mercoledì 12 agosto 2020

IL SEGRETO DELLA LUNA


IL SEGRETO DELLA LUNA

parte sessantacinque






Capitolo trenta
Gastone non aveva deciso cosa fare in quei giorni. Era convinto che il bandolo della matassa fosse dentro il convento ma doveva guadagnarsi le monete che gli avevano promesso, così partì in direzione della grande tenuta della contessa. Cercava di non stare sulla strada principale ma sfruttava i sentieri e le rive del fiume. Sapeva ben orientarsi, lo aveva imparato fin da bambino. Non incontrò nessuno mentre si avvicinava alla tenuta della contessa. La osservò da lontano, non era particolarmente interessato a quel luogo, non ancora. Si accampò per la notte e il mattino dopo fece il tragitto a ritroso.
Era sabato mattina quando arrivò a casa, era stato assente per cinque giorni e non vedeva l’ora di farsi un bagno e di cambiarsi. Rufus corse in casa e Gastone lo raggiunse. Era strano non vedere Cincia e andò nella sua camera, con un brutto presentimento. Trovò la vecchia sdraiata sul suo letto, aveva gli occhi spalancati. Fu sollevato di vedere che era viva, per un attimo aveva pensato il peggio.
“Cosa ti succede, Cincia?” gli occhi della vecchia si riempirono di lacrime. “Se n’è andata, Margherita se n’è andata! Ed è colpa tua!”
Gastone si sedette sul bordo del letto e le prese la mano rugosa. “Lo sai quanto è pericoloso quello che faccio, anzi che facciamo, non potevo trattenerla e mettere in pericolo anche lei. Ma ti prometto che, quando tutto sarà finito andrò a cercarla e, se mi vorrà resterò con lei, anch’io provo affetto per lei, è una donna meravigliosa.” Cincia ritrasse la mano. “Tu non ami nessuno. Tu ami solo la tua vendetta e non c’è posto per nient’altro, alla fine rimarrai solo come un cane, io non vivrò in eterno, sto solo aspettando il momento giusto per andarmene, io le volevo bene.”
“Alzati che mangiamo qualcosa, sono molto affamato, e anche stanco dopo cinque giorni in sella ad Amleto.”
Stavano facendo colazione la domenica mattina quando sentirono un cavallo avvicinarsi e Rufus ringhiare sommessamente. Gastone andò alla porta e una guardia del marchese gli consegno una piccola sacca, se ne andò senza nemmeno scendere da cavallo.
Gastone posò l’involucro sulla tavola e lo aprì, come convenuto conteneva cofanetto colmo di monete. Lo mostrò a Cincia che non lo degnò di uno sguardo, si alzò e lo portò nel suo casotto .Aveva bisogno di costruire altri nascondigli, aveva talmente tanto denaro che non sapeva più dove nasconderlo e passò il pomeriggio a scavare buche nell’orto, ci trasferì tutto il tesoro che aveva accumulato, non gli importava nemmeno se glielo avessero rubato, non sapeva cosa farsene, era denaro sporco, denaro sporco del sangue di tante ragazze vergini ammazzate. A quel pensiero gli si strinse il cuore. Doveva entrare nel convento, doveva assolutamente entrarci e, in quel momento capì come poteva fare.
Cincia sembrava aver perso la voglia di vivere, la lontananza di Margherita le pesava sul cuore, quel cuore vecchio nel quale aveva conservato la speranza che quei due potessero rimanere insieme. Gastone la costrinse a sedersi e si mise vicino a lei.
“Ho bisogno di te, Cincia, ora più che mai. Ho bisogno di sapere che sei ancora dalla mia parte o non potrò fare quello che ho in mente, vuoi che lasci perdere tutto quanto? Tutto quello che ho fatto e rischiato fin’ora? Sei ancora al mio fianco? Lo sai, potrei benissimo finirla qui, andare a riprendere gli occhi di mia figlia e riportarglieli e andarmene per sempre, scomparire, lasciandoti qui a finire i tuoi giorni. E’ questo quello che vuoi? I cavalieri stanno morendo, ma la testa del serpente è ancora più viva che mai, è quella che devo mozzare o tutto sarà stato vano.”
