IL SEGRETO DELLA LUNA
parte quattordici
Si era
informato, con tutta la sua solita discrezione sulla famiglia del sacrestano ed
aveva saputo che le ragazzine si chiamavano Laura e Giulietta ed avevano un
anno di differenza, quattordici e quindici anni circa. Avrebbe preferito
prendere la più grande ma era di secondaria importanza.
Aveva
osservato la vita di quella squallida famiglia nei suoi momenti liberi e aveva
scoperto che alcuni pomeriggi le ragazze andavano dalla nonna che abitava fuori
dal paese, non voleva rapirle entrambe, il suo piano era ancora quello
originale, avrebbe preso un figlio ad ognuno di quei maledetti e avrebbe deciso
cosa fare poi con loro stessi. Un passo alla volta, non doveva perdere la
concentrazione e il filo di quello che aveva deciso di compiere.
L’estate era
sbocciata con un caldo afoso. Dopo quel grosso temporale la temperatura aveva
continuato a salire e solo nelle serate illuminate dalle stelle si riusciva ad
avere un po’ di ristoro. Il lavoro nella distilleria procedeva senza intoppi,
aveva imparato in fretta ed Ermete gli lasciava molta libertà nel lavoro, aveva
allentato la sorveglianza e Gastone godeva di parecchia libertà.
Era venerdì
e il caldo era insopportabile. Anche i lavori nei campi erano stati sospesi
nelle ore di grande calura dopo che alcuni braccianti si erano sentiti male.
Gastone era
appostato nelle vicinanze della casa della madre del sacrestano, da buon
cacciatore aspettava paziente che si presentasse la situazione giusta per
muoversi e quel giorno arrivò quasi inaspettata.
Sentì la
voce canterina di una delle ragazzine che si avvicinava, cantavano sempre
quando passeggiavano, avevano una voce dolce. Scherzavano fra di loro e si
vedeva che erano affiatate, sembrava che bastasse uscire da quella casa per
trovare il sorriso e la voglia di scherzare.
Riconobbe
Laura, la più giovane. Si spostò dal suo punto di osservazione e le andò
incontro. Lei lo riconobbe e lo salutò con un sorriso, non si rese conto di
cosa le stesse succedendo quando un cappuccio nero le calò sul viso e la mano
di Gastone le tappò la bocca.
Era leggera
e facile da trasportare ma si dimenava, dovevano attraversare un tratto di
strada scoperto e lui non voleva correre rischi. Tolse dalla sua sacca una
boccetta e ne versò una parte del contenuto in bocca alla ragazzina. Aveva
pensato a tutto, o così sperava e aveva preparato un estratto di erbe. La
ragazzina smise di dimenarsi e si addormentò.
Non rallentò
il passo finché non giunse nel suo casotto e si chiuse dentro. Pose la ragazza
ancora addormentata sul tavolo e le tolse il cappuccio, le mise una benda ben
stretta sulla bocca e le legò mani e piedi. Fece tutto senza guardarla, era una
prova anche per lui, ora avrebbe saputo se era davvero in grado di fare quello
che aveva giurato di compiere.
Guardò la
ragazzina addormentata e ripensò a sua figlia, il dolore che aveva nel cuore si
riacutizzò e procedette.
Lui non
voleva far soffrire la ragazzina ma suo padre e lanciare un messaggio a tutti
gli altri. Dovevano credere che fosse stata torturata ma lui non era un sadico
assassino avrebbe fatto tutto con estrema umanità. Le accarezzò dolcemente il
viso, erano gli ultimi istanti di vita di quella giovane e lui avrebbe fatto
tutto in fretta.
Mentre il
piccolo seno si alzava e abbassava in un respiro lento e rilassato, Gastone
prese uno stiletto e glielo piantò nel cuore. La ragazza ebbe uno scatto
inconsulto ma morì all’istante. L’uomo sapeva di non avere molto tempo a
disposizione ma aveva studiato tutto talmente tante volte nelle sua mente che
le mani sembravano andare da sole.
Il corpo
della ragazzina si stava raffreddando, Gastone prese un lungo chiodo che aveva
fabbricato lui e lo infilò nel foro lasciato dallo stiletto lasciando ben
visibile la testa del chiodo che portava impresso il disegno di una stella.
Aveva deciso così perché pensava a sua figlia come una stella che ha raggiunto
il firmamento e per dare motivo di pensiero a chi di dovere.
Tolse le
legature affinché non ci fossero segni poi si accinse all’operazione che più
detestava, le alzò le palpebre e con uno strumento che si era fabbricato da
solo, strappò gli occhi della ragazza e li mise in un piccolo vaso. Le lasciò
gli occhi spalancati, senza bulbi e si costrinse ad osservarla.
Immobile
fissava il corpo di quella ragazza, il viso bianco, le orbite oculari vuote,
nere come l’inferno. Rivide sua figlia inchiodata all’albero e scacciò il
dolore che provava pensando al dolore che la sua dolce bambina aveva sofferto.
Lui, almeno aveva evitato la sofferenza alla ragazzina ma gli altri non
dovevano pensarlo. Prese un affilatissimo coltello e incise una stella ben
visibile sul petto della ragazzina, sarebbe stata la sua firma su ogni cadavere
che avrebbe lasciato a quegli infami.
