IL SEGRETO DELLA LUNA
parte quindici
Se aveva un
dubbio ora non lo aveva più. Sapeva che quella donna si sarebbe fatta ammazzare
piuttosto di tradirlo, chiamò il cane e si avviò al casotto. Entrò e, come
faceva sempre si chiuse dentro. Osservò ogni cosa per vedere se ci fosse qualche
indizio che lo potesse incriminare ma aveva fatto ogni cosa per bene e tutto
era come doveva essere.
La mattina non andò alla distilleria ma
direttamente in paese. Era ancora presto ma c’erano già persone che entravano
ed uscivano dalla casa del sacrestano. Si preparò un’espressione addolorata ed
entrò. La salma della ragazza era stata ricomposta, le palpebre erano state
abbassate, era stata lavata, pettinata e rivestita e posta sul suo lettuccio
che era stato spostato nella stanza grande. Sembrava dormisse. Intorno c’era
tutta la famiglia e parecchie altre persone. La madre era sconvolta e non
smetteva di piangere, mentre il padre cercava di mantenere un certo distacco ma
si vedeva che poteva crollare da un momento all’altro.
Gastone si
avvicinò ai due e fece loro le condoglianze di rito poi si sedette in un angolo
facendo finta di pregare. Stavano aspettando il prete per il rosario e lui vi
avrebbe partecipato.
La stanza si
affollò di tante persone e il caldo era insopportabile. Uno dei figli del
sacrestano distribuì acqua fresca con pezzi di pane.
Gastone
osservava ogni cosa, ogni movimento, ogni individuo. Le sedie più comode furono
offerte alle persone di più alto rango. Ognuno aveva una parola, un gesto per
quei genitori così provati dal dolore, tanti abbracci e pacche sulle spalle.
Fu solo un
attimo, uno scambio di sguardi fra il sacrestano e un distinto signore che
Gastone non conosceva. Vide che gli bisbigliava qualcosa all’orecchio per poi
sedersi vicino alla madre della povera Laura.
Gastone sospirò
per dimostrare dolore e una signora vicino a lui si asciugò gli occhi con un
fazzoletto.
“Che dolore!
Che disgrazia!” Ripeteva la donna.
“Proprio
vero, perdere una figlia è il dolore più grande che si possa provare!” Fu
l’unica frase sincera che gli uscì dalle labbra. “Chi è quel signore che si è
appena seduto?”
La donna
alzò lo sguardo verso Gastone come se ritenesse che fosse un povero scemo, come
poteva non conoscere quell’uomo? Poi si ricordò che era un forestiero arrivato
da poco.
“Quello è il
signor Costantino, uno dei più grandi proprietari terrieri della zona. E’ anche
uno dei più ricchi, ha terre e bestiame in gran quantità ed è proprietario
della Cascina Morietti, con tutto quello che ne consegue.”
“E’ bello
vedere gente così che porge le condoglianze anche ad un semplice sacrestano,
deve essere bello vivere in un posto come questo dove tutti si vogliono bene!”
La donna
aveva ripreso a lacrimare e non rispose.
Gastone si
puntò nella mente il viso e il nome di quell’uomo Costantino Morietti, lo
avrebbe tenuto sotto controllo.
Rimase per
tutta la mattina seduto su quella scomoda sedia ad osservare. Il ragazzino che
lo aveva aiutato nei lavori gli andò vicino e si sedette accanto a lui, aveva
bisogno di qualcuno che lo sostenesse, tutti gli altri erano talmente presi dal
piangere e lamentarsi. Lui gli accarezzò la testa senza parlare e rimasero
vicini a lungo.
I funerali
si sarebbero svolti il giorno dopo, tutti vi avrebbero partecipato. Si alzò,
salutò di nuovo porgendo condoglianze e se ne ritornò alla distilleria.
Controllò
che tutto fosse in ordine, non aveva voglia di rimanere al lavoro e ritornò a
casa.
Capitolo otto
Era una
rovente giornata di giungo e decise di andare al fiume con Rufus. Prese la sua
canna da pesca e percorse il sentiero che così bene conosceva.
Mentre
pescava aveva tutto il tempo per pensare. Si chiedeva cosa avessero da spartire
due uomini così diversi come il sacrestano e il ricco proprietario terriero. A
lui non era sfuggito che i due dovevano essere intimi anche se si trattavano
come le convenzioni imponevano. Cosa gli aveva bisbigliato all’orecchio? Gli
sarebbe proprio piaciuto saperlo ma, ora era importante conoscere quanto più
poteva su quell’uomo e avrebbe cominciato come al solito chiedendo alla Cincia.