“Finisci quello che hai cominciato, ordinerò al mio malandato cuore di tenere duro.”
Gastone avrebbe voluto riposare ma doveva dare una mano a Cincia. “Vado in paese, ti trovo una donna che ti aiuti nei lavori domestici e con gli animali, non puoi affaticarti troppo.” Cincia non gli rispose, sapeva che aveva ragione, sentiva più che mai la sua fine che si avvicinava. Avrebbe voluto lasciarsi andare, come aveva desiderato in tutti quegli anni, ma aveva fatto una promessa e l’avrebbe mantenuta, e in fondo al suo cuore, anche se faceva fatica ad ammetterlo perfino a se stessa, desiderava esserci quando la morte si sarebbe portata via quei maledetti assassini. Ed ora ci era vicina.
Il lunedì mattina Gastone era pronto a riprendere il suo lavoro, aspettò che arrivasse Marietta, una vedova del posto, le pagò la settimana in anticipo e le raccomandò di accudire più Cincia che il resto.
Si diresse allo stesso posto dell’altra volta, ad osservare il convento e ci rimase a lungo. Decise di avvicinarsi e bussò al grande portone. Aspettò a lungo prima che gli aprissero.
“Vorrei parlare con la superiora.” La piccola suora, ad occhi bassi lo fece entrare e gli disse di aspettare. Ci volle parecchio tempo prima che ricomparisse. Gastone legò il cavallo, lasciò Rufus e seguì la suora. Alla luce del giorno quel posto era ben diverso, si vedevano giardini e piante, aiuole di piccoli fiori colorati. Avrebbe voluto vedere ogni cosa ma cercava di tenere lo sguardo basso, non voleva destare sospetti. La suora bussò ad una porta e lo fece entrare.
Era una vasta stanza che gli ricordava quella del priore che lo aveva accolto così amorevolmente, ma il viso di quella donna era tutt’altro che amorevole. Indossava la veste e il capo era coperto, il viso aguzzo e magro che i suoi occhi parevano dover cadere tanto erano in fuori, era davvero brutta. Teneva le mani poggiate sul tavolo ricoperto di vari oggetti sacri, mani rinsecchite. Gli fece cenno di sedersi, e lui col cappello in mano prese posto di fronte a lei.
“So che ha chiesto di parlarmi, cosa desidera? Posso sapere il suo nome?”
“Mi chiamo Gastone e sono il guardia boschi della zona, passo spesso da queste parti. Sto cercando una persona.”
La superiora alzò un sopracciglio. “E la viene a cercare qui? Cosa pensa di trovarci?” Sembrava piuttosto seccata, e questo lo notò anche l’uomo.
“Si tratta di mia sorella, e mi hanno detto che è stata vista da queste parti, per questo sono venuto qui.”
La monaca sembrava soppesare ogni parola che diceva.
“Questo è un convento e siamo in poche, le garantisco che non è passata nessuna ragazza a chiedere ricovero o altro, o lo saprei certamente. Credo che si debba rivolgere altrove.”
Gastone rigirava il cappello fra le mani. “Devo aver confuso convento con bordello.” Disse sottovoce.
La superiora scattò in piedi. “Come osa! Questo è un luogo consacrato e le ordino di uscire immediatamente!”
“Altrimenti?” la sfidò l’uomo.
Gli occhi della suora erano ancora di più fuori dalle orbite tanto era furiosa. Suonò un campanello che aveva davanti ma Gastone non si scompose. Si sentì bussare alla porta ed entrò la piccola suora che gli aveva aperto il portone. “Accompagna il signore fuori di qui!”
I due si sfidavano a colpi di occhiatacce e la nuova arrivata non sapeva cosa fare.
“Non me ne andrò se prima non sarò sicuro che mia sorella non è qui. Se quello che dite è vero vi basta farmi dare un’occhiata. Mi accompagnerà questa gentile sorella, e se non troverò niente, avete la mia parola che non mi rivedrete più!”
