mercoledì 19 agosto 2020

IL SEGRETO DELLA LUNA


IL SEGRETO DELLA LUNA

parte settanta






Capitolo trentatre
Si avvicinava il plenilunio di dicembre e la contessa era furiosa. Ormai aveva capito che quei maledetti non sarebbero tornati. Presa dal suo delirio convocò sua sorella e le ordinò di trovare due ragazze da sacrificare. Carmela piangeva a dirotto e, per la prima volta rifiutò di obbedirle.
Non c’era più Domenico a bloccare i suoi scatti di rabbia. La contessa prese una frusta e ridusse la schiena di sua sorella quasi a una poltiglia. Il viso della donna era trasformato mentre con tutta la forza e la rabbia che aveva in corpo sfogava sulla sorella la frustrazione di quei mesi e di tutti gli inconvenienti che erano successi. Fu solo l’arrivo di Mariuccia che, atterrita alla vista di quello che stava succedendo, urlò a sua madre di smettere e cercò di difendere il corpo martoriato della zia prendendosi anche lei un paio di frustate prima che la contessa ritrovasse un minimo di lucidità.
Il respiro affannoso della contessa si stava lentamente placando. Mollò la frusta e anche la sua mano sanguinava. Guardò sua sorella svenuta e il viso sconvolto di Mariuccia. “Portala nella sua camera e cerca di medicarla. Guai a te se chiami qualcuno o parli con qualcuno!”
La contessa raggiunse il suo studio e si medicò la ferita sulla mano. Ora aveva il terrore che i guai che avevano subìto i cavalieri potessero toccare anche a lei, doveva stare in guardia ed essere vigile anche ai più piccoli dettagli.
Lasciò che passassero le festività, l’anno nuovo era appena cominciato e Carmela si stava riprendendo. Le ferite non erano ancora guarite ma, la ferita più grossa l’aveva subita la sua mente, che ora vacillava. Era tormentata dai rimorsi per tutto quello che sua sorella l’aveva costretta a fare in quegli anni, dal fatto di non poter svelare a sua figlia che era lei sua madre e, giorno dopo giorno si perdeva in un mondo dove niente era reale.
Mariuccia si teneva alla larga da sua madre, ora che aveva conosciuto quel lato nascosto ne era impaurita e aveva notato che i suoi occhi erano sempre cattivi, come se si aspettasse un cataclisma da un momento all’altro.
I sentieri erano ancora innevati, era gennaio e la neve cadeva abbondante quando la contessa prese il suo cavallo e, solitaria andò a controllare che i bauli pieni di monete e di oro fossero ancora al loro posto. La sua era diventata una fissazione: controllava i lavori, che erano quasi nulli in quel periodo, interrogava i suoi lavoranti che a turno chiamava nel suo studio, andava a vedere se gli animali stavano bene, non si fidava più di nessuno e in tanti avevano notato il cambiamento, soprattutto la mancanza di Domenico, l’unico che riusciva in qualche modo a gestirla.
Passarono i mesi e, mentre fuori tutto procedeva come doveva essere, in casa l’aria si era fatta irrespirabile. Ogni tanto la contessa passava a trovare sua sorella che ora aveva perso l’intelletto e trascorreva le giornate a guardare fuori dalla finestra accudita da alcune cameriere.
Mariuccia non aveva più rivolto la parola a sua madre e passava molto tempo con la zia, in silenzio e, spesso era costretta ad asciugare le lacrime di quella che era la sua vera madre.
Era appena cominciata l’estate, la contessa controllava ossessivamente i lavori, aveva assunto altri uomini di fiducia ma ormai non si fidava più di nessuno. Nonostante tutto procedesse nel modo migliore non riusciva a rilassarsi.

