venerdì 14 agosto 2020

IL SEGRETO DELLA LUNA


IL SEGRETO DELLA LUNA

parte sessantasette






Gastone si risedette aspettando, mentre il sangue continuava a colare, allora si alzò e fasciò la ferita, non voleva che morisse prima del tempo o perdesse i sensi.
Domenico faceva resistenza, questo se lo aspettava, ma lui aveva in serbo molti modi per ridurlo alla resa. Aspettò qualche minuto e gli rifece la richiesta ma quello non parlava.
“Bene, vedo che sei uno tosto, e ti ammiro. Ora, visto che quell’occhio non ti serve te lo leverò dalla faccia, dovresti sapere che sono molto esperto in questo.” Gli disse Gastone.
Prese dalla sacca uno stiletto e lo fece guardare all’uomo che strizzò istintivamente gli occhi.
“Non ti serve.” Bisbigliò mentre gli tagliava la palpebra.
“Ora passo al bulbo, poi passerò all’altro e li metterò nel barattolo che consegnerò alla contessa. E’ questo quello che vuoi? Sai, l’occhio non sanguina molto, devi averne visti tanti in quei vasi dove galleggiano, ma procurano molto dolore specialmente se non recido il nervo. Dimmi devo continuare?” La voce di Gastone era sempre bassa e quasi suadente.
La palpebra recisa era in terra e il sangue colava sulla faccia dell’uomo. Gastone prese uno straccio e lo tamponò. “Ora passo al resto.” Non aspettò oltre e, con estrema calma gli cavò l’occhio lasciandogli il nervo scoperto.
Domenico urlava come una bestia al macello.
“Il primo occhio ha raggiunto il suo posto. Fra poco tocca all’altro.” Gli disse semplicemente Gastone riprendendo posto sullo sgabello guardando l’altro contorcersi e urlare, così nudo sembrava proprio un verme nella concimaia.
Domenico svenne. Gastone prese la sacca e bevve dell’acqua, non provava niente, voleva solo sapere e non avrebbe mollato.
Ci vollero parecchi minuti prima che l’uomo legato si riprendesse e ricominciò a gemere dal dolore.
“Ti rifaccio la stessa domanda, sei disposto a rispondere?”
“Non lo farò mai!” Gli rispose l’uomo ferito.
“Come vuoi, ora passo ai piedi, con quale dito comincio? O vuoi che cominci dalle palle?” Stavolta la voce di Gastone non era bassa ma alta e rabbiosa.
Quello non si decideva a rispondere, allora Gastone puntò la lama del pugnale sullo scroto peloso dell’uomo e lo ferì leggermente, sapeva bene che non poteva permettersi di ucciderlo o che svenisse.
Silenziosamente, passò la punta del pugnale su tutta la lunghezza della gamba, cercò un punto sotto il ginocchio e lo trafisse.
Un urlo quasi inumano riempì di nuovo la stanza.
“Tu sei pazzo! Pazzo!” Gli disse Domenico.
“Lo so, me lo hanno già detto, per questo porterò a termine il mio compito!” Gli rispose.
“Perché fai questo?” Urlò di più l’uomo ferito.
“Hai presente gli occhi che galleggiano in quei vasi al convento? Due sono di mia figlia! Maledetto!” Gli ringhiò in faccia Gastone.
Fu a questo punto che l’altro capì che non ci sarebbe stata pietà per lui e cominciò a parlare.
Parlò a lungo e gli disse tutto quello che voleva sapere. Era sfinito alla fine, sapeva che era giunta la sua ora.
“Ti chiedo solo di finirmi in fretta. Ora sai tutto ciò che so io, uccidimi!” Piagnucolava l’uomo sfinito.
Gastone stava elaborando quello che aveva saputo. L’istinto e la vendetta gli suggeriva di lasciarlo a morire lì, come aveva fatto con gli altri, ma lui aveva parlato e si meritava una morte veloce.
Domenico era spossato, stanco, immerso nella sua stessa urina, non sentì nemmeno avvicinarsi l’altro che gli conficcò lo stiletto nel cuore e lo uccise all’istante.
Si soffermò ad osservare quei cadaveri, uomini che per un verso o per l’altro erano succubi di quella maledetta setta e di chi la comandava. Doveva schiarirsi le idee.
Riprese le sue cose e uscì barcollando, era stanchissimo, la tensione non lo aveva mollato un attimo ed ora faticava a reggersi in piedi, doveva raggiungere casa al più presto senza destare sospetti, aveva bisogno di riposare, poi avrebbe riferito ogni cosa a Cincia.
Era notte, non sapeva nemmeno quante ore aveva passato nel cunicolo, saltò in groppa ad Amleto e raggiunse la sua casa. Si accasciò sul sofà addormentandosi di botto.
Gli sembrava che fossero passati solo pochi minuti da quando si era sdraiato. Aprì gli occhi e vide Cincia seduta che lo osservava in silenzio mentre Rufus scodinzolava al suo solito posto. La vecchia si alzò e preparò la colazione, ogni gesto le costava immensa fatica ma non avrebbe mollato, non ancora.
Mangiarono in silenzio, lo sguardo di Cincia era fisso sul viso dell’uomo. Aspettò che finisse la colazione. “Ora dimmi.” Aspettò che l’altro cominciasse a parlare.
Gastone la prese per mano e si sedettero sul sofà. “Davvero vuoi sapere?” Le chiese, e lei assentì.
