrarsi. Sua sorella era stata chiara: o lei faceva quello che le chiedeva o sul tavolo del sacrificio sarebbe finita lei e sua figlia.
Con la morte nel cuore preparò quanto richiesto. Dicembre era iniziato e gli uomini non erano ancora tornati con le ragazze, e mai sarebbe successo. La contessa non lo avrebbe mai scoperto ma, quegli uomini presero il denaro e sparirono ognuno per la propria strada. Si erano accordati per scappare, avevano visto cosa era successo agli uomini, alle loro famiglie e alle loro proprietà mentre ispezionavano e interrogavano la gente in cerca di Domenico. C’era una maledizione e loro non la volevano subire.


Romanzo di Milena Ziletti - diritti e proprietà a lei riservati

lunedì 17 agosto 2020

IL SEGRETO DELLA LUNA


IL SEGRETO DELLA LUNA

parte sessantotto






Tornò a casa, per quel giorno non sarebbe uscito. Cincia era davvero allo stremo e lui non desiderava lasciarla sola più del necessario.
“E’ tutto a posto, vecchia amica. Ora tocca a loro ma alla testa del serpente ci penso io.” Le disse mentre erano seduti sotto il portico.
Agosto era afoso più del solito, il marchese era a letto con la febbre e il respiro affannato. Morietti era andato a trovarlo per metterlo al corrente di quello che avevano fatto.
“Come stai, amico mio?” Gli chiese appena si fu seduto al fianco del letto.
“Non bene, come puoi vedere, ma dimmi!” Gli rispose a fatica.
“Quattro fabbriche di Tolesi hanno preso fuoco e sono andate distrutte, ora tocca alle altre. “Se credono di prenderci per i fondelli hanno sbagliato di grosso!” Aggiunse.
“Amico mio, ho paura che non ci sarò al plenilunio di ottobre, confido che metterai a tappeto quella sgualdrina di numero uno.” Gli disse a fatica.
“Ci puoi contare, oh sì, ci puoi contare!” Rimasero qualche minuto in silenzio, si sentiva solo il respiro affannoso del marchese, anche Morietti si rendeva conto che sarebbe presto giunta la sua fine. Si alzò. “Ora riposati, io vedo cosa posso fare col convento, non c’è più nessuno e abbiamo tutto il tempo per cercare il denaro, e se è nascosto lì lo troveremo.”
“Chiedi aiuto a Gastone, fidati di lui.” Gli rispose prima di chiudere gli occhi per rifugiarsi in un mondo dal quale non sarebbe più tornato.
Morietti rimase un attimo sulla porta ad osservarlo. Scosse il capo mentre una forte fitta gli squassava il ventre. Si piegò dal dolore ma durò poco, raggiunse il suo cavallo e, con la sua scorta tornò alla tenuta.

