IL SEGRETO DELLA LUNA
parte sessantotto
Tornò a
casa, per quel giorno non sarebbe uscito. Cincia era davvero allo stremo e lui
non desiderava lasciarla sola più del necessario.
“E’ tutto a
posto, vecchia amica. Ora tocca a loro ma alla testa del serpente ci penso io.”
Le disse mentre erano seduti sotto il portico.
Agosto era
afoso più del solito, il marchese era a letto con la febbre e il respiro
affannato. Morietti era andato a trovarlo per metterlo al corrente di quello
che avevano fatto.
“Come stai,
amico mio?” Gli chiese appena si fu seduto al fianco del letto.
“Non bene,
come puoi vedere, ma dimmi!” Gli rispose a fatica.
“Quattro
fabbriche di Tolesi hanno preso fuoco e sono andate distrutte, ora tocca alle
altre. “Se credono di prenderci per i fondelli hanno sbagliato di grosso!”
Aggiunse.
“Amico mio,
ho paura che non ci sarò al plenilunio di ottobre, confido che metterai a
tappeto quella sgualdrina di numero uno.” Gli disse a fatica.
“Ci puoi
contare, oh sì, ci puoi contare!” Rimasero qualche minuto in silenzio, si
sentiva solo il respiro affannoso del marchese, anche Morietti si rendeva conto
che sarebbe presto giunta la sua fine. Si alzò. “Ora riposati, io vedo cosa
posso fare col convento, non c’è più nessuno e abbiamo tutto il tempo per
cercare il denaro, e se è nascosto lì lo troveremo.”
“Chiedi
aiuto a Gastone, fidati di lui.” Gli rispose prima di chiudere gli occhi per
rifugiarsi in un mondo dal quale non sarebbe più tornato.
Morietti
rimase un attimo sulla porta ad osservarlo. Scosse il capo mentre una forte
fitta gli squassava il ventre. Si piegò dal dolore ma durò poco, raggiunse il
suo cavallo e, con la sua scorta tornò alla tenuta.
Capitolo trentadue
Era metà
agosto quando il marchese venne sepolto. Tutto il paese era presente. Morietti,
Gorrini e Cestelli erano in fila mentre accompagnavano la bara. Gorrini si
reggeva in piedi a malapena e puzzava di alcol. “Devi smettere di distruggerti
così!” Gli disse Morietti. “O presto raggiungerai il nostro amico.”
“Cosa vuoi
che mi importi.” Gli rispose.
Mentre
agosto passava senza temporali la campagna di quel posto metteva in evidenza
tutto il suo squallore. Non c’era niente da raccogliere, da mietere, da
vendemmiare ed erano tutti molto preoccupati.
Gastone
aveva visto alcuni uomini andare al convento ma lui si era sempre tenuto alla
larga, svolgeva il suo lavoro ed ora era Morietti che lo pagava.
Un mese
esatto dalla morte del marchese toccò anche a Gorrini. Del suo splendido
allevamento di cavalli e delle sue cantine non era rimasto più niente, e lui,
finalmente aveva raggiunto la sua adorata figlia.
Morietti e
Cestelli si ritrovarono alla baita del marchese. Le loro guardie del corpo
erano appostate davanti alla porta e alle finestre chiuse.
“Come stai,
amico mio?” Chiese Morietti.
“Non mi
sento in gran forma.” Gli rispose. “Ho fitte dolorose all’addome e non riesco a
tenere dentro nemmeno un pezzo di pane.”
“Anch’io ho
gli stessi sintomi, credo che presto raggiungeremo i nostri amici. Hai qualche
idea di quello che sta succedendo?” Chiese Morietti.
“Un’idea ce
l’ho di sicuro, quella puttana di numero
uno ci sta togliendo di mezzo per godersi tutto il malloppo. Non so cosa
darei per strangolarla con le mie mani.” Rispose il mugnaio.
