lunedì 28 giugno 2021

VOI NON MI AVRETE

 

VOI NON MI AVRETE.



Verranno a prendermi e mi incateneranno,

ci vorrà coraggio per torturare un essere umano,

avranno maschere e avranno armi

ordini da eseguire come automi teleguidati.

Mi guarderanno in viso ma non vedranno i miei occhi

Nemmeno le mie paure e il mio coraggio,

mi prenderanno le braccia e useranno le manette

o la camicia di forza con il bavaglio.

Non urlerò, non mi divincolerò

Li lascerò fare il loro sporco lavoro.

Mi legheranno ad una sedia e mi lasceranno guardare fuori

Dove un mondo di uomini e donne camminano senza sguardo.

Stringerò i pugni e tratterrò le lacrime

Non chiuderò gli occhi e non mostrerò paura.

Mi lusingheranno per convincermi ad essere come quelli che vedo.

Mi prometteranno una vita migliore nella massa dormiente,

sarò come gli altri con lo sguardo vuoto

mentre la mente l’hanno già presa.

Mi chiedo che cosa vogliono e a chi rispondono,

chi li ha ridotti a semplici marionette obbedienti.

Hanno un tatuaggio che li distingue dagli altri

Sono quelli che ormai, sono persi per sempre.

Sono lì, incatenata alla sedia

una telecamera manda bagliori a intermittenza

La fisso, la sfido, stringo i pugni ma non faccio una mossa.

Conosco la telepatia e so con chi ho a che fare,

parlo  con loro e una scossa mi stende.

Loro sanno che li conosco, che sono contro di loro,

non mi avrete, io sono un’aliena di un’altra stirpe e razza.

Chiudo gli occhi e attendo l’inevitabile,

quell’ago che ho rifiutato fino all’impossibile.

Non mi avrete, io sono più forte di voi,

ho una mente e un’anima che volete rubarmi,

un DNA che volete modificarmi , ma non ci riuscirete.

Ho imparato da quelli migliori di voi,

sono protetta da loro e anche se quel liquido malefico scorrerà nel mio corpo,

VOI NON MI AVRETE, APPARTENGO AD ANDROMEDA.

pensiero scritto da Milena Ziletti - foto dal web

mercoledì 16 giugno 2021

ARMANDO

 ARMANDO

parte dieci - fine




Mentre continuavo il mio cammino in solitudine ripensavo alla mia vita, ancora un paio d’anni ed avrei fatto ritorno a casa mia. Dopo quello che avevo conosciuto della Città Chiusa, niente mi sembrava meglio della mia piccola casa e dell’amore di mia madre e mio padre, di una sorella che avevo conosciuto poco ma che avrei ritrovato con il nostro amore fraterno mai venuto meno.

 

I vari paesi con le loro fonti, i loro mercati non mi comunicavano nessuna novità. Possibile, mi domandavo, che avessi viaggiato per niente? Possibile che Antenore avesse voluto mandarmi per il mondo sapendo che sarei tornato a mani vuote? La delusione e la sfiducia cominciavano a farmi sentire la stanchezza di quel lungo girovagare solitario.

 

Per questo, sotto il sole cocente, mi sono addormentato con la schiena appoggiata ad una grossa pietra aspettando un po’ di frescura.

 

……………….

 

Mi risveglio con molta lentezza, ho quasi 35 anni e mi sento un vecchio. Sono solo, ho viaggiato in lungo e in largo in cerca del senso della vita ma ho capito che non riuscirò a trovarlo. Cosa fare? Continuare la mia ricerca o far ritorno a casa mia? Guardo ancora la strada, lunga e polverosa che mi sta davanti e guardo anche dentro me stesso e mi chiedo “Voglio continuare? Voglio ritornare? Voglio riposare? Voglio rinunciare?”

Il desiderio di continuare si è affievolito e sono sfiduciato. Ho iniziato la mia ricerca a 12 anni e, dopo 23 anni passati in giro per strade e paesi sconosciuti, non ho trovato quello che cerco. Penso ad Antenore, morto vecchio e solo in un paese straniero e non voglio finire come lui. Mi piacerebbe finire i miei giorni circondato dalle persone che amo, dalla mia famiglia e, immediatamente, decido di tornare.

 

Ora che ho preso la mia decisione mi rimetto a dormire aspettando il fresco del primo mattino, quello che accoglierà i miei passi del ritorno a casa.

 

Sono passati due mesi sulla strada del rientro e, finalmente, mi avvicino al mio vecchio paese. Quelle pietre che ho salutato quando sono partito ora accolgono il mio ritorno. Nessuno mi riconosce e vengo guardato con sospetto, non credo che da qui passino molti forestieri. Mi avvicino alla mia vecchia casa e, vedo seduto fuori dalla porta un uomo anziano che guarda la strada. E’ mio padre, e un nodo mi stringe la gola. Come mi accoglierà? Mi avrà perdonato? E mia madre sarà dentro casa?

 

Ora gli sono davanti ma non può vedermi perché è diventato cieco. Mi inginocchio vicino a lui e gli prendo la mano. “Padre, sono Armando, sono ritornato.”

 

La sua mano stringe la mia ed i suoi occhi si sgranano per potermi vedere, ma non può riuscirci. Due silenziose lacrime scendono su quelle guance così abbronzate e lasciano segni che sembrano ferite.

 

“Armando, figlio mio, finalmente sei tornato! E’ da tanto che ti aspetto, sapevo che ti avrei rivisto prima di morire. Hai trovato quello che cercavi?”

 

“No padre, perdonami, me ne sono andato lontano da voi per inseguire una chimera, non posso trovare quello che non esiste. Sono ritornato perché mi mancavate da morire. Dov’è mia madre?”

 

“Tua madre è morta da due anni, mi ha lasciato il compito di aspettarti, lei sapeva che saresti tornato e voleva che ci fosse ancora qualcuno ad aspettarti.”

 

“E mia sorella Anna, come sta?”

 

“Tua sorella sta bene, si è sposata ed ha due figli, vivo con loro e suo marito in questa casa, ora è Alessandro, suo marito che si occupa degli animali e della terra. E’ in casa, vai a salutarla.”

 

Entro piano in quella casa che è stata da sempre la mia casa e poco è cambiato, si è aggiunta una stanza per i bambini e mio padre e vedo mia sorella che sta cucinando. Alza la testa e il suo sguardo dubbioso incontra i miei occhi, poi capisce chi sono e mi corre incontro abbracciandomi felice.

