IL SEGRETO DELLA LUNA
parte sessantasette
Gastone si
risedette aspettando, mentre il sangue continuava a colare, allora si alzò e
fasciò la ferita, non voleva che morisse prima del tempo o perdesse i sensi.
Domenico
faceva resistenza, questo se lo aspettava, ma lui aveva in serbo molti modi per
ridurlo alla resa. Aspettò qualche minuto e gli rifece la richiesta ma quello
non parlava.
“Bene, vedo
che sei uno tosto, e ti ammiro. Ora, visto che quell’occhio non ti serve te lo
leverò dalla faccia, dovresti sapere che sono molto esperto in questo.” Gli
disse Gastone.
Prese dalla
sacca uno stiletto e lo fece guardare all’uomo che strizzò istintivamente gli
occhi.
“Non ti
serve.” Bisbigliò mentre gli tagliava la palpebra.
“Ora passo
al bulbo, poi passerò all’altro e li metterò nel barattolo che consegnerò alla
contessa. E’ questo quello che vuoi? Sai, l’occhio non sanguina molto, devi
averne visti tanti in quei vasi dove galleggiano, ma procurano molto dolore
specialmente se non recido il nervo. Dimmi devo continuare?” La voce di Gastone
era sempre bassa e quasi suadente.
La palpebra
recisa era in terra e il sangue colava sulla faccia dell’uomo. Gastone prese
uno straccio e lo tamponò. “Ora passo al resto.” Non aspettò oltre e, con
estrema calma gli cavò l’occhio lasciandogli il nervo scoperto.
Domenico
urlava come una bestia al macello.
“Il primo
occhio ha raggiunto il suo posto. Fra poco tocca all’altro.” Gli disse
semplicemente Gastone riprendendo posto sullo sgabello guardando l’altro
contorcersi e urlare, così nudo sembrava proprio un verme nella concimaia.
Domenico
svenne. Gastone prese la sacca e bevve dell’acqua, non provava niente, voleva
solo sapere e non avrebbe mollato.
Ci vollero
parecchi minuti prima che l’uomo legato si riprendesse e ricominciò a gemere
dal dolore.
“Ti rifaccio
la stessa domanda, sei disposto a rispondere?”
“Non lo farò
mai!” Gli rispose l’uomo ferito.
“Come vuoi,
ora passo ai piedi, con quale dito comincio? O vuoi che cominci dalle palle?”
Stavolta la voce di Gastone non era bassa ma alta e rabbiosa.
Quello non
si decideva a rispondere, allora Gastone puntò la lama del pugnale sullo scroto
peloso dell’uomo e lo ferì leggermente, sapeva bene che non poteva permettersi
di ucciderlo o che svenisse.
Silenziosamente,
passò la punta del pugnale su tutta la lunghezza della gamba, cercò un punto
sotto il ginocchio e lo trafisse.
Un urlo
quasi inumano riempì di nuovo la stanza.
“Tu sei
pazzo! Pazzo!” Gli disse Domenico.
“Lo so, me
lo hanno già detto, per questo porterò a termine il mio compito!” Gli rispose.
“Perché fai
questo?” Urlò di più l’uomo ferito.
“Hai
presente gli occhi che galleggiano in quei vasi al convento? Due sono di mia
figlia! Maledetto!” Gli ringhiò in faccia Gastone.
Fu a questo
punto che l’altro capì che non ci sarebbe stata pietà per lui e cominciò a
parlare.
Parlò a
lungo e gli disse tutto quello che voleva sapere. Era sfinito alla fine, sapeva
che era giunta la sua ora.
“Ti chiedo
solo di finirmi in fretta. Ora sai tutto ciò che so io, uccidimi!” Piagnucolava
l’uomo sfinito.
Gastone
stava elaborando quello che aveva saputo. L’istinto e la vendetta gli suggeriva
di lasciarlo a morire lì, come aveva fatto con gli altri, ma lui aveva parlato
e si meritava una morte veloce.
Domenico era
spossato, stanco, immerso nella sua stessa urina, non sentì nemmeno avvicinarsi
l’altro che gli conficcò lo stiletto nel cuore e lo uccise all’istante.
Si soffermò
ad osservare quei cadaveri, uomini che per un verso o per l’altro erano succubi
di quella maledetta setta e di chi la comandava. Doveva schiarirsi le idee.
Riprese le
sue cose e uscì barcollando, era stanchissimo, la tensione non lo aveva mollato
un attimo ed ora faticava a reggersi in piedi, doveva raggiungere casa al più
presto senza destare sospetti, aveva bisogno di riposare, poi avrebbe riferito
ogni cosa a Cincia.
Era notte,
non sapeva nemmeno quante ore aveva passato nel cunicolo, saltò in groppa ad
Amleto e raggiunse la sua casa. Si accasciò sul sofà addormentandosi di botto.
Gli sembrava
che fossero passati solo pochi minuti da quando si era sdraiato. Aprì gli occhi
e vide Cincia seduta che lo osservava in silenzio mentre Rufus scodinzolava al
suo solito posto. La vecchia si alzò e preparò la colazione, ogni gesto le
costava immensa fatica ma non avrebbe mollato, non ancora.
Mangiarono
in silenzio, lo sguardo di Cincia era fisso sul viso dell’uomo. Aspettò che
finisse la colazione. “Ora dimmi.” Aspettò che l’altro cominciasse a parlare.
Gastone la
prese per mano e si sedettero sul sofà. “Davvero vuoi sapere?” Le chiese, e lei
assentì.