Capitolo trentadue
Era metà agosto quando il marchese venne sepolto. Tutto il paese era presente. Morietti, Gorrini e Cestelli erano in fila mentre accompagnavano la bara. Gorrini si reggeva in piedi a malapena e puzzava di alcol. “Devi smettere di distruggerti così!” Gli disse Morietti. “O presto raggiungerai il nostro amico.”
“Cosa vuoi che mi importi.” Gli rispose.
Mentre agosto passava senza temporali la campagna di quel posto metteva in evidenza tutto il suo squallore. Non c’era niente da raccogliere, da mietere, da vendemmiare ed erano tutti molto preoccupati.
Gastone aveva visto alcuni uomini andare al convento ma lui si era sempre tenuto alla larga, svolgeva il suo lavoro ed ora era Morietti che lo pagava.
Un mese esatto dalla morte del marchese toccò anche a Gorrini. Del suo splendido allevamento di cavalli e delle sue cantine non era rimasto più niente, e lui, finalmente aveva raggiunto la sua adorata figlia.
Morietti e Cestelli si ritrovarono alla baita del marchese. Le loro guardie del corpo erano appostate davanti alla porta e alle finestre chiuse.
“Come stai, amico mio?” Chiese Morietti.
“Non mi sento in gran forma.” Gli rispose. “Ho fitte dolorose all’addome e non riesco a tenere dentro nemmeno un pezzo di pane.”
“Anch’io ho gli stessi sintomi, credo che presto raggiungeremo i nostri amici. Hai qualche idea di quello che sta succedendo?” Chiese Morietti.
“Un’idea ce l’ho di sicuro, quella puttana di numero uno ci sta togliendo di mezzo per godersi tutto il malloppo. Non so cosa darei per strangolarla con le mie mani.” Rispose il mugnaio.
“Credo che sia un suo piano ben studiato, come solo lei sa fare e che ha sempre fatto. Per questo ha stabilito la riunione per il plenilunio di ottobre, sapeva che non ci sarebbe arrivato vivo nessuno di noi.” Disse Morietti.
“Sei ancora in contatto con i tre fratelli?” Volle sapere il mugnaio.
“Sì, devono venire a prendere il pagamento fra qualche giorno, per gli incendi che hanno acceso alle fabbriche dei Tolesi, perché vuoi saperlo?”
“Voglio che li uccida tutti quanti. Ti ho portato un bel gruzzolo, tanto a me non serve più ma voglio eliminare tutta la setta.” Gli rispose mentre metteva sul tavolo cinque sacche di monete.
“Sono morti in tre, compreso il cavaliere, non credo che gli altri sappiano qualcosa della setta.” Gli rispose Morietti.“E con numero uno come facciamo?” Aggiunse.
“Non abbiamo tempo a sufficienza per provvedere anche a lei, e me ne dispiace molto ma se non sono diventato coglione del tutto confido che chi ci ha fatto questo poi passi anche a lei. Ah cosa darei per esserci quando verrà il suo turno!” Disse ridendo e tossendo il mugnaio.
“Ti sei mai chiesto chi può essere stato a dare inizio alla nostra fine?” Disse Morietti.
“Sapessi quante volte me lo sono chiesto! Ho passato notti intere, specialmente queste ultime a passare in rassegna ogni particolare di questi ultimi mesi e sai una cosa? C’è solo un elemento che si è introdotto nella nostra routine.” Lasciò in sospeso la frase mentre Morietti spalancava gli occhi in attesa di ascoltare cosa voleva dire il suo compagno.
“L’arrivo di Gastone!” Disse con un sospiro.
Il silenzio era carico di elettricità e si protrasse per parecchio.
“Non vorrai dire che ci ha presi per il culo tutti quanti! Non può essere! Ci ha sempre aiutati e si è sempre comportato più che onestamente.” Sbottò Morietti.
“E questo non ti sembra troppo perfetto?” Gli rispose il mugnaio.
“Ma non ha un motivo per farlo!” Ringhiò Morietti.
“Come facciamo ad esserne sicuri?” Rispose il mugnaio mentre una fitta dolorosa più delle altre gli trapassava il ventre. Si accasciò sulla sedia mentre una bava schiumosa gli usciva dalla bocca.
Morietti era spaventato e in quel momento cominciò a sentirsi male anche lui.
I loro occhi si puntarono sulla bottiglia che avevano appena svuotato e capirono, ma era troppo tardi.
La loro agonia durò per due ore, fino a quando la loro scorta, preoccupata della prolungata assenza entrò nella baita e li trovò cadaveri.
Gli uomini trovarono i loro padroni riversi sul pavimento, col corpo rattrappito come se avessero sopportato dolori atroci. Si guardarono esterrefatti chiedendosi cosa dovevano fare. Sul tavolo tre piccole sacche piene di monete.
