IL SEGRETO DELLA LUNA
parte settanta
Capitolo trentatre
Si
avvicinava il plenilunio di dicembre e la contessa era furiosa. Ormai aveva
capito che quei maledetti non sarebbero tornati. Presa dal suo delirio convocò
sua sorella e le ordinò di trovare due ragazze da sacrificare. Carmela piangeva
a dirotto e, per la prima volta rifiutò di obbedirle.
Non c’era
più Domenico a bloccare i suoi scatti di rabbia. La contessa prese una frusta e
ridusse la schiena di sua sorella quasi a una poltiglia. Il viso della donna
era trasformato mentre con tutta la forza e la rabbia che aveva in corpo
sfogava sulla sorella la frustrazione di quei mesi e di tutti gli inconvenienti
che erano successi. Fu solo l’arrivo di Mariuccia che, atterrita alla vista di
quello che stava succedendo, urlò a sua madre di smettere e cercò di difendere
il corpo martoriato della zia prendendosi anche lei un paio di frustate prima
che la contessa ritrovasse un minimo di lucidità.
Il respiro
affannoso della contessa si stava lentamente placando. Mollò la frusta e anche
la sua mano sanguinava. Guardò sua sorella svenuta e il viso sconvolto di
Mariuccia. “Portala nella sua camera e cerca di medicarla. Guai a te se chiami
qualcuno o parli con qualcuno!”
La contessa
raggiunse il suo studio e si medicò la ferita sulla mano. Ora aveva il terrore
che i guai che avevano subìto i cavalieri potessero toccare anche a lei, doveva
stare in guardia ed essere vigile anche ai più piccoli dettagli.
Lasciò che
passassero le festività, l’anno nuovo era appena cominciato e Carmela si stava
riprendendo. Le ferite non erano ancora guarite ma, la ferita più grossa
l’aveva subita la sua mente, che ora vacillava. Era tormentata dai rimorsi per
tutto quello che sua sorella l’aveva costretta a fare in quegli anni, dal fatto
di non poter svelare a sua figlia che era lei sua madre e, giorno dopo giorno
si perdeva in un mondo dove niente era reale.
Mariuccia si
teneva alla larga da sua madre, ora che aveva conosciuto quel lato nascosto ne
era impaurita e aveva notato che i suoi occhi erano sempre cattivi, come se si
aspettasse un cataclisma da un momento all’altro.
I sentieri
erano ancora innevati, era gennaio e la neve cadeva abbondante quando la
contessa prese il suo cavallo e, solitaria andò a controllare che i bauli pieni
di monete e di oro fossero ancora al loro posto. La sua era diventata una
fissazione: controllava i lavori, che erano quasi nulli in quel periodo,
interrogava i suoi lavoranti che a turno chiamava nel suo studio, andava a
vedere se gli animali stavano bene, non si fidava più di nessuno e in tanti
avevano notato il cambiamento, soprattutto la mancanza di Domenico, l’unico che
riusciva in qualche modo a gestirla.
Passarono i
mesi e, mentre fuori tutto procedeva come doveva essere, in casa l’aria si era
fatta irrespirabile. Ogni tanto la contessa passava a trovare sua sorella che
ora aveva perso l’intelletto e trascorreva le giornate a guardare fuori dalla
finestra accudita da alcune cameriere.
Mariuccia
non aveva più rivolto la parola a sua madre e passava molto tempo con la zia,
in silenzio e, spesso era costretta ad asciugare le lacrime di quella che era
la sua vera madre.
Era appena
cominciata l’estate, la contessa controllava ossessivamente i lavori, aveva
assunto altri uomini di fiducia ma ormai non si fidava più di nessuno.
Nonostante tutto procedesse nel modo migliore non riusciva a rilassarsi.
Era iniziato
agosto e Margherita si accorse di aspettare un bambino. Non lo aveva ancora
detto al suo uomo, non lo avrebbe fatto, non ancora.
Margherita
notava l’espressione di Gastone che stava cambiando, qualcosa stava succedendo,
sapeva che era solo questione di tempo prima che la situazione cambiasse, ma
lei aveva fiducia nel suo uomo, le aveva promesso che sarebbe tornato e lei lo
avrebbe aspettato.