“Tutto è
iniziato molto tempo fa, quando un antenato della contessa si inventò questa
setta per garantirsi potere e denaro. Non gli fu difficile trovare altri come
lui che anelavano alla ricchezza. Furono quelli che scrissero le regole e che
diedero inizio ai sacrifici. Il fondatore li convinse senza fatica, dando loro
denaro e potere che col tempo aumentava sempre di più, inoltre conobbe anche le
loro debolezze e di quelle si servì per ricattarli e per assoggettarli alla sua
volontà. E’ così che è iniziata.” Gastone chiuse gli occhi per un attimo.
“L’uomo che ho torturato era il braccio destro della contessa e mi ha
raccontato la sua storia. La contessa Giulia Rosa Scarioli è la terza di cinque
figli, tre maschi e due femmine. Già da ragazzina ha manifestato i suoi tratti
da psicopatica e lui, quel Domenico fu incaricato di tenerla sotto controllo.
Aveva dodici anni quando ascoltò il discorso che suo padre fece al figlio
maggiore, quello che avrebbe dovuto prendere il suo posto nella setta e, in
quella occasione venne a conoscenza di ogni cosa. Si arrabbiò moltissimo (come
spesso succedeva) e distrusse quasi mezza casa mentre urlava come una ossessa.
Quando intervenne Domenico dovette legarla e lei gridava sempre più forte
mentre la portava nella sua stanza. Rimase con lei mentre aspettava che si
calmasse e fu in quel frangente che lei gli disse che li avrebbe ammazzati
tutti e avrebbe preso il posto di numero uno. Ci impiegò tre anni e ci riuscì.
Soltanto Domenico sapeva che la colpevole era lei, nessun altro lo sospettò
mai. Rimase solo la sorella minore di un anno e, sai Cincia? E’ quella che fa
la monaca superiora in quel convento! La ricatta per via di una figlia ma sono
propenso a credere che si somiglino molto di più di quel che appare. Oltre a
Domenico ci sono altri quattro uomini che obbediscono ciecamente ai suoi
ordini, sono quelli che l’hanno aiutata in questi anni a dirigere la setta, non
so come li tiene legati a sé e nemmeno mi interessa.” Gastone stringeva le mani
di Cincia come a trarne conforto. Non si capacitava di tanta gratuita
malvagità, ma lui avrebbe posto fine a tutto questo. “E non è tutto! Lo sai che
ho trovato tre bauli di denaro nascosti al convento, ebbene quelli sono solo
quisquiglie, quelli che servivano per le emergenze, il vero tesoro è nascosto
in un altro posto e se quell’uomo mi ha detto la verità si tratta di tanti e
tanti bauli ricolmi di ricchezze. Tutto il tesoro della setta, da quando è
stata fondata fino ad oggi.”
“Come
intendi procedere adesso?” Gli chiese Cincia.
“Dovrò
parlare col marchese e dirgli che non ho trovato niente, non voglio
allontanarmi ancora. Voglio vedere come sta procedendo il veleno che ho loro
somministrato e voglio distruggere il convento quando loro saranno deboli e
impotenti. Istillerò in loro un dubbio e saranno loro a fare il lavoro con
Tolesi al posto mio. Darò loro appuntamento alla baita e ci saranno tutti.”
Riprese il
suo lavoro di guardia boschi e lasciò un messaggio per il marchese alla guardia
che era sta messa all’ingresso del viale.
Passarono i
giorni e la domenica si ritrovarono tutti alla baita del marchese.
Gastone
arrivò per ultimo e fu invitato a bere qualcosa con loro. Prese il boccale ma
non ne bevve. Osservava i cavalieri e notava i primi segni che il veleno stava
portando ai loro organismi. Il marchese era quello più provato in quanto aveva
bevuto più degli altri, il suo colorito tendeva al colore della cenere e
Gorrini si sentiva ancora più debole.
Si sedette
con loro. “Ho eseguito i vostri ordini ma non sono riuscito a trovare niente.
La contessa sa mantenere bene i suoi segreti e non ho trovato nessuno che mi
parlasse di lei senza destare sospetti. Una cosa però ho sentito, sta a voi
valutarla, io non ho trovato riscontri ma mi è giunto all’orecchio che la
contessa abbia una nipote e che l’abbia promessa in sposa ad uno dei fratelli
Tolesi.” Si portò il bicchiere alle labbra mentre osservava le espressioni dei
convenuti. I cavalieri si parlavano con occhiate che erano più eloquenti delle
parole. Avevano la certezza che Numero
Uno e Numero otto fossero in combutta. Aspettò ancora qualche secondo e
riprese a parlare. “Non so con sicurezza dove si trovi quello che mi avete
chiesto ma un sospetto ce l’ho. Ho osservato spesso l’andirivieni del convento
e se il mio istinto non mi tradisce io credo che lì ci sia qualcosa.”
Nessuno dei
cavalieri parlava. Il marchese si alzò e consegnò a Gastone il denaro
stabilito. “Noi contiamo sulla tua discrezione, riprendi pure il tuo lavoro e
dimenticati di questa storia.” Gli disse.
“Io nemmeno
vi conoscono.” Rispose prima di uscire.
Raggiunse il
cavallo e vi salì in groppa. Un sorrisetto soddisfatto gli illuminava il viso,
ora toccava a loro.
Romanzo di Milena Ziletti - diritti e proprietà a lei riservati
Nessun commento:
Posta un commento