IL SEGRETO DELLA LUNA
parte sessantacinque
Capitolo trenta
Gastone non
aveva deciso cosa fare in quei giorni. Era convinto che il bandolo della
matassa fosse dentro il convento ma doveva guadagnarsi le monete che gli
avevano promesso, così partì in direzione della grande tenuta della contessa.
Cercava di non stare sulla strada principale ma sfruttava i sentieri e le rive
del fiume. Sapeva ben orientarsi, lo aveva imparato fin da bambino. Non
incontrò nessuno mentre si avvicinava alla tenuta della contessa. La osservò da
lontano, non era particolarmente interessato a quel luogo, non ancora. Si
accampò per la notte e il mattino dopo fece il tragitto a ritroso.
Era sabato
mattina quando arrivò a casa, era stato assente per cinque giorni e non vedeva
l’ora di farsi un bagno e di cambiarsi. Rufus corse in casa e Gastone lo
raggiunse. Era strano non vedere Cincia e andò nella sua camera, con un brutto
presentimento. Trovò la vecchia sdraiata sul suo letto, aveva gli occhi
spalancati. Fu sollevato di vedere che era viva, per un attimo aveva pensato il
peggio.
“Cosa ti
succede, Cincia?” gli occhi della vecchia si riempirono di lacrime. “Se n’è
andata, Margherita se n’è andata! Ed è colpa tua!”
Gastone si
sedette sul bordo del letto e le prese la mano rugosa. “Lo sai quanto è
pericoloso quello che faccio, anzi che facciamo, non potevo trattenerla e
mettere in pericolo anche lei. Ma ti prometto che, quando tutto sarà finito
andrò a cercarla e, se mi vorrà resterò con lei, anch’io provo affetto per lei,
è una donna meravigliosa.” Cincia ritrasse la mano. “Tu non ami nessuno. Tu ami
solo la tua vendetta e non c’è posto per nient’altro, alla fine rimarrai solo
come un cane, io non vivrò in eterno, sto solo aspettando il momento giusto per
andarmene, io le volevo bene.”
“Alzati che
mangiamo qualcosa, sono molto affamato, e anche stanco dopo cinque giorni in
sella ad Amleto.”
Stavano
facendo colazione la domenica mattina quando sentirono un cavallo avvicinarsi e
Rufus ringhiare sommessamente. Gastone andò alla porta e una guardia del
marchese gli consegno una piccola sacca, se ne andò senza nemmeno scendere da
cavallo.
Gastone posò
l’involucro sulla tavola e lo aprì, come convenuto conteneva cofanetto colmo di
monete. Lo mostrò a Cincia che non lo degnò di uno sguardo, si alzò e lo portò
nel suo casotto .Aveva bisogno di costruire altri nascondigli, aveva talmente
tanto denaro che non sapeva più dove nasconderlo e passò il pomeriggio a
scavare buche nell’orto, ci trasferì tutto il tesoro che aveva accumulato, non
gli importava nemmeno se glielo avessero rubato, non sapeva cosa farsene, era
denaro sporco, denaro sporco del sangue di tante ragazze vergini ammazzate. A
quel pensiero gli si strinse il cuore. Doveva entrare nel convento, doveva
assolutamente entrarci e, in quel momento capì come poteva fare.
Cincia
sembrava aver perso la voglia di vivere, la lontananza di Margherita le pesava
sul cuore, quel cuore vecchio nel quale aveva conservato la speranza che quei
due potessero rimanere insieme. Gastone la costrinse a sedersi e si mise vicino
a lei.
“Ho bisogno
di te, Cincia, ora più che mai. Ho bisogno di sapere che sei ancora dalla mia
parte o non potrò fare quello che ho in mente, vuoi che lasci perdere tutto quanto?
Tutto quello che ho fatto e rischiato fin’ora? Sei ancora al mio fianco? Lo
sai, potrei benissimo finirla qui, andare a riprendere gli occhi di mia figlia
e riportarglieli e andarmene per sempre, scomparire, lasciandoti qui a finire i
tuoi giorni. E’ questo quello che vuoi? I cavalieri stanno morendo, ma la testa
del serpente è ancora più viva che mai, è quella che devo mozzare o tutto sarà
stato vano.”