 

“Sei, tu! Sei tornato! Che gioia rivederti! Nostro padre non ha mai perso la speranza, ogni giorno si sedeva fuori della porta ad aspettarti con l’incrollabile certezza che ti avrebbe visto prima di morire. Entra, siedi e raccontami. Ora sei qui, questa è la tua casa e ci rimarrai!”

 

Una brocca di acqua fresca e le dico che mi piacerebbe restare con loro, almeno per un po’.

 

“Fra poco rientrerà Alessandro con Lucio e Simone, i tuoi nipoti e saranno contenti anche loro di conoscerti. Ora riposa, va da tuo padre e parla con lui.”

 

Mi siedo vicino a mio padre e gli racconto dei miei viaggi, delle mie esperienze  e lui mi guarda senza vedermi e scuote il capo. Poi arrivano anche mio cognato e i miei nipoti e tutti insieme ci sediamo a tavola.

 

C’è molta allegria, i ragazzi sono curiosi e mi fanno un sacco di domande e, mi accorgo che solo Alessandro non parla ed è piuttosto serio. Penso che sia il suo modo di fare,  e spero di poterlo conoscere meglio e aiutarlo nei suoi lavori, per sdebitarmi della loro ospitalità.

 

I primi giorni mi riposo, mi accorcio la barba e mi cambio la veste, insomma riprendo quelle sembianze che sono le mie. Non sono poi così vecchio, se volessi potrei anche trovarmi una moglie.

 

Osservo questa famiglia, la mia famiglia e capisco!  Mi tornano in mente le parole di mio padre, me le disse che avevo sei anni e solo ora le capisco: “Il senso della vita è avere una famiglia, qualcuno che ti vuole bene, dei figli che ti rispettano, una comunità unita e in pace. Un Dio da pregare e da temere e giornate per festeggiare.”

 

 Mentre vagabondavo ho conosciuto altri che la pensavano diversamente:

 

Il cavaliere, che viveva senza rinunciare a niente, con donne, cibo, e pensando solo al presente.

 

Gli eremiti che vivevano pregando e stando bene con Dio, e aiutando i poveri.

 

Il guerriero che viveva cercando potere e denaro anche con la forza delle armi.

 

La piccola Adele che voleva vivere senza paura.

 

Il nomade che viveva servito e libero di andare e fare quello che voleva senza rispettare nemmeno i suoi famigliari.

 

La città Chiusa che viveva senza regole e senza sentimenti.

 

E quel vecchio sconosciuto che mi aveva regalato il suo amuleto aveva previsto che sarei tornato sui miei passi. La sua domanda “perché sei nato?” Allora non l’avevo capita, ma ora sì: sono nato per viaggiare e capire che avevo già tutto e non lo sapevo.

 

Ora che sono riposato chiedo a mio cognato se lo posso accompagnare al lavoro, desidero aiutarlo, e lui, mi fa un breve cenno. Lo seguo e voglio parlare con lui, non mi ha dimostrato molta amicizia, sento che prova risentimento e non ne capisco il motivo.

 

“Cosa c’è Alessandro che ti turba? Sono forse io che ho fatto o detto qualcosa che ti ha offeso?”

 

Mi alza in viso due occhi che sembrano incandescenti.

 

“Perché sei tornato?”

 

“Perché avevo nostalgia della mia famiglia, per rivederla.”

 

“Tu non hai più una famiglia! Dove eri quando tuo padre è diventato cieco ed io ho preso in mano tutto il lavoro? Dove eri quando tua madre è morta e nessuno riusciva a consolare i suoi cari? Chi ha fatto prosperare le terre, il bestiame mentre tu eri via?”

 

“Perché mi dici tutto questo? Cosa significa?”

 

“Significa che mentre io ho dedicato lavoro, tempo ed energia a far fruttare terre e bestiame, ora, con il tuo ritorno non sono più padrone di niente! Tutto ti appartiene e non lo trovo giusto. Perché non te ne vai di nuovo? E’ mio il diritto a possedere quello per il quale ho lavorato, tu non hai fatto niente!”

 

“Io non nego quello che hai fatto e non desidero avere quello che non mi spetta, voglio avere qualcosa solo per ricominciare, non voglio portarti via niente, non è mia intenzione.”

 

“Mia intenzione è non darti niente! Tu eri come morto e le proprietà erano di tua sorella, perciò se per riavere quello che sento mio dovrò ucciderti, lo farò!”

 

Estrae un coltello e, con un balzo si avventa su di me pugnalandomi dritto al cuore.

 

Sono sorpreso, e guardo il sangue che mi cola fra le mani.

Penso “possibile? Dopo tanti anni, tante ricerche, ora che finalmente ho trovato quello che ho sempre cercato tutto finisce per l’avidità e l’egoismo di un mio famigliare? E come si giustificherà con la sua famiglia? E i suoi figli cosa penseranno?”

 

Guardo quel viso contratto dalla collera ma lo vedo sbiadito. Un urlo, mia sorella corre verso di me e mi abbraccia. E tutto finisce.

 

 

Vedo mia madre venirmi incontro e prendermi fra le braccia come quando ero bambino. Mi bacia e mi allontano con lei.

 

Che strana la vita! Ho viaggiato per larga parte del mondo, conosciuto pericoli, malattie, guerre e stanchezza per cercare il senso della vita e per scoprire che la vita non è altro che vivere con Amore.

Fiaba per adulti - scritta da Milena Ziletti - diritti e proprietà a lei riservati - immagine dal qeb

martedì 15 giugno 2021

ARMANDO

 

ARMANDO

parte nove



“Straniero, ti sei seduto sotto il mio albero, fammi un po’ di posto.”

 

Gli lascio spazio e il mio sguardo ritorna a quella muraglia.

 

“Cosa guardi straniero? Non sai cos’è quello?”

 

“Non ho mai visto niente di simile, è talmente vasto che ci possono vivere all’interno almeno cinque grandi città, tu sai di cosa si tratta?”

 

“Sicuro. Io vengo proprio da là!”

 

“Mi chiamo Armando e sono un viandante, vorresti raccontarmi di cosa si tratta? E tu come ti chiami?”

 

“Mi chiamo Serafino e, se vuoi, ti racconto la storia della Città Chiusa”.

