giovedì 4 giugno 2020

IL SEGRETO DELLA LUNA


IL SEGRETO DELLA LUNA

parte diciassette






Con lentezza e silenzioso come un serpente strisciò fino ai gradini e, sempre strisciano uscì dalla botola. Facendo sempre molta attenzione uscì dalla piccola cappella, aveva timore che qualcuno fosse stato messo a guardia ma non vide nessuno. Scelse una lapide più grande delle altre e si nascose in attesa che gli altri uscissero. Stava riprendendo a respirare normalmente quando sentì altri passi avvicinarsi, dalla paura di essere scoperto, strisciò verso il suo passaggio segreto ed uscì dalle mura del convento. La luna era grande e luminosa e lui non si fidò a rialzarsi in piedi, oltrepassò tutto il prato strisciando finché raggiunse il boschetto, si inoltrò fra gli alberi, si rimise le scarpe e ritornò di corsa verso casa. Non se la sentiva di rimanere per vedere da dove sarebbero usciti, per il momento non gli importava, aveva troppe cose a cui pensare e, decise, una ragazza da salvare.
Cincia era seduta al tavolo della cucina con Rufus che dimenava la coda. Vide il viso pallido dell’uomo e gli porse un bicchiere di vino. Gastone lo trangugiò d’un fiato e si sdraiò sul sofà mentre Cincia si ritirava nella sua camera.
Rufus, felice del ritorno del suo padrone si era messo al suo fianco e si era già addormentato, ma lui no, Gastone non riusciva ad addormentarsi. Maledetti, maledetti loro tutti, gliel’avrebbe fatta pagare cara, tutte quelle morti, quelle famiglie distrutte dal dolore solo per potere e denaro. Maledetti. E si addormentò con le lacrime che gli bagnavano le guance.
Stava lavorando nella distilleria ma la sua testa era altrove. Quello che aveva scoperto, anche se in parte se lo aspettava, lo aveva molto scosso. Aveva capito che erano persone senza scrupoli pur di ottenere quello che volevano, ma non per questo meno intelligenti e astuti.
Quello che aveva detto che dovevano fare attenzione ai forestieri e quell’altro che voleva assoldare degli investigatori erano sicuramente i più pericolosi e non si sarebbero fatti da parte molto facilmente, soprattutto quando avessero scoperto un altro cadavere che lui avrebbe fatto trovare loro molto presto.
Nella sua mente andava ripercorrendo ogni istante di quella notte, aveva visto solo i piedi e persone incappucciate, non poteva essere sicuro di poterne riconoscere la voce, ed essendo il viso coperto dal cappuccio la voce non risultava limpida, ma una cosa l’aveva notata e, se al momento gli era sfuggita ora glie tornata in mente come un fulmine.
Uno di quegli otto delinquenti doveva essere zoppo, perché aveva visto due piedi calzati in stivali con la suola una molto più alta dell’altra. Decise, per il momento di concentrarsi su questo personaggio, non poteva dedicarsi a tutti loro insieme ma adesso aveva un elemento da sviluppare e, la domenica successiva, al pranzo organizzato da Cincia ne avrebbe parlato. Doveva poi trovare un modo per vederli in faccia e stava elaborando un piano per riuscirci. Doveva anche stare attento, molto attento e non avere troppa fretta, non si era imposto un tempo limite per portare a termine la sua vendetta, ma soltanto il modo di non essere scoperto, non voleva finire in prigione o, ancora peggio ucciso da qualche sicario mandato da quella gentaglia.
Cercò di concentrarsi sul lavoro e di non pensare troppo, ma un’altra fanciulla era in pericolo e lui non sapeva come fare per salvarla, avrebbe avuto bisogno di tempo libero e scoprire chi era stato mandato alla sua ricerca ma era molto limitato, Ermete non gli dava tregua col lavoro e con le richieste.
