martedì 30 giugno 2020

IL SEGRETO DELLA LUNA


IL SEGRETO DELLA LUNA

parte trentacinque






Costantino si avvicinò al fabbro mentre si avviavano verso le loro destinazioni. “A giorni riceverai quello che ti spetta.” Girò il cavallo e, seguito dai suoi guardiani tornò alla sua tenuta.
Nascosto nel boschetto Gastone osservava quegli uomini che si allontanavo. Avrebbe dato dieci anni di vita per vedere chi fossero ma non osava avvicinarsi troppo.
Era passato del tempo e la notte sarebbe presto schiarita quando vide un carretto uscire dal convento. Avrebbe voluto seguirlo ma era troppo veloce e decise di seguirne le tracce al chiarore della luna.
Fu difficile seguire le tracce che spesso si confondevano ma riuscì a ritrovarle ogni volta. Era molto silenzioso e si teneva ben nascosto, sapeva che poteva essere pericoloso. Chiunque fosse doveva essere armato e sicuramente non era una sola persona visto che dovevano inchiodare un corpo a peso morto.
Ritrovò il carretto nel folto di un boschetto che non aveva mai esplorato, non riusciva ad orientarsi del tutto ma non gli interessava, era sicuro che avrebbe ritrovato la strada di casa.
Si fermò il più vicino possibile, in un punto dove poteva stare nascosto. La luna era talmente chiara che si vedeva benissimo ogni cosa ora che gli occhi si erano abituati e lui doveva stare attento a non fare nessun rumore.
Per fortuna si era portato la calza scura per coprirsi il volto e, con molta cautela si sporse per osservare.
Due figure stavano togliendo il corpo dal carro. Osservò quelle figure che indossavano abiti da monaca ma non avevano il copricapo. Avevano la testa e la faccia completamente nascosta da una sciarpa scura e avevano liberi solo gli occhi. Portavano guanti scuri e non dicevano una parola.
Gastone si chiese se potessero essere due monache del convento ma non riusciva a capire nemmeno se fossero maschi o femmine. Lavoravano silenziosamente con mani esperte. Una di loro prese il corpo e lo tenne appoggiato al tronco mentre l’altra figura prendeva il chiodo e fissava la mano. Si scambiarono di posto e lo stesso fecero con l’altra mano. Poi passarono ai piedi. L’ultima martellata sul chiodo sfuggì e si sentì un soffocato grido di dolore quando si colpì un dito. Non c’erano dubbi, era una voce femminile. L’altra si tolse i guanti per sistemare in qualche modo la ferita e Gastone riuscì a vedere una mano sottile, troppo sottile per essere di un uomo: erano due femmine e di sicuro due monache, ne era certo. Maledette, avrebbero pagato anche loro.
Finirono il loro compito, ripulirono da vere esperte il terreno, fecero scomparire ogni traccia e risalirono sul carro. Ora Gastone sapeva che il carro era diretto al convento. Aspettò che se ne fossero andate e, con le lacrime agli occhi tolse quel corpo martoriato come aveva fatto con quello di sua figlia.
Cancellò le sue impronte e si allontanò con il corpo in spalla. Gli ci volle un po’ per trovare la strada di casa e l’alba era già spuntata quando entrò nel suo casotto e depose il corpo. Lo lavò, lo rivestì, lo avvolse in un lenzuolo e uscì di nuovo. Andò in riva al fiume, dove andava spesso e lo seppellì.
Nessuno lo avrebbe trovato e nessuno ne avrebbe parlato, quei maledetti si sarebbero sentiti al sicuro ma lui li avrebbe puniti a dovere.
Cincia lo stava aspettando e la colazione era pronta. Vide gli occhi ancora bagnati di lacrime e non disse niente.
Era giornata di lavoro e la distilleria lo avrebbe tenuto impegnato. Doveva pensare e aveva bisogno di stare solo.
Aveva ancora gli occhi lucidi quando Ermete entrò e si sedette sulla solita ed unica sedia.
“Come va la produzione?” Era l’unica cosa che gli interessasse.
“Come deve!” Gli rispose seccato.
“La prossima consegna sarà l’ultima per la festa di Costantino. Sono venuto a chiederti se t’interessa ricevere l’invito, io posso procurartelo.”
Gastone era deciso ad andarci, anche se sospettava che non avrebbe potuto scoprire niente, però gli avrebbe fatto piacere portarci Margherita.
“Mi sta bene, ma mi serve anche per Margherita.”
Ormai in paese lo sapevano tutti che si frequentavano ed erano diventati oggetto di pettegolezzi.
“Va bene, te li farò avere. Domani sera faremo l’ultimo trasporto, tieniti pronto.” E, senza aggiungere altro sene andò.

Capitolo sedici
Settembre si avviava alla fine e il caldo cominciava a dare tregua. Le serate arrivavano prima portando refrigerio e una lieve frescura. Cincia era diventata ancora più silenziosa, da quando avevano avuto quella divergenza le cose non erano più state spontanee come prima. La vecchia aveva anche il timore che l’uomo potesse andare a vivere con Margherita ma sapeva bene che non poteva farlo senza maritarla e lui non lo avrebbe fatto di sicuro.
Il trasporto nella proprietà di Morietti fu completato, esattamente come gli altri precedenti.
Il lavoro era ripetitivo e lasciava a Gastone molto tempo per pensare. Doveva trovare il modo per entrare nella tenuta di Morietti e scoprire chi fossero gli altri cavalieri, non avrebbe lasciato il suo lavoro incompiuto.
Si arrovellava cercando di dare un senso a quegli uomini. Un sacrestano, un marchese, un fabbro, un ricco proprietario terriero, cosa c’era che li accumunava? Come avrebbe potuto trovare un filo conduttore per arrivare all’identità degli altri?
Il paese dove stava era piccolo, ma la zona era molto vasta se si allargava la prospettiva, era sicuro che fossero tutti della zona ma lui non sapeva dove cercare, non era ancora uscito da quel borgo e non conosceva nemmeno la zona circostante, era una lacuna che doveva colmare. Già! Ma come?
Sperava che la festa nella tenuta di Morietti lo aiutasse a scoprire qualche dettaglio che lo potesse indirizzare. Era giunto ad un punto morto. Poi ci ripensò, aveva già portato a termine tre vendette in poco tempo, non sarebbe stato male se avesse rallentato.
Decise che era giunto il momento di una pausa, di godersi la sua storia con Margherita e lasciare che il fato gli lanciasse qualche spunto. Sapeva che era pericoloso continuare a uccidere a quel ritmo. Non era preoccupato che lo scoprissero e lo facessero fuori, no, era preoccupato che lo scoprissero prima che potesse terminare quello che si era prefissato, e non se lo sarebbe mai perdonato.
Con questi pensieri leggeri continuò il suo lavoro, come sempre in compagnia di Rufus.
Margherita era molto contenta dell’invito per la festa, non le interessava che la gente sparlasse della sua storia con Gastone, loro si godevano il sesso e la complicità, cose che per la maggior parte di quelle persone erano tabù. Si era preparata un vestito nuovo ed era in attesa del suo cavaliere. Il gran giorno era arrivato e lei era molto emozionata.
Sentì arrivare il calesse e prese lo scialle di pizzo, il suo abito color porpora, il colore del peccato faceva risaltare la sua splendida figura. Sapeva che avrebbero dato adito a molti pettegolezzi, perciò perché non aiutarli con abito e scollatura sfacciati?
Gastone la vide in attesa sulla soglia. Gli mancò il respiro vedendo la sua bellezza ed eleganza. Anche lui si era preparato a dovere. La giornata era ancora calda ma si respirava l’arrivo dell’autunno.
Si salutarono con un sorriso e con gli occhi sfavillanti di passione, sarebbero saltati nel letto se non avessero avuto quell’impegno. La donna salì a cassetta, passò il suo braccio sotto quello dell’uomo che sorrideva soddisfatto e si avviarono verso la tenuta Morietti.
Il banchetto sarebbe iniziato verso mezzogiorno e loro erano assolutamente in orario.
Il viale che conduceva all’entrata era presidiato dalle guardie armate, all’ingresso c’era il capo che controllava personalmente gli inviti.
Gastone arrestò il calesse mentre il cavallo scalpitava. L’uomo controllò fin troppo a lungo i loro inviti, li restituì con uno sguardo truce.
“Credo che tu non piaccia a quell’uomo.”
“Ne sono sicuro. Ma ora godiamoci la giornata.”
Un addetto li accompagnò alla stalla e lasciarono calesse e cavallo. Furono poi indirizzati al luogo del ritrovo.
Si sentiva un gran vociare, bambini che strillavano mentre giocavano, donne che chiacchieravano e sventagliavano grandi ventagli.
Gastone, con Margherita sotto braccio si avvicinò al grande tavolo dove servivano da bere. Si guardò intorno e vide lunghe tavole di legno ricoperte da sontuose tovaglie. Il profumo della carne che arrostiva sugli spiedi o sulle griglie era davvero invitante. Grandi cesti di pane, frutta, verdure di ogni genere sembravano quadri dai bellissimi colori. Le ultime farfalle della stagione facevano da corona a quella festa che stava per iniziare.
Costantino Morietti fece il suo ingresso con la moglie al braccio. Gastone non l’aveva mai vista. Era una bella donna, non giovane, ingioiellata fino alla nausea ma lui fu colpito dal suo sguardo. Le sue labbra sorridevano ma i suoi occhi dicevano tutt’altro: quella donna era l’infelicità fatta persona. Si chiese come mai le donne che sposavano uomini ricchi e facoltosi fossero tutte tristi, o così pareva a lui.