 

“Come hai notato è un territorio molto vasto e tutto circondato da alte e insormontabili mura, nessuno ci può entrare, solo uscire, e per non farci mai più ritorno. Là vivono alcune centinaia di persone e, ti assicuro, vivono una vita molto piacevole. Non hanno bisogno di nulla dall’esterno, sono autosufficienti in tutto e ognuno lavora per quello che vuole e per tutta la comunità. Ci sono due capi che tengono tutto sotto controllo e fanno rispettare le loro leggi. Nella Città Chiusa non esistono malattie, vecchiaia, tristezza o stanchezza, tutti sono felici e vivono come vogliono. Le case sono sempre aperte, gli uomini possono avere le donne che vogliono e anche   per le donne è lo stesso. Nascono molti bambini ma non vengono tenuti in famiglia, vengono allevati da un gruppo di donne e nessuno sa di chi è figlio. Vengono istruiti e avranno il loro posto già predestinato nella comunità. Se ci sono bambini malati o incapaci vengono allontanati dalla città. Ogni mese si apre il Grande Portone e fanno uscire i vecchi che non servono più, i malati che turbano l’armonia della loro esistenza, perché la vita dentro la Città Chiusa è all’insegna solo del benessere, nessuno vuole vedere niente che non sia più che perfetto.

Anch’io sono uscito da quel portone, esattamente due anni fa, quando non sono più stato in grado di fare il mio lavoro. Se ti guardi intorno vedrai solo vecchi e storpi, tutti usciti dalla Città Chiusa e aspettiamo la nostra fine.”

 

“E nessuno si è mai ribellato?”

 

“E come avremmo potuto? Questa è la legge!”

 

“E come si svolge la vita nella Città Chiusa? Come viene eletto il capo? Chi fa rispettare le leggi? Chi svolge i lavori dei campi o impasta il pane o pesta l’uva per il vino?”

 

“Nella Città Chiusa esiste solo una legge: ognuno deve fare il proprio lavoro, prendersi il divertimento che preferisce e vivere come vuole senza turbare gli altri. Il Capo non è eletto ma è una dinastia. Tutti i lavori vengono svolti allegramente perché ognuno sa che a fine giornata potrà fare quello che vuole: bere, ballare, cantare, accoppiarsi con chi vuole. Ti garantisco che sono tutti molto felici, anch’io lo sono stato.”

 

“Quando usciamo da quel portone non riusciamo ad allontanarci troppo e viviamo nel rimpianto di quello che abbiamo lasciato. Il desiderio di rientrarci è molto forte ma mai a nessuno è stato permesso. Viviamo qui, in queste capanne, aspettando i prossimi che escono per ascoltare le ultime novità e aiutarli a integrarsi nel nostro piccolo gruppo. Siamo in pochi, perché vecchi e malati e terminiamo la nostra vita con il pensiero sempre rivolto a quello che abbiamo lasciato oltre quelle mura.”

 

“A me, sembra una barbarie!”

 

“Ma cosa dici Armando? E’ la migliore vita che un uomo possa desiderare. Vivi alla grande e ti garantisco e che non cambierei una virgola della mia vita.”

 

“Eppure ora sei qui, vecchio e malandato, senza nessuno che si curi di te, vivendo di nostalgia e guardando solo al passato, eppure hai ancora molti anni da vivere, cosa pensi di fare della tua vita futura?”

 

“La mia vita, come quella di tutti quelli che sono qui, è finita nel momento stesso in cui abbiamo varcato quel portone. Qui non c’è vita, solo sopravvivenza, nell’attesa che scenda su di noi la morte e ci riporti nella Città Chiusa sottoforma di spirito. Solo allora potremo vivere in eterno ripetendo quello che abbiamo fatto nella Città.”

 

“E tu ci credi? Quando uno è morto è morto e basta, mi sembra solo una bella favoletta confezionata apposta per voi.”

 

“Tu non puoi capire, sei straniero, ma una volta che hai vissuto nella Città Chiusa, non puoi desiderare altro, e ti garantisco che ci tornerò da spirito. Non pretendo che tu mi dia ragione, ma questa è l’unico motivo che ci impedisce di impazzire.”

 

“Io sto cercando da molti anni il senso della vita e dispero di riuscire a trovarlo e…”

 

“Armando, non puoi avere dubbi: la Città Chiusa è il senso della vita, perché va anche oltre la morte. Puoi riposarti un poco con noi, sono sicuro che sei arrivato nel posto giusto. Rimani qualche giorno con noi e lo capirai.”

 

“Ti ringrazio Serafino, accetto la tua offerta e rimango un po’ con voi, sperando di capire quello che tu e tutti gli altri portate dentro al vostro cuore. Non so se ci riuscirò, ma tenterò di capire, perché se è come dici tu dovrò insegnarlo a tutto il mondo.”

 

“Bene, noi ti aiuteremo.”

 

La cena è veramente poca cosa e la consumiamo tutti insieme. Saremo una cinquantina di persone e ognuno racconta con nostalgia la vita passata oltre quelle mura. Anche qui cercano di portare avanti le usanze che di là hanno lasciato, ma ora sono vecchi e malati e vivono insieme e in armonia aspettando la loro morte.

 

Serafino mi racconta che nella Città Chiusa era usanza festeggiare la Festa del Mese. Un giorno dedicato solo ai divertimenti e alle orge più sfrenate. Lo facevano perché servivano molti bambini per continuare la loro tradizione e, mi confessa, è quello che gli manca di più!

 

“Ma dimmi Serafino, con il vostro modo di procreare e crescere i bambini è logico che ci si accoppiasse anche fra consanguinei, non è contro natura?”

 

“Niente fra quelle mura è contro natura. Però è vero quello che dici e molti bambini nascono malati o già invalidi e ne vengono allontanati molti, è per questo che servono numerose nascite.”

 

“Tutto questo non mi convince e non mi piace. Gli anziani hanno diritto ad essere accuditi, gli ammalati devono essere curati e deve esistere l’amore coniugale e l’amore dei figli per i loro padri. No Serafino, proprio non mi piace.”

 

“Che cos’è l’amore coniugale?”

 

“Ah Serafino! Io proprio non posso spiegartelo, ma è la base di tutto, è l’amore più grande, quello che genera figli e che li ama, mi dispiace dirtelo ma a voi, anche se pensate di avere tutto e vivere la vita più bella manca il sentimento più importante: la devozione.”