Era sabato ed era andato al fiume a pescare pesci freschi per il pranzo del giorno dopo. Si era avvicinato alla grande tenuta dei Morietti. Fischiettava e gli occhi, da sotto il cappello guardavano in ogni direzione. Si fermò ad un’ansa del fiume con Rufus al fianco e cominciò a pescare. Il cane cominciò a ringhiare sommessamente, qualcuno si stava avvicinando.
Gastone sentì i passi ancora in distanza ma non distolse la sua attenzione dal galleggiante in acqua.
Si girò soltanto quando quell’uomo fu a pochi passi da lui. Un individuo con un fucile a spalla gli si affiancò.
“Che ci fai qui? Non sai che questa è proprietà privata dei Morietti? Chi sei?”
“Sono Gastone, un lavorante di Ermete e vivo in casa con Cincia, mi piace pescare nel mio tempo libero e non sapevo che anche il fiume fosse proprietà privata, non ho visto nessun cartello.”
L’uomo guardava Gastone cercando di capirne le intenzioni, sapeva bene che non poteva allontanarlo fino a che non fosse entrato nella proprietà dei suoi padroni, ci era molto vicino ma era ancora su suolo pubblico.
“In effetti il fiume non è di proprietà dei signori Morietti, ma ci sei molto vicino ed io sono uno dei loro guardiani. So chi sei, ti ho visto a volte in chiesa e so che stai con quella vecchia pazza e questo a me non interessa. Ti informo soltanto che non puoi sconfinare nella tenuta. Da là in poi, come vedi c’è una serie di cartelli che delimitano il confine. Ti consiglio di non oltrepassarlo o farai i conti con me e i miei colleghi. In questa tenuta comanda il signor Costantino Morietti e quello che lui vuole è legge e lui non vuole problemi nella sua proprietà. Sono venuto solo per avvisarti ma so che sei un uomo intelligente. Continua pure a pescare e tieni lontano da me quel tuo cane pulcioso o, chiaro come il sole gli sparo dritto in fronte, quello che vale per te vale anche per lui e, se mai ti venisse il desiderio di parlare con il mio padrone ti consiglio di ricevere prima il suo invito, non si entra senza di quello. Buona giornata.” E se ne andò.
Gastone continuò a pescare. Era evidente che Costantino temeva per la sua incolumità e della sua famiglia, sarebbe stato molto difficile avvicinarsi a quel detestabile personaggio ma, per il momento non era ancora arrivato il suo turno, ma sarebbe arrivato, oh se sarebbe arrivato!
Con la cesta colma di pesce, fischiettando tornò a casa. Aiutato da Cincia pulì il pesce, la selvaggina, verdura e frutta per il giorno dopo. Per quella vecchia era un piacere potersi sentire utile e sembrava ringiovanita.
“Dimmi, Cincia hai contattato le tue amiche?”
“Non sono mie amiche, sono soltanto delle povere vecchie, sole come me. mi è bastato parlare con una di loro per spargere la voce dell’invito a pranzo e sono sicura che non mancherà nessuna. Sono cinque, e con noi saremo in sette, pensi ci sia cibo a sufficienza?”
“Sono sicuro di sì, hai già fatto il pane e il dolce, non dovevi affaticarti tanto, potevo aiutarti io.”
“Tu fatti bello e sarai il principe delle vecchie!” E fece una sonora risata.
La domenica era calda ma meno afosa e la casa di Cincia era lustra, mentre profumi di arrosti e grigliate si diffondeva nell’aria. Era tutto pronto e verso mezzogiorno arrivarono tutte insieme. Si erano tirate a lucido col vestito della festa e un bel fazzoletto colorato sui capelli. Discutevano ad alta voce e Cincia uscì sulla porta ad accoglierle.
Le fece entrare, offrì loro dell’acqua fresca e le fece accomodare a tavola.
“Che bella idea hai avuto, vecchia cornacchia!” E giù a ridere come ragazzine.

