IL SEGRETO DELLA LUNA
parte trentaquattro
Una grande stanza
rettangolare era rischiarata con torce appese ai muri di pietra viva. Nel
centro un altare di pietra e sopra, la ragazza dai capelli rossi. Rimase
immobile. La ragazza non si muoveva, poi capì che dormiva. Dovevano averla
sedata con qualche intruglio.
Le si
avvicinò. Era giovane, molto carina, con una massa di capelli rossi e guance
bianche come la neve. Chissà di che
colore sono i suoi occhi, pensò Gastone.
Era vestita
con una tunica bianca ed era legata mani e piedi ad anelli di ferro impiantati
nell’altare.
Si avvicinò,
vide che dormiva e respirava serena. Il cuore gli sanguinò dal dolore alla
consapevolezza che non poteva salvarla, che non poteva fare niente per lei.
Lacrime di disperazione gli bagnarono il viso e, con tocco lieve le carezzò le
guance. Chissà cosa ti aspetta, dolce
fanciulla. Pensò addolorato. La guardava e l’accarezzava cercando di
trovare una qualunque soluzione. Un’idea improvvisa gli squarciò la mente. Un
grande dolore gli squassò il petto quando con le sue grandi mani le chiuse
bocca e naso e aspettò che soffocasse. Non l’avrebbero torturata, non avrebbe
sofferto come le altre, come sua figlia. Piangeva come un bambino mentre
aspettava che il cuore giovane di quella ragazza smettesse di battere. Non
aveva mai aperto gli occhi, non si era mossa, dovevano averla drogata ben bene
perché non avesse nessuna reazione. Ci vollero alcuni minuti prima che
spirasse. Prese il suo coltello e, stando ben attento a che non si notasse le
tagliò alcune ciocche di capelli e li mise nella sua sacca. Le fece un’ultima
carezza e cominciò a guardarsi intorno cercando un nascondiglio ma, purtroppo
non ce n’erano. Una rabbia immensa nello scoprire che non poteva essere
presente al loro rito. Doveva accontentarsi di rimanere fuori, nascosto dietro
una lapide, pronto a scappare come uno spettro. Doveva rischiare molto, e si
chiese se ne valesse la pena. Riguardò e ricontrollò ancora ma non c’era un
angolo dove nascondersi. Doveva rassegnarsi, aveva comunque rovinato il loro
rito e si aspettava una reazione molto pericolosa.
Ritornò sui
suoi passi cancellando ogni impronta e ritornò a casa.
Cincia sentì
cigolare il sofà e, meravigliata sentì l’uomo piangere e singhiozzare come un
bambino.
Era notte
fonda ma l’uomo non riusciva a dormire. Cincia lo sentiva agitarsi e si alzò.
Prese una sedia e si sedette accanto al sofà.
“Cosa è
successo? Cosa ti ha sconvolto?”
Rufus
brontolò nel sonno per essere stato disturbato ma continuò a dormire beato.
Gastone le
raccontò ogni cosa. Cincia capiva il dolore di quell’uomo buono, un uomo che
non avrebbe mai fatto del male a nessun innocente.
“Non puoi
andare là. Ora che la ragazza è morta saranno più prudenti.”
“Penseranno
che non ha retto alla droga. E’ molto probabile che l’abbiano riempita di
schifezze. Io devo sapere!”
“Se vuoi
portare a termine il tuo compito devi essere prudente. Non puoi andare là! Hai
già ucciso tre ragazze, vuoi che non abbiano preso altri provvedimenti?
Costantino è ossessionato dalla sicurezza e sono certa che i suoi uomini
avranno ordini di perlustrare la zona. Lui ordina e quelli eseguono. Dammi
retta, se vuoi mantenere il tuo giuramento devi stare a casa.”
Cincia aveva
ragione ma lui non voleva rinunciare a conoscere tutto quello che facevano,
quello che sua figlia aveva subito. Poi pensò che il loro rito era rovinato,
doveva accontentarsi di quello e di quello che avrebbe inflitto a quei
maledetti.
Giunse la
notte del plenilunio. Cincia guardava Gastone col fiato sospeso. Sospirò di
sollievo quando lui le disse che sarebbe rimasto a casa.
Rufus
ringhiò verso la porta e Gastone andò a vedere. Aveva sentito gli zoccoli di un
cavallo. Vide che il guardiano che lo teneva d’occhio al fiume stava
perlustrando la zona. Uscì sul portico e rischiarato da una luna bellissima
rimase immobile ad osservare cavallo e cavaliere.
I loro
sguardi si incrociarono. L’uomo sul cavallo si toccò il cappello in segno di
saluto e tornò da dove era venuto.
Gastone
rientrò in casa e Cincia annuì. Si erano capiti.
Andarono a
dormire ma nessuno dei due riuscì a chiudere occhio.
I cavalieri
erano tutti intorno al corpo della ragazza. Esterrefatti dal fatto che fosse
morta. Non era mai successo, mai in tutti gli anni che avevano eseguito il rito
e ne erano molto spaventati.