 

“Beh Armando, io non conosco la devozione o l’amore coniugale, ma ti assicuro che non mi mancano. Ho vissuto una vita meravigliosa e aspetto che la morte mi riporti di là, cosa può esserci di meglio?”

 

“Hai ragione, niente è meglio della propria ignoranza. Ma di una cosa sono sicuro, non è quello che cerco. Mi fermerò con voi ancora per qualche giorno, voglio vedere con i miei occhi spalancarsi il Grande Portone e conoscere le persone che escono, poi ripartirò e vi ringrazio della vostra ospitalità.”

 

Passai con loro circa dieci giorni prima che si aprisse il Portone. Vedere quella gente, vecchia, storpia e malata contenta ed in attesa di morire per ritornare nella Città Chiusa mi rendeva triste. Non facevano niente, il minimo indispensabile per una grigia sopravvivenza, il cibo era scarso e, chi poteva, continuava ad accoppiarsi illudendosi di poter essere ancora di là.

 

Poi, finalmente il Portone si aprì. Uscirono tre uomini e due donne con in braccio tre neonati malati che sarebbero morti entro breve, perché non c’era niente che li potesse aiutare.

 

Fra di loro si riconobbero e iniziarono a parlare della loro vita ed il ritornello era sempre lo stesso: il ritorno. Non posi loro nessuna domanda, oramai sapevo già le loro risposte e, quella sera, salutai tutti per riprendere il mio cammino.

 

Quella notte, nella capanna più grande ci furono festeggiamenti e orge, mentre quei poveri neonati, uno alla volta morivano nell’indifferenza di tutti. E questo doveva essere il senso della vita? Ero sconvolto e addolorato e li abbandonai senza rimpianti.

Favola per adulti scritta da Milena Ziletti - Diritti e proprietà a lei riservati - immagine dal web

venerdì 11 giugno 2021

ARMANDO

 ARMANDO

parte otto



Riprendo il mio cammino in solitudine e meditazione. Molti giorni e molte notti passano prima che incontri altri viandanti. Mi unisco ad un gruppo di nomadi che si sono accampati e stanno allestendo il loro campo.

 

“Salve straniero, vuoi rimanere qualche giorno con noi? Ci fa piacere avere compagnia e conoscere gente nuova. Chi sei? E dove vai tutto solo?”

 

“Grazie signore. Accetto volentieri di unirmi a voi. Anche a me piace la compagnia e soprattutto mi piace conoscere gente nuova. Se posso rendermi utile in qualche modo ne sarò felice. Mi chiamo Armando e sono in cammino da molti anni. Mi piace viaggiare da solo e non porto con me niente di valore, solo lo stretto necessario. Sono in cerca del senso della vita, e lo sto cercando da tanto tempo. Ancora non l’ho trovato, ma non dispero di riuscirci, la mia è la seconda vita che viene dedicata a tale ricerca, non posso fallire!”

 

“Che strana cosa stai cercando! Ma quando l’avrai trovata a cosa ti servirà?”

 

“Non servirà solo a me stesso, ma a tutto il mondo. Servirà per rendere migliore l’esistenza di tutte le persone che abitano la terra, servirà perchè tutti i popoli possano essere felici.”

 

“Beh, io sono felice di quello che ho: ho due mogli e cinque figli, viaggio dove voglio e non ho obblighi con nessuno. Posso fare quello che mi va senza obbedire a nessuna legge. Le mie mogli soddisfano ogni mia voglia e i miei figli obbediscono ad ogni mio comando. Commercio piccoli oggetti e quello che ottengo mi basta. Il mio carro è la mia casa, la strada la scelgo da solo, il fuoco lo accendiamo per cucinare ed io sono felice così. Non è questo, forse, il senso della vita? Essere servito e libero di andare e fare quello che mi pare.”

 

“Non sembra male in effetti la tua vita. La descrivi come se la tua libertà fosse la cosa più importante, l’autorità che imponi alla tua famiglia ti rende orgoglioso, vivere senza sottostare a nessuna legge ti fa sentire grande più di un imperatore, ma in fondo cosa possiedi veramente? Un carro, due mogli, cinque figli e nient’altro. Non conti niente per nessuno, e se tu dovessi morire anche ora la tua famiglia continuerebbe anche senza di te, e deciderebbe in autonomia quello che vuole fare e potrebbe scoprire che quello che ha vissuto fino ad ora non era poi la cosa più importante, lo era solo perché eri tu a imporla!”

 

“La mia famiglia fa come io decido, perché è così che deve essere, lo è sempre stato anche per me, ed io non cambio le nostre usanze, mai; tutto deve continuare come i nostri padri e prima ancora i nostri avi hanno sempre fatto, questo è il nostro mondo e così sarà sempre.”

 

“Ognuno è libero di vivere come vuole la propria vita, ma io preferirei vivere in una vera casa circondato da tanti amici e parenti. No, non è il tuo il senso della vita che cerco, ma ti auguro di vivere per sempre felice come vuoi tu. Ora andiamo a mangiare, si sente un buon profumino provenire da quel fuoco, domani riprendo il mio cammino e ti ringrazio della tua ospitalità.”

 

E’ una cena strana e silenziosa, non vedo molta allegria ma solo due donne sciupate e vecchie anzitempo e cinque ragazzi incolti e sporchi che non conoscono altro che strada e sudiciume, come si può essere felici di vivere così? Mangiamo tutti in silenzio, solo il capo famiglia ogni tanto si fa sentire e da’ ordini. Alla fine, ringrazio e m ritiro sul mio mantello.

 

Sotto un meraviglioso cielo stellato mi addormento immediatamente e il canto degli uccelli mattutini mi vede già lontano da quel campo.

 

Riprendo il mio errare sentendo ancora molto entusiasmo per la mia ricerca e, intanto penso a quello che ho gia visto in tutti questi anni, sembra che ognuno abbia la propria idea della vita, che non esista una regola che vada bene per tutti, è il mio compito quello di scoprirla e sarà per tutti un modo nuovo di vivere.

 

Passano le stagioni e passano anche gli anni. Io continuo imperterrito nel mio viaggio. Ho trent’anni, la barba è quasi bianca e il viso solcato da rughe create dal sole cocente e dall’aria pungente. Le labbra sono quasi sempre aride e secche ed i miei piedi hanno tagli e ferite dal troppo camminare.