“Credo che
sia un suo piano ben studiato, come solo lei sa fare e che ha sempre fatto. Per
questo ha stabilito la riunione per il plenilunio di ottobre, sapeva che non ci
sarebbe arrivato vivo nessuno di noi.” Disse Morietti.
“Sei ancora
in contatto con i tre fratelli?” Volle sapere il mugnaio.
“Sì, devono
venire a prendere il pagamento fra qualche giorno, per gli incendi che hanno
acceso alle fabbriche dei Tolesi, perché vuoi saperlo?”
“Voglio che
li uccida tutti quanti. Ti ho portato un bel gruzzolo, tanto a me non serve più
ma voglio eliminare tutta la setta.” Gli rispose mentre metteva sul tavolo
cinque sacche di monete.
“Sono morti
in tre, compreso il cavaliere, non credo che gli altri sappiano qualcosa della
setta.” Gli rispose Morietti.“E con numero
uno come facciamo?” Aggiunse.
“Non abbiamo
tempo a sufficienza per provvedere anche a lei, e me ne dispiace molto ma se
non sono diventato coglione del tutto confido che chi ci ha fatto questo poi
passi anche a lei. Ah cosa darei per esserci quando verrà il suo turno!” Disse
ridendo e tossendo il mugnaio.
“Ti sei mai
chiesto chi può essere stato a dare inizio alla nostra fine?” Disse Morietti.
“Sapessi
quante volte me lo sono chiesto! Ho passato notti intere, specialmente queste
ultime a passare in rassegna ogni particolare di questi ultimi mesi e sai una
cosa? C’è solo un elemento che si è introdotto nella nostra routine.” Lasciò in
sospeso la frase mentre Morietti spalancava gli occhi in attesa di ascoltare
cosa voleva dire il suo compagno.
“L’arrivo di
Gastone!” Disse con un sospiro.
Il silenzio
era carico di elettricità e si protrasse per parecchio.
“Non vorrai
dire che ci ha presi per il culo tutti quanti! Non può essere! Ci ha sempre
aiutati e si è sempre comportato più che onestamente.” Sbottò Morietti.
“E questo
non ti sembra troppo perfetto?” Gli rispose il mugnaio.
“Ma non ha
un motivo per farlo!” Ringhiò Morietti.
“Come
facciamo ad esserne sicuri?” Rispose il mugnaio mentre una fitta dolorosa più
delle altre gli trapassava il ventre. Si accasciò sulla sedia mentre una bava
schiumosa gli usciva dalla bocca.
Morietti era
spaventato e in quel momento cominciò a sentirsi male anche lui.
I loro occhi
si puntarono sulla bottiglia che avevano appena svuotato e capirono, ma era
troppo tardi.
La loro
agonia durò per due ore, fino a quando la loro scorta, preoccupata della
prolungata assenza entrò nella baita e li trovò cadaveri.
Gli uomini
trovarono i loro padroni riversi sul pavimento, col corpo rattrappito come se
avessero sopportato dolori atroci. Si guardarono esterrefatti chiedendosi cosa
dovevano fare. Sul tavolo tre piccole sacche piene di monete.
Presero solo
le sacche e lasciarono i corpi come stavano. Ognuno di loro prese la strada di
casa dei loro padroni per andare ad avvisare le famiglie.
Vennero
sepolti nello stesso giorno con un’unica funzione.
Gastone e
Cincia erano seduti sotto il portico, le giornate erano piacevoli e Gastone
rimaneva a casa il più possibile, Cincia era davvero allo stremo e aveva capito
che molto presto se ne sarebbe andata.
“Quale è la
tua prossima mossa?” Gli chiese ad occhi
chiusi la donna.
“Tocca al
convento, e lo farò domani.” Le rispose.
Cincia sorrise
debolmente. “Sarà l’ultima soddisfazione che mi prendo prima di morire, non sai
quanto ti sono grata per quello che hai fatto.” Gli disse.
Gastone
preparò la cena e aiutò Cincia a mangiare, la sollevò di peso come fosse un
fuscello e la mise a letto. “Riposa amica mia, Rufus ti farà compagnia, io
torno presto.” Le accarezzò la fronte rugosa e uscì.