Presero solo le sacche e lasciarono i corpi come stavano. Ognuno di loro prese la strada di casa dei loro padroni per andare ad avvisare le famiglie.
Vennero sepolti nello stesso giorno con un’unica funzione.
Gastone e Cincia erano seduti sotto il portico, le giornate erano piacevoli e Gastone rimaneva a casa il più possibile, Cincia era davvero allo stremo e aveva capito che molto presto se ne sarebbe andata.
“Quale è la tua prossima mossa?” Gli chiese  ad occhi chiusi la donna.
“Tocca al convento, e lo farò domani.” Le rispose.
Cincia sorrise debolmente. “Sarà l’ultima soddisfazione che mi prendo prima di morire, non sai quanto ti sono grata per quello che hai fatto.” Gli disse.
Gastone preparò la cena e aiutò Cincia a mangiare, la sollevò di peso come fosse un fuscello e la mise a letto. “Riposa amica mia, Rufus ti farà compagnia, io torno presto.” Le accarezzò la fronte rugosa e uscì.
Passò nel suo casotto e prese quello che gli serviva. La notte era rischiarata da una luna grande e bellissima. I suoi occhi rimasero fissi nel cielo per osservarla e cercare la stella di sua figlia, ma non indugiò più del necessario, aveva qualcosa da fare.
Arrivò al convento ma non passò dal portone principale, usò la solita entrata, non si fidava del tutto e non voleva avere brutte sorprese.
Aguzzò udito e vista, gli mancava Rufus. Rimase immobile parecchi minuti ad ascoltare i rumori della notte e degli uccelli, altro non si sentiva. Gli ci vollero parecchi minuti per posizionare la dinamite e le micce. Toccava al locale delle riunioni dei cavalieri. Posizionò la dinamite e poi, finalmente, prese il vaso con gli occhi di sua figlia e uscì sempre con la massima attenzione.
Aveva calcolato ogni cosa e, appena fu al sicuro accese la miccia e si allontanò in gran fretta.
Arrivò a casa e Rufus lo accolse scodinzolando. Gastone andò da Cincia e capì dal rantolo del suo respiro che era davvero vicina alla sua fine.
La prese in braccio e uscì sotto il portico. Si sedette sulla panca tenendola delicatamente in braccio, come una bambina.
“Guarda Cincia, ascolta.” Le sussurrò nell’orecchio anche se non sapeva se la donna fosse ancora cosciente o meno.
Si sentì un boato, poi un altro, poi un altro ancora e Cincia sussultò leggermente. Le fiamme cominciarono a divorare le macerie e il fumo si alzava insieme a lingue di fuoco che rischiaravano la notte.
“Questo è per te, amica mia, per me e per tutte le ragazze che sono state trucidate, per le loro famiglie che hanno tanto sofferto.” Disse più a se stesso.
“Mozza la testa del serpente” Gli disse Cincia prima di spirare con un sorriso tenero sul viso rugoso.
Gastone la strinse a sé, calde lacrime bagnarono la testa della donna. Le voleva bene, un altro pezzo della sua vita che finiva. “Lo farò, cara amica, lo farò e la farò soffrire più di tutti gli altri.”
Dal convento aveva portato via solo due sacche di monete, non voleva più di quello che gli serviva, era denaro macchiato di sangue innocente e lui lo sapeva bene.
Compose la salma di Cincia e avvisò le sue amiche che venissero per un ultimo saluto. Preparò una fossa vicino al fiume e la depose mentre le altre vecchie signore piangevano la sua dipartita.
Rientrarono in casa e si sedettero al tavolo. Ora c’era solo tristezza fra di loro.
“Qualcuna di voi è interessata a questa casa?” Chiese loro. Ma nessuna lo era. “Allora la distruggerò prima di andarmene. Vi ringrazio per le belle giornate passate insieme, vi saluto ora e non mi rivedrete più.” Le abbracciò una ad una e le accompagnò a casa.
Era davvero molto triste Gastone, osservava gli occhi di sua figlia che galleggiavano nel vaso. Presto ti porterò i tuoi occhi, figlia mia.
Costruì un baule e vi mise le sacche di denaro che aveva. Era un uomo ricco, ma era anche stanco. Presto l’autunno sarebbe arrivato e lui non voleva rimanere da solo, avrebbe trovato Margherita e si sarebbe fermato da lei per un po’ prima di terminare la sua vendetta, sapeva dove si trovava, lei gli aveva lasciato tanti indizi e lui sorrise fra sé.
Aspettò che il buio calasse e tornò nel cunicolo, aveva ancora una cosa da fare prima di partire. I cadaveri si stavano consumando e lui li degnò solo di uno sguardo. Raggiunse il baule, prese il libro della setta e ritornò a casa.