“Tutto è iniziato molto tempo fa, quando un antenato della contessa si inventò questa setta per garantirsi potere e denaro. Non gli fu difficile trovare altri come lui che anelavano alla ricchezza. Furono quelli che scrissero le regole e che diedero inizio ai sacrifici. Il fondatore li convinse senza fatica, dando loro denaro e potere che col tempo aumentava sempre di più, inoltre conobbe anche le loro debolezze e di quelle si servì per ricattarli e per assoggettarli alla sua volontà. E’ così che è iniziata.” Gastone chiuse gli occhi per un attimo. “L’uomo che ho torturato era il braccio destro della contessa e mi ha raccontato la sua storia. La contessa Giulia Rosa Scarioli è la terza di cinque figli, tre maschi e due femmine. Già da ragazzina ha manifestato i suoi tratti da psicopatica e lui, quel Domenico fu incaricato di tenerla sotto controllo. Aveva dodici anni quando ascoltò il discorso che suo padre fece al figlio maggiore, quello che avrebbe dovuto prendere il suo posto nella setta e, in quella occasione venne a conoscenza di ogni cosa. Si arrabbiò moltissimo (come spesso succedeva) e distrusse quasi mezza casa mentre urlava come una ossessa. Quando intervenne Domenico dovette legarla e lei gridava sempre più forte mentre la portava nella sua stanza. Rimase con lei mentre aspettava che si calmasse e fu in quel frangente che lei gli disse che li avrebbe ammazzati tutti e avrebbe preso il posto di numero uno. Ci impiegò tre anni e ci riuscì. Soltanto Domenico sapeva che la colpevole era lei, nessun altro lo sospettò mai. Rimase solo la sorella minore di un anno e, sai Cincia? E’ quella che fa la monaca superiora in quel convento! La ricatta per via di una figlia ma sono propenso a credere che si somiglino molto di più di quel che appare. Oltre a Domenico ci sono altri quattro uomini che obbediscono ciecamente ai suoi ordini, sono quelli che l’hanno aiutata in questi anni a dirigere la setta, non so come li tiene legati a sé e nemmeno mi interessa.” Gastone stringeva le mani di Cincia come a trarne conforto. Non si capacitava di tanta gratuita malvagità, ma lui avrebbe posto fine a tutto questo. “E non è tutto! Lo sai che ho trovato tre bauli di denaro nascosti al convento, ebbene quelli sono solo quisquiglie, quelli che servivano per le emergenze, il vero tesoro è nascosto in un altro posto e se quell’uomo mi ha detto la verità si tratta di tanti e tanti bauli ricolmi di ricchezze. Tutto il tesoro della setta, da quando è stata fondata fino ad oggi.”
“Come intendi procedere adesso?” Gli chiese Cincia.
“Dovrò parlare col marchese e dirgli che non ho trovato niente, non voglio allontanarmi ancora. Voglio vedere come sta procedendo il veleno che ho loro somministrato e voglio distruggere il convento quando loro saranno deboli e impotenti. Istillerò in loro un dubbio e saranno loro a fare il lavoro con Tolesi al posto mio. Darò loro appuntamento alla baita e ci saranno tutti.”
Riprese il suo lavoro di guardia boschi e lasciò un messaggio per il marchese alla guardia che era sta messa all’ingresso del viale.
Passarono i giorni e la domenica si ritrovarono tutti alla baita del marchese.
Gastone arrivò per ultimo e fu invitato a bere qualcosa con loro. Prese il boccale ma non ne bevve. Osservava i cavalieri e notava i primi segni che il veleno stava portando ai loro organismi. Il marchese era quello più provato in quanto aveva bevuto più degli altri, il suo colorito tendeva al colore della cenere e Gorrini si sentiva ancora più debole.
Si sedette con loro. “Ho eseguito i vostri ordini ma non sono riuscito a trovare niente. La contessa sa mantenere bene i suoi segreti e non ho trovato nessuno che mi parlasse di lei senza destare sospetti. Una cosa però ho sentito, sta a voi valutarla, io non ho trovato riscontri ma mi è giunto all’orecchio che la contessa abbia una nipote e che l’abbia promessa in sposa ad uno dei fratelli Tolesi.” Si portò il bicchiere alle labbra mentre osservava le espressioni dei convenuti. I cavalieri si parlavano con occhiate che erano più eloquenti delle parole. Avevano la certezza che Numero Uno e Numero otto fossero in combutta. Aspettò ancora qualche secondo e riprese a parlare. “Non so con sicurezza dove si trovi quello che mi avete chiesto ma un sospetto ce l’ho. Ho osservato spesso l’andirivieni del convento e se il mio istinto non mi tradisce io credo che lì ci sia qualcosa.”
Nessuno dei cavalieri parlava. Il marchese si alzò e consegnò a Gastone il denaro stabilito. “Noi contiamo sulla tua discrezione, riprendi pure il tuo lavoro e dimenticati di questa storia.” Gli disse.
“Io nemmeno vi conoscono.” Rispose prima di uscire.
Raggiunse il cavallo e vi salì in groppa. Un sorrisetto soddisfatto gli illuminava il viso, ora toccava a loro.


Romanzo di Milena Ziletti - diritti e proprietà a lei riservati

Nessun commento:

Posta un commento