romanzo di Milena Ziletti - diritti e proprietà a lei riservati

lunedì 29 giugno 2020

IL SEGRETO DELLA LUNA


IL SEGRETO DELLA LUNA

parte trentaquattro






Una grande stanza rettangolare era rischiarata con torce appese ai muri di pietra viva. Nel centro un altare di pietra e sopra, la ragazza dai capelli rossi. Rimase immobile. La ragazza non si muoveva, poi capì che dormiva. Dovevano averla sedata con qualche intruglio.
Le si avvicinò. Era giovane, molto carina, con una massa di capelli rossi e guance bianche come la neve. Chissà di che colore sono i suoi occhi, pensò Gastone.
Era vestita con una tunica bianca ed era legata mani e piedi ad anelli di ferro impiantati nell’altare.
Si avvicinò, vide che dormiva e respirava serena. Il cuore gli sanguinò dal dolore alla consapevolezza che non poteva salvarla, che non poteva fare niente per lei. Lacrime di disperazione gli bagnarono il viso e, con tocco lieve le carezzò le guance. Chissà cosa ti aspetta, dolce fanciulla. Pensò addolorato. La guardava e l’accarezzava cercando di trovare una qualunque soluzione. Un’idea improvvisa gli squarciò la mente. Un grande dolore gli squassò il petto quando con le sue grandi mani le chiuse bocca e naso e aspettò che soffocasse. Non l’avrebbero torturata, non avrebbe sofferto come le altre, come sua figlia. Piangeva come un bambino mentre aspettava che il cuore giovane di quella ragazza smettesse di battere. Non aveva mai aperto gli occhi, non si era mossa, dovevano averla drogata ben bene perché non avesse nessuna reazione. Ci vollero alcuni minuti prima che spirasse. Prese il suo coltello e, stando ben attento a che non si notasse le tagliò alcune ciocche di capelli e li mise nella sua sacca. Le fece un’ultima carezza e cominciò a guardarsi intorno cercando un nascondiglio ma, purtroppo non ce n’erano. Una rabbia immensa nello scoprire che non poteva essere presente al loro rito. Doveva accontentarsi di rimanere fuori, nascosto dietro una lapide, pronto a scappare come uno spettro. Doveva rischiare molto, e si chiese se ne valesse la pena. Riguardò e ricontrollò ancora ma non c’era un angolo dove nascondersi. Doveva rassegnarsi, aveva comunque rovinato il loro rito e si aspettava una reazione molto pericolosa.
Ritornò sui suoi passi cancellando ogni impronta e ritornò a casa.
Cincia sentì cigolare il sofà e, meravigliata sentì l’uomo piangere e singhiozzare come un bambino.
Era notte fonda ma l’uomo non riusciva a dormire. Cincia lo sentiva agitarsi e si alzò. Prese una sedia e si sedette accanto al sofà.
“Cosa è successo? Cosa ti ha sconvolto?”
Rufus brontolò nel sonno per essere stato disturbato ma continuò a dormire beato.
Gastone le raccontò ogni cosa. Cincia capiva il dolore di quell’uomo buono, un uomo che non avrebbe mai fatto del male a nessun innocente.
“Non puoi andare là. Ora che la ragazza è morta saranno più prudenti.”
“Penseranno che non ha retto alla droga. E’ molto probabile che l’abbiano riempita di schifezze. Io devo sapere!”
“Se vuoi portare a termine il tuo compito devi essere prudente. Non puoi andare là! Hai già ucciso tre ragazze, vuoi che non abbiano preso altri provvedimenti? Costantino è ossessionato dalla sicurezza e sono certa che i suoi uomini avranno ordini di perlustrare la zona. Lui ordina e quelli eseguono. Dammi retta, se vuoi mantenere il tuo giuramento devi stare a casa.”
Cincia aveva ragione ma lui non voleva rinunciare a conoscere tutto quello che facevano, quello che sua figlia aveva subito. Poi pensò che il loro rito era rovinato, doveva accontentarsi di quello e di quello che avrebbe inflitto a quei maledetti.
Giunse la notte del plenilunio. Cincia guardava Gastone col fiato sospeso. Sospirò di sollievo quando lui le disse che sarebbe rimasto a casa.
Rufus ringhiò verso la porta e Gastone andò a vedere. Aveva sentito gli zoccoli di un cavallo. Vide che il guardiano che lo teneva d’occhio al fiume stava perlustrando la zona. Uscì sul portico e rischiarato da una luna bellissima rimase immobile ad osservare cavallo e cavaliere.
I loro sguardi si incrociarono. L’uomo sul cavallo si toccò il cappello in segno di saluto e tornò da dove era venuto.
Gastone rientrò in casa e Cincia annuì. Si erano capiti.
Andarono a dormire ma nessuno dei due riuscì a chiudere occhio.
I cavalieri erano tutti intorno al corpo della ragazza. Esterrefatti dal fatto che fosse morta. Non era mai successo, mai in tutti gli anni che avevano eseguito il rito e ne erano molto spaventati.
C’era silenzio assoluto. Tutti aspettavano che la sacerdotessa parlasse, lei conosceva meglio di chiunque altro le regole della setta e il suo giudizio non veniva mai contestato.
“Procediamo!” Si decise alla fine.
Uno dei cavalieri prese un coltello dal manico a forma del loro stemma con una lama sottilissima e tagliente, incise il collo aprendo la vena giugulare e raccolse il sangue in una coppa che portava inciso il nodo.
Era sangue ormai freddo. Quando la coppa fu riempita la mise fra i piedi del cadavere. Il loro rito prevedeva che dovessero bere ognuno di quel sangue ma nessuno sapeva se stavolta l’avrebbero fatto, aspettavano che la sacerdotessa desse il via.
Numero Uno si avvicinò, prese un lungo stelo di ulivo che aveva attaccato un piccolo calice e lo immerse nella coppa.
“Io, Grande Sacerdotessa dei Cavalieri della Terra Feconda bagno il mio corpo, la mia Anima Nera e quella di tutti i Cavalieri, dono a te Santo Protettore di tutti noi il sangue di questa vergine perché Tu possa donarci prosperità, lunga vita, denaro e potere.”
La donna immerse due dita nel sangue e si bagnò la candida veste vicino al cuore e al centro del petto, si fece il segno della croce sulla fronte e su ogni guancia, poi succhiò il sangue rimasto sulle dita. Abbassò il capo e recitò qualcosa a voce talmente bassa che nessuno dei presenti riuscì a sentire, rimase assorta per alcuni minuti. Poi diede seguito al resto del rito.
“Numero Due, che i tuoi desideri si avverino.” Fece su di lui la stessa cosa che aveva fatto su se stessa e alla fine gli fece succhiare le dita sporche di sangue.
Lo stesso fece con ognuno di loro.
Alla fine il sangue rimasto fu riposto nella cassapanca.
Si avvicinò al cadavere, che era stato denudato in precedenza, aprì le palpebre e due splendidi occhi azzurri e spenti sembravano parlare, ma lei non provò nessuna emozione. Glieli estirpò con destrezza usando l’apposito attrezzo già pronto, li mise in un vaso con soluzione liquida che fu portato sul ripiano vicino agli altri.
Prese un altro coltello e incise i tre tagli al seno destro: “il seno che nutre la vita, nutre anche la Terra.” Fece lo stesso col seno sinistro.
Passò al pube e incise i tre tagli. “Il grembo di vergine è pronto per essere colmato di vita, così come la terra è il grembo del mondo che dona la vita.”
La sacerdotessa portò le mani sporche del sangue di vergine sul suo pube, uno alla volta tutti i cavalieri fecero la stessa cosa imbrattando il bianco mantello.
Erano tutti sporchi di sangue, si sedettero ognuno al proprio posto e si presero per mano.
Tutti insieme recitarono: Noi, Cavalieri della Terra Feconda giuriamo di continuare la nostra opera in onore della Luna, Madre della Terra e della Prosperità, giuriamo di rispettare gli antichi scritti, giuriamo di aiutarci e sostenerci, giuriamo di mantenere il segreto, giuriamo di combattere ogni oppositore, giuriamo di obbedire al Gran Sacerdote.”
Rimasero in silenzio, ognuno immerso nelle richieste che mentalmente facevano alla loro Madre e Sorella Luna.
Dopo alcuni minuti la sacerdotessa si alzò:
“La Luna, nostra sorella e madre, con sangue di vergine tiene feconda la Terra.”
Uno alla volta, partendo da Numero Due si alzarono e si lavarono via il sangue, si tolsero il mantello e lo infilarono in un sacco.
Il rito si era svolto correttamente ma in ognuno di loro serpeggiava il dubbio. Numero Due si avvicinò alla sacerdotessa e le bisbigliò qualcosa all’orecchio.
Erano tutti senza mantello e pronti per uscire, quella sera non avevano usato il cappuccio. La sacerdotessa li fermò con un gesto.
“E’ giusto che voi sappiate che nel corso degli anni ci sono state altre vergini che non sono arrivate vive al rito di purificazione. I nostri predecessori hanno aggiunto estratto di salice alla pozione, per questo il sangue non era coagulato. Come vedete non siamo i primi e non saremo gli ultimi ad affrontare una simile eventualità. Non dovete preoccuparvi di niente.”
Nessuno parlò. Così, come erano venuti se ne andarono. Nessuna cella quella notte per loro in convento, dovevano tornare a casa e mantenere un basso profilo. Qualcuno sarebbe venuto a prendere il corpo della vergine e lo avrebbe inchiodato ad un albero rivolto ad est, in attesa che la luna sparisse mentre il sole sorgeva.


