IL SEGRETO DELLA LUNA
parte ventisette
Erano giunti
al limitare del boschetto e si sedettero all’ombra fresca di una grande
quercia.
Non si
sfioravano ed erano avvolti dai canti degli uccelli e dal volo di tante
farfalle.
“Gennaro era
un uomo manesco e quando si ubriacava mi picchiava con violenza. Non ho mai
voluto avere figli con lui e ringrazio Dio per non averceli mandati. Spendeva
quasi tutto il suo salario in birra, vino e puttane e quando è morto è stata
una liberazione.”
“So che
lavorava alla tenuta Morietti, che cosa faceva?”
“Era uno dei
suoi guardiani. Quel bastardo di Costantino è paranoico e ha molte guardie
armate a sorvegliare tutte le sue proprietà. Quando mio marito era ubriaco mi
raccontava parecchie cose, poi mi picchiava perché non voleva che le
raccontassi, ma ora non mi può più fare niente.”
Gastone
restava in silenzio aspettando che la donna trovasse il coraggio e la voglia di
continuare, lui non l’avrebbe forzata.
“Anch’io
sono stato sposato, anche mia moglie è morta ma, a differenza del tuo, il
nostro è stato un buon matrimonio. Ho sofferto molto quando l’ho sepolta e mi
manca ancora da morire.”
Il dolore
traspariva dal suo viso e Margherita capì che stava dicendo la verità. Gli
prese una mano e la strinse fra le sue.
Erano vicini
e si tenevano le mani.
La donna
portò la mano di Gastone al suo seno, sotto la leggera camiciola. Avvicinò il
viso al suo e lo baciò.
Gastone
avrebbe potuto rifiutare ma da tempo non sentiva il calore e la dolcezza di un
corpo femminile, soprattutto lo stupì il fatto che la desiderava, che non si
sentiva in colpa mentre il suo corpo reclamava quello di lei.
Fecero
l’amore sdraiati sotto la quercia, con dolcezza e poi con durezza, senza
vergogna e senza parlarsi mai.
Erano
fradici di sudore e stavano avvinghiati come due naufraghi attacchi al relitto cercando
di non affogare.
Le loro
labbra si cercarono ancora e ripresero di nuovo a fare l’amore mentre le
rondini disegnavano ampi cerchi nel cielo.
Rimasero
abbracciati a lungo.
“Dobbiamo
tornare.” Disse l’uomo.
“Lo so, ma
vorrei che questo giorno non finisse mai. Non mi importa cosa penserai di me,
ma sappi che sono felice di quello che è successo e sono pronta a rifarlo ogni
volta che vorrai.”
Gastone le
accarezzava i lunghi capelli spettinati.
“Ti prendo
in parola ma devi sapere una cosa: niente di serio potrà nascere fra di noi, io
non mi tratterrò a lungo in questo posto e poi me ne andrò da solo.”
“Non ti sto
chiedendo di sposarmi ma solo di farmi sentire una vera donna.”
Le baciò la
mano e le sorrise. Si erano capiti. Doveva rimanere uno sfogo corporale senza
coinvolgimento sentimentale, lo avevano capito entrambi, così come avevano
capito che il sesso li avrebbe tenuti uniti a lungo.
“Torniamo,
hai bisogno di rimetterti in ordine prima di tornare a casa tua. Alziamoci in
fretta o mi viene voglia di ricominciare da capo!”
Una risata
fu la risposta della donna. Tornarono da Cincia abbracciati e lei sorrise
vedendoli così, aveva capito tutto fin dal primo sguardo di Gastone su quella
magnifica donna.
“Entrate, il
tè e il dolce sono pronti, presumo che abbiate fame.”
Gastone
aveva riaccompagnato Margherita ed ora si stava preparando per tornare alla
distilleria.
“Le hai
chiesto quello che ti serviva sapere?”
L’uomo alzò
il sopracciglio e la guardò.
“Ho capito,
ho capito, non sono una verginella!” E si mise a ridere. “Scommetto che avrai
altre occasioni per parlare con lei.”
“Ci puoi
giurare, mia cara vecchia amica.”
Era domenica
sera ma il lavoro doveva essere portato avanti, arrivò con Rufus alla
distilleria e si immerse nei suoi compiti.
La settimana
era iniziata col solito caldo afoso. Il lavoro procedeva bene e decise di
andare in paese. Aveva bisogno di far sistemare un attrezzo dal fabbro.
Con Rufus al
fianco si incamminò verso la casa del fabbro che era una delle prime del paese,
aveva una grande bottega dove lavorava con i suoi figli, tutto il paese e anche
quelli limitrofi si servivano lì, era davvero molto bravo e i suoi figli lo
erano altrettanto.
Il caldo del
fuoco era quasi impossibile da sopportare in una giornata già così bollente ma
i tre uomini erano intenti nei loro lavori e sembravano non rendersi conto di
nulla.
