giovedì 18 giugno 2020

IL SEGRETO DELLA LUNA


IL SEGRETO DELLA LUNA

parte ventisette






Erano giunti al limitare del boschetto e si sedettero all’ombra fresca di una grande quercia.
Non si sfioravano ed erano avvolti dai canti degli uccelli e dal volo di tante farfalle.
“Gennaro era un uomo manesco e quando si ubriacava mi picchiava con violenza. Non ho mai voluto avere figli con lui e ringrazio Dio per non averceli mandati. Spendeva quasi tutto il suo salario in birra, vino e puttane e quando è morto è stata una liberazione.”
“So che lavorava alla tenuta Morietti, che cosa faceva?”
“Era uno dei suoi guardiani. Quel bastardo di Costantino è paranoico e ha molte guardie armate a sorvegliare tutte le sue proprietà. Quando mio marito era ubriaco mi raccontava parecchie cose, poi mi picchiava perché non voleva che le raccontassi, ma ora non mi può più fare niente.”
Gastone restava in silenzio aspettando che la donna trovasse il coraggio e la voglia di continuare, lui non l’avrebbe forzata.
“Anch’io sono stato sposato, anche mia moglie è morta ma, a differenza del tuo, il nostro è stato un buon matrimonio. Ho sofferto molto quando l’ho sepolta e mi manca ancora da morire.”
Il dolore traspariva dal suo viso e Margherita capì che stava dicendo la verità. Gli prese una mano e la strinse fra le sue.
Erano vicini e si tenevano le mani.
La donna portò la mano di Gastone al suo seno, sotto la leggera camiciola. Avvicinò il viso al suo e lo baciò.
Gastone avrebbe potuto rifiutare ma da tempo non sentiva il calore e la dolcezza di un corpo femminile, soprattutto lo stupì il fatto che la desiderava, che non si sentiva in colpa mentre il suo corpo reclamava quello di lei.
Fecero l’amore sdraiati sotto la quercia, con dolcezza e poi con durezza, senza vergogna e senza parlarsi mai.
Erano fradici di sudore e stavano avvinghiati come due naufraghi attacchi al relitto cercando di non affogare.
Le loro labbra si cercarono ancora e ripresero di nuovo a fare l’amore mentre le rondini disegnavano ampi cerchi nel cielo.
Rimasero abbracciati a lungo.
“Dobbiamo tornare.” Disse l’uomo.
“Lo so, ma vorrei che questo giorno non finisse mai. Non mi importa cosa penserai di me, ma sappi che sono felice di quello che è successo e sono pronta a rifarlo ogni volta che vorrai.”
Gastone le accarezzava i lunghi capelli spettinati.
“Ti prendo in parola ma devi sapere una cosa: niente di serio potrà nascere fra di noi, io non mi tratterrò a lungo in questo posto e poi me ne andrò da solo.”
“Non ti sto chiedendo di sposarmi ma solo di farmi sentire una vera donna.”
Le baciò la mano e le sorrise. Si erano capiti. Doveva rimanere uno sfogo corporale senza coinvolgimento sentimentale, lo avevano capito entrambi, così come avevano capito che il sesso li avrebbe tenuti uniti a lungo.
“Torniamo, hai bisogno di rimetterti in ordine prima di tornare a casa tua. Alziamoci in fretta o mi viene voglia di ricominciare da capo!”
Una risata fu la risposta della donna. Tornarono da Cincia abbracciati e lei sorrise vedendoli così, aveva capito tutto fin dal primo sguardo di Gastone su quella magnifica donna.
“Entrate, il tè e il dolce sono pronti, presumo che abbiate fame.”
Gastone aveva riaccompagnato Margherita ed ora si stava preparando per tornare alla distilleria.
“Le hai chiesto quello che ti serviva sapere?”
L’uomo alzò il sopracciglio e la guardò.
“Ho capito, ho capito, non sono una verginella!” E si mise a ridere. “Scommetto che avrai altre occasioni per parlare con lei.”
“Ci puoi giurare, mia cara vecchia amica.”
Era domenica sera ma il lavoro doveva essere portato avanti, arrivò con Rufus alla distilleria e si immerse nei suoi compiti.
La settimana era iniziata col solito caldo afoso. Il lavoro procedeva bene e decise di andare in paese. Aveva bisogno di far sistemare un attrezzo dal fabbro.
Con Rufus al fianco si incamminò verso la casa del fabbro che era una delle prime del paese, aveva una grande bottega dove lavorava con i suoi figli, tutto il paese e anche quelli limitrofi si servivano lì, era davvero molto bravo e i suoi figli lo erano altrettanto.
Il caldo del fuoco era quasi impossibile da sopportare in una giornata già così bollente ma i tre uomini erano intenti nei loro lavori e sembravano non rendersi conto di nulla.
Tirò la catena appesa e un grezzo campanaccio informò del suo arrivo. Si sentì dire di aspettare pochi minuti.
