lunedì 1 giugno 2020

IL SEGRETO DELLA LUNA


IL SEGRETO DELLA LUNA

parte quattordici






Si era informato, con tutta la sua solita discrezione sulla famiglia del sacrestano ed aveva saputo che le ragazzine si chiamavano Laura e Giulietta ed avevano un anno di differenza, quattordici e quindici anni circa. Avrebbe preferito prendere la più grande ma era di secondaria importanza.
Aveva osservato la vita di quella squallida famiglia nei suoi momenti liberi e aveva scoperto che alcuni pomeriggi le ragazze andavano dalla nonna che abitava fuori dal paese, non voleva rapirle entrambe, il suo piano era ancora quello originale, avrebbe preso un figlio ad ognuno di quei maledetti e avrebbe deciso cosa fare poi con loro stessi. Un passo alla volta, non doveva perdere la concentrazione e il filo di quello che aveva deciso di compiere.
L’estate era sbocciata con un caldo afoso. Dopo quel grosso temporale la temperatura aveva continuato a salire e solo nelle serate illuminate dalle stelle si riusciva ad avere un po’ di ristoro. Il lavoro nella distilleria procedeva senza intoppi, aveva imparato in fretta ed Ermete gli lasciava molta libertà nel lavoro, aveva allentato la sorveglianza e Gastone godeva di parecchia libertà.
Era venerdì e il caldo era insopportabile. Anche i lavori nei campi erano stati sospesi nelle ore di grande calura dopo che alcuni braccianti si erano sentiti male.
Gastone era appostato nelle vicinanze della casa della madre del sacrestano, da buon cacciatore aspettava paziente che si presentasse la situazione giusta per muoversi e quel giorno arrivò quasi inaspettata.
Sentì la voce canterina di una delle ragazzine che si avvicinava, cantavano sempre quando passeggiavano, avevano una voce dolce. Scherzavano fra di loro e si vedeva che erano affiatate, sembrava che bastasse uscire da quella casa per trovare il sorriso e la voglia di scherzare.
Riconobbe Laura, la più giovane. Si spostò dal suo punto di osservazione e le andò incontro. Lei lo riconobbe e lo salutò con un sorriso, non si rese conto di cosa le stesse succedendo quando un cappuccio nero le calò sul viso e la mano di Gastone le tappò la bocca.
Era leggera e facile da trasportare ma si dimenava, dovevano attraversare un tratto di strada scoperto e lui non voleva correre rischi. Tolse dalla sua sacca una boccetta e ne versò una parte del contenuto in bocca alla ragazzina. Aveva pensato a tutto, o così sperava e aveva preparato un estratto di erbe. La ragazzina smise di dimenarsi e si addormentò.
Non rallentò il passo finché non giunse nel suo casotto e si chiuse dentro. Pose la ragazza ancora addormentata sul tavolo e le tolse il cappuccio, le mise una benda ben stretta sulla bocca e le legò mani e piedi. Fece tutto senza guardarla, era una prova anche per lui, ora avrebbe saputo se era davvero in grado di fare quello che aveva giurato di compiere.
Guardò la ragazzina addormentata e ripensò a sua figlia, il dolore che aveva nel cuore si riacutizzò e procedette.
Lui non voleva far soffrire la ragazzina ma suo padre e lanciare un messaggio a tutti gli altri. Dovevano credere che fosse stata torturata ma lui non era un sadico assassino avrebbe fatto tutto con estrema umanità. Le accarezzò dolcemente il viso, erano gli ultimi istanti di vita di quella giovane e lui avrebbe fatto tutto in fretta.
Mentre il piccolo seno si alzava e abbassava in un respiro lento e rilassato, Gastone prese uno stiletto e glielo piantò nel cuore. La ragazza ebbe uno scatto inconsulto ma morì all’istante. L’uomo sapeva di non avere molto tempo a disposizione ma aveva studiato tutto talmente tante volte nelle sua mente che le mani sembravano andare da sole.
Il corpo della ragazzina si stava raffreddando, Gastone prese un lungo chiodo che aveva fabbricato lui e lo infilò nel foro lasciato dallo stiletto lasciando ben visibile la testa del chiodo che portava impresso il disegno di una stella. Aveva deciso così perché pensava a sua figlia come una stella che ha raggiunto il firmamento e per dare motivo di pensiero a chi di dovere.
Tolse le legature affinché non ci fossero segni poi si accinse all’operazione che più detestava, le alzò le palpebre e con uno strumento che si era fabbricato da solo, strappò gli occhi della ragazza e li mise in un piccolo vaso. Le lasciò gli occhi spalancati, senza bulbi e si costrinse ad osservarla.
Immobile fissava il corpo di quella ragazza, il viso bianco, le orbite oculari vuote, nere come l’inferno. Rivide sua figlia inchiodata all’albero e scacciò il dolore che provava pensando al dolore che la sua dolce bambina aveva sofferto. Lui, almeno aveva evitato la sofferenza alla ragazzina ma gli altri non dovevano pensarlo. Prese un affilatissimo coltello e incise una stella ben visibile sul petto della ragazzina, sarebbe stata la sua firma su ogni cadavere che avrebbe lasciato a quegli infami.