Romanzo di Milena Ziletti -  diritti e proprietà a lei riservati

venerdì 14 agosto 2020

IL SEGRETO DELLA LUNA


IL SEGRETO DELLA LUNA

parte sessantasette






Gastone si risedette aspettando, mentre il sangue continuava a colare, allora si alzò e fasciò la ferita, non voleva che morisse prima del tempo o perdesse i sensi.
Domenico faceva resistenza, questo se lo aspettava, ma lui aveva in serbo molti modi per ridurlo alla resa. Aspettò qualche minuto e gli rifece la richiesta ma quello non parlava.
“Bene, vedo che sei uno tosto, e ti ammiro. Ora, visto che quell’occhio non ti serve te lo leverò dalla faccia, dovresti sapere che sono molto esperto in questo.” Gli disse Gastone.
Prese dalla sacca uno stiletto e lo fece guardare all’uomo che strizzò istintivamente gli occhi.
“Non ti serve.” Bisbigliò mentre gli tagliava la palpebra.
“Ora passo al bulbo, poi passerò all’altro e li metterò nel barattolo che consegnerò alla contessa. E’ questo quello che vuoi? Sai, l’occhio non sanguina molto, devi averne visti tanti in quei vasi dove galleggiano, ma procurano molto dolore specialmente se non recido il nervo. Dimmi devo continuare?” La voce di Gastone era sempre bassa e quasi suadente.
La palpebra recisa era in terra e il sangue colava sulla faccia dell’uomo. Gastone prese uno straccio e lo tamponò. “Ora passo al resto.” Non aspettò oltre e, con estrema calma gli cavò l’occhio lasciandogli il nervo scoperto.
Domenico urlava come una bestia al macello.
“Il primo occhio ha raggiunto il suo posto. Fra poco tocca all’altro.” Gli disse semplicemente Gastone riprendendo posto sullo sgabello guardando l’altro contorcersi e urlare, così nudo sembrava proprio un verme nella concimaia.
Domenico svenne. Gastone prese la sacca e bevve dell’acqua, non provava niente, voleva solo sapere e non avrebbe mollato.
Ci vollero parecchi minuti prima che l’uomo legato si riprendesse e ricominciò a gemere dal dolore.
“Ti rifaccio la stessa domanda, sei disposto a rispondere?”
“Non lo farò mai!” Gli rispose l’uomo ferito.
“Come vuoi, ora passo ai piedi, con quale dito comincio? O vuoi che cominci dalle palle?” Stavolta la voce di Gastone non era bassa ma alta e rabbiosa.
Quello non si decideva a rispondere, allora Gastone puntò la lama del pugnale sullo scroto peloso dell’uomo e lo ferì leggermente, sapeva bene che non poteva permettersi di ucciderlo o che svenisse.
Silenziosamente, passò la punta del pugnale su tutta la lunghezza della gamba, cercò un punto sotto il ginocchio e lo trafisse.
Un urlo quasi inumano riempì di nuovo la stanza.
“Tu sei pazzo! Pazzo!” Gli disse Domenico.
“Lo so, me lo hanno già detto, per questo porterò a termine il mio compito!” Gli rispose.
“Perché fai questo?” Urlò di più l’uomo ferito.
“Hai presente gli occhi che galleggiano in quei vasi al convento? Due sono di mia figlia! Maledetto!” Gli ringhiò in faccia Gastone.
Fu a questo punto che l’altro capì che non ci sarebbe stata pietà per lui e cominciò a parlare.
Parlò a lungo e gli disse tutto quello che voleva sapere. Era sfinito alla fine, sapeva che era giunta la sua ora.
“Ti chiedo solo di finirmi in fretta. Ora sai tutto ciò che so io, uccidimi!” Piagnucolava l’uomo sfinito.
Gastone stava elaborando quello che aveva saputo. L’istinto e la vendetta gli suggeriva di lasciarlo a morire lì, come aveva fatto con gli altri, ma lui aveva parlato e si meritava una morte veloce.
Domenico era spossato, stanco, immerso nella sua stessa urina, non sentì nemmeno avvicinarsi l’altro che gli conficcò lo stiletto nel cuore e lo uccise all’istante.
Si soffermò ad osservare quei cadaveri, uomini che per un verso o per l’altro erano succubi di quella maledetta setta e di chi la comandava. Doveva schiarirsi le idee.
Riprese le sue cose e uscì barcollando, era stanchissimo, la tensione non lo aveva mollato un attimo ed ora faticava a reggersi in piedi, doveva raggiungere casa al più presto senza destare sospetti, aveva bisogno di riposare, poi avrebbe riferito ogni cosa a Cincia.
Era notte, non sapeva nemmeno quante ore aveva passato nel cunicolo, saltò in groppa ad Amleto e raggiunse la sua casa. Si accasciò sul sofà addormentandosi di botto.
Gli sembrava che fossero passati solo pochi minuti da quando si era sdraiato. Aprì gli occhi e vide Cincia seduta che lo osservava in silenzio mentre Rufus scodinzolava al suo solito posto. La vecchia si alzò e preparò la colazione, ogni gesto le costava immensa fatica ma non avrebbe mollato, non ancora.
Mangiarono in silenzio, lo sguardo di Cincia era fisso sul viso dell’uomo. Aspettò che finisse la colazione. “Ora dimmi.” Aspettò che l’altro cominciasse a parlare.
Gastone la prese per mano e si sedettero sul sofà. “Davvero vuoi sapere?” Le chiese, e lei assentì.