Gli abitanti
del piccolo villaggio avevano imparato ad apprezzare Gastone, sempre
disponibile e prodigo di consigli, Margherita sempre pronta a dare una mano a
chi ne aveva bisogno, soprattutto agli anziani, si erano integrati ed erano
felici, ma…
Era quasi
finito agosto e l’aria da quelle parti era già piuttosto fresca. Gastone e
Margherita erano a tavola mentre fuori la sera scendeva con un tramonto
talmente rosso che sembrava sangue che colava dietro le nuvole. Lei allungò la
mano e prese quella di lui. “Ci siamo, Gastone? Vedo nei tuoi occhi che
qualcosa è maturato, fa quello che devi, io ti aspetto, so che manterrai la tua
promessa e che tornerai, mi troverai qui. Ti chiedo solo di non lasciarmi sola
troppo a lungo, mi mancherai.”
Gastone
strinse la mano esile della sua donna, sapeva di amarla ma come poteva
dirglielo fino a quando il suo cuore non fosse stato del tutto libero?
“Partirò
molto presto, ti prometto che non starò lontano a lungo e che quando tornerò
tutto sarà diverso fra noi. Ti porterò a fare un viaggio ma sarà qui che
torneremo, amo questo posto, ed è qui che voglio vivere insieme a te.” Avrebbe
voluto dirle “amo anche te” che voleva sposarla, e lo avrebbe fatto, sì lo
avrebbe fatto ma solo dopo aver portato a termine la sua vendette.
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PARTE SECONDA
Capitolo uno
Gastone aprì
gli occhi e per un istante non capì dove fosse. Poi si ricordò. Era lì, era
arrivato proprio dove la storia avrebbe avuto conclusione.
Aveva
dormito nei boschi, ispezionato terreni, aveva già visto dove era sepolto il
tesoro dei cavalieri, sapeva dove abitava la contessa. Era stato fortunato,
aveva trovato una grotta vicino al fiume e vi si era stabilito, nessuno si era
accorto della sua presenza. Aveva impiegato del tempo a preparare quello che
gli serviva e aveva in mente quello che voleva fare. La grotta distava circa
trecento metri dal pozzo dei mille tagli. Tutto nella sua mente era pronto e
avrebbe agito con estrema rapidità.
Il buio era
sceso e in paese i festeggiamenti continuavano. In piazza si ballava e si
beveva a volontà e lui raggiunse un tavolo ordinando da mangiare e da bere.
Molti
ragazzini si rincorrevano, c’era molta allegria. Una donna sorridente gli portò
quello che aveva ordinato. Osservava ogni cosa e riconobbe la contessa che da
giorni spiava. Era una donna piuttosto bassa e tozza e accanto a lei la
ragazzina che spacciava a tutti come sua figlia.
Accese un
sigaro e rimase a guardarle mentre dentro di lui ribolliva l’attesa di quello
che sarebbe successo.
Era la prima
domenica di ottobre e le giornate si erano accorciate, da alcuni giorni una
leggera foschia rendeva tutto più romantico se solo avesse avuto cuore per
capirlo.
Ora la
ragazzina si alzò e diede il braccio ad un ragazzo che l’accompagnò a ballare.
La contessa era seduta da sola mentre lui gli passò vicino e le fece scivolare
un biglietto nella tasca della giacca appesa alla sua sedia.
Era il primo
passo. Gastone tornò nella sua grotta e controllò che tutto fosse pronto.
Andò alla
tenuta, aveva nella testa ogni particolare che si era impresso in quegli ultimi
giorni. Entrò da un portoncino che quasi più nessuno usava e si ritrovò nel
cortile. Era buio ma dalle finestre usciva abbastanza luce. Con estrema
circospezione entrò nel palazzo e salì uno scalone che portava ai piani
superiori. Aprì diverse porte prima di trovare quello che cercava: Carmela
dormiva tranquilla nel suo letto. Le coprì il viso con un panno imbevuto di
cloroformio e, sempre senza far nessun rumore la condusse nella sua grotta.
Avrebbe dormito ancora alcune ore, il tempo per continuare il suo piano. Non si
fermò nemmeno un attimo e uscì.
Si appostò
vicino all’entrata principale della tenuta e rimase in attesa.
Non dovette
aspettare molto. Un calesse guidato dalla contessa con al fianco la ragazzina
arrivava lentamente. Si sentivano le voci concitate delle due ma lui non le
stette ad ascoltare.
Con un balzo
uscì dal suo nascondiglio, fermò il cavallo e puntò il coltello alla gola della
contessa. “la ragazza viene con me, con te ho un appuntamento. E’ tutto scritto
nel biglietto.” Così come era apparso sparì nella notte tenendo fra le braccia
il corpo addormentato di Mariuccia.