Si era chiesto molte volte cosa avesse provato una volta iniziata la sua vendetta, non aveva mai vacillato nella sua determinazione. Chiuse gli occhi e ascoltò la sua Anima in attesa di sentire un rimorso o un qualsiasi palpito di cedimento, era inutile, la sua Anima non c’era più se n’era andata con le sue donne. Riaprì gli occhi e diede un ultimo sguardo al cadavere e nemmeno un amen gli passò per la testa. Adesso doveva solo aspettare che facesse buio per portare a termine l’operazione.
Uscì e richiuse la porta, si lavò e tornò alla distilleria. Riprese il lavoro da dove lo aveva interrotto, nessuno si era accorto della sua assenza, Rufus aveva fatto buona guardia.
Cenò silenziosamente con Cincia che lo osservava senza parlare.
La notte era scesa illuminata da miliardi di stelle e lui le osservava cercando di vedere quella di sua figlia, portava in spalla il corpo di Laura, trovò l’albero giusto e la inchiodò mani e piedi. Non ci mise molto e si allontanò senza voltarsi indietro.
Tenendosi al riparo andò verso il villaggio, molte torce e lanterne rischiaravano la notte, stavano cercando la ragazza e lui, silenzioso e invisibile entrò in chiesa, davanti alla statua della Madonna c’erano le ceste per le offerte e lasciò il barattolo con gli occhi della ragazzina in una di quelle.
Ritornò a casa e si sdraiò sul divano. Chiuse gli occhi aspettando di sentire dolore o rimorso ma, tutto quello che avvenne fu che si addormentò, per la prima volta sereno e tranquillo.
Era intento al suo lavoro nella distilleria quando il basso ringhio di Rufus lo avvertì dell’arrivo di qualcuno. Passi veloci si avvicinavano ma lui non distolse l’attenzione da quello che stava facendo. Fece cenno a Rufus di stare tranquillo quando la porta si spalancò. Ermete, trafelato e sudato si sedette su uno sgabello per riprendere fiato.
“Cosa c’è di così urgente da correre con questo caldo?”
“E’ successa una tragedia! Una tragedia!”
“E mi riguarda?”
Ermete lo guardò cercando di capire qualcosa di quell’uomo così calmo e riservato, al punto a volte da sembrare enigmatico.
“No, non riguarda te, ma è successa una grande tragedia!”
“Se sei venuto fin qui di corsa deve essere davvero grave, parla pure, io continuo a fare il mio lavoro.”
Ermete lo guardava mentre riprendeva fiato, si chiese cosa gli fosse saltato in mente di correre come un ragazzino con un simile caldo ma, in paese erano tutti radunati tranne lui ed era venuto ad avvisarlo.
“Hanno ucciso la piccola Laura, la figlia del sacrestano! Credo che tu l’abbia conosciuta quando frequentavi la loro casa. Una fine orrenda! Orrenda! L’hanno trovata inchiodata ad un grosso albero, e le hanno cavato gli occhi! Chi può fare una cosa simile? Chi può arrivare a questo punto?” Ermete tremava, si vedeva che era sotto choc. Gastone interruppe quello che stava facendo e si avvicinò al vecchio.
“E’ davvero terribile. Mi ricordo della ragazzina, carina e gentile. Non mi faccio una ragione, chi può averle voluto così male?”
“E non è tutto!” continuò il vecchio. “Hanno trovato i suoi occhi nella cesta delle offerte in chiesa davanti alla Madonna!” E si fece il segno della croce.
“E’ davvero terribile! Non so cosa dire o pensare, sembra che ci sia un assassino da queste parti. Non era mai successo niente di simile prima d’ora?”
Gli occhi di Gastone erano fissi sul viso di Ermete, ora non poteva simulare false emozioni, era troppo sconvolto. Il vecchio chiuse gli occhi ma non rispose.
“Devo andare, siamo tutti disperati e spaventati e non ci sentiamo sicuri. Sono venuto ad avvisarti perché se c’è un male intenzionato che gira da queste parti almeno lo sai e stai attento, dillo anche a quella vecchia pazza della Cincia. Adesso scappo, tu continua pure il tuo lavoro.”
E se ne andò.
Gastone continuò il suo lavoro, quello che stava succedendo in paese non lo toccava e non lo interessava, per il momento. Che si dannassero a cercare motivi e risposte, era solo l’inizio, accarezzò Rufus e, a fine giornata tornò dalla Cincia.
La tavola era apparecchiata e si sedette di fronte alla vecchia.
“Hai saputo cosa è successo?”
“E’ impossibile non saperlo.” Gli rispose. “Mi dispiace per quella povera bambina, almeno loro hanno un cadavere da seppellire, mentre io non so dove sia finita mia nipote.”
Mangiarono in silenzio mentre fuori si accendevano le lucciole, il giorno dopo sarebbe andato a presentare le sue condoglianze alla famiglia e vedere di persona le reazioni della gente.
Gli occhi della vecchia non esprimevano niente, ma Gastone era consapevole che lei sapeva.
“A proposito, so che non sei uscito ieri sera, dovevi essere molto stanco.”


romanzo di Milena Ziletti - diritti e proprietà a lei riservati

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