romanzo di Milena Ziletti - diritti e proprietà a lei riservati

venerdì 26 giugno 2020

IL SEGRETO DELLA LUNA


IL SEGRETO DELLA LUNA

parte trentatre






Camminava sulla riva del fiume tenendo in mano la canna da pesca. Avrebbe dato un anno della sua vita per poter assistere a quello che stava succedendo in casa del fabbro. Sapeva che non lo avrebbe mai scoperto nei dettagli, e un po’ gli dispiaceva ma era contento di quello che aveva fatto. Quelle bestie non sapevano ancora cosa le aspettava! Ripeté il giuramento che aveva fatto alle sue donne e cercò di calmarsi.
Come al solito, la camminata lo portò ai limiti della tenuta di Morietti. Si fermò e lanciò l’amo nell’acqua facendo finta di pescare, aspettava di sentire gli zoccoli del cavallo del guardiano che, infatti non tardarono a farsi udire.
“Vedo che ti piace stare qui. Lo sai che è proibito.”
“Questa ansa è ricca di pesci ed io sono su suolo pubblico e non faccio niente di male.”
“Stai molto attento, io ti tengo d’occhio. Non mi piaci proprio per niente.” Tirò le redini del cavallo e tornò sui suoi passi.
Sarebbe stato molto difficile entrare in quella proprietà.