 

In questo paese mi fermo, come al solito, vicino alla fonte e bagno il bordo della mia tunica per rinfrescarmi. Ogni fonte, in ogni paese è sempre uguale e un bambino, più curioso degli altri si avvicina e mi guarda.

 

Avrà circa dieci anni ed un viso molto sveglio. Gli faccio un sorriso e lo saluto con un cenno del capo.

 

Anche lui risponde al mio saluto, ma non mi rivolge la parola. Anche sua madre gli avrà raccomandato di non parlare con gli sconosciuti. Ripenso a mia madre e alla mia famiglia. Staranno bene? E mia sorella? Si sarà fatta una ragazza ormai, anzi una donna e sarà già sposata, sentirà mai la mia mancanza? Si ricorderà di suo fratello o mi avrà cancellato dai suoi ricordi? Un po’ di nostalgia si insinua nel mio cuore, mi piacerebbe rivederli tutti e faccio un patto con me stesso: se entro i miei 35 anni non avrò trovato quello che cerco ritornerò da loro. Non da sconfitto, ma da figlio nostalgico della propria famiglia.

 

Verso sera mi sposto al limitare del paese, domani mattina ripartirò presto, ora che mi sono dato una scadenza non ho tempo da perdere.

 

Cammino, mi guardo intorno, ascolto chiunque, ma non trovo niente. Sono passati altri due anni e sono ancora senza risposta.

 

Vedo uno strano insieme di capanne, non sembrano nemmeno case. C’è una piccola fonte e nemmeno un bambino. Solo vecchi e vecchie e storpi che si aggirano per quelle strade fatte di terra battuta.

 

In distanza, vedo una alta muraglia che si perde a vista d’occhio. Tutta chiusa. Non ho mai visto niente di simile e mi incuriosisco. Mi fermo all’ombra di un albero rinsecchito e guardo verso quella muraglia.

 

Prendo un sorso d’acqua dalla mia borraccia e provo ad immaginare di cosa si possa trattare.

 

Un vecchio si avvicina e mi guarda.

Fiaba per adulti scritta da Milena Ziletti - diritti e proprietà a lei riservati - immagine dal web

giovedì 10 giugno 2021

ARMANDO

 ARMANDO

parte sette



“Dove stai andando straniero? Chi sei? Da dove vieni? Perché sei arrivato fino a qui?”

 

Sono molte domande tutte in una volta, c’è qualcosa che non capisco.

 

“Mi chiamo Armando e sono un viandante, vorrei conoscere il riposo vicino alla fonte del tuo villaggio.”

 

“Se tieni alla tua salute, voltati e torna da dove sei venuto. C’è un’epidemia sconosciuta in paese, è meglio per te se te ne vai.”

 

“Di che cosa si tratta?”

 

“Nessuno lo sa, ma stanno morendo in tanti dopo atroci sofferenze e piaghe su tutto il corpo. Io sono l’unico ad essere guarito, ma nessun altro che è stato contaminato ce l’ha fatta. Se tu fossi un guaritore saresti il benvenuto, altrimenti è meglio se te ne vai.”

 

“Voglio vedere con i miei occhi quello che succede per poterlo poi raccontare. Che viaggiatore sarei se mi spaventassi davanti agli imprevisti? Fammi strada e ti seguirò. Come ti chiami?”

 

“Mi chiamo Paolo e sono il fabbro del paese. Se proprio vuoi rischiare, vieni con me.”

 

Seguo Paolo e mano a mano che mi avvicino all’abitato si comincia a sentire un fetore nauseante. I corpi in  decomposizione sono stati spostati e bruciati, ma il forte odore non è sparito. Si sentono lamenti, pianti, grida e richieste di aiuto.

 

“Che cosa fate per chi si è ammalato?”

 

“Non possiamo fare niente. Le persone ancora sane si sono ritirate da una parte del paese, le altre sono confinate al lato opposto, e quelle che si ammalano vengono scacciate immediatamente dall’altra parte. Non sappiamo cosa fare, come curare questo male e sono morti anche gli anziani del villaggio, quelli che avrebbero potuto aiutarci a capire qualcosa. Aspettiamo che tutto finisca.”

 

Io conosco alcune  nozioni di medicina, ho letto di erbe che riescono a curare, ho studiato alcune cose e altre le ho imparate strada facendo, vorrei poter essere di aiuto a queste persone, ma non voglio illuderle.

 

“E’ meglio se mi porti dalle persone ammalate, voglio vedere con i miei occhi la malattia.”

 

Paolo mi guarda dubbioso, poi, scuote le spalle e mi fa cenno di seguirlo.

 

L’odore della malattia e della promiscuità si sente già in distanza. Mi copro il naso e la bocca con una parte del mio copricapo e guardo un bambino moribondo. Il suo respiro è breve e intenso e durerà ancora poco. Gli prendo una mano e guardo le piaghe: rosse, vive ma molto piccole.

Non conosco questa malattia, ma, forse si può fare qualcosa per chi non si è ancora ammalato.

 

“Riportami indietro, ho visto quello che mi serve.”

 

Uno sguardo pieno di dolore per quelle persone ormai quasi morte e ritorniamo sui nostri passi.

 

Mi pulisco le mani nella sabbia ardente e comincio a pensare.

 

Se la malattia comincia dalla pelle si può tentare di lavare e pulire ogni parte del corpo sperando di toglierla insieme alla sporcizia. Se invece, comincia dal di dentro, ho paura che non ci sia niente da fare.

 

Saranno un centinaio di persone quelle che ci aspettano. Hanno paura ad avvicinarsi visto che veniamo dall’altra parte del paese.

 

“Ho visto la malattia e vi dico sinceramente che non la conosco. Posso dirvi che potete cercare di rimanere sani tenendo pulita ogni parte del corpo. Passatevi sopra la sabbia ardente, le erbe che usate per disinfettare le ferite, non abbiate timore per i capelli o le parti intime, dovete togliere ogni residuo di sporcizia dal vostro corpo e, forse, riuscirete a non ammalarvi. Non so cosa altro consigliarvi e vi auguro di superare tutti questa epidemia.”

 

“Non puoi andartene ora, potresti essere contaminato e portare altrove la malattia. Resta con noi per adesso, e vediamo insieme se riusciamo a riprenderci la nostra vita.”