C’era
silenzio assoluto. Tutti aspettavano che la sacerdotessa parlasse, lei
conosceva meglio di chiunque altro le regole della setta e il suo giudizio non
veniva mai contestato.
“Procediamo!” Si decise alla fine.
Uno dei
cavalieri prese un coltello dal manico a forma del loro stemma con una lama
sottilissima e tagliente, incise il collo aprendo la vena giugulare e raccolse
il sangue in una coppa che portava inciso il nodo.
Era sangue
ormai freddo. Quando la coppa fu riempita la mise fra i piedi del cadavere. Il
loro rito prevedeva che dovessero bere ognuno di quel sangue ma nessuno sapeva
se stavolta l’avrebbero fatto, aspettavano che la sacerdotessa desse il via.
Numero Uno
si avvicinò, prese un lungo stelo di ulivo che aveva attaccato un piccolo
calice e lo immerse nella coppa.
“Io, Grande Sacerdotessa dei Cavalieri
della Terra Feconda bagno il mio corpo, la mia Anima Nera e quella di tutti i
Cavalieri, dono a te Santo Protettore di tutti noi il sangue di questa vergine
perché Tu possa donarci prosperità, lunga vita, denaro e potere.”
La donna
immerse due dita nel sangue e si bagnò la candida veste vicino al cuore e al
centro del petto, si fece il segno della croce sulla fronte e su ogni guancia,
poi succhiò il sangue rimasto sulle dita. Abbassò il capo e recitò qualcosa a
voce talmente bassa che nessuno dei presenti riuscì a sentire, rimase assorta
per alcuni minuti. Poi diede seguito al resto del rito.
“Numero Due, che i tuoi desideri si
avverino.” Fece su
di lui la stessa cosa che aveva fatto su se stessa e alla fine gli fece
succhiare le dita sporche di sangue.
Lo stesso
fece con ognuno di loro.
Alla fine il
sangue rimasto fu riposto nella cassapanca.
Si avvicinò
al cadavere, che era stato denudato in precedenza, aprì le palpebre e due
splendidi occhi azzurri e spenti sembravano parlare, ma lei non provò nessuna
emozione. Glieli estirpò con destrezza usando l’apposito attrezzo già pronto,
li mise in un vaso con soluzione liquida che fu portato sul ripiano vicino agli
altri.
Prese un
altro coltello e incise i tre tagli al seno destro: “il seno che nutre la vita, nutre anche la Terra.” Fece lo stesso
col seno sinistro.
Passò al
pube e incise i tre tagli. “Il grembo di
vergine è pronto per essere colmato di vita, così come la terra è il grembo del
mondo che dona la vita.”
La
sacerdotessa portò le mani sporche del sangue di vergine sul suo pube, uno alla
volta tutti i cavalieri fecero la stessa cosa imbrattando il bianco mantello.
Erano tutti sporchi
di sangue, si sedettero ognuno al proprio posto e si presero per mano.
Tutti
insieme recitarono: Noi, Cavalieri della
Terra Feconda giuriamo di continuare la nostra opera in onore della Luna, Madre
della Terra e della Prosperità, giuriamo di rispettare gli antichi scritti,
giuriamo di aiutarci e sostenerci, giuriamo di mantenere il segreto, giuriamo
di combattere ogni oppositore, giuriamo di obbedire al Gran Sacerdote.”
Rimasero in
silenzio, ognuno immerso nelle richieste che mentalmente facevano alla loro
Madre e Sorella Luna.
Dopo alcuni
minuti la sacerdotessa si alzò:
“La Luna, nostra sorella e madre, con
sangue di vergine tiene feconda la Terra.”
Uno alla
volta, partendo da Numero Due si alzarono e si lavarono via il sangue, si
tolsero il mantello e lo infilarono in un sacco.
Il rito si
era svolto correttamente ma in ognuno di loro serpeggiava il dubbio. Numero Due si avvicinò alla sacerdotessa
e le bisbigliò qualcosa all’orecchio.
Erano tutti
senza mantello e pronti per uscire, quella sera non avevano usato il cappuccio.
La sacerdotessa li fermò con un gesto.
“E’ giusto che voi sappiate che nel
corso degli anni ci sono state altre vergini che non sono arrivate vive al rito
di purificazione. I nostri predecessori hanno aggiunto estratto di salice alla
pozione, per questo il sangue non era coagulato. Come vedete non siamo i primi
e non saremo gli ultimi ad affrontare una simile eventualità. Non dovete
preoccuparvi di niente.”
Nessuno parlò.
Così, come erano venuti se ne andarono. Nessuna cella quella notte per loro in
convento, dovevano tornare a casa e mantenere un basso profilo. Qualcuno
sarebbe venuto a prendere il corpo della vergine e lo avrebbe inchiodato ad un
albero rivolto ad est, in attesa che la luna sparisse mentre il sole sorgeva.
romanzo di Milena Ziletti - diritti e proprietà a lei riservati
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