Passò nel
suo casotto e prese quello che gli serviva. La notte era rischiarata da una
luna grande e bellissima. I suoi occhi rimasero fissi nel cielo per osservarla
e cercare la stella di sua figlia, ma non indugiò più del necessario, aveva
qualcosa da fare.
Arrivò al
convento ma non passò dal portone principale, usò la solita entrata, non si
fidava del tutto e non voleva avere brutte sorprese.
Aguzzò udito
e vista, gli mancava Rufus. Rimase immobile parecchi minuti ad ascoltare i rumori
della notte e degli uccelli, altro non si sentiva. Gli ci vollero parecchi
minuti per posizionare la dinamite e le micce. Toccava al locale delle riunioni
dei cavalieri. Posizionò la dinamite e poi, finalmente, prese il vaso con gli
occhi di sua figlia e uscì sempre con la massima attenzione.
Aveva
calcolato ogni cosa e, appena fu al sicuro accese la miccia e si allontanò in
gran fretta.
Arrivò a
casa e Rufus lo accolse scodinzolando. Gastone andò da Cincia e capì dal
rantolo del suo respiro che era davvero vicina alla sua fine.
La prese in
braccio e uscì sotto il portico. Si sedette sulla panca tenendola delicatamente
in braccio, come una bambina.
“Guarda
Cincia, ascolta.” Le sussurrò nell’orecchio anche se non sapeva se la donna
fosse ancora cosciente o meno.
Si sentì un
boato, poi un altro, poi un altro ancora e Cincia sussultò leggermente. Le
fiamme cominciarono a divorare le macerie e il fumo si alzava insieme a lingue
di fuoco che rischiaravano la notte.
“Questo è
per te, amica mia, per me e per tutte le ragazze che sono state trucidate, per
le loro famiglie che hanno tanto sofferto.” Disse più a se stesso.
“Mozza la
testa del serpente” Gli disse Cincia prima di spirare con un sorriso tenero sul
viso rugoso.
Gastone la
strinse a sé, calde lacrime bagnarono la testa della donna. Le voleva bene, un
altro pezzo della sua vita che finiva. “Lo farò, cara amica, lo farò e la farò
soffrire più di tutti gli altri.”
Dal convento
aveva portato via solo due sacche di monete, non voleva più di quello che gli
serviva, era denaro macchiato di sangue innocente e lui lo sapeva bene.
Compose la
salma di Cincia e avvisò le sue amiche che venissero per un ultimo saluto.
Preparò una fossa vicino al fiume e la depose mentre le altre vecchie signore
piangevano la sua dipartita.
Rientrarono
in casa e si sedettero al tavolo. Ora c’era solo tristezza fra di loro.
“Qualcuna di
voi è interessata a questa casa?” Chiese loro. Ma nessuna lo era. “Allora la
distruggerò prima di andarmene. Vi ringrazio per le belle giornate passate
insieme, vi saluto ora e non mi rivedrete più.” Le abbracciò una ad una e le
accompagnò a casa.
Era davvero
molto triste Gastone, osservava gli occhi di sua figlia che galleggiavano nel
vaso. Presto ti porterò i tuoi occhi,
figlia mia.
Costruì un
baule e vi mise le sacche di denaro che aveva. Era un uomo ricco, ma era anche
stanco. Presto l’autunno sarebbe arrivato e lui non voleva rimanere da solo,
avrebbe trovato Margherita e si sarebbe fermato da lei per un po’ prima di
terminare la sua vendetta, sapeva dove si trovava, lei gli aveva lasciato tanti
indizi e lui sorrise fra sé.
Aspettò che
il buio calasse e tornò nel cunicolo, aveva ancora una cosa da fare prima di
partire. I cadaveri si stavano consumando e lui li degnò solo di uno sguardo.
Raggiunse il baule, prese il libro della setta e ritornò a casa.
Romanzo di Milena Ziletti - diritti e proprietà a lei riservati
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