lunedì 29 giugno 2020

IL SEGRETO DELLA LUNA


IL SEGRETO DELLA LUNA

parte trentaquattro






Una grande stanza rettangolare era rischiarata con torce appese ai muri di pietra viva. Nel centro un altare di pietra e sopra, la ragazza dai capelli rossi. Rimase immobile. La ragazza non si muoveva, poi capì che dormiva. Dovevano averla sedata con qualche intruglio.
Le si avvicinò. Era giovane, molto carina, con una massa di capelli rossi e guance bianche come la neve. Chissà di che colore sono i suoi occhi, pensò Gastone.
Era vestita con una tunica bianca ed era legata mani e piedi ad anelli di ferro impiantati nell’altare.
Si avvicinò, vide che dormiva e respirava serena. Il cuore gli sanguinò dal dolore alla consapevolezza che non poteva salvarla, che non poteva fare niente per lei. Lacrime di disperazione gli bagnarono il viso e, con tocco lieve le carezzò le guance. Chissà cosa ti aspetta, dolce fanciulla. Pensò addolorato. La guardava e l’accarezzava cercando di trovare una qualunque soluzione. Un’idea improvvisa gli squarciò la mente. Un grande dolore gli squassò il petto quando con le sue grandi mani le chiuse bocca e naso e aspettò che soffocasse. Non l’avrebbero torturata, non avrebbe sofferto come le altre, come sua figlia. Piangeva come un bambino mentre aspettava che il cuore giovane di quella ragazza smettesse di battere. Non aveva mai aperto gli occhi, non si era mossa, dovevano averla drogata ben bene perché non avesse nessuna reazione. Ci vollero alcuni minuti prima che spirasse. Prese il suo coltello e, stando ben attento a che non si notasse le tagliò alcune ciocche di capelli e li mise nella sua sacca. Le fece un’ultima carezza e cominciò a guardarsi intorno cercando un nascondiglio ma, purtroppo non ce n’erano. Una rabbia immensa nello scoprire che non poteva essere presente al loro rito. Doveva accontentarsi di rimanere fuori, nascosto dietro una lapide, pronto a scappare come uno spettro. Doveva rischiare molto, e si chiese se ne valesse la pena. Riguardò e ricontrollò ancora ma non c’era un angolo dove nascondersi. Doveva rassegnarsi, aveva comunque rovinato il loro rito e si aspettava una reazione molto pericolosa.
Ritornò sui suoi passi cancellando ogni impronta e ritornò a casa.
Cincia sentì cigolare il sofà e, meravigliata sentì l’uomo piangere e singhiozzare come un bambino.
Era notte fonda ma l’uomo non riusciva a dormire. Cincia lo sentiva agitarsi e si alzò. Prese una sedia e si sedette accanto al sofà.
“Cosa è successo? Cosa ti ha sconvolto?”
Rufus brontolò nel sonno per essere stato disturbato ma continuò a dormire beato.
Gastone le raccontò ogni cosa. Cincia capiva il dolore di quell’uomo buono, un uomo che non avrebbe mai fatto del male a nessun innocente.
“Non puoi andare là. Ora che la ragazza è morta saranno più prudenti.”
“Penseranno che non ha retto alla droga. E’ molto probabile che l’abbiano riempita di schifezze. Io devo sapere!”
“Se vuoi portare a termine il tuo compito devi essere prudente. Non puoi andare là! Hai già ucciso tre ragazze, vuoi che non abbiano preso altri provvedimenti? Costantino è ossessionato dalla sicurezza e sono certa che i suoi uomini avranno ordini di perlustrare la zona. Lui ordina e quelli eseguono. Dammi retta, se vuoi mantenere il tuo giuramento devi stare a casa.”
Cincia aveva ragione ma lui non voleva rinunciare a conoscere tutto quello che facevano, quello che sua figlia aveva subito. Poi pensò che il loro rito era rovinato, doveva accontentarsi di quello e di quello che avrebbe inflitto a quei maledetti.
Giunse la notte del plenilunio. Cincia guardava Gastone col fiato sospeso. Sospirò di sollievo quando lui le disse che sarebbe rimasto a casa.
Rufus ringhiò verso la porta e Gastone andò a vedere. Aveva sentito gli zoccoli di un cavallo. Vide che il guardiano che lo teneva d’occhio al fiume stava perlustrando la zona. Uscì sul portico e rischiarato da una luna bellissima rimase immobile ad osservare cavallo e cavaliere.
I loro sguardi si incrociarono. L’uomo sul cavallo si toccò il cappello in segno di saluto e tornò da dove era venuto.
Gastone rientrò in casa e Cincia annuì. Si erano capiti.
Andarono a dormire ma nessuno dei due riuscì a chiudere occhio.
I cavalieri erano tutti intorno al corpo della ragazza. Esterrefatti dal fatto che fosse morta. Non era mai successo, mai in tutti gli anni che avevano eseguito il rito e ne erano molto spaventati.