Capitolo quindici
In casa del fabbro adesso c’era silenzio e calma.
Il corpo della ragazza era stato lavato e vestito dai lavoranti di Morietti.
Costantino e Luigi erano da soli e il fabbro gli stava raccontando del furto che aveva subito, che non aveva più una moneta ed ora nemmeno la figlia.
“Devi mantenere la calma, lo sai che se sgarri vieni isolato dal gruppo e se esci dal cerchio dei Cavalieri per te sarà la fine.”
“Come faccio a restare calmo davanti a tutto questo?”
“Ne parleremo alla prossima riunione se si potrà, sai bene cosa c’è in programma per il prossimo plenilunio. Ora più che mai abbiamo bisogno che tutto venga svolto nel modo più regolare possibile. Sai che non ti abbandoneremo e seguiremo le regole della nostra legge.”
“Lo so, ma anche se mi verrà dato denaro non sarà mai quanto quello che mi è stato rubato.”
“Lo so, ma ti rifarai.”
“Dobbiamo trovare chi mi ha fatto questo, adesso non potete più pensare che sia un caso. Tre ragazze hanno fatto la stessa fine, tre nostre ragazze, qualcuno sa, qualcuno ha parlato!”
“Mantieni la calma, cercherò di parlare con Numero Uno, ma sai quanto è difficile. Ti prometto che mi darò da fare. Ora pensa a seppellire tua figlia, poi ti farò sapere.”
Costantino Morietti era preoccupato ma non lo dava a vedere mentre raggiungeva il suo calesse e, scortato da ben quattro guardie sene tornò alla sua tenuta.
La giornata era molto calda, la fine di agosto stava regalando afa e sole a volontà. Costantino Morietti era molto pensieroso, aveva ben capito anche lui che c’era un filo conduttore in quelle morti, bisognava fare qualcosa ma, senza l’autorizzazione di Numero Uno non si poteva fare niente. I Cavalieri della Terra Feconda avevano regole molto rigide, tutti le avevano approvate e giurato col loro stesso sangue di rispettarle ma, da quando loro facevano parte del cerchio non si era mai presentata una simile situazione. Cosa era meglio fare? Giunse alla sua tenuta e lasciò il calesse ai suoi lavoranti dirigendosi, a viso basso e lunghe falcate nel suo studio privato.
La poltrona cigolò quando vi si calò di peso. Lui era Numero Due e in futuro sarebbe stato al posto di comando, sapeva come contattare la sacerdotessa ma era molto titubante. Il suo compito era molto semplice: doveva fare in modo che non ci fossero intoppi o guai di nessun genere fra di loro. Era riuscito a calmare il sacrestano con facilità, meno facile era stato placare il marchese ma ci era riuscito, ora il fabbro sembrava essere più difficile non tanto per la morte della figlia ma per il furto che aveva subito. Inoltre, Luigi era sempre stato un tipo nervoso e poco incline a sopportare le regole, se non fosse stato per il grande guadagno che ne derivava difficilmente lo avrebbe tenuto a bada. Doveva trovare il modo di placarlo. Accese un sigaro e si immerse nei suoi pensieri.
Per la prima volta nella sua vita il fabbro chiuse bottega. Lui e i suoi figli erano riuniti nella stanza dove avevano ricomposto la salma di Eugenia. Luigi tamburellava le dita sul coperchio del piccolo barattolo che il sacrestano gli aveva dato, sapeva bene cosa conteneva. Uscì nell’orto e lo mise nel baule di ferro che una volta conteneva il suo tesoro. Era fuori dalla grazia di dio, si sentiva impotente, mai avrebbe immaginato che qualcuno potesse arrivare a fargli questo. Era più arrabbiato per il torto che aveva subito più che per la perdita stessa della figlia, e molto più addolorato per la perdita dei soldi. Sapeva che doveva mantenere la calma, i Cavalieri erano stati molto chiari, nessuno dei suoi due figli era stato giudicato in grado di prendere il suo posto, pertanto se lui fosse stato espulso ne avrebbe dovuto subire terribili conseguenze. Lo tenevano per le palle, come ognuno di loro.
La gente cominciava ad arrivare per l’ultimo saluto e lui si ricompose. Si mise il vestito della festa e si sedette con i suoi figli accanto alla bara della figlia. Mantenne un comportamento esemplare anche durante il funerale, sembrava fatto di pietra e Costantino lo seguiva con lo sguardo e con il fiato sospeso.
Non ci furono incidenti e tutto finì l’ultimo lunedì di agosto.
In paese serpeggiava paura e diffidenza. Molte persone spettegolavano e inventavano storie su quanto successo e Luigi e i suoi figli riaprirono la bottega cercando di far finta di niente.
Gastone aveva terminato un altro carico di liquore e quella notte lo avrebbero consegnato. Tornò a casa, si lavò e cenò con Cincia.
“Stasera ritorno alla tenuta Morietti, ma ho capito che ne ricaverò ben poco.”
“Forse posso fare io qualcosa per te, chissà che tu possa perdonarmi.”
“Non fare stupidaggini, un modo prima o poi lo trovo, ho ancora molto da fare prima che tocchi a lui e, stai sicura che pagherà molto caro anche lui.”
Aveva visto giusto, Gastone non riuscì ad andare oltre il viottolo come la volta precedente. Ritornando, ritirò il suo denaro e andò a dormire.
Settembre si presentò con cielo limpido e sereno. Sembrava che l’estate non volesse terminare. I campi erano stati mietuti, i frutti raccolti e messi nei granai e nelle cantine. Tutto era proceduto come se una sorta di magia avvolgesse quel posto. Nessun imprevisto, nessun temporale o grandine, uva in gran quantità da vendemmiare e gente felice per la festa che si stava avvicinando.
Gastone e Cincia stavano cenando in silenzio come sempre, mentre Rufus scodinzolava in attesa dei bocconi che sarebbero arrivati.
“Devo chiederti un favore.” Disse Gastone, bisbigliando.
“Fra pochi giorni ci sarà il plenilunio ed io ho bisogno che tu vada nel boschetto a raccogliere le tue erbe. Ho bisogno di sapere dei movimenti inusuali al convento. Arriverà la ragazza, in qualche modo arriverà ed io non posso stare di giorno a controllare. Lo farò di notte. Pensi di farcela?”
“Sicuro!” E si mise a sparecchiare. “Dimmi solo quando devo cominciare.”
“Basterà iniziare una settimana prima del plenilunio, non credo arrivi con tanto anticipo.”
Fu così che Cincia iniziò la sua perlustrazione. Ogni giorno rimaneva fuori dall’alba fino a sera, all’arrivo di Gastone che le dava il cambio, ma non succedeva niente.
Mancavano due giorni alla data fatidica quando la vecchia vide arrivare un carro coperto al convento. Il grande portone si aprì ancora prima che quello giungesse vicino e si richiuse subito. Rimase ad osservare. Passarono un paio d’ore prima che il carro uscisse e si allontanasse. Cincia ritornò a casa, passò dalla distilleria e disse a Gastone che lo aspettava per cena.
Gli raccontò ciò che aveva visto e l’uomo decise di andare a fare un sopralluogo.
Orami sapeva come comportarsi. Aprì il lucchetto ed entrò con molta circospezione. Si accorse subito che c’era qualcosa di diverso.
Innanzitutto l’ambiente era rischiarato da candele e piccole torce. Lui si tenne rasente al muro con le orecchie ben aperte. Rimase immobile per lunghi minuti aguzzando la vista ma non vide né sentì niente. Attraversò lo spogliatoio e si avvicinò al grande tavolo. Vide che la cassapanca dietro la quale si era nascosto era stata spostata e per lui non c’era possibilità di nascondersi in quel posto.
Gli occhi si erano abituati alla luce delle candele. Fu con grande sorpresa che vide la parete dove c’era il simbolo dei cavalieri aperta, era una grande porta massiccia di pietra che ora era spalancata. Titubante si avvicinò. Era quasi sicuro che non ci fosse nessuno, ma non poteva essere certo che non ci fossero trappole per gli intrusi.
Oltrepassò la grande porta e rimase a bocca aperta. Era preparato a tutto, ma questo non voleva dire che non ne sarebbe stato sconvolto.