“Finisci
quello che hai cominciato, ordinerò al mio malandato cuore di tenere duro.”
Gastone avrebbe
voluto riposare ma doveva dare una mano a Cincia. “Vado in paese, ti trovo una
donna che ti aiuti nei lavori domestici e con gli animali, non puoi affaticarti
troppo.” Cincia non gli rispose, sapeva che aveva ragione, sentiva più che mai
la sua fine che si avvicinava. Avrebbe voluto lasciarsi andare, come aveva
desiderato in tutti quegli anni, ma aveva fatto una promessa e l’avrebbe
mantenuta, e in fondo al suo cuore, anche se faceva fatica ad ammetterlo
perfino a se stessa, desiderava esserci quando la morte si sarebbe portata via
quei maledetti assassini. Ed ora ci era vicina.
Il lunedì
mattina Gastone era pronto a riprendere il suo lavoro, aspettò che arrivasse
Marietta, una vedova del posto, le pagò la settimana in anticipo e le
raccomandò di accudire più Cincia che il resto.
Si diresse
allo stesso posto dell’altra volta, ad osservare il convento e ci rimase a
lungo. Decise di avvicinarsi e bussò al grande portone. Aspettò a lungo prima
che gli aprissero.
“Vorrei
parlare con la superiora.” La piccola suora, ad occhi bassi lo fece entrare e
gli disse di aspettare. Ci volle parecchio tempo prima che ricomparisse.
Gastone legò il cavallo, lasciò Rufus e seguì la suora. Alla luce del giorno
quel posto era ben diverso, si vedevano giardini e piante, aiuole di piccoli
fiori colorati. Avrebbe voluto vedere ogni cosa ma cercava di tenere lo sguardo
basso, non voleva destare sospetti. La suora bussò ad una porta e lo fece
entrare.
Era una
vasta stanza che gli ricordava quella del priore che lo aveva accolto così
amorevolmente, ma il viso di quella donna era tutt’altro che amorevole.
Indossava la veste e il capo era coperto, il viso aguzzo e magro che i suoi
occhi parevano dover cadere tanto erano in fuori, era davvero brutta. Teneva le
mani poggiate sul tavolo ricoperto di vari oggetti sacri, mani rinsecchite. Gli
fece cenno di sedersi, e lui col cappello in mano prese posto di fronte a lei.
“So che ha
chiesto di parlarmi, cosa desidera? Posso sapere il suo nome?”
“Mi chiamo
Gastone e sono il guardia boschi della zona, passo spesso da queste parti. Sto
cercando una persona.”
La superiora
alzò un sopracciglio. “E la viene a cercare qui? Cosa pensa di trovarci?”
Sembrava piuttosto seccata, e questo lo notò anche l’uomo.
“Si tratta
di mia sorella, e mi hanno detto che è stata vista da queste parti, per questo
sono venuto qui.”
La monaca
sembrava soppesare ogni parola che diceva.
“Questo è un
convento e siamo in poche, le garantisco che non è passata nessuna ragazza a
chiedere ricovero o altro, o lo saprei certamente. Credo che si debba rivolgere
altrove.”
Gastone
rigirava il cappello fra le mani. “Devo aver confuso convento con bordello.”
Disse sottovoce.
La superiora
scattò in piedi. “Come osa! Questo è un luogo consacrato e le ordino di uscire
immediatamente!”
“Altrimenti?”
la sfidò l’uomo.
Gli occhi
della suora erano ancora di più fuori dalle orbite tanto era furiosa. Suonò un
campanello che aveva davanti ma Gastone non si scompose. Si sentì bussare alla
porta ed entrò la piccola suora che gli aveva aperto il portone. “Accompagna il
signore fuori di qui!”
I due si
sfidavano a colpi di occhiatacce e la nuova arrivata non sapeva cosa fare.
“Non me ne
andrò se prima non sarò sicuro che mia sorella non è qui. Se quello che dite è
vero vi basta farmi dare un’occhiata. Mi accompagnerà questa gentile sorella, e
se non troverò niente, avete la mia parola che non mi rivedrete più!”