Tirò la
catena appesa e un grezzo campanaccio informò del suo arrivo. Si sentì dire di aspettare
pochi minuti.
Entrò
aspettando il padrone della bottega. Si guardava intorno, riconosceva quasi
tutti gli attrezzi e gli utensili, lui stesso sarebbe stato un ottimo fabbro.
Su un grande bancone pieno di tutto vide qualcosa che lo fece trasalire. In una
piccola scatola (anch’essa con il nodo in rilievo) c’erano i chiodi che lui
stesso aveva scolpito e che aveva usato per inchiodare i corpi delle ragazze ai
tronchi degli alberi.
Cosa
significava? Che ci facevano da un semplice fabbro? Non poteva essere una
coincidenza!
Ci stava
ancora pensando quando il vecchio fabbro si avvicinò, si stava pulendo le mani
in uno straccio lurido. Il suo sguardo si fiondò su quei chiodi e si avvicinò,
con fare disinvolto posò lo straccio sui chiodi e li coprì.
“Ti serve
qualcosa?” Gli chiese con tono brusco il fabbro.
“Sì. Vengo
da parte di Ermete, dovresti sistemare questo attrezzo, puoi farlo per domani
mattina? Ne ho bisogno per il mio lavoro.”
“Va bene,
domani verso mezzo giorno passa a prenderlo.” E ritornò al suo lavoro.
Gastone uscì
col cane al seguito. Pensava ai suoi chiodi sul bancone del fabbro. Possibile
che fosse uno di loro? Pareva proprio così, non c’era altra spiegazione.
Nessuno all’infuori dei cavalieri avrebbe maneggiato quello che poteva essere
una prova per trovare il colpevole degli omicidi.
Doveva
esserne sicuro. Tornò nel suo casotto e ne prese uno. Aspettò che si facesse
notte e lo portò davanti alla porta del sacrestano. Se lo avesse portato al
fabbro avrebbe capito che era uno di loro.
L’alba stava
appena spuntando quando il sacrestano uscì per andare ad aprire il portone
della chiesa e vide subito quel grosso chiodo, lo raccolse da terra e si guardò
intorno, lo mise in tasca. Sistemò le porte e le candele della chiesa e corse
dal fabbro.
A Gastone
non serviva altro, aveva trovato un altro cavaliere da sistemare.
Mancavano
pochi giorni alla riunione di quei maledetti ma lui era pronto, ora conosceva
la voce del fabbro e se lo avesse riconosciuto avrebbe proceduto con la sua vendetta.
La sera
prima della riunione Gastone era a tavola con Cincia ed avevano appena finito
di mangiare, il cane sonnecchiava al suo posto.
Bisbigliando,
l’uomo chiese notizie sul fabbro e la sua famiglia.
Sembravano
cospiratori ora che si erano dichiarati ogni verità, avevano paura che perfino
i loro bisbigli potessero arrivare ad orecchie indiscrete.
“Il fabbro
si chiama Luigi, è vedovo ed ha due figli maschi, Giovanni e Luciano che
lavorano con lui, come avrai visto lavorano molto bene ed hanno acquisito molto
potere, nei dintorni non sorge altra bottega, nessuno si fida a far
concorrenza. Ha anche una figlia, la primogenita, Eugenia. Ormai deve aver
superato i trent’anni, povera ragazza, non esce mai di casa e ha fatto da madre
ai suoi fratelli, suo padre non la fa uscire per paura che trovi un uomo che la
sposi, gli fa troppo comodo averla come serva. Io l’ho incontrata pochissime
volte e ho notato subito la sua infinita tristezza, credo che se potesse
scapperebbe da quella prigione ma non può permetterselo. Ogni volta che va in
paese è accompagnata da uno di loro. Il vecchio Luigi tiene molto stretta anche
la libertà dei due figli. Si dice che siano molto bravi nel loro lavoro e che
potrebbero avere una bottega propria ma il padre non scuce una moneta per loro,
se non il minimo indispensabile. C’è addirittura chi dice che quel vecchio
avaro abbia un tesoro da qualche parte e credo che possa essere vero. Vive come
un accattone e anche i suoi figli non escono se non al sabato sera per un
boccale di birra, e dico un boccale solo, perché di più non possono
permetterselo. Credo che i figli odino il padre ma ne abbiano anche molta
paura.”
Gastone
rifletteva sulle informazioni che aveva appena appreso. Doveva studiare un
piano per quell’uomo, aveva un paio di idee ma poco tempo per attuarle. Sapeva
di non dover essere troppo affrettato, che avrebbe potuto fare qualche errore,
ma sapeva pure che qualche rischio lo doveva correre. La sera dopo ci sarebbe
stata la riunione e doveva decidersi: andare a sentire i cavalieri o cercare di
approfittare proprio di quella riunione e tentare di rapire la figlia del
fabbro.
romanzo di Milena Ziletti - diritti e proprietà a lei riservati
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