romanzo di Milena Ziletti - diritti e proprietà a lei riservati

giovedì 25 giugno 2020

IL SEGRETO DELLA LUNA


IL SEGRETO DELLA LUNA

parte trentadue






“Lo so che sei arrabbiato con me, che non sei più sicuro di fidarti di me ma ti dimostrerò che sbagli.” E si ritirò nella sua camera.
Gastone avrebbe voluto vedere la faccia del fabbro quando avesse scoperto che il suo “tesoro” era sparito ma sapeva che non poteva rischiare. Era soddisfatto di quello che aveva fatto e aveva già in programma di sistemare anche la figlia.
Era metà settimana e, con una scusa andò all’officina del fabbro.
Tutto sembrava normale, di sicuro non si era ancora accorto del furto. Gastone lasciò il suo attrezzo da riparare e se ne tornò alla distilleria.
In casa, con Cincia c’era più silenzio del solito. Gastone la osservava, sapeva che non lo avrebbe mai tradito ma, il solo sospetto che lei potesse credere che i sacrifici di tutte quelle ragazze avevano preservato quel maledetto paese lo lasciava esterrefatto.
Agosto stava terminando, era l’ultimo sabato del mese e Gastone aveva deciso di agire quella notte.
“Dovrai tenere Rufus con te stanotte. Io ho da fare.”
La vecchia gli rispose con un cenno del capo, sembrava che non avesse più voglia di parlare, sembrava invecchiata di dieci anni in dieci giorni e gli venne il sospetto che non stesse bene, ma non glielo chiese.
Le stelle avevano cominciato a brillare da poco e Gastone era appostato ad osservare la casa del fabbro.
Vide i due ragazzi uscire in fretta per andare ad ubriacarsi. Non dovette aspettare molto per vedere uscire il fabbro e andare nell’orto. Non si mosse dal suo nascondiglio, sentiva i rumori dell’uomo e una bestemmia che squarciò il silenzio della notte. Gastone cercò di immaginarsi la faccia di quell’uomo e dei pensieri che potevano passargli nella mente e sorrise sotto i baffi.
Sentì passi veloci e vide l’uomo rientrare di corsa in casa, ci rimase poco e ne uscì di nuovo di corsa. Era quello che si aspettava, era sicuro che sarebbe andato dal sacrestano, non poteva andare di sicuro dal marchese o da Morietti, quelli erano su un livello superiore al sacrestano e al fabbro.
Aspettò che si fosse allontanato e, con cautela entrò in casa, salì le scale facendosi luce con una piccola torcia, aprì le varie porte finché trovò quello che cercava, la camera da letto della ragazza.
Silenziosamente si avvicinò al letto, la svegliò dolcemente e le fece segno di stare zitta. Eugenia non capì subito quello che le stava succedendo, abituata da sempre ad obbedire, spalancò gli occhi e si mise a sedere sul letto. Gastone si sedette accanto a lei e le carezzò i capelli spettinati. Aveva uno sguardo da gattino sperduto, ma l’uomo non si fece intenerire, doveva agire in fretta. La prese per mano e uscirono insieme. La donna non aveva ancora detto una parola, aveva sognato talmente tante volte che un principe azzurro arrivasse a rapirla che credeva di sognare.
L’aria più fresca destò completamente la ragazza che cercò di chiedere spiegazioni allo sconosciuto ma non fece in tempo, la pozione che aveva preparato le venne versata in gola e, in pochi secondi perse i sensi.
Gastone la caricò sulle sue spalle e tornò silenziosamente al suo casotto.
Tutto era pronto per il rito che ormai conosceva bene. La distese sul ripiano, prese subito lo stiletto e, senza nessun indugio glielo conficcò nel cuore. Pochi attimi ed Eugenia era morta.
C’era poca luce nel casotto e si avvicinò al corpo della ragazza. Non era una gran bellezza e aveva le mani rovinate dai troppi lavori. Cercò di immaginare cosa provassero quelle bestie quando sacrificavano una giovane vita, e un groppo in gola gli chiuse il respiro al ricordo di sua figlia e di sua moglie. Lo avrebbe scoperto presto, il plenilunio di settembre si stava avvicinando e si era rassegnato al fatto che non poteva salvare la ragazza dai capelli rossi ma avrebbe messo fine a tutto, di questo era sicuro.
Procedette a estirparle gli occhi e li ripose in un piccolo barattolo. Le incise la stella sul petto, prese i chiodi e uscì nella notte.
Ritornò verso il paese tenendosi ben defilato. Si nascose e aspettò per un po’ prima di muoversi. Quando fu sicuro che non c’era nessuno in giro prese il cadavere e lo inchiodò sull’albero che delimitava la strada, tutti lo avrebbero visto, ed era quello che voleva. Impiegò solo pochi minuti a finire il lavoro. Cancellò ogni impronta che potesse essere riconoscibile e ritornò nel casotto. Ripulì tutto, bruciò ogni indumento macchiato di sangue e andò, come al solito a dormire.
Il sofà cigolò mentre si sdraiava e Rufus brontolò per essere stato disturbato. Cincia lo aveva sentito rientrare, sospirò e cercò di dormire.
Era domenica di riposo anche per Gastone. La distilleria non aveva bisogno della sua presenza quel giorno.
Era seduto a tavola con Cincia quando Margherita entrò trafelata e si sedette per riprendere fiato.
Gastone e la vecchia la guardavano ad occhi spalancati aspettando che riuscisse a parlare. Le misero davanti un bicchiere di acqua che quella prese con mani tremanti per berne un sorso.
“Che ti succede, Margherita?” Le chiese l’uomo.
La donna riprese fiato e strinse forti le mani dell’uomo.
“Sapessi cosa ho visto! Oh sapessi cosa ho visto!”
I due rimanevano in attesa, preoccupati davanti a quegli occhi pieni di lacrime.
“Calmati e raccontaci.” Le sussurrò l’uomo stringendole le mani.
“Questa mattina sono uscita molto presto, ero sveglia e il canto degli uccelli mi ha attirata verso il boschetto. Oddio! Non riesco nemmeno a dirlo!” E tremava come una foglia.
Gastone si alzò e la prese fra le braccia lanciando uno sguardo d’intesa con la vecchia.
“Calmati, adesso sei qui con me, avanti dicci cosa è successo.”
Margherita riprese posto sulla sedia senza lasciare andare le mani dell’uomo.
“La luce dell’alba era bellissima e stava rischiarando la giornata coi suoi meravigliosi colori. Esco spesso la mattina presto perché mi piace respirare quando ancora la terra dorme. Ho visto in lontananza qualcosa di diverso appoggiato al tronco di un albero e mi sono avvicinata, incuriosita. Oddio! Oddio! Era una ragazza inchiodata, il capo le pendeva e i capelli le coprivano il viso. Non riuscivo a vedere chi fosse e non riuscivo ad avvicinarmi. Mi sono messa ad urlare fino a quando non è arrivato qualcuno, non so nemmeno chi fosse e mi ha portata via. Sono corsa qui. Oddio che spavento! Che orrore. Quanto sangue!”
“Calmati ora, Margherita. Hai riconosciuto la ragazza?”
“No, ma qualcuno diceva che si trattava di Eugenia, la figlia del fabbro. Io non l’ho vista in faccia.”
“Calmati, Margherita, bevi un po’ d’acqua.”
“Sono corsa qui, non sapevo cosa fare, dove andare, avevo paura perfino di tornare a casa da sola. Dio! Chi può aver fatto una cosa simile? Come faremo a stare tranquilli d’ora in poi?”
Margherita non smetteva di tremare e di piangere, doveva proprio aver subito un forte shock.
“Rimani con Cincia, vado a vedere.”
Si incamminò veloce verso il paese. Molte persone erano radunate davanti all’albero e qualcuno aveva già tolto il corpo della ragazza. Il fabbro e i suoi figli erano presenti e il padre urlava come un disperato, inveiva, bestemmiava piangendo come un bambino.
Gastone si mescolò alla folla guardando la scena. Un lenzuolo aveva avvolto il cadavere e i due fratelli cercavano di alzarlo da terra per trasportarlo a casa ma le loro mani tramavano talmente forte che non ci riuscivano.
Adesso sai cosa si prova, verme schifoso. Gastone guardava la scena tenendo in mano il cappello. Sembrava che tutto il paese fosse lì radunato. Arrivò un calesse e Costantino Morietti si fece largo fra la folla. Si avvicinò al fabbro e gli parlò all’orecchio. Quello sembrava non capire quello che gli veniva detto. Costantino chiamò due suoi lavoranti e fece caricare il cadavere sul calesse e lo fece trasportare a casa mentre lui, a piedi seguiva col fabbro e continuava a parlargli.
La folla rumoreggiava, donne si facevano il segno della croce e aleggiavano paura e sospetto.
Gastone vide il sacrestano che osservava come ipnotizzato l’albero e gli si avvicinò.
“Che brutta storia, proprio una brutta storia!” Così dicendo gli infilò in tasca il piccolo barattolo con gli occhi di Eugenia.
Il sacrestano non si era nemmeno accorto di lui, sembrava che fosse preso (e così era) dal ricordo di sua figlia.
 Sarebbe stata una domenica movimentata e la gente si sarebbe ammassata in chiesa per la messa. Gastone si allontanò e ritornò a casa.
Gastone entrò in casa e vide Margherita sdraiata sul sofà.
“Era proprio la figlia del fabbro, adesso l’hanno portata a casa.”
Cincia non diceva niente e l’uomo si avvicinò a Margherita che si era appisolata.
“Vado a fare un giro con Rufus, torno per l’ora di pranzo, meglio se Margherita rimane con noi per oggi.” La vecchia gli rispose con un cenno del capo e andò nell’orto.