 

“Avete ragione, rimarrò in quarantena con voi.”

 

Cominciò così una strana convivenza. Eravamo molto numerosi ed ognuno doveva svolgere un compito per riuscire ad avere il minimo che ci serviva per sopravvivere. Cominciammo tutti a lavarci e pulirci in modo maniacale, disinfettammo anche la grande struttura che ci ospitava.

 

Il giorno dopo il mio arrivo due uomini manifestarono la malattia e furono prontamente allontanati. Non c’era molta speranza, ma nessuno voleva cedere al pessimismo.

 

Anche le persone ammalate cominciarono a pulirsi e disinfettarsi, ma nessuna di loro guarì e finirono poi, tutte incenerite.

 

Contai le persone sopravvissute, compreso me eravamo in 107, quaranta uomini. Cinquantadue donne e il resto bambini, e più nessuno si ammalò

 

Le giornate erano lente a trascorrere ed io ne approfittai per conoscere le loro storie. I bambini erano attenti ascoltatori, soprattutto quando ero io a raccontare dei miei viaggi.

Mi colpì l’attenzione che prestava una bambina cieca, dell’attenzione che metteva in tutto ciò che faceva, di come ascoltava e di come erano sempre pertinenti le sue domande.

 

“Come ti chiami piccola?”

 

“Il mio nome è Adele e non ho più i genitori, sono morti in questa epidemia. Ho dieci anni e non so con chi andrò a vivere quando tutto sarà finito, forse non ci sarà nessuno che mi vorrà visto che sono cieca.”

 

“Sei una ragazzina sveglia e intelligente e anche molto carina, vedrai che troverai un’altra famiglia, dopotutto siete rimasti in pochi. Ormai sono passate tre settimane senza altri contagiati e vedrai che presto ognuno ritornerà alle proprie case e ai propri lavori.”

 

“E tu te ne andrai via?”

 

“Certamente, mi sono fermato con voi per un po’, ma io devo andare.”

 

“Non stai bene con noi? Potrei stare con te se rimanessi qui. Perché vuoi ripartire?”

 

“Perché sto impiegando la mia esistenza in cerca di una cosa che non riesco a trovare. Sto cercando il senso della vita sai? E quando l’avrò trovato lo dividerò con tutti.”

 

“Il senso della vita? E cosa vuole dire? Scusa, ma io non capisco. Noi abbiamo così sofferto e lottato per sopravvivere e non ci siamo mai chiesti il perché, volevamo solo guarire per tornare semplicemente a vivere, poter respirare l’aria pulita, bere acqua fresca di fonte, giocare all’aperto fra i fiori e le piante, mangiare i biscotti appena sfornati e profumati di miele, avere ancora una mamma e un papà che ci ama per poter rinascere a nuova vita e di nuovo far nascere vite nuove. Riscoprire ogni giorno una nuova carezza o un nuovo dolore per essere vivi.”

 

“E tu pensi che sia tutto questo il senso della vita, piccola Adele?”

 

“Non lo so e non mi interessa. Io voglio solo che tutto torni come era prima dell’epidemia. E’ stato come se per un po’ di tempo fossimo stati dei morti viventi, avevamo paura, eravamo diffidenti anche fra di noi e voglio che tutto finisca. La mia vita, la nostra vita non vuole altro che esser vissuta con amore. Forse ti sembrerà banale. Tu hai visitato molte terre e conosciuto molte persone e quello che io spero di avere nella mia vita non lo riterrai importante ma, se volessi dare una risposta alla tua domanda ti direi semplicemente che il senso della vita è vivere senza paura.”

 

“Sei una piccola saggia. Ti auguro di vivere tutta la tua vita come desideri, e mi ricorderò sempre di te.”

 

Ora che la quarantena è finita posso riprendere il mio cammino. Porto con me la riconoscenza di questa gente, parleranno di un viandante che li ha aiutati nella loro disgrazia come io ricorderò anche questa preziosa esperienza.

 

Ho un nuovo bastone, la bisaccia con molte vivande, sandali nuovi e il loro augurio di proseguire il mio viaggio.

 

“Salute a tutti voi.” Giro loro le spalle e riprendo la via.

Fiaba per adulti scritta da Milena Ziletti - diritti e proprietà a lei riservati - immagine dal web

martedì 8 giugno 2021

ARMANDO

 ARMANDO

parte sei



E’ la prima volta che vedo la morte così da vicino e non so cosa pensare.

Mi guardo intorno e vedo tanto orrore, tanto dolore, e la paura si respira come ne fosse impregnata tutta l’aria che mi circonda.

Ogni uomo, ogni giovane o vecchio morto o ferito su quel campo di battaglia, porta la fine di una storia con sé. La famiglia, gli amici, la terra da coltivare o gli animali da accudire, tutto è finito su quel campo, tutto è concluso dalla mano che ha ucciso un proprio fratello.

E mi torna alla mente l’amore di quegli eremiti che mai avrebbero potuto fare tutto questo. Avranno avuto ragione loro? Il senso della vita era quello che loro avevano adottato?

 

Sento lo scalpiccio di zoccoli di cavallo e un guerriero si avvicina a guardare cosa succede.

 

“Chi sei tu? Cosa stai facendo?”

 

“E tu, signore, che cosa hai fatto?”

 

“Io sono il signore e padrone di queste terre. Da oggi padrone e signore anche di questo piccolo pezzo di terra. Questi pezzenti non volevano diventare miei sudditi, volevano essere padroni dei loro piccoli averi, ma io sono il più forte e ho fatto valere la mia forza. E tu, dimmi, chi sei?”

 

“Sono un semplice e umile viandante. Vago per il mondo in cerca di risposte, cerco il senso della vita ed oggi, ho trovato solo morte.”

 

“E vai i giro disarmato? Cosa credi di ottenere senza armi e potere? Il senso della vita stai cercando? Ebbene guardati intorno e lo vedi in ogni più piccolo angolo. IO Sono il senso della vita. IO che ottengo ciò che voglio. IO che mi arricchisco e acquisisco potere. IO che sono padrone di vita e di morte di ogni uomo e donna che calpestano i miei possedimenti. IO che posso avere qualsiasi donna voglio. IO che decido se tu puoi uscire vivo da questo campo di battaglia. Dimmi, che cosa mi impedisce di trafiggerti dritto nel cuore?”