Capitolo nove
Avevano tutte superato i settant’anni e si conoscevano da sempre anche se si frequentavano poco, soprattutto Cincia che non andava più nemmeno in paese se non per lo stretto necessario e non frequentava più la chiesa. Si incontravano ogni tanto e si raccontavano tutti i pettegolezzi del paese.
Per primo entrò Rufus che andò ad accoccolarsi al suo posto vicino al sofà, poi entrò Gastone e tutte rimasero con la bocca aperta.
Si era lavato, profumato, pettinato e indossato una leggera camicia con le maniche corte su un paio di leggeri pantaloni scuri, sembrava un dio uscito dal bosco. I capelli tenuti indietro erano ancora umidi e i baffi corti e scuri disegnavano un sorriso.
Prese un sospiro ed entrò in cucina, si avvicinò ad ognuna di loro e baciò loro la mano facendo un inchino. Se pur impossibile, quelle vecchie signore arrossirono ormai non più avvezze a ricevere nessun complimento.
Cincia osservava sorridendo compiaciuta l’effetto che Gastone aveva avuto su quelle donne e lo fece accomodare a capo tavola.
“Ma che bella compagnia, dovrete venire più spesso, conosco così poca gente di questo posto e voi siete bellissime!”
Cincia sorrideva senza farsi vedere, era proprio un gran buffone e le aveva già conquistate tutte.
“So che siete amiche della mia amica, perciò anche mie e, se avete bisogno di un uomo in casa fatemelo sapere che vengo di corsa!” Lasciò che la frase ambigua restasse nell’aria e si alzò per prendere il cibo e servirlo personalmente.
Quanti sorrisi, quante risate e che stomaco vuoto avevano quelle donne anziane. Ci furono racconti della loro gioventù, del loro passato, delle loro famiglie e di tanti episodi che avevano vissuto insieme. Il vino, fresco e frizzante aveva fatto il resto. Erano tutte allegre e Gastone fu galante con ognuna di loro.
Cincia gli strizzò l’occhio. “Che ne dite ragazze di raccontare un po’ di storia del nostro bel borgo? Gastone è un forestiero e so che gli piacerebbe sapere qualcosa che ci riguarda. Hai qualche domanda specifica da fare?”
“Mi piacerebbe conoscere di più sulle persone più in vista, ma anche di quelle comuni, ho l’impressione che per conoscere ogni cosa dovrete venire spesso a pranzo da noi!”
L’allegria e le risate, le frasi ambigue furono nell’aria per alcuni minuti e i padroni di casa lasciarono fare.
“Secondo voi, chi è l’uomo o la donna più importanti di questo posto? E perché?”
“Semplice.” Rispose Rosa. “L’uomo più importante è il marchese Lorreni. E’ padrone di terre e bestiame, è ricco, influente e dicono che sia imparentato con un qualche vescovone.”
“Fa parte delle più vecchie famiglie del posto.” Aggiunse Maria. “Mia nipote ha lavorato come aiuto cuoca e dice che là dentro al palazzo sembra di vivere in una ghiacciaia. La moglie è morta di parto e lui se la spassa con tante donnine e serve che vivono là. Ho sentito certi episodi!”
Maria si guardò intorno e vide che erano tutti concentrati su di lei. Il sorriso di Gastone la incoraggiò e continuò. “Ho sentito dire che usa la frusta con le donne e che a lui piace farsi incatenare per poi vendicarsi, che si chiude in camera con tre o quattro ragazze per volta. Un vero diavolo! Le donne sono terrorizzate quando lo vedono arrivare perché allunga le mani sotto le vesti e strizza le carni. Lo diceva sempre mia nonna che i nati storpi sono figli del diavolo!”
“E’ storpio?” si informò l’uomo.
“Sì, è nato con una gamba più corta dell’altra e credo che sia più cattivo anche per questo!”
A Gastone si drizzarono i capelli in testa. Da quell’uomo era fuggita sua moglie e chissà cosa aveva dovuto sopportare, in più era uno dei colpevoli della morte delle sue donne. Cercò di mantenere il sorriso ma Cincia si accorse della freddezza che aveva invaso i suoi occhi e capì che quello era uno che avrebbe pagato.


Romanzo di Milena Ziletti - diritti e proprietà a lei riservati

Nessun commento:

Posta un commento