romanzo di Milena Ziletti - diritti e proprietà a lei riservati

mercoledì 24 giugno 2020

IL SEGRETO DELLA LUNA


IL SEGRETO DELLA LUNA

parte trentuno






Capitolo quattordici
Fece colazione con Cincia. “Devo assolutamente saperne di più su Morietti, devi aiutarmi, Cincia. Credo che sarà un osso duro per la nostra vendetta.”
“Non pensarci per adesso. Concentrati sul prossimo passo. Non ti devi distrarre o commetterai qualche sbaglio. Hai deciso cosa fare?”
“Sì, ho già un piano in mente e lo metterò in pratica molto presto.”
Mancava una settimana circa alla fine di agosto e il piano era già tutto nella sua mente.
Tutto in quel piccolo borgo sembrava andare come sempre era stato. Possibile che nessuno si fosse mai accorto che succedevano cose strane? Forse, dipendeva dal fatto che la gente aveva da lavorare e viveva in pace, sembrava sempre che ci fosse qualcuno quando c’era chi aveva bisogno di sostegno o di aiuto. Gastone vedeva ben oltre quello che gli altri vedevano, la sua visione più ampia gli faceva cogliere anche particolari che sembravano insignificanti.
In quel posto solo Cincia aveva perso una nipote, ma la donna era considerata poco affidabile da sempre, era una donna sola, senza appoggi, perciò vulnerabile e senza possibilità di farsi valere. L’avevano lasciata nel suo casolare, col suo piccolo pezzo di terra, come se fosse un pagamento per quello che aveva perduto. Non si spiegava altrimenti il fatto che non le avessero espropriato quel poco che aveva, per quei delinquenti sarebbe stato molto facile.
Di questo stava ragionando Gastone con Cincia mentre cenavano.
“Sembra che in questo posto tutti vivano felici.” Disse l’uomo.
“Non ci possiamo lamentare, non ci sono state carestie o pestilenze da che io ho memoria.”
“Non crederai anche tu che sia per merito dei cavalieri?!”
La donna alzò lo sguardo che sembrava si perdesse nell’infinito.
“Non dirmi che davvero ci credi! Non è da te!” Si infuriò Gastone.
“E allora, come lo spieghi?” bisbigliò a capo chino la donna.
“Rufus! Andiamo!” Uscì come una furia seguito dal cane.
Cosa era preso a quella vecchia? Come poteva ancora fidarsi di lei? Come aveva fatto a confidarsi con quella vecchia pazza? Avrebbe mantenuto la parola che gli aveva dato?
Era seduto su un masso a guardare le stelle quando sentì una mano posarsi sulla spalla.
“Non sono pazza. E’ un dato di fatto quello che ti ho detto. Vivo qui da quando sono nata, sono sola da tempo e mai nessuno mi ha importunata. Solo ora ne ho capito il motivo, come dici tu è un pagamento per quello che ho perso, per quello che mi hanno preso. Ho perso marito, figli, nuora, tutto. Mi era rimasta solo mia nipote ed è sparita nel nulla, era tutto ciò che avevo, avrei dato la mia vita in cambio della sua. Non ho potuto fare niente allora ma sono pronta a fare tutto quello che serve ora, sono vecchia e valgo poco ma quel poco che valgo e che conto lo metto nelle tue mani, qualunque cosa farai io ti proteggerò e ti aiuterò, non dubitarne mai. Nessuna famiglia merita di soffrire come è capitato a me, nessuna ragazza merita una fine così orrenda.”
“Io li farò soffrire tutti, te lo giuro!”
“Lo so. Ora tocca al fabbro, datti da fare, il plenilunio di settembre si avvicina. Rientriamo che domani è un altro giorno e tu hai da fare.”
Rientrarono e andarono a dormire. Gastone non riusciva a prendere sonno, per la prima volta non riusciva a fidarsi completamente della sua amica ma non aveva molte alternative. Decise che da ora in avanti le avrebbe raccontato il minimo indispensabile.
Nel suo letto, Cincia piangeva silenziosamente conscia di aver commesso un grave errore, errore che sapeva avrebbe pagato. Si addormentò con le guance bagnate di lacrime.
Un altro fine settimana iniziava all’insegna del bel tempo. Gastone era silenzioso e in casa non si parlavano quasi più.
“Non aspettarmi stasera, dopo il lavoro vado da Margherita. Tieni Rufus con te, ci vediamo domani sera, passa una buona domenica.”
Cincia abbassò la testa, consapevole che niente più sarebbe stato come prima, Gastone aveva perso la fiducia in lei e non sarebbe stato facile riconquistarla. Lei sapeva che aveva intenzione di occuparsi del fabbro ma, stavolta non glielo aveva detto. La sua vita stava giungendo al traguardo finale, doveva essere grata a quell’uomo che le aveva svelato i suoi segreti e anche la fine che aveva fatto sua nipote. Cosa le era preso? Una lacrima solitaria scese silenziosa, si coricò e pianse in silenzio.
Il sabato passò veloce. Gastone aveva appuntamento per cena con Margherita, si era portato vestiti puliti. A fine lavoro si lavò e si cambiò, chiuse tutto e si incamminò.
Si teneva ai margini della strada cercando di passare inosservato. La sua mente era impegnata da mille pensieri, aveva un piano da portare a termine e un dolore nel cuore per la stupidità di Cincia. Come poteva quella donna, anche solo pensare che i sacrifici umani che quella setta operava servissero al benessere di tutti? Come poteva pensare che la vita di sua nipote fosse servita a tutti loro, e lei compresa a fare una vita decente? Al solo pensiero sentiva montargli la rabbia.
In vista della casa di Margherita cercò di liberare la mente da tutti i suoi assilli e di gustare quello che vi avrebbe trovato: una buona cena, una bella donna e sesso a volontà.
Era notte fonda quando lasciò la casa.
Conosceva la strada e si fermò ad osservare l’abitazione del fabbro. Tutto era spento, rimase per un po’ fermo ed in ascolto. Quando fu sicuro che tutti erano in casa a dormire andò nell’orto. Silenziosamente scavò e aprì il coperchio di metallo. Contò a tastoni dieci sacche di monete, le infilò nel sacco che si era portato, richiuse tutto e lasciò il posto come lo aveva trovato.
Era un bel peso quello che portava sulle spalle. Arrivò al suo casotto e vi entrò. Aveva preparato un nascondiglio dove infilare le sacche e ve le mise. Uscì nel buio che si stava dissolvendo e guardò la casa di Cincia, che era diventata anche la sua casa. Rufus lo aveva sentito arrivare e grattava alla porta. L’aprì e lo fece uscire. Entrambi si incamminarono verso il fiume, aveva il chiodo fisso di Costantino Morietti e si avvicinarono alla sua proprietà.
Rimase a debita distanza per molto tempo ad osservare prima di decidersi a ritornare.
Rufus corse verso la porta aperta di casa. Cincia stava friggendo le uova e la tavola era apparecchiata per la colazione. Entrò e, con sorpresa vide Margherita seduta al tavolo.
“Ben arrivato, scommetto che hai fame e mi sono autoinvitata. Cincia è felice di averci a colazione, siediti.”
La presenza di Margherita rendeva allegra l’atmosfera ma il viso di Cincia era più rugoso del solito e non riusciva proprio a partecipare alla leggerezza dei discorsi.
“Che ti prende, Cincia?” Le chiese la sua ospite.
“Niente, sto superando un brutto momento.” Rispose guardando Gastone.
L’uomo fece finta di niente.
“Andiamo, Margherita, ti riaccompagno.”
La donna capiva che qualcosa non andava, salutò la sua vecchia amica e uscì al braccio di Gastone.
“Hai litigato con Cincia?”
“No, va tutto bene!” E chiuse il discorso.
Non rimase dalla donna ma rientrò a casa.