Era iniziato agosto e Margherita si accorse di aspettare un bambino. Non lo aveva ancora detto al suo uomo, non lo avrebbe fatto, non ancora.
Margherita notava l’espressione di Gastone che stava cambiando, qualcosa stava succedendo, sapeva che era solo questione di tempo prima che la situazione cambiasse, ma lei aveva fiducia nel suo uomo, le aveva promesso che sarebbe tornato e lei lo avrebbe aspettato.
Gli abitanti del piccolo villaggio avevano imparato ad apprezzare Gastone, sempre disponibile e prodigo di consigli, Margherita sempre pronta a dare una mano a chi ne aveva bisogno, soprattutto agli anziani, si erano integrati ed erano felici, ma…
Era quasi finito agosto e l’aria da quelle parti era già piuttosto fresca. Gastone e Margherita erano a tavola mentre fuori la sera scendeva con un tramonto talmente rosso che sembrava sangue che colava dietro le nuvole. Lei allungò la mano e prese quella di lui. “Ci siamo, Gastone? Vedo nei tuoi occhi che qualcosa è maturato, fa quello che devi, io ti aspetto, so che manterrai la tua promessa e che tornerai, mi troverai qui. Ti chiedo solo di non lasciarmi sola troppo a lungo, mi mancherai.”
Gastone strinse la mano esile della sua donna, sapeva di amarla ma come poteva dirglielo fino a quando il suo cuore non fosse stato del tutto libero?
“Partirò molto presto, ti prometto che non starò lontano a lungo e che quando tornerò tutto sarà diverso fra noi. Ti porterò a fare un viaggio ma sarà qui che torneremo, amo questo posto, ed è qui che voglio vivere insieme a te.” Avrebbe voluto dirle “amo anche te” che voleva sposarla, e lo avrebbe fatto, sì lo avrebbe fatto ma solo dopo aver portato a termine la sua vendette.