La superiora ansimava dalla rabbia. Gastone osservava quelle mani e le riconobbe. Non poteva sbagliarsi erano troppo particolari, erano quelle che avevano inchiodato all’albero una povera ragazza e quella che aveva al fianco poteva essere la stessa che l’aveva aiutata. Sentì montargli una rabbia immensa. Stringeva il bordo del cappello e aveva le nocche livide, stava cercando di calmarsi o le avrebbe strozzate lì dov’erano. Fece alcuni respiri profondi, pensando che quelle mani potevano essere quelle che avevano inchiodato anche sua figlia. Tremava in tutto il corpo, l’istinto omicida era più forte che mai e furono le parole di Cincia che gli risuonavano nella mente a dargli la forza di calmarsi. Si riprese e alzò lo sguardo su quella donna che non poteva essere una suora superiora, era falsa come tutto lo era in quel convento. Doveva andarsene, lo scopo che voleva raggiungere lo aveva ottenuto. Uscì seguito dalla suora che richiuse rumorosamente dietro di lui il portone.
Maledette, pagherete anche voi. Pensò mentre si allontanava.
Vagò nel bosco senza farsi vedere da nessuno, aspettava l’oscurità per entrare di nuovo al convento. Era sicuro, ma doveva accertarsi di persona che ormai erano rimaste solo le monache e la superiora, che le ragazze erano state spostate. Aveva una rabbia nel cuore che non riusciva a placare, doveva sforzarsi di rimanere calmo, sarebbe stato così facile porre termine a tutto, ma doveva arrivare alla stramaledettissima contessa Scarioli, inoltre voleva godersi le pene dei cavalieri, no, doveva mantenere la calma ad ogni costo.
Rufus sentiva il nervosismo del suo padrone e stava più all’erta che mai.
Finalmente scese il buio. Il cielo era bellissimo: miliardi di stelle e una luna luminosa. Come faceva ogni sera guardò tutte le stelle in cerca di quella che aveva assegnato a sua figlia e gli parve più luminosa che mai. Sto mantenendo la mia promessa, presto ti riunirò a tua madre, insieme al mio cuore. Indossò i soliti indumenti scuri e partì per il convento. Ormai era facile per lui oltrepassare le mura e conosceva abbastanza bene la distribuzione dell’interno del convento. Il silenzio era totale, soltanto gli uccelli notturni avevano il coraggio di avvicinarsi e sorvolare quel posto, a ben pensarci non c’era molto movimento sul sentiero che conduceva lì. Calzò sul viso la calza nera, soltanto gli occhi rimanevano scoperti. Stando rasente al muro camminò per tutto il perimetro contando finestre e porte del piano terra. Poi si arrampicò al piano superiore, non era difficile raggiungere uno dei balconcini e scelse quello che gli pareva più nascosto.
Entrò in una piccola stanza, distingueva soltanto un letto vuoto, un tavolino e una sedia ma non c’era nessuno. Aprì la porta meravigliandosi di quanto fosse silenziosa, si era aspettato un cigolio, un minimo di rumore ma non successe. Non c’erano candele o torce, tutto era buio, soltanto la luna e le stelle rischiaravano molto debolmente quel posto. Passò in rassegna tutto il corridoio e contò le porte chiuse. Passò davanti alla statua della Madonna e continuò la sua perlustrazione.
Si fermò in ascolto. Aveva sentito delle voci. Una sottile lama di luce sfuggiva dallo spiffero di una porta e, con estrema cautela la raggiunse. Posò l’orecchio alla fessura e rimase in ascolto.
Riconobbe senza ombra di dubbio la voce della superiora. Riuscì solo ad afferrare alcune parole ma capì che aveva consegnato un messaggio da portare alla contessa, era quello che voleva.
Tornò di corsa e silenzioso fuori dalle mura e attese.
Non passò molto che una piccola carrozza scura uscì dal portone, un unico cavallo e un cocchiere.
Doveva agire. Come un brigante che assalta i viandanti nella notte.
Il cavallo si impennò all’apparire di Rufus e il cocchiere cadde. Gastone lo colpì e quello rimase svenuto a terra. Teneva il pugnale in una mano e il fucile nell’altra, non sapeva chi si sarebbe trovato di fronte. Aprì con un calcio la piccola porta della carrozza e si trovò di fronte una donna spaventata. Camuffò la voce e si fece consegnare la borsa, intimandole di non muoversi e lasciò Rufus di guardia.