C’era silenzio assoluto. Tutti aspettavano che la sacerdotessa parlasse, lei conosceva meglio di chiunque altro le regole della setta e il suo giudizio non veniva mai contestato.
“Procediamo!” Si decise alla fine.
Uno dei cavalieri prese un coltello dal manico a forma del loro stemma con una lama sottilissima e tagliente, incise il collo aprendo la vena giugulare e raccolse il sangue in una coppa che portava inciso il nodo.
Era sangue ormai freddo. Quando la coppa fu riempita la mise fra i piedi del cadavere. Il loro rito prevedeva che dovessero bere ognuno di quel sangue ma nessuno sapeva se stavolta l’avrebbero fatto, aspettavano che la sacerdotessa desse il via.
Numero Uno si avvicinò, prese un lungo stelo di ulivo che aveva attaccato un piccolo calice e lo immerse nella coppa.
“Io, Grande Sacerdotessa dei Cavalieri della Terra Feconda bagno il mio corpo, la mia Anima Nera e quella di tutti i Cavalieri, dono a te Santo Protettore di tutti noi il sangue di questa vergine perché Tu possa donarci prosperità, lunga vita, denaro e potere.”
La donna immerse due dita nel sangue e si bagnò la candida veste vicino al cuore e al centro del petto, si fece il segno della croce sulla fronte e su ogni guancia, poi succhiò il sangue rimasto sulle dita. Abbassò il capo e recitò qualcosa a voce talmente bassa che nessuno dei presenti riuscì a sentire, rimase assorta per alcuni minuti. Poi diede seguito al resto del rito.
“Numero Due, che i tuoi desideri si avverino.” Fece su di lui la stessa cosa che aveva fatto su se stessa e alla fine gli fece succhiare le dita sporche di sangue.
Lo stesso fece con ognuno di loro.
Alla fine il sangue rimasto fu riposto nella cassapanca.
Si avvicinò al cadavere, che era stato denudato in precedenza, aprì le palpebre e due splendidi occhi azzurri e spenti sembravano parlare, ma lei non provò nessuna emozione. Glieli estirpò con destrezza usando l’apposito attrezzo già pronto, li mise in un vaso con soluzione liquida che fu portato sul ripiano vicino agli altri.
Prese un altro coltello e incise i tre tagli al seno destro: “il seno che nutre la vita, nutre anche la Terra.” Fece lo stesso col seno sinistro.
Passò al pube e incise i tre tagli. “Il grembo di vergine è pronto per essere colmato di vita, così come la terra è il grembo del mondo che dona la vita.”
La sacerdotessa portò le mani sporche del sangue di vergine sul suo pube, uno alla volta tutti i cavalieri fecero la stessa cosa imbrattando il bianco mantello.
Erano tutti sporchi di sangue, si sedettero ognuno al proprio posto e si presero per mano.
Tutti insieme recitarono: Noi, Cavalieri della Terra Feconda giuriamo di continuare la nostra opera in onore della Luna, Madre della Terra e della Prosperità, giuriamo di rispettare gli antichi scritti, giuriamo di aiutarci e sostenerci, giuriamo di mantenere il segreto, giuriamo di combattere ogni oppositore, giuriamo di obbedire al Gran Sacerdote.”
Rimasero in silenzio, ognuno immerso nelle richieste che mentalmente facevano alla loro Madre e Sorella Luna.
Dopo alcuni minuti la sacerdotessa si alzò:
“La Luna, nostra sorella e madre, con sangue di vergine tiene feconda la Terra.”
Uno alla volta, partendo da Numero Due si alzarono e si lavarono via il sangue, si tolsero il mantello e lo infilarono in un sacco.
Il rito si era svolto correttamente ma in ognuno di loro serpeggiava il dubbio. Numero Due si avvicinò alla sacerdotessa e le bisbigliò qualcosa all’orecchio.
Erano tutti senza mantello e pronti per uscire, quella sera non avevano usato il cappuccio. La sacerdotessa li fermò con un gesto.
“E’ giusto che voi sappiate che nel corso degli anni ci sono state altre vergini che non sono arrivate vive al rito di purificazione. I nostri predecessori hanno aggiunto estratto di salice alla pozione, per questo il sangue non era coagulato. Come vedete non siamo i primi e non saremo gli ultimi ad affrontare una simile eventualità. Non dovete preoccuparvi di niente.”
Nessuno parlò. Così, come erano venuti se ne andarono. Nessuna cella quella notte per loro in convento, dovevano tornare a casa e mantenere un basso profilo. Qualcuno sarebbe venuto a prendere il corpo della vergine e lo avrebbe inchiodato ad un albero rivolto ad est, in attesa che la luna sparisse mentre il sole sorgeva.


romanzo di Milena Ziletti - diritti e proprietà a lei riservati

Nessun commento:

Posta un commento