Si era
chiesto molte volte cosa avesse provato una volta iniziata la sua vendetta, non
aveva mai vacillato nella sua determinazione. Chiuse gli occhi e ascoltò la sua
Anima in attesa di sentire un rimorso o un qualsiasi palpito di cedimento, era
inutile, la sua Anima non c’era più se n’era andata con le sue donne. Riaprì
gli occhi e diede un ultimo sguardo al cadavere e nemmeno un amen gli passò per la testa. Adesso
doveva solo aspettare che facesse buio per portare a termine l’operazione.
Uscì e
richiuse la porta, si lavò e tornò alla distilleria. Riprese il lavoro da dove
lo aveva interrotto, nessuno si era accorto della sua assenza, Rufus aveva
fatto buona guardia.
Cenò
silenziosamente con Cincia che lo osservava senza parlare.
La notte era
scesa illuminata da miliardi di stelle e lui le osservava cercando di vedere
quella di sua figlia, portava in spalla il corpo di Laura, trovò l’albero
giusto e la inchiodò mani e piedi. Non ci mise molto e si allontanò senza
voltarsi indietro.
Tenendosi al
riparo andò verso il villaggio, molte torce e lanterne rischiaravano la notte,
stavano cercando la ragazza e lui, silenzioso e invisibile entrò in chiesa,
davanti alla statua della Madonna c’erano le ceste per le offerte e lasciò il
barattolo con gli occhi della ragazzina in una di quelle.
Ritornò a
casa e si sdraiò sul divano. Chiuse gli occhi aspettando di sentire dolore o
rimorso ma, tutto quello che avvenne fu che si addormentò, per la prima volta
sereno e tranquillo.
Era intento
al suo lavoro nella distilleria quando il basso ringhio di Rufus lo avvertì
dell’arrivo di qualcuno. Passi veloci si avvicinavano ma lui non distolse
l’attenzione da quello che stava facendo. Fece cenno a Rufus di stare
tranquillo quando la porta si spalancò. Ermete, trafelato e sudato si sedette
su uno sgabello per riprendere fiato.
“Cosa c’è di
così urgente da correre con questo caldo?”
“E’ successa
una tragedia! Una tragedia!”
“E mi
riguarda?”
Ermete lo
guardò cercando di capire qualcosa di quell’uomo così calmo e riservato, al
punto a volte da sembrare enigmatico.
“No, non
riguarda te, ma è successa una grande tragedia!”
“Se sei
venuto fin qui di corsa deve essere davvero grave, parla pure, io continuo a
fare il mio lavoro.”
Ermete lo
guardava mentre riprendeva fiato, si chiese cosa gli fosse saltato in mente di
correre come un ragazzino con un simile caldo ma, in paese erano tutti radunati
tranne lui ed era venuto ad avvisarlo.
“Hanno
ucciso la piccola Laura, la figlia del sacrestano! Credo che tu l’abbia
conosciuta quando frequentavi la loro casa. Una fine orrenda! Orrenda! L’hanno
trovata inchiodata ad un grosso albero, e le hanno cavato gli occhi! Chi può
fare una cosa simile? Chi può arrivare a questo punto?” Ermete tremava, si
vedeva che era sotto choc. Gastone interruppe quello che stava facendo e si
avvicinò al vecchio.
“E’ davvero
terribile. Mi ricordo della ragazzina, carina e gentile. Non mi faccio una
ragione, chi può averle voluto così male?”
“E non è
tutto!” continuò il vecchio. “Hanno trovato i suoi occhi nella cesta delle
offerte in chiesa davanti alla Madonna!” E si fece il segno della croce.
“E’ davvero
terribile! Non so cosa dire o pensare, sembra che ci sia un assassino da queste
parti. Non era mai successo niente di simile prima d’ora?”
Gli occhi di
Gastone erano fissi sul viso di Ermete, ora non poteva simulare false emozioni,
era troppo sconvolto. Il vecchio chiuse gli occhi ma non rispose.
“Devo
andare, siamo tutti disperati e spaventati e non ci sentiamo sicuri. Sono
venuto ad avvisarti perché se c’è un male intenzionato che gira da queste parti
almeno lo sai e stai attento, dillo anche a quella vecchia pazza della Cincia.
Adesso scappo, tu continua pure il tuo lavoro.”
E se ne
andò.
Gastone
continuò il suo lavoro, quello che stava succedendo in paese non lo toccava e
non lo interessava, per il momento. Che si dannassero a cercare motivi e
risposte, era solo l’inizio, accarezzò Rufus e, a fine giornata tornò dalla
Cincia.
La tavola
era apparecchiata e si sedette di fronte alla vecchia.
“Hai saputo
cosa è successo?”
“E’ impossibile
non saperlo.” Gli rispose. “Mi dispiace per quella povera bambina, almeno loro
hanno un cadavere da seppellire, mentre io non so dove sia finita mia nipote.”
Mangiarono
in silenzio mentre fuori si accendevano le lucciole, il giorno dopo sarebbe
andato a presentare le sue condoglianze alla famiglia e vedere di persona le
reazioni della gente.
Gli occhi
della vecchia non esprimevano niente, ma Gastone era consapevole che lei
sapeva.
“A
proposito, so che non sei uscito ieri sera, dovevi essere molto stanco.”
romanzo di Milena Ziletti - diritti e proprietà a lei riservati
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