“Tutto è iniziato molto tempo fa, quando un antenato della contessa si inventò questa setta per garantirsi potere e denaro. Non gli fu difficile trovare altri come lui che anelavano alla ricchezza. Furono quelli che scrissero le regole e che diedero inizio ai sacrifici. Il fondatore li convinse senza fatica, dando loro denaro e potere che col tempo aumentava sempre di più, inoltre conobbe anche le loro debolezze e di quelle si servì per ricattarli e per assoggettarli alla sua volontà. E’ così che è iniziata.” Gastone chiuse gli occhi per un attimo. “L’uomo che ho torturato era il braccio destro della contessa e mi ha raccontato la sua storia. La contessa Giulia Rosa Scarioli è la terza di cinque figli, tre maschi e due femmine. Già da ragazzina ha manifestato i suoi tratti da psicopatica e lui, quel Domenico fu incaricato di tenerla sotto controllo. Aveva dodici anni quando ascoltò il discorso che suo padre fece al figlio maggiore, quello che avrebbe dovuto prendere il suo posto nella setta e, in quella occasione venne a conoscenza di ogni cosa. Si arrabbiò moltissimo (come spesso succedeva) e distrusse quasi mezza casa mentre urlava come una ossessa. Quando intervenne Domenico dovette legarla e lei gridava sempre più forte mentre la portava nella sua stanza. Rimase con lei mentre aspettava che si calmasse e fu in quel frangente che lei gli disse che li avrebbe ammazzati tutti e avrebbe preso il posto di numero uno. Ci impiegò tre anni e ci riuscì. Soltanto Domenico sapeva che la colpevole era lei, nessun altro lo sospettò mai. Rimase solo la sorella minore di un anno e, sai Cincia? E’ quella che fa la monaca superiora in quel convento! La ricatta per via di una figlia ma sono propenso a credere che si somiglino molto di più di quel che appare. Oltre a Domenico ci sono altri quattro uomini che obbediscono ciecamente ai suoi ordini, sono quelli che l’hanno aiutata in questi anni a dirigere la setta, non so come li tiene legati a sé e nemmeno mi interessa.” Gastone stringeva le mani di Cincia come a trarne conforto. Non si capacitava di tanta gratuita malvagità, ma lui avrebbe posto fine a tutto questo. “E non è tutto! Lo sai che ho trovato tre bauli di denaro nascosti al convento, ebbene quelli sono solo quisquiglie, quelli che servivano per le emergenze, il vero tesoro è nascosto in un altro posto e se quell’uomo mi ha detto la verità si tratta di tanti e tanti bauli ricolmi di ricchezze. Tutto il tesoro della setta, da quando è stata fondata fino ad oggi.”
“Come intendi procedere adesso?” Gli chiese Cincia.
“Dovrò parlare col marchese e dirgli che non ho trovato niente, non voglio allontanarmi ancora. Voglio vedere come sta procedendo il veleno che ho loro somministrato e voglio distruggere il convento quando loro saranno deboli e impotenti. Istillerò in loro un dubbio e saranno loro a fare il lavoro con Tolesi al posto mio. Darò loro appuntamento alla baita e ci saranno tutti.”
Riprese il suo lavoro di guardia boschi e lasciò un messaggio per il marchese alla guardia che era sta messa all’ingresso del viale.
Passarono i giorni e la domenica si ritrovarono tutti alla baita del marchese.
Gastone arrivò per ultimo e fu invitato a bere qualcosa con loro. Prese il boccale ma non ne bevve. Osservava i cavalieri e notava i primi segni che il veleno stava portando ai loro organismi. Il marchese era quello più provato in quanto aveva bevuto più degli altri, il suo colorito tendeva al colore della cenere e Gorrini si sentiva ancora più debole.
Si sedette con loro. “Ho eseguito i vostri ordini ma non sono riuscito a trovare niente. La contessa sa mantenere bene i suoi segreti e non ho trovato nessuno che mi parlasse di lei senza destare sospetti. Una cosa però ho sentito, sta a voi valutarla, io non ho trovato riscontri ma mi è giunto all’orecchio che la contessa abbia una nipote e che l’abbia promessa in sposa ad uno dei fratelli Tolesi.” Si portò il bicchiere alle labbra mentre osservava le espressioni dei convenuti. I cavalieri si parlavano con occhiate che erano più eloquenti delle parole. Avevano la certezza che Numero Uno e Numero otto fossero in combutta. Aspettò ancora qualche secondo e riprese a parlare. “Non so con sicurezza dove si trovi quello che mi avete chiesto ma un sospetto ce l’ho. Ho osservato spesso l’andirivieni del convento e se il mio istinto non mi tradisce io credo che lì ci sia qualcosa.”
Nessuno dei cavalieri parlava. Il marchese si alzò e consegnò a Gastone il denaro stabilito. “Noi contiamo sulla tua discrezione, riprendi pure il tuo lavoro e dimenticati di questa storia.” Gli disse.
“Io nemmeno vi conoscono.” Rispose prima di uscire.
Raggiunse il cavallo e vi salì in groppa. Un sorrisetto soddisfatto gli illuminava il viso, ora toccava a loro.


Romanzo di Milena Ziletti - diritti e proprietà a lei riservati