Entrò aspettando il padrone della bottega. Si guardava intorno, riconosceva quasi tutti gli attrezzi e gli utensili, lui stesso sarebbe stato un ottimo fabbro. Su un grande bancone pieno di tutto vide qualcosa che lo fece trasalire. In una piccola scatola (anch’essa con il nodo in rilievo) c’erano i chiodi che lui stesso aveva scolpito e che aveva usato per inchiodare i corpi delle ragazze ai tronchi degli alberi.
Cosa significava? Che ci facevano da un semplice fabbro? Non poteva essere una coincidenza!
Ci stava ancora pensando quando il vecchio fabbro si avvicinò, si stava pulendo le mani in uno straccio lurido. Il suo sguardo si fiondò su quei chiodi e si avvicinò, con fare disinvolto posò lo straccio sui chiodi e li coprì.
“Ti serve qualcosa?” Gli chiese con tono brusco il fabbro.
“Sì. Vengo da parte di Ermete, dovresti sistemare questo attrezzo, puoi farlo per domani mattina? Ne ho bisogno per il mio lavoro.”
“Va bene, domani verso mezzo giorno passa a prenderlo.” E ritornò al suo lavoro.
Gastone uscì col cane al seguito. Pensava ai suoi chiodi sul bancone del fabbro. Possibile che fosse uno di loro? Pareva proprio così, non c’era altra spiegazione. Nessuno all’infuori dei cavalieri avrebbe maneggiato quello che poteva essere una prova per trovare il colpevole degli omicidi.
Doveva esserne sicuro. Tornò nel suo casotto e ne prese uno. Aspettò che si facesse notte e lo portò davanti alla porta del sacrestano. Se lo avesse portato al fabbro avrebbe capito che era uno di loro.
L’alba stava appena spuntando quando il sacrestano uscì per andare ad aprire il portone della chiesa e vide subito quel grosso chiodo, lo raccolse da terra e si guardò intorno, lo mise in tasca. Sistemò le porte e le candele della chiesa e corse dal fabbro.
A Gastone non serviva altro, aveva trovato un altro cavaliere da sistemare.
Mancavano pochi giorni alla riunione di quei maledetti ma lui era pronto, ora conosceva la voce del fabbro e se lo avesse riconosciuto avrebbe proceduto con la sua vendetta.
La sera prima della riunione Gastone era a tavola con Cincia ed avevano appena finito di mangiare, il cane sonnecchiava al suo posto.
Bisbigliando, l’uomo chiese notizie sul fabbro e la sua famiglia.
Sembravano cospiratori ora che si erano dichiarati ogni verità, avevano paura che perfino i loro bisbigli potessero arrivare ad orecchie indiscrete.
“Il fabbro si chiama Luigi, è vedovo ed ha due figli maschi, Giovanni e Luciano che lavorano con lui, come avrai visto lavorano molto bene ed hanno acquisito molto potere, nei dintorni non sorge altra bottega, nessuno si fida a far concorrenza. Ha anche una figlia, la primogenita, Eugenia. Ormai deve aver superato i trent’anni, povera ragazza, non esce mai di casa e ha fatto da madre ai suoi fratelli, suo padre non la fa uscire per paura che trovi un uomo che la sposi, gli fa troppo comodo averla come serva. Io l’ho incontrata pochissime volte e ho notato subito la sua infinita tristezza, credo che se potesse scapperebbe da quella prigione ma non può permetterselo. Ogni volta che va in paese è accompagnata da uno di loro. Il vecchio Luigi tiene molto stretta anche la libertà dei due figli. Si dice che siano molto bravi nel loro lavoro e che potrebbero avere una bottega propria ma il padre non scuce una moneta per loro, se non il minimo indispensabile. C’è addirittura chi dice che quel vecchio avaro abbia un tesoro da qualche parte e credo che possa essere vero. Vive come un accattone e anche i suoi figli non escono se non al sabato sera per un boccale di birra, e dico un boccale solo, perché di più non possono permetterselo. Credo che i figli odino il padre ma ne abbiano anche molta paura.”
Gastone rifletteva sulle informazioni che aveva appena appreso. Doveva studiare un piano per quell’uomo, aveva un paio di idee ma poco tempo per attuarle. Sapeva di non dover essere troppo affrettato, che avrebbe potuto fare qualche errore, ma sapeva pure che qualche rischio lo doveva correre. La sera dopo ci sarebbe stata la riunione e doveva decidersi: andare a sentire i cavalieri o cercare di approfittare proprio di quella riunione e tentare di rapire la figlia del fabbro.


romanzo di Milena Ziletti - diritti e proprietà a lei riservati

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