La contessa
Scarioli frustò il cavallo e raggiunse le stalle. Era fuori dalla grazia di dio
ma non poteva chiedere aiuto a nessuno. Rovistò nella tasca e trovò il pezzo di
carta se vuole rivedere vive sua nipote e
sua sorella, segua le mie indicazioni, tu
sai chi sono io! E di seguito le indicazioni da seguire.
La donna
corse nella camera di sua sorella ma già sapeva che non l’avrebbe trovata.
Quell’uomo teneva prigioniere le due donne e lei non poteva farne parola con
nessuno o il suo tesoro sarebbe saltato in aria. Fosse stato solo per loro due
gliele avrebbe volentieri lasciate, ma al tesoro non voleva rinunciare.
Cercò di
calmarsi ma non era facile. Era nella sua camera e gettava oggetti contro il muro urlando come
una pazza quale era. Nessuno arrivò a vedere cosa stesse succedendo, anzi si
tennero molto alla larga. Si cambiò d’abito e uscì senza che nessuno se ne
accorgesse, diretta all’appuntamento.
Raggiunse il
limite della tenuta e non si accorse del braccio che le strinse la gola
facendole perdere i sensi.
Ora era
tutto pronto.
La prima a
svegliarsi fu la contessa che vide i corpi delle altre due ancora addormentati,
seduti in terra con la schiena appoggiata alla parete di spessa pietra.
Alcune torce
rischiaravano il posto e lei osservò atterrita le tre croci appoggiate vicine
ad ognuna di loro. Erano tutte e tre con mani e piedi legati e un bavaglio
sulla bocca.
Gastone non
aveva ancora detto una parola. Si sedette in attesa che si svegliassero anche
le altre.
Alcuni
gemiti della ragazza, seguiti da quelli di Carmela lo fece alzare e si mise in
modo che ognuna di loro lo potesse osservare.
“Credo di
aver catturato la vostra attenzione. Ora vi tolgo il bavaglio ma al primo grido
vi taglierò la lingua, mi avete capito?” E quelle assentirono all’infuori di
Carmela che aveva gli occhi sbarrati e pieni di lacrime.
“Chi sei
tu?” Chiese la contessa.
“Tu, brutta
stronza non sei autorizzata a parlare, taci o la tua lingua sarà la prima a sanguinare.”
Gastone parlava con tono calmo, era il suo sguardo quello che faceva più paura.
“Ora
facciamo il gioco della verità, prima che la ragazzina muoia ha diritto di
saperla. Come ti chiami?” Le chiese.
“Mariuccia”
sussurrò.
“Bene,
Mariuccia lo sai chi sono quelle donne? La contessa è tua zia e quell’altra è
la tua vera madre. State zitte.” Disse al primo cenno di rivolta della
contessa.
“Voglio
raccontarti una storia, per farti capire il motivo per il quale morirai e come
morirai. Quelle due vipere sono, anzi erano a capo di una setta segreta, I cavalieri della terra feconda, una
setta nata molti e molti anni fa, fondata da un vostro avo. Eh sì, ho pure
trovato il libro della fondazione che è finito in cenere.” Disse con un
sorrisetto rivolto alla contessa.
“Questa
setta aveva a capo tua zia, c’erano altri sette cavalieri che le obbedivano e
che ora sono tutti morti, insieme ai loro figli, con i loro terreni avvelenati
e gli animali morti, tutto per mano mia.” Aspettò che le sue parole fossero
penetrate nella mente di tutte.
“E sai cosa
facevano durante il plenilunio? Sacrificavano una vergine, ne bevevano il
sangue e svolgevano il loro rito. Nessuno si è mai preoccupato di sapere chi
fosse la sventurata né del dolore inflitto alle loro famiglie, quello che a
loro importava erano beni e ricchezze.”
Carmela si
lamentava come un animale ferito mentre il pianto le squassava il petto.
“Tua zia
conduceva il rito, poi tua madre, quella vera, aiutata da altre donne, prendeva
il corpo della sventurata e lo inchiodava ad un albero. Lo lasciava lì, come se
fosse spazzatura. Ecco perché tu ora farai la stessa fine.” Disse rivolto alla
ragazza che si agitava molto spaventata.
Rimise il
bavaglio a tutte.
Sollevò il
corpo leggero di Mariuccia e lo mise davanti alla croce che aveva lui stesso
costruito. Fu preso da un attimo di dubbio, ma lo scacciò senza timore.
Appoggiò il
corpo tremante della ragazza, prese un lungo chiodo e trapassò il palmo della
mano inchiodandolo al legno. Le donne urlavano da dietro il bavaglio e avevano
gli occhi inondati di lacrime.
Le prese
l’altra mano e la inchiodò.