La superiora
ansimava dalla rabbia. Gastone osservava quelle mani e le riconobbe. Non poteva
sbagliarsi erano troppo particolari, erano quelle che avevano inchiodato
all’albero una povera ragazza e quella che aveva al fianco poteva essere la
stessa che l’aveva aiutata. Sentì montargli una rabbia immensa. Stringeva il
bordo del cappello e aveva le nocche livide, stava cercando di calmarsi o le
avrebbe strozzate lì dov’erano. Fece alcuni respiri profondi, pensando che
quelle mani potevano essere quelle che avevano inchiodato anche sua figlia. Tremava
in tutto il corpo, l’istinto omicida era più forte che mai e furono le parole
di Cincia che gli risuonavano nella mente a dargli la forza di calmarsi. Si
riprese e alzò lo sguardo su quella donna che non poteva essere una suora
superiora, era falsa come tutto lo era in quel convento. Doveva andarsene, lo
scopo che voleva raggiungere lo aveva ottenuto. Uscì seguito dalla suora che
richiuse rumorosamente dietro di lui il portone.
Maledette, pagherete anche voi. Pensò mentre si allontanava.
Vagò nel
bosco senza farsi vedere da nessuno, aspettava l’oscurità per entrare di nuovo
al convento. Era sicuro, ma doveva accertarsi di persona che ormai erano
rimaste solo le monache e la superiora, che le ragazze erano state spostate.
Aveva una rabbia nel cuore che non riusciva a placare, doveva sforzarsi di
rimanere calmo, sarebbe stato così facile porre termine a tutto, ma doveva
arrivare alla stramaledettissima contessa Scarioli, inoltre voleva godersi le
pene dei cavalieri, no, doveva mantenere la calma ad ogni costo.
Rufus
sentiva il nervosismo del suo padrone e stava più all’erta che mai.
Finalmente
scese il buio. Il cielo era bellissimo: miliardi di stelle e una luna luminosa.
Come faceva ogni sera guardò tutte le stelle in cerca di quella che aveva
assegnato a sua figlia e gli parve più luminosa che mai. Sto mantenendo la mia promessa, presto ti riunirò a tua madre, insieme
al mio cuore. Indossò i soliti indumenti scuri e partì per il convento.
Ormai era facile per lui oltrepassare le mura e conosceva abbastanza bene la
distribuzione dell’interno del convento. Il silenzio era totale, soltanto gli
uccelli notturni avevano il coraggio di avvicinarsi e sorvolare quel posto, a
ben pensarci non c’era molto movimento sul sentiero che conduceva lì. Calzò sul
viso la calza nera, soltanto gli occhi rimanevano scoperti. Stando rasente al
muro camminò per tutto il perimetro contando finestre e porte del piano terra.
Poi si arrampicò al piano superiore, non era difficile raggiungere uno dei
balconcini e scelse quello che gli pareva più nascosto.
Entrò in una
piccola stanza, distingueva soltanto un letto vuoto, un tavolino e una sedia ma
non c’era nessuno. Aprì la porta meravigliandosi di quanto fosse silenziosa, si
era aspettato un cigolio, un minimo di rumore ma non successe. Non c’erano
candele o torce, tutto era buio, soltanto la luna e le stelle rischiaravano
molto debolmente quel posto. Passò in rassegna tutto il corridoio e contò le
porte chiuse. Passò davanti alla statua della Madonna e continuò la sua
perlustrazione.
Si fermò in
ascolto. Aveva sentito delle voci. Una sottile lama di luce sfuggiva dallo
spiffero di una porta e, con estrema cautela la raggiunse. Posò l’orecchio alla
fessura e rimase in ascolto.
Riconobbe
senza ombra di dubbio la voce della superiora. Riuscì solo ad afferrare alcune
parole ma capì che aveva consegnato un messaggio da portare alla contessa, era
quello che voleva.
Tornò di
corsa e silenzioso fuori dalle mura e attese.
Non passò
molto che una piccola carrozza scura uscì dal portone, un unico cavallo e un
cocchiere.
Doveva
agire. Come un brigante che assalta i viandanti nella notte.
Il cavallo
si impennò all’apparire di Rufus e il cocchiere cadde. Gastone lo colpì e
quello rimase svenuto a terra. Teneva il pugnale in una mano e il fucile
nell’altra, non sapeva chi si sarebbe trovato di fronte. Aprì con un calcio la
piccola porta della carrozza e si trovò di fronte una donna spaventata. Camuffò
la voce e si fece consegnare la borsa, intimandole di non muoversi e lasciò
Rufus di guardia.