Trovò quello che cercava, lo lesse e ritornò alla carrozza.
“Non c’è niente di valore qui dentro, dove tieni le monete?”
La donna sollevò la sottana e gli consegnò un piccolo borsello con alcune monete. Si vedeva che era spaventata, l’uomo le teneva puntato il coltello alla gola.
Con un salto lasciò l’abitacolo e sparì nella notte.
La donna scese, svegliò il cocchiere e ripartirono.
Gastone aveva riconosciuto l’uomo a cassetta, l’unico uomo che entrava al convento per i lavori di giardiniere, di sicuro un uomo della contessa, ma non riconobbe la donna.
Trovò un posto riparato e si accampò in attesa dell’alba. Cercò di dormire ma non ci riuscì. Quando il giorno iniziò il suo risveglio, Gastone era già in sella ad Amleto e si inoltrò ancora di più nel bosco. Si chiese quanto tempo doveva passare prima che la contessa raggiungesse il convento. Il messaggio non era chiaro, diceva soltanto che un cavallo imbizzarrito aveva ferito una suora e necessitava di cure. E se non fosse venuta lei? Se avesse mandato qualcun altro? Lo avrebbe saputo solo al momento opportuno, non rimaneva che aspettare, lui non si sarebbe allontanato dal sentiero e non avrebbe nemmeno dormito.
Era giovedì quando sentì del movimento sul sentiero. Rufus lo aveva sentito prima di lui e gli aveva lanciato il segnale. Lasciò cavallo e cane ben nascosti e si diresse al convento, doveva entrare prima dell’arrivo della carrozza e mettersi in una posizione strategica per non perdersi l’incontro. Adesso conosceva abbastanza bene l’ubicazione del convento, quello che non sapeva era chi ci fosse nella carrozza appena arrivata e dove si sarebbe svolto l’incontro. Decise di mettersi il più vicino possibile allo studio della superiora, sperando che fosse quello il luogo.
Gli zoccoli dei due cavalli riecheggiavano sul ciottolato di pietra. Gastone aguzzava la vista e vide scendere una donna e un uomo, da quella distanza non poteva riconoscerli ma la donna doveva essere la contessa, la sua corporatura piuttosto massiccia e di bassa statura non lasciava dubbi.
I nuovi arrivati furono accolti dalla superiora che li precedette e li fece entrare. Gastone osservava le finestre cercando di scorgere un segno che gli indicasse dove fossero. Finalmente vide due mani rinsecchite chiudere le tende di una porta finestra che dava su un piccolo balconcino. Non sarebbe stato facile raggiungerlo, in pieno giorno e con pochi appigli. Per un attimo fu indeciso se entrare e cercare la stanza o salire sul balcone. Non ebbe molto tempo per decidersi perché il giardiniere entrò dal portone principale per raggiungere il suo posto. Gastone fu costretto ad entrare, dall’esterno non c’erano possibilità di passare inosservato.
Trovò una delle porte ed entrò. Se di sopra c’era la superiora e la donna della carrozza fosse una suora mandata dalla contessa doveva esserci solo un’altra monaca. Sentì delle voci e sbirciò dalla finestra. Vide il cocchiere e il giardiniere fumare insieme un sigaro.
Era silenzioso come un gatto in agguato. Alla luce del giorno ogni cosa sembrava diversa, perfino la statua della Madonna sembrava guardarlo con astio, ma a lui non importava né della Madonna né di dio.
Ora sentiva distintamente delle voci ma non quello che si dicevano, si avvicinò ancora di più e ringraziò dio della grande statua di un santo posta vicino all’entrata. Non riusciva a vedere ma ora poteva ascoltare quasi indistintamente.
“Raccontami quello che è successo col guardia boschi”. Disse la contessa alla superiora. E quella le raccontò del loro incontro, e di come fosse stato sfacciato e poco rispettoso sia del luogo che della sua persona.
“Lo avevi mai visto prima?” continuò la contessa.