romanzo di Milena Ziletti - diritti e proprietà a lei riservati

martedì 23 giugno 2020

IL SEGRETO DELLA LUNA


IL SEGRETO DELLA LUNA

parte trenta






La pioggia iniziò a scrosciare e divenne un diluvio. Tutte le finestre delle case erano chiuse per evitare che il vento, che si era levato con forza facesse penetrare l’acqua all’interno.
Stando basso entrò nel recinto dell’orto e andò dritto verso l’albero. A mani nude scavò nella terra bagnata e, dopo poco le sue mani toccarono qualcosa di metallico. Ripulì la superficie e vide un coperchio di metallo chiuso da un grosso lucchetto. Non impiegò molto ad aprirlo e ad alzare quel pezzo di ferro. Non poteva accendere la torcia ma i fulmini che rischiaravano il cielo riuscivano ad illuminare l’interno di quella specie di cassa di metallo. Ben allineate c’erano varie sacche colme. Gastone le tastò e sentì il duro delle monete, aveva trovato il tesoro del fabbro. Ed era davvero cospicuo.
Richiuse il coperchio di metallo e lo chiuse col lucchetto, rimise la terra sopra come l’aveva trovata e ritornò a casa.
Il temporale cominciava a scemare e la pioggia aveva smesso di cadere. Le finestre delle case si riaprirono per godere di quel refrigerio, il primo temporale di agosto, come dicevano i vecchi avrebbe portato rinfresco e segnato la fine del gran caldo dell’estate.
Era fradicio quando entrò in casa e Cincia lo stava aspettando. Lo aiutò a spogliarsi e ad asciugarsi e gli porse un bicchiere colmo di vino.
“Lo hai trovato?”
“Sì. Ho trovato il tesoro del fabbro e presto me lo prenderò. Dopo di che toccherà a sua figlia.”
“Hai già un piano?”
“Non ancora ben definito ma ho qualche idea, e se ci riesco voglio farlo prima del prossimo plenilunio. Non riuscirò a salvare la ragazza dai capelli rossi ma metterò un po’ di fuoco al culo di quei bastardi.”
“Stai attento, mi raccomando. Ora è meglio se cerchi di dormire.”
Le giornate lentamente si stavano accorciando e Gastone era ansioso, doveva decidere le sue priorità, per il momento aveva rinunciato a cercare il modo di salvare la ragazza dai capelli rossi, doveva decidere se impossessarsi delle borse di monete del fabbro o di sua figlia. Di sicuro quel maledetto era più attaccato ai soldi ma, se li avesse sottratti, quel verme avrebbe aumentato la sorveglianza, mentre se avesse rapito la figlia avrebbe lasciato il suo tesoro dove si trovava.
Decise così che toccava prima alla figlia. L’aveva vista, anche se da una certa distanza. Era una donna ormai, aveva passato i trent’anni e camminava come se portasse sulle spalle il peso del mondo intero, doveva essere molto infelice.
Era metà settimana e Gastone e Margherita avevano appena concluso i loro amplessi, sempre più piacevoli e stavano mangiando qualcosa. Erano completamente nudi e i loro occhi ardevano per l’impazienza di quello che ancora li aspettava prima di lasciarsi.
Gastone portò il discorso, casualmente sulla figlia del fabbro.
“Mi è capitato di intravedere la figlia del fabbro e mi ha fatto pena, tu la conosci?”
“Eugenia, tutti la conoscono ma nessuno la conosce. Suo padre e i suoi fratelli sono molto bravi a tenerla isolata, ho l’impressione che scapperebbe volentieri da quella prigione che chiama casa. Perché me lo chiedi?”
“Io nemmeno sapevo della sua esistenza, me ne ha parlato Cincia ed io l’ho intravista mentre venivo da te, mi convinco sempre di più che l’impressione di pena che mi ha fatto sia molto azzeccata.”
“Ci sono molte voci che circolano da sempre, ma non so quanto siano vere. Dicono che suo padre abusi di lei fin da quando era piccola, addirittura si mormora che il fabbro abbia ucciso la moglie perché aveva scoperto la tresca ma, come puoi ben immaginare sono solo pettegolezzi di vecchie signore che non hanno nulla da fare. Io non li conosco, di certo mi dispiace per quella povera ragazza, non ha mai conosciuto altro che la prigione della propria casa.”
“Certo che per essere un piccolo borgo ce ne sono di stranezze qui!”
“Oh! Non immagini quante!”
Così dicendo si avvicinò all’uomo e cominciò a baciarlo. Si ritrovarono sul letto e non pensarono ad altro se non al loro piacere.
Era notte fonda quando Gastone uscì per ritornare a casa. Aveva deciso cosa fare ed ora doveva solo mettere in pratica il suo piano.
Era metà mattina quando il ringhio di Rufus avvertì dell’arrivo di Ermete alla distilleria. Entrò e, come al solito si sedette sullo sgabello. Ultimamente sembrava sempre stanco.
“Domani notte dobbiamo portare il primo carico a Costantino Morietti. Dovresti preparare le botti sul carro e, alle undici andremo alla sua tenuta.”
“Va bene, era ora. Qui il posto comincia a scarseggiare. Porterò il fucile, come mi hai chiesto di fare ma non voglio che, una volta alla tenuta mi venga tolto, o io non entro in quel covo di matti armati di tutto punto!”
“Stai tranquillo, ho garantito per te. Tu fai solo quello che ti dico e non ci saranno problemi. Faremo in fretta, dovresti essere a casa in tempo per farti una bella dormita prima di riprendere il lavoro.”
“Va bene, tu porta quanto pattuito ed io farò la mia parte.”
Il vecchio Ermete sospirò, salutò e se ne tornò a casa.
Nonostante il temporale avesse portato un po’ di sollievo all’afa, il gran caldo era tornato. Mentre cenava con Cincia, Gastone la informò del viaggio che doveva fare la sera successiva.
“Non so se riuscirò a capire molto della disposizione della tenuta ma, almeno potrò entrare. Deve essere ossessivo verso la sicurezza questo Costantino Morietti, chissà quante cose ha da nascondere!”
“Io so che paga bene i suoi guardiani e pretende da loro l’assoluta fedeltà. Circolano molte voci e qualcuna sussurra che oltre alle monete metta a disposizione anche donne e orge per poterli ricattare al silenzio.”
“Ma in questo maledetto paese c’è qualcosa o qualcuno di onesto?” Si lasciò sfuggire l’uomo.
“Non lo so, davvero non lo so!”
Il carro era caricato e il buio era molto fitto. Della luna ne era rimasto uno spicchio ma non era sufficiente a rischiarare il tragitto. Ermete aveva messo delle lanterne sul carro ed erano partiti.
Restavano in silenzio con le orecchie ben tese. Un agguato era sempre possibile, quella che trasportavano era merce molto richiesta e nessuno, tranne i diretti interessati erano al corrente del viaggio.
Ci volle più di un’ora prima di arrivare alla tenuta Morietti. Due uomini a cavallo li stavano aspettando appena oltre la proprietà e li scortarono all’interno.
Li seguirono senza fiatare. C’erano alcune lanterne accese appese ai muri, ma soltanto il minimo indispensabile per non andare a sbattere da qualche parte. Il carro con il liquore seguì i due guardiani e Gastone guizzava lo sguardo per capire come fosse quel posto ma, davvero era difficile vedere oltre pochi metri.
“Fermatevi qui.” Erano le prime parole che sentivano.
Gastone discese seguito dal suo padrone. Uscirono altri due uomini e cominciarono a scaricare la merce. Gastone stava portando all’interno di un capannone una botte quando fu fermato da quello che sembrava il capo.
“Lascia qui, al resto pensiamo noi.” Il tono non era per niente amichevole.
Ci volle solo mezz’ora per scaricare tutto. Ermete e Gastone risalirono sul carro e furono riaccompagnati fuori dalla proprietà.
Ritornarono alla distilleria senza parlare.
“Mi sembra molto esagerato quel Morietti con la sicurezza. Chissà cosa teme!”
“Credo che sia un uomo che non teme nessuno! Anzi, è lui che incute timore, stai al tuo posto e non avrai niente di cui aver timore, se entri nelle sue grazie hai tutto da guadagnare. E’ un uomo molto potente e molto ricco, la sua parola conta molto da queste parti.”
“Ah sì? E come si fa ad entrare nelle sue grazie?” Disse sarcasticamente Gastone.
Ermete guardò il suo lavorante per cercare di capire se stesse scherzando o prendendo in giro, ma il buio non permetteva di vedere bene il viso.
“Lascia perdere Costantino Morietti, meglio per te e per me e i miei affari.” Così dicendo se ne tornò stancamente a casa, era notte e lui non vedeva l’ora di mettersi a dormire.
Gastone sistemò le botti vuote, girò il carro e tornò a casa anche lui.