“E’ tutto
regolare?” Chiese rivolto a Carmela. “Dopo tutto sei tu l’esperta.”
Le unì i
piedi e inchiodò anche quelli al palo di legno. Mariuccia era svenuta, soltanto
poche lacrime le bagnavano le guance.
Gastone
prese il coltello e le tagliò i vestiti. Incise i segni sul seno e sul pube. Il
sangue colava a goccioloni.
“Ed ora gli
occhi.” Disse.
Le due donne
sembravano impazzire, cercavano in tutti i modi di liberarsi dai lacci, erano
terrorizzate.
Gastone
poggiò una mano sul cuore della ragazza. Batteva ancora, ma era ormai già
nell’altro mondo. Prese dalla sua sacca l’arnese che lui stesso aveva costruito
e che aveva usato su tutte le ragazze e, con destrezza le cavò gli occhi. Li
mise in una boccetta e glieli mise ai piedi. Incise il polso sinistro e il
sangue cominciò a sgorgare veloce.
Sempre dalla
borsa prese il calice che i cavalieri usavano per i sacrifici e lo mostrò alla
contessa. “Numero uno, lo riconosci?” La donna sgranò gli occhi, ancora non si
capacitava di come quel maledetto uomo sapesse tante cose.
Lo posizionò
in modo che raccogliesse il sangue della ragazza che aveva ancora solo pochi
attimi di vita.
“Ed ora
passiamo a te.” Disse a Carmela che non aveva mai smesso di piangere.
La inchiodò
alla croce come aveva fatto con sua figlia. “Sono stato bravo? Ho eseguito
tutto correttamente?”Le chiese sputandole in faccia. “Tu avresti potuto
fermarla, sei colpevole quanto e più di lei.” Le tagliò la leggera camicia e la
denudò. Incise i simboli sul seno e sul pube, ma non le cavò gli occhi, non
ancora.
Sospirò e si
mise di fronte alla contessa. “Numero Uno sei pronta?” quella ansimava e aveva
il cuore che non avrebbe retto ancora a lungo.
La denudò
facendole sentire tutta la vergogna che le vergini avevano provato. La inchiodò
con estrema lentezza e le tolse il bavaglio. “Non la passerai liscia” Gli disse
faticosamente.
Gastone rise
di gusto. “Nessuno scoprirà mai niente, stanne certa.” Le rispose.
Prese il
boccale col sangue di Mariuccia e si avvicinò e recitò: Io, Grande sacerdotessa dei Cavalieri della Terra Feconda, bagno il mio
corpo, la mia Anima Nera e quella di tutti i cavalieri, dono a te, Santo
Protettore il sangue di questa vergine perché possa donarci prosperità, lunga
vita, denaro e potere.
“Adesso
bevilo! Così come hai bevuto quello di mia figlia!” Urlò facendo uscire tutta
la sua disperazione. Le avvicinò il
calice e le fece ingoiare varie sorsate di sangue.
Lo stesso
fece con Carmela, poi con rabbia gettò a terra la coppa.
“Come hai
potuto, come avete potuto dare tanto dolore! E per cosa? Ora l’inferno vi
inghiottirà e nessuno saprà mai quello che vi è successo. Il tuo tesoro sparirà
e nessuno lo troverà mai, è macchiato di sangue innocente e del dolore di
troppi genitori. Il pozzo dei mille tagli sarà la vostra tomba.” Riprese fiato.
Prima a
Carmela, poi alla contessa cavò gli occhi, ancora non erano morte, ma ci
sarebbe voluto ancora poco. L’alba sarebbe sorta dopo un paio d’ore e lui
voleva essere già lontano prima del sorgere del sole.
Si sedette,
piangeva come un bambino, era la prima volta che piangeva davvero dopo la morte
delle sue donne. Ora più nessuno avrebbe sofferto come lui. Carmela era spirata
ma la contessa ancora respirava. Le si avvicinò. “Sai che ti dico? Ho cambiato
idea, vi metterò in bella mostra, come avete fatto con i corpi delle povere
ragazze.”
Portò fuori
la croce con Mariuccia e la appoggiò ad un albero. Vicino mise quella di sua
madre. Rientrò e l’altra donna ancora non era morta, la portò fuori ma in un
ultimo sfregio la lasciò sdraiata a terra, ai piedi delle altre due. Pochi
minuti e anche lei esalò l’ultimo respiro.
Tutto era
compiuto. I suoi abiti erano fradici di sangue e il suo respiro stava tornando
lentamente alla normalità.
Romanzo di Milena Ziletti - diritti e proprietà a lei riservati
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