 

“Niente te lo può impedire, signore. Come tu dici hai potere assoluto e puoi fare ciò che vuoi, ma dimmi, potente signore, hai qualcuno che ti ama?”

 

“Io non ho bisogno di nessuno. L’amore lo prendo e lo lascio come voglio, ho due figli e una moglie, cosa credi, che sia un primitivo?”

 

“Tutti possono avere quello che tu ti sei conquistato con ferro e con fuoco, ma tu non conosci il valore dell’amore vero e disinteressato.

 Signore, appena le tue forze si appanneranno ci sarà qualcuno pronto a trafiggere il tuo cuore, senza pietà e senza  sentimento, proprio come tu hai fatto da sempre con gli altri. Nessuno avrà riconoscenza, e non ti riserverà trattamento migliore di quello che tu hai sempre avuto con gli altri. Credi di essere il più forte, quello che ha tutto e si prende senza scrupoli quello che gli manca, ma non hai niente se devi dormire con la porta sprangata per paura di essere ucciso nel sonno.”

 

“Nessuno nel mio castello, oserebbe farmi del male.”

 

“E allora, perché hai paura?”

 

Gli occhi di quel guerriero lampeggiarono e lui alzò la spada per colpirmi. Nessuno lo aveva mai così contraddetto. E mentre si avvicina per finirmi come gli altri caduti su quel misero terreno bagnato di sangue il mio sguardo non lascia mai i suoi occhi. Non ho paura, se qui devo finire la mia vita che così sia, ma non abbasserò lo sguardo.

 

“Straniero, io non ho paura, sprango la porta perché  sono solo prudente.” Gira il cavallo e si allontana verso i suoi soldati.

 

I vincitori si ritirano con alcuni prigionieri e su quel campo devastato da corpi mutilati e feriti cominciano ad arrivare le donne in cerca di superstiti, di mariti, figli, amici; ed è un unico lamento che accompagna la ricerca.

 

Mio Dio, ma a cosa può arrivare un essere umano? Perché tanta distruzione, tanto dolore solo per avere potere sugli altri? Che senso ha tutto questo? Non è certamente quello che sto cercando. Intanto cerco di rendermi utile aiutando chi posso.

 

Circondato dai lamenti dei ferirti, delle donne e dei bambini mi inginocchio levando lo sguardo verso il cielo mandando a Dio la mia umile preghiera: “fa, oh Signore, che mai più debba vedere scene come questa, illumina i cuori e le menti di tutti gli uomini e riempili di vero Amore.”

 

E’ un bambino che si avvicina in lacrime. “Non trovo mio padre e mia madre è disperata, vieni con noi a casa, aiutaci, te ne prego.”

 

Prendo per mano quel bambino e lo accompagno dalla madre inginocchiata vicino al cadavere di suo marito. Alza verso di me occhi colmi di lacrime e di dolore. Abbraccia suo figlio e, insieme, se ne tornano alla loro casa. Io non li seguo. Non è là che devo andare. Appena avrò aiutato a seppellire i morti, riprenderò il mio cammino.

 

Ho 25 anni, sto viaggiando per il mondo da tanto tempo e non avevo ancora incontrato la morte così violenta. Per chi ha lasciato la vita su quel campo di battaglia cercando di difendere quel poco che possedeva, la vita è stata veramente crudele. “Il senso della vita” ripeto nella mia mente, ma oggi ho trovato il non senso della morte.

 

Due giorni sono serviti per sotterrare i morti e aiutare i feriti ed io, riprendo il mio cammino.

 

Dove mi porterà ora questa strada? Cosa incontrerò nei miei lunghi giorni e notti solitari? Vorrei arrendermi, sono talmente stanco! Ma il mio bastone è come se mi trascinasse per quelle vie polverose, ed io lo seguo, perché ancora non ho trovato quello che sto cercando.

 

Sembra che il mondo sia cambiato. Ora non vedo più solo cose belle e positive, persone amichevoli e vecchi che hanno voglia di parlare, mi sembra che l’esperienza appena vissuta mi abbia cambiato, fatico anche  a vedere il lato buono delle persone. Quel guerriero a cavallo con il suo modo di concepire la vita è riuscito a mordermi nell’anima. Quanti uomini ci sono al mondo che somigliano a lui? Saranno loro a prendere il sopravvento su questa terra? E se così fosse, cosa ne sarà di tutti quegli uomini e quelle donne che vogliono solo vivere una vita in pace e armonia? Perché ci deve essere sempre il prepotente e le persone umili e per bene che devono subire? Perché questa ingiustizia? Sto forse cercando quello che non c’è su questa terra? 

 

Cammino e cammino, passando per villaggi e grandi paesi, vedendo in ogni luogo un po’ di bene e un po’ di male, di felicità e di tristezza, di dolore e di gioia ma non trovo il luogo perfetto. Quanta strada e quanta polvere devo ancora respirare per riuscire a trovare quel senso della vita che potrebbe aiutare il mondo intero?

 

E mentre mi avvicino ad un nuovo villaggio mi viene incontro un uomo con grosse cicatrici sul volto.

Fiaba per adulti scritta da Milena Ziletti - diritti e proprietà a lei riservati - immagine dal web

lunedì 7 giugno 2021

ARMANDO

 ARMANDO

parte quattro



La mia giovinezza la trascorro sulle strade impolverate, immerso in notti stellate e fresche, con uccelli notturni a farmi compagnia e lucciole che brillano nel buio. La generosità della gente che incontro mi lascia sempre commosso, c’è sempre qualcuno che mi da un pezzo di pane o mi ripara i sandali, che mi offre un giaciglio e un augurio di buona fortuna.

 

Ho vent’anni e ne ho visto di mondo! Ho ascoltato leggende, ho visto moltitudini di persone, una natura selvaggia e incontaminata, animali liberi o al giogo; sono in viaggio da otto anni e ancora non sono riuscito a trovare quello che cerco.

E’ da tempo che dormo per strada e sono un po’ affaticato. Ho bisogno di riposarmi e da lontano vedo un convento di eremiti.

 

Al mio timido bussare compare un giovane. “Posso avere un rifugio presso di voi per qualche giorno? Sono un viandante e sono stanco. Mi sdebiterò aiutandovi con qualche lavoro.”

 

“Entra fratello, questa casa è aperta a chi entra con spirito di pace e di amore. Siamo poveri, ma saremo felici di dividere con te quello che possediamo.”