romanzo di Milena Ziletti - diritti e proprietà a lei riservati

lunedì 22 giugno 2020

IL SEGRETO DELLA LUNA


IL SEGRETO DELLA LUNA

parte ventinove






Fu una settimana di duro e intenso lavoro per Gastone e per tutti quelli che lavoravano nei campi e nei vigneti. Il lavoro alla distilleria proseguiva senza intoppi ed ogni giorno Ermete andava controllare quello che faceva il suo lavorante ma non trovava niente da obiettare. Gli aveva portato la somma richiesta e sapeva che era ben spesa.
Il sabato si preannunciò più caldo di tutti gli altri giorni.
Gastone aveva fatto in modo di organizzarsi e di avere la serata libera, voleva andare a trovare Margherita e passare qualche ora nel suo letto. Non girava intorno ai suoi desideri, erano stati chiari entrambi, avrebbero avuto solo un rapporto fisico e non emotivo e quello che avevano provato nel boschetto era stato di loro gradimento.
Aveva finito di cenare ed era seduto accanto a Cincia.
“Vado da Margherita, non so se torno prima di domattina, ho anche un’altra tappa da fare prima di tornare qui, ma a pranzo ci sarò di sicuro.”
“Fai bene a distrarti un po’. Sei un uomo giovane e Margherita pure. Ci vediamo domani.”
L’uomo aveva aspettato che ci fosse buio prima di andare dalla donna, non voleva essere visto, soprattutto per lei, non desiderava aumentare i pettegolezzi che già la circondavano.
La porta era aperta ed entrò, richiuse col chiavistello e raggiunse Margherita che l’aspettava sul letto.
Non ci fu bisogno di parole, Gastone si spogliò completamente e si distese vicino a quella splendida donna nuda. Si abbracciarono e fu come se scoppiasse un fulmine, talmente tanta era la corrente che c’era fra di loro.
Ci volle un bel po’ prima che si alzassero dal giaciglio. Non si vestirono, nudi si sedettero al tavolo della cucina e bevvero del vino fresco con dei biscotti che Margherita aveva preparato. Nella stanza si respirava ancora l’odore del sudore e degli amplessi e questo rendeva erotica la situazione. Margherita si sedette in braccio all’uomo e ricominciò a baciarlo su tutto il corpo. Gastone la sollevò come se fosse una piuma e, senza staccare la sua bocca da quella di lei la portò sul letto e ricominciarono a fare l’amore.
Sembrava non fossero mai sazi, entrambi affamati e senza inibizioni.
Erano sdraiati e si tenevano per mano, non parlavano, non ce n’era bisogno. Finalmente avevano soddisfatto un bisogno che si portavano appresso da troppo tempo, e sapevano entrambi che niente e nessuno avrebbe potuto togliere loro il gusto di fare l’amore così, come volevano.
“Fra poco devo andare.” Disse l’uomo.
“Tornerai?”
Si alzò su un gomito e la osservò al lume della candela che non avevano mai spento.
“Ci puoi scommettere!” Le disse mentre la sua bocca si apriva sul suo capezzolo.
E ricominciarono tutto da capo.
Era notte fonde quando Gastone uscì silenzioso, mentre Margherita si era finalmente addormentata.
La tappa successiva era la casa e l’officina del fabbro. Ci arrivò e trovò un posto nascosto dal quale osservare.
Era lì da poco quando sentì arrivare qualcuno che, ubriaco cantava canzoni volgari.
I figli del fabbro stavano rientrando a casa e il padre li accolse sulla porta. Gastone non capì cosa si dissero, ma sentì solo le risate sguaiate dei due.
Rimase nella sua postazione, aveva bisogno di imprimersi nella mente ogni particolare quando, con suo stupore, vide il fabbro uscire furtivo da casa. Aveva una piccola torcia accesa e, dopo essersi guardato in giro, prese un viottolo e si incamminò.
Gastone, ora era completamente sveglio e lo seguì come fa un cacciatore con la preda.
Il fabbro non andò molto lontano. Entrò nel recinto che delineava il suo grande orto, andò oltre e si fermò ai piedi un albero da frutta. Guardingo aspettò qualche secondo con occhi e orecchie ben aperti e, non sentendo o vedendo niente di strano si inginocchiò e, con una piccola pala cominciò a scavare.
Gastone non poteva vedere ogni cosa, la luce era troppo fioca e la luna si era nascosta ma poteva immaginare cosa stesse facendo.
Il fabbro fece quello che doveva e ci impiegò davvero parecchio tempo. Sembrava che non volesse allontanarsi da quel posto ma, alla fine ritornò sui suoi passi e rientrò.
L’alba si stava già affacciando e Gastone non voleva correre rischi. Con estrema cautela tornò a casa, si sdraiò sul divano e crollò in un sonno profondo.
Fu il profumo delle uova e del caffè che lo svegliarono. Cincia si era data da fare con la colazione e Rufus era impaziente di uscire col suo padrone.
Gastone si stiracchiò e raggiunse la vecchia a tavola.
“Ma stiamo pranzando?” Chiese l’uomo.
“E’ quasi mezzo giorno e tu devi andare al lavoro, così ho unito colazione e pranzo, mangerai meglio a cena, sono sicura che quello che hai mangiato stanotte ti basterà fino ad allora!” Sghignazzò Cincia.
Gastone si unì alla risata e mangiarono tranquillamente.
Mentre lavorava in distilleria ripensava a quello che aveva visto dal fabbro, doveva solo decide quando andare a vedere cosa ci fosse ai piedi di quell’albero, anche se un’idea se l’era già fatta. Avrebbe aspettato la prima notte senza luna e ci sarebbe andato.
Aveva dormito poco ed era piuttosto stanco quando a sera tornò a casa. Rufus si mise a correre e saltò in grembo a Margherita che li aspettava con Cincia.
“La cena è pronta per tutti, lavati e vieni dentro.” Gli disse Cincia.
Passarono una serata piacevole. Gastone riaccompagnò a casa Margherita ma non entrò da lei, si sarebbero rivisti un’altra volta, era domenica sera e molte persone giravano per il paese, meglio ritornare a casa e riposare.
La nuova settimana iniziò come tutte le altre.
“Sta arrivando un temporale.” Gli disse la vecchia.
“Allora dovrò uscire.” E le raccontò quello che aveva visto e che voleva controllare.
I primi tuoni scoppiarono che lui era già appostato.


romanzo di Milena Ziletti - diritti e proprietà a lei riservati