Il pomeriggio
si stava rinfrescando e la cesta del pesce era quasi colma. Fischiò a Rufus e
ritornarono a casa.
Avevano
finito di cenare quando Gastone chiese informazioni su Costantino Morietti alla
sua vecchia amica.
“Costantino
è il primogenito di cinque figli, quello che sta portando avanti gli interessi
di tutto quello che possiedono. Suo padre, il vecchio Romolo è ormai infermo e
dicono che non capisca più nulla. Era lui, Romolo quello che dirigeva tutto e
che ha portato alla loro ricchezza attuale. Dicono che Costantino sia quello
che più gli somiglia e che sia anche peggio del padre. Sono attaccati ai soldi
in modo morboso e non sono per niente amati dai loro lavoranti. Ama sfruttare,
sottopagare peggio del suo vecchio. Dicono che sia stato molto bravo ad
espropriare piccoli proprietari lasciandoli sul lastrico, prestava soldi ad
usura e si faceva firmare gli atti di proprietà in cambio e li ha imbrogliati
per bene. Molta brava gente ha perso tutto ciò che aveva e qualcuno si è
perfino suicidato. Brutta gente i Morietti, brutta gente davvero.”
“L’ho visto
alla veglia della ragazzina e sembrava in confidenza con il sacrestano, mi è
sembrato strano visto la diversità di ceto. Dove si trova la sua cascina?”
Cincia gli
spiegò dove abitavano i Morietti e non chiese nessuna spiegazione.
Gastone
decise che sarebbe andato a dare un’occhiata, anzi di più, visto che si trovava
nelle vicinanze del fiume aveva una buona scusa per passare di là col suo cane
e la canna da pesca.
Era il
giorno del funerale e tutto il paese era raccolto con la famiglia immersa nel
dolore. Gastone se ne stava in disparte e seguiva tutto tenendo gli occhi e i
sensi puntati in ogni direzione. Le prime file della piccola chiesa erano
destinate ai parenti ed alle persone altolocate, erano quelli che voleva
osservare, avrebbe voluto conoscere i nomi di ognuno ma non c’era fretta.
La luna
piena si stava avvicinando e lui si sarebbe fatto trovare pronto.
Fu una
cerimonia lunga. Il prete non smetteva di predicare e questo servì a Gastone
per osservare con maggior attenzione tutti quelli seduti nelle panche delle
prime file. Conosceva poche persone e cercava di imprimersi nella mente almeno
i volti visto che non ne conosceva i nomi, doveva trovare il modo di fare
amicizia con qualcuno del paese per poter chiedere informazioni senza destare
sospetti.
Si mise in
coda con tutti gli altri ed accompagnò la bara al piccolo cimitero. Teneva il
cappello in mano e gli occhi bassi ma non gli sfuggiva nemmeno il più piccolo
particolare, così come in chiesa aveva notato che le due ceste per la raccolta
delle offerte non erano stato cambiate, che molte persone piangevano, che
nessuno bisbigliava o spettegolava e questo era molto strano. Lui tenne la
bocca chiusa e aspettò il suo turno per fare a tutta la famiglia le
condoglianze da parte sua e di Cincia. Aspettò che la prima palata di terra
coprisse la bara e se ne tornò a casa.
Non era
ancora mezzogiorno e il sole era alto, l’afa cominciava a farsi sentire e lui
doveva prepararsi per riprendere il lavoro.
Seduti a
tavola, Cincia e lui mangiavano con il cane che rosicchiava ossa e pane secco.
“Com’è
andata al funerale?”
“E’ andata
come doveva. C’era tutto il paese e per me è stata un’occasione per vedere
tante facce nuove. Avrei bisogno di conoscere di più di queste persone ma non
so come fare senza destare sospetti, dopo tutto sono un forestiero.”
“Forse posso
darti una mano, ma…”
“Cosa
intendi, Cincia?”
“Conosco
alcune vecchie donne che come me hanno bisogno di aiuto per piccoli lavori ma
tu sei già tanto impegnato che non mi sembra il caso di aumentare le tue
fatiche. Alcune di loro sono vecchie e pettegole e se ti giochi bene le tue
carte potresti fartele amiche e farle parlare. Il problema è che tu non sei un
gran chiacchierone e non sai trattare con le donne, con un po’ di moine e di
lavoretti potresti avere tutte le informazioni che vuoi.”
“Ci posso
sempre provare, mica ci devo andare a letto! Ma se servisse farei anche quello
pur di ottenere il mio scopo. Datti da fare, amica mia e dammi l’opportunità di
fare in fretta quello che devo o né io né tu potremo vivere e morire in pace.”
Romanzo di Milena Ziletti - diritti e proprietà a lei riservati
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