Trovò quello
che cercava, lo lesse e ritornò alla carrozza.
“Non c’è niente
di valore qui dentro, dove tieni le monete?”
La donna
sollevò la sottana e gli consegnò un piccolo borsello con alcune monete. Si
vedeva che era spaventata, l’uomo le teneva puntato il coltello alla gola.
Con un salto
lasciò l’abitacolo e sparì nella notte.
La donna
scese, svegliò il cocchiere e ripartirono.
Gastone
aveva riconosciuto l’uomo a cassetta, l’unico uomo che entrava al convento per
i lavori di giardiniere, di sicuro un uomo della contessa, ma non riconobbe la
donna.
Trovò un
posto riparato e si accampò in attesa dell’alba. Cercò di dormire ma non ci
riuscì. Quando il giorno iniziò il suo risveglio, Gastone era già in sella ad
Amleto e si inoltrò ancora di più nel bosco. Si chiese quanto tempo doveva
passare prima che la contessa raggiungesse il convento. Il messaggio non era
chiaro, diceva soltanto che un cavallo
imbizzarrito aveva ferito una suora e necessitava di cure. E se non fosse
venuta lei? Se avesse mandato qualcun altro? Lo avrebbe saputo solo al momento
opportuno, non rimaneva che aspettare, lui non si sarebbe allontanato dal
sentiero e non avrebbe nemmeno dormito.
Era giovedì
quando sentì del movimento sul sentiero. Rufus lo aveva sentito prima di lui e
gli aveva lanciato il segnale. Lasciò cavallo e cane ben nascosti e si diresse
al convento, doveva entrare prima dell’arrivo della carrozza e mettersi in una
posizione strategica per non perdersi l’incontro. Adesso conosceva abbastanza
bene l’ubicazione del convento, quello che non sapeva era chi ci fosse nella
carrozza appena arrivata e dove si sarebbe svolto l’incontro. Decise di
mettersi il più vicino possibile allo studio della superiora, sperando che
fosse quello il luogo.
Gli zoccoli
dei due cavalli riecheggiavano sul ciottolato di pietra. Gastone aguzzava la
vista e vide scendere una donna e un uomo, da quella distanza non poteva
riconoscerli ma la donna doveva essere la contessa, la sua corporatura
piuttosto massiccia e di bassa statura non lasciava dubbi.
I nuovi
arrivati furono accolti dalla superiora che li precedette e li fece entrare.
Gastone osservava le finestre cercando di scorgere un segno che gli indicasse
dove fossero. Finalmente vide due mani rinsecchite chiudere le tende di una
porta finestra che dava su un piccolo balconcino. Non sarebbe stato facile
raggiungerlo, in pieno giorno e con pochi appigli. Per un attimo fu indeciso se
entrare e cercare la stanza o salire sul balcone. Non ebbe molto tempo per
decidersi perché il giardiniere entrò dal portone principale per raggiungere il
suo posto. Gastone fu costretto ad entrare, dall’esterno non c’erano
possibilità di passare inosservato.
Trovò una
delle porte ed entrò. Se di sopra c’era la superiora e la donna della carrozza
fosse una suora mandata dalla contessa doveva esserci solo un’altra monaca.
Sentì delle voci e sbirciò dalla finestra. Vide il cocchiere e il giardiniere
fumare insieme un sigaro.
Era
silenzioso come un gatto in agguato. Alla luce del giorno ogni cosa sembrava
diversa, perfino la statua della Madonna sembrava guardarlo con astio, ma a lui
non importava né della Madonna né di dio.
Ora sentiva
distintamente delle voci ma non quello che si dicevano, si avvicinò ancora di
più e ringraziò dio della grande statua di un santo posta vicino all’entrata.
Non riusciva a vedere ma ora poteva ascoltare quasi indistintamente.
“Raccontami
quello che è successo col guardia boschi”. Disse la contessa alla superiora. E
quella le raccontò del loro incontro, e di come fosse stato sfacciato e poco
rispettoso sia del luogo che della sua persona.
“Lo avevi
mai visto prima?” continuò la contessa.