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PARTE SECONDA
Capitolo uno
Gastone aprì gli occhi e per un istante non capì dove fosse. Poi si ricordò. Era lì, era arrivato proprio dove la storia avrebbe avuto conclusione.
Aveva dormito nei boschi, ispezionato terreni, aveva già visto dove era sepolto il tesoro dei cavalieri, sapeva dove abitava la contessa. Era stato fortunato, aveva trovato una grotta vicino al fiume e vi si era stabilito, nessuno si era accorto della sua presenza. Aveva impiegato del tempo a preparare quello che gli serviva e aveva in mente quello che voleva fare. La grotta distava circa trecento metri dal pozzo dei mille tagli. Tutto nella sua mente era pronto e avrebbe agito con estrema rapidità.
Il buio era sceso e in paese i festeggiamenti continuavano. In piazza si ballava e si beveva a volontà e lui raggiunse un tavolo ordinando da mangiare e da bere.
Molti ragazzini si rincorrevano, c’era molta allegria. Una donna sorridente gli portò quello che aveva ordinato. Osservava ogni cosa e riconobbe la contessa che da giorni spiava. Era una donna piuttosto bassa e tozza e accanto a lei la ragazzina che spacciava a tutti come sua figlia.
Accese un sigaro e rimase a guardarle mentre dentro di lui ribolliva l’attesa di quello che sarebbe successo.
Era la prima domenica di ottobre e le giornate si erano accorciate, da alcuni giorni una leggera foschia rendeva tutto più romantico se solo avesse avuto cuore per capirlo.
Ora la ragazzina si alzò e diede il braccio ad un ragazzo che l’accompagnò a ballare. La contessa era seduta da sola mentre lui gli passò vicino e le fece scivolare un biglietto nella tasca della giacca appesa alla sua sedia.
Era il primo passo. Gastone tornò nella sua grotta e controllò che tutto fosse pronto.
Andò alla tenuta, aveva nella testa ogni particolare che si era impresso in quegli ultimi giorni. Entrò da un portoncino che quasi più nessuno usava e si ritrovò nel cortile. Era buio ma dalle finestre usciva abbastanza luce. Con estrema circospezione entrò nel palazzo e salì uno scalone che portava ai piani superiori. Aprì diverse porte prima di trovare quello che cercava: Carmela dormiva tranquilla nel suo letto. Le coprì il viso con un panno imbevuto di cloroformio e, sempre senza far nessun rumore la condusse nella sua grotta. Avrebbe dormito ancora alcune ore, il tempo per continuare il suo piano. Non si fermò nemmeno un attimo e uscì.
Si appostò vicino all’entrata principale della tenuta e rimase in attesa.
Non dovette aspettare molto. Un calesse guidato dalla contessa con al fianco la ragazzina arrivava lentamente. Si sentivano le voci concitate delle due ma lui non le stette ad ascoltare.
Con un balzo uscì dal suo nascondiglio, fermò il cavallo e puntò il coltello alla gola della contessa. “la ragazza viene con me, con te ho un appuntamento. E’ tutto scritto nel biglietto.” Così come era apparso sparì nella notte tenendo fra le braccia il corpo addormentato di Mariuccia.
La contessa Scarioli frustò il cavallo e raggiunse le stalle. Era fuori dalla grazia di dio ma non poteva chiedere aiuto a nessuno. Rovistò nella tasca e trovò il pezzo di carta se vuole rivedere vive sua nipote e sua sorella, segua le mie indicazioni, tu sai chi sono io! E di seguito le indicazioni da seguire.
La donna corse nella camera di sua sorella ma già sapeva che non l’avrebbe trovata. Quell’uomo teneva prigioniere le due donne e lei non poteva farne parola con nessuno o il suo tesoro sarebbe saltato in aria. Fosse stato solo per loro due gliele avrebbe volentieri lasciate, ma al tesoro non voleva rinunciare.
Cercò di calmarsi ma non era facile. Era nella sua camera e  gettava oggetti contro il muro urlando come una pazza quale era. Nessuno arrivò a vedere cosa stesse succedendo, anzi si tennero molto alla larga. Si cambiò d’abito e uscì senza che nessuno se ne accorgesse, diretta all’appuntamento.
Raggiunse il limite della tenuta e non si accorse del braccio che le strinse la gola facendole perdere i sensi.
Ora era tutto pronto.
La prima a svegliarsi fu la contessa che vide i corpi delle altre due ancora addormentati, seduti in terra con la schiena appoggiata alla parete di spessa pietra.
Alcune torce rischiaravano il posto e lei osservò atterrita le tre croci appoggiate vicine ad ognuna di loro. Erano tutte e tre con mani e piedi legati e un bavaglio sulla bocca.
Gastone non aveva ancora detto una parola. Si sedette in attesa che si svegliassero anche le altre.
Alcuni gemiti della ragazza, seguiti da quelli di Carmela lo fece alzare e si mise in modo che ognuna di loro lo potesse osservare.
“Credo di aver catturato la vostra attenzione. Ora vi tolgo il bavaglio ma al primo grido vi taglierò la lingua, mi avete capito?” E quelle assentirono all’infuori di Carmela che aveva gli occhi sbarrati e pieni di lacrime.
“Chi sei tu?” Chiese la contessa.
“Tu, brutta stronza non sei autorizzata a parlare, taci o la tua lingua sarà la prima a sanguinare.” Gastone parlava con tono calmo, era il suo sguardo quello che faceva più paura.
“Ora facciamo il gioco della verità, prima che la ragazzina muoia ha diritto di saperla. Come ti chiami?” Le chiese.
“Mariuccia” sussurrò.
“Bene, Mariuccia lo sai chi sono quelle donne? La contessa è tua zia e quell’altra è la tua vera madre. State zitte.” Disse al primo cenno di rivolta della contessa.