“No. So che ogni tanto passa da queste parti per il suo lavoro ma non si è mai fermato troppo nella zona, o lo avremmo visto.” Le rispose la superiora.
Gastone si chiedeva chi fosse l’uomo in quella stanza e per quale motivo fosse lì.
“Domenico, vai a controllare che tutto sia in ordine.” Comandò la contessa all’uomo.
Lo sconosciuto uscì. Gastone era indeciso se seguirlo o rimanere ad ascoltare quello che quelle due maledette si dicevano. Guardò fuori dalla piccola finestra e vide lo sconosciuto entrare nelle stalle. Allora decise di rimanere ad ascoltare, nelle stalle ci sarebbe andato dopo.
“Le ragazze sono partite da tempo e sono al sicuro. I nostri affari non risentiranno di questi cambiamenti, un bordello vale l’altro. Quello che mi preoccupa sono i cavalieri, sento montare la loro protesta. Dio stramaledica quel maledetto che ha sottratto il libro della setta, lo ha nascosto proprio bene, sono anni che lo faccio cercare ma nessuno è riuscito a trovarlo. E’ ultimata la copia che ti ho ordinato di scrivere?” Chiese rabbiosa la contessa.
“Sì, è ultimata. La stiamo trattando per farla sembrare antica, ma è quasi pronta. Ho eseguito i tuoi ordini alla lettera, ora vorrei che tu mantenessi la tua promessa, dimmi dove si trova mia figlia, voglio vederla!” bisbigliò la superiora.
“Ogni cosa a suo tempo, ma quasi ci siamo. C’è parecchio denaro e parecchie proprietà che ci aspettano, cara sorella, mia nipote è in buone mani, non ti devi preoccupare per lei.” Le rispose la contessa.
A Gastone si rizzarono le orecchie, la figlia della superiora (se davvero era una monaca) che era la sorella della contessa, doveva scoprirne di più.
Sentì dei passi e fece appena in tempo a nascondersi, Domenico stava tornando. C’era mancato poco che lo scoprisse, doveva stare più vigile.
L’uomo entrò nella stanza. “Tutto a posto.” Disse semplicemente.
Si sentì rumore di sedie.
“Cosa facciamo col guardia boschi?” Rimarcò la superiora.
“A lui ci pensa Domenico, non ti devi preoccupare. Ti sei mai preoccupata di qualcosa oltre che a combinare danni? Ci ho sempre pensato io, stai tranquilla che ci penso io pure questa volta, ancora poco tempo e tutto sarà finito. Al rito di ottobre, con le due vergini farò in modo che venga messa la parola fine a tutto questo e noi potremo vivere ricche.” Sentenziò la contessa.
“E con le due monache che mi hanno aiutata con i cadaveri delle ragazze?” Insistette la superiora.
“Ti ho detto di non preoccuparti, e poi non sono monache vere, di che ti crucci. Fai buona guardia ancora per qualche mese e poi tutto finirà! Ora devo tornare a casa, c’è bisogno di me.”
Si sentì la sedia spostarsi e poco dopo uscirono tutti dalla stanza. Gastone aveva altri elementi da valutare, primo fra tutti controllare le stalle e poi scoprire il più possibile sulla contessa e sua nipote. Sentiva il sangue scorrergli velocemente nelle vene al pensiero di quello che avrebbe fatto a quelle donne, a tutte e tre, dopo aver sistemato anche Domenico, che avrebbe raggiunto gli altri cadaveri nel cunicolo. Ora doveva pensare a cosa dire ai cavalieri che lo avevano assoldato, ma per fare questo aveva bisogno di entrare nella proprietà della contessa e lo avrebbe fatto la settimana seguente.
Si affacciò alla piccola finestra mentre la carrozza raggiungeva i due visitatori. Gastone aguzzò la vista e cercò di imprimersi nella mente la faccia di quel Domenico e della contessa. Aspettò che se ne andassero e, sempre con la sua massima cautela uscì dal convento e raggiunse cavallo e cane.
Era ora di tornare a casa, aveva molte cose a cui pensare.


Romanzo di Milena Ziletti - diritti e proprietà a lei riservati

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