“No. So che
ogni tanto passa da queste parti per il suo lavoro ma non si è mai fermato
troppo nella zona, o lo avremmo visto.” Le rispose la superiora.
Gastone si
chiedeva chi fosse l’uomo in quella stanza e per quale motivo fosse lì.
“Domenico,
vai a controllare che tutto sia in ordine.” Comandò la contessa all’uomo.
Lo
sconosciuto uscì. Gastone era indeciso se seguirlo o rimanere ad ascoltare
quello che quelle due maledette si dicevano. Guardò fuori dalla piccola
finestra e vide lo sconosciuto entrare nelle stalle. Allora decise di rimanere
ad ascoltare, nelle stalle ci sarebbe andato dopo.
“Le ragazze
sono partite da tempo e sono al sicuro. I nostri affari non risentiranno di
questi cambiamenti, un bordello vale l’altro. Quello che mi preoccupa sono i
cavalieri, sento montare la loro protesta. Dio stramaledica quel maledetto che
ha sottratto il libro della setta, lo ha nascosto proprio bene, sono anni che
lo faccio cercare ma nessuno è riuscito a trovarlo. E’ ultimata la copia che ti
ho ordinato di scrivere?” Chiese rabbiosa la contessa.
“Sì, è
ultimata. La stiamo trattando per farla sembrare antica, ma è quasi pronta. Ho
eseguito i tuoi ordini alla lettera, ora vorrei che tu mantenessi la tua
promessa, dimmi dove si trova mia figlia, voglio vederla!” bisbigliò la
superiora.
“Ogni cosa a
suo tempo, ma quasi ci siamo. C’è parecchio denaro e parecchie proprietà che ci
aspettano, cara sorella, mia nipote è in buone mani, non ti devi preoccupare
per lei.” Le rispose la contessa.
A Gastone si
rizzarono le orecchie, la figlia della superiora (se davvero era una monaca)
che era la sorella della contessa, doveva scoprirne di più.
Sentì dei
passi e fece appena in tempo a nascondersi, Domenico stava tornando. C’era
mancato poco che lo scoprisse, doveva stare più vigile.
L’uomo entrò
nella stanza. “Tutto a posto.” Disse semplicemente.
Si sentì rumore
di sedie.
“Cosa
facciamo col guardia boschi?” Rimarcò la superiora.
“A lui ci
pensa Domenico, non ti devi preoccupare. Ti sei mai preoccupata di qualcosa
oltre che a combinare danni? Ci ho sempre pensato io, stai tranquilla che ci
penso io pure questa volta, ancora poco tempo e tutto sarà finito. Al rito di
ottobre, con le due vergini farò in modo che venga messa la parola fine a tutto
questo e noi potremo vivere ricche.” Sentenziò la contessa.
“E con le
due monache che mi hanno aiutata con i cadaveri delle ragazze?” Insistette la
superiora.
“Ti ho detto
di non preoccuparti, e poi non sono monache vere, di che ti crucci. Fai buona
guardia ancora per qualche mese e poi tutto finirà! Ora devo tornare a casa,
c’è bisogno di me.”
Si sentì la
sedia spostarsi e poco dopo uscirono tutti dalla stanza. Gastone aveva altri
elementi da valutare, primo fra tutti controllare le stalle e poi scoprire il
più possibile sulla contessa e sua nipote. Sentiva il sangue scorrergli
velocemente nelle vene al pensiero di quello che avrebbe fatto a quelle donne,
a tutte e tre, dopo aver sistemato anche Domenico, che avrebbe raggiunto gli
altri cadaveri nel cunicolo. Ora doveva pensare a cosa dire ai cavalieri che lo
avevano assoldato, ma per fare questo aveva bisogno di entrare nella proprietà
della contessa e lo avrebbe fatto la settimana seguente.
Si affacciò
alla piccola finestra mentre la carrozza raggiungeva i due visitatori. Gastone
aguzzò la vista e cercò di imprimersi nella mente la faccia di quel Domenico e
della contessa. Aspettò che se ne andassero e, sempre con la sua massima
cautela uscì dal convento e raggiunse cavallo e cane.
Era ora di
tornare a casa, aveva molte cose a cui pensare.
Romanzo di Milena Ziletti - diritti e proprietà a lei riservati
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