“Voglio raccontarti una storia, per farti capire il motivo per il quale morirai e come morirai. Quelle due vipere sono, anzi erano a capo di una setta segreta, I cavalieri della terra feconda, una setta nata molti e molti anni fa, fondata da un vostro avo. Eh sì, ho pure trovato il libro della fondazione che è finito in cenere.” Disse con un sorrisetto rivolto alla contessa.
“Questa setta aveva a capo tua zia, c’erano altri sette cavalieri che le obbedivano e che ora sono tutti morti, insieme ai loro figli, con i loro terreni avvelenati e gli animali morti, tutto per mano mia.” Aspettò che le sue parole fossero penetrate nella mente di tutte.
“E sai cosa facevano durante il plenilunio? Sacrificavano una vergine, ne bevevano il sangue e svolgevano il loro rito. Nessuno si è mai preoccupato di sapere chi fosse la sventurata né del dolore inflitto alle loro famiglie, quello che a loro importava erano beni e ricchezze.”
Carmela si lamentava come un animale ferito mentre il pianto le squassava il petto.
“Tua zia conduceva il rito, poi tua madre, quella vera, aiutata da altre donne, prendeva il corpo della sventurata e lo inchiodava ad un albero. Lo lasciava lì, come se fosse spazzatura. Ecco perché tu ora farai la stessa fine.” Disse rivolto alla ragazza che si agitava molto spaventata.
Rimise il bavaglio a tutte.
Sollevò il corpo leggero di Mariuccia e lo mise davanti alla croce che aveva lui stesso costruito. Fu preso da un attimo di dubbio, ma lo scacciò senza timore.
Appoggiò il corpo tremante della ragazza, prese un lungo chiodo e trapassò il palmo della mano inchiodandolo al legno. Le donne urlavano da dietro il bavaglio e avevano gli occhi inondati di lacrime.
Le prese l’altra mano e la inchiodò.
“E’ tutto regolare?” Chiese rivolto a Carmela. “Dopo tutto sei tu l’esperta.”
Le unì i piedi e inchiodò anche quelli al palo di legno. Mariuccia era svenuta, soltanto poche lacrime le bagnavano le guance.
Gastone prese il coltello e le tagliò i vestiti. Incise i segni sul seno e sul pube. Il sangue colava a goccioloni.
“Ed ora gli occhi.” Disse.
Le due donne sembravano impazzire, cercavano in tutti i modi di liberarsi dai lacci, erano terrorizzate.
Gastone poggiò una mano sul cuore della ragazza. Batteva ancora, ma era ormai già nell’altro mondo. Prese dalla sua sacca l’arnese che lui stesso aveva costruito e che aveva usato su tutte le ragazze e, con destrezza le cavò gli occhi. Li mise in una boccetta e glieli mise ai piedi. Incise il polso sinistro e il sangue cominciò a sgorgare veloce.
Sempre dalla borsa prese il calice che i cavalieri usavano per i sacrifici e lo mostrò alla contessa. “Numero uno, lo riconosci?” La donna sgranò gli occhi, ancora non si capacitava di come quel maledetto uomo sapesse tante cose.
Lo posizionò in modo che raccogliesse il sangue della ragazza che aveva ancora solo pochi attimi di vita.
“Ed ora passiamo a te.” Disse a Carmela che non aveva mai smesso di piangere.
La inchiodò alla croce come aveva fatto con sua figlia. “Sono stato bravo? Ho eseguito tutto correttamente?”Le chiese sputandole in faccia. “Tu avresti potuto fermarla, sei colpevole quanto e più di lei.” Le tagliò la leggera camicia e la denudò. Incise i simboli sul seno e sul pube, ma non le cavò gli occhi, non ancora.
Sospirò e si mise di fronte alla contessa. “Numero Uno sei pronta?” quella ansimava e aveva il cuore che non avrebbe retto ancora a lungo.
La denudò facendole sentire tutta la vergogna che le vergini avevano provato. La inchiodò con estrema lentezza e le tolse il bavaglio. “Non la passerai liscia” Gli disse faticosamente.
Gastone rise di gusto. “Nessuno scoprirà mai niente, stanne certa.” Le rispose.
Prese il boccale col sangue di Mariuccia e si avvicinò e recitò: Io, Grande sacerdotessa dei Cavalieri della Terra Feconda, bagno il mio corpo, la mia Anima Nera e quella di tutti i cavalieri, dono a te, Santo Protettore il sangue di questa vergine perché possa donarci prosperità, lunga vita, denaro e potere.
“Adesso bevilo! Così come hai bevuto quello di mia figlia!” Urlò facendo uscire tutta la sua disperazione.  Le avvicinò il calice e le fece ingoiare varie sorsate di sangue.
Lo stesso fece con Carmela, poi con rabbia gettò a terra la coppa.
“Come hai potuto, come avete potuto dare tanto dolore! E per cosa? Ora l’inferno vi inghiottirà e nessuno saprà mai quello che vi è successo. Il tuo tesoro sparirà e nessuno lo troverà mai, è macchiato di sangue innocente e del dolore di troppi genitori. Il pozzo dei mille tagli sarà la vostra tomba.” Riprese fiato.
Prima a Carmela, poi alla contessa cavò gli occhi, ancora non erano morte, ma ci sarebbe voluto ancora poco. L’alba sarebbe sorta dopo un paio d’ore e lui voleva essere già lontano prima del sorgere del sole.
Si sedette, piangeva come un bambino, era la prima volta che piangeva davvero dopo la morte delle sue donne. Ora più nessuno avrebbe sofferto come lui. Carmela era spirata ma la contessa ancora respirava. Le si avvicinò. “Sai che ti dico? Ho cambiato idea, vi metterò in bella mostra, come avete fatto con i corpi delle povere ragazze.”
Portò fuori la croce con Mariuccia e la appoggiò ad un albero. Vicino mise quella di sua madre. Rientrò e l’altra donna ancora non era morta, la portò fuori ma in un ultimo sfregio la lasciò sdraiata a terra, ai piedi delle altre due. Pochi minuti e anche lei esalò l’ultimo respiro.
Tutto era compiuto. I suoi abiti erano fradici di sangue e il suo respiro stava tornando lentamente alla normalità.


Romanzo di Milena Ziletti - diritti e proprietà a lei riservati

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