 

Una piccola cella, un letto e un catino di acqua. Tutto questo è un gran lusso e mi sdraio sul letto addormentandomi di colpo.

 

Un timido bussare e un fratello mi chiede di seguirlo. Nella mensa ci sono altri fratelli seduti che aspettano me per iniziare a mangiare. Si mangia e si prega contemporaneamente e c’è un gran silenzio che circonda ogni cosa.

 

Mi istruiscono sulle abitudini del convento e mi dicono che posso restare per alcuni giorni con loro. Potrò aiutarli con le capre, di sicuro non mi sono dimenticato di come si mungono e di come si fanno i formaggi.

 

Nella quiete di questo posto osservo il lavoro e le preghiere di queste persone. Ognuno ha un compito da svolgere, tutti sono sereni e cordiali, vivono fuori dal mondo rinchiusi fra le mura che li proteggono da quello che all’esterno è l’altra vita.

 

E’ piacevole rimanere con loro: nessuna fretta, regole condivise, amore fraterno, aiuto ai più poveri. Che sia questo il senso della vita? Sono arrivato fin qui per scoprire che il senso della vita è fatto di preghiere, di vita semplice, di lavoro condiviso e di tanto amore verso il prossimo?

E mentre penso a tutto questo, un giovane mi accompagna dal fratello anziano.

 

Un lieve bussare ed entro in una biblioteca con magnifici libri e dipinti. Mi guardo intorno meravigliato e affascinato da tanta bellezza e il mio viso esprime tutto ciò che il mio cuore sta provando.

Un uomo anziano si avvicina e mi baca le guance.

“Come ti trovi con noi fratello viandante?”

 

“Mi trovo bene, ho riposato, ho pregato, ho lavorato con voi e ho anche molto meditato.”

 

“A che proposito hai meditato? Cos’è che ti brucia dentro l’anima?”

 

“E’ la ricerca che sto portando avanti. Non riesco a progredire. Sto cercando il senso della vita e credevo di averlo trovato qui con voi, ma non ne sono sicuro.”

 

“Perché non ne sei sicuro? Hai visto come viviamo: siamo in pace con Dio, con noi stessi e con tutti i fratelli, preghiamo per tutti e aiutiamo chiunque possiamo. Siamo felici di quello che possediamo, non ci manca niente e le preghiere e la meditazione ci riempiono i vuoti che possiamo avere. Il senso della vita è questo: stare bene con Dio e con il mondo.”

 

“Quello che fate e che siete è veramente stupendo nella sua semplicità, ma non credo che sia quello che cerco. Se io mi fermassi con voi riempirei quello che di spirituale mi manca, ma non ci sarebbe niente delle cose terrene che servono per essere completi. Cerco il senso della vita, e sono sicuro che coniughi spiritualità e cose terrene, e qui, entrambe non ci sono. Domani riprenderò il mio viaggio. Vi ringrazio per avermi ospitato con tanta gentilezza, mi serviva un periodo di riposo e di riflessione e anche di preghiera, ma ora devo riprendere la mia ricerca.”

 

Il buon fratello, con il suo sorriso sempre impresso negli occhi e nel cuore, mi guarda con amore, mi abbraccia e mi benedice, ricordandomi la benedizione di mia madre di tanti anni prima.

 

“Buon viaggio fratello viandante, prendi un nuovo mantello prima di ripartire, ti accompagneremo con le nostre preghiere.”

 

“Grazie di tutto, anch’io mi ricorderò di voi.”

 

Arricchito di nuove esperienze e con nuovi pensieri e meditazioni, riprendo il mio viaggio,  speranzoso che presto troverò ciò che cerco.

 

Riprendo la mia vita di viandante, e mi fermo in molti paesi vicino alla fonte ad ascoltare quel che succede e a quel che la gente pensa. Sono sicuro che scaturirà da una piccola scintilla quello che mi servirà per capire che sono arrivato.

 

I tempi sono cambiati. Si vedono in giro persone di dubbia reputazione. Io viaggio da solo e con me non porto niente di valore e, a parte qualche mala parola di qualcuno, per il resto sono lasciato in pace.

 

Ho 25 anni e comincio a tirare le somme di quel che conosco, di quello che ho visto e ho ascoltato. Non trovo niente che possa illuminarmi, solo il solito modo di vivere. C’è chi sta meglio e chi peggio, chi è più ricco e chi è più povero, chi ha salute e chi è ammalato, chi è triste e chi no, chi si ama e chi si odia, bambini che nascono e gente che muore: possibile che la vita sia solo questo? Sono in viaggio da tanti anni e ancora non ho trovato il minimo segnale di quello che cerco. Dove devo andare per trovarlo?

 

Intanto percorro nuove strade, incontro nuova gente e sento parlare di battaglie e di guerre, ma io non le conosco.

 

E’ uno strano paese questo che mi sta ospitando. Gente guardinga, diffidente, che viene alla fonte ma non si attarda in chiacchiere o giochi, che cosa sta succedendo?

 

Poi capisco. In lontananza si sentono i clangori di una battaglia, grida di soldati e galoppo di cavalli. Mi incammino verso questo rumore e quando arrivo non mi capacito di quello che vedo.

 

La battaglia è finita ma deve esser stata tremenda. Il campo è disseminato di corpi. Uomini feriti gridano i loro lamenti in cerca di aiuto. Uomini fatti prigionieri sono tenuti insieme da lunghe catene. Si sente l’odore del sangue umano e della paura. Un miscuglio di odori, suoni e sensazioni che fanno rizzare i capelli sulla testa.

Mi guardo intorno non sapendo cosa fare. Le grida dei feriti mi straziano l’anima e vorrei aiutare qualcuno ma non riesco a staccare i piedi da terra e fare pochi passi.

 

“Acqua, datemi dell’acqua”. Qualcuno mi chiede da bere e mi avvicino con la mia borraccia.

 

“Chi sei? Sei un angelo?” mi chiede un uomo ormai moribondo.

 

“Sono solo un amico, bevi un sorso d’acqua.”

 

Con sforzo gli alzo la testa per versare un po’ d’acqua su quel viso insanguinato, ma è tutto inutile e mi spira fra le braccia.


fiaba per adulti scritta da Milena Ziletti - diritti e proprietà a lei riservati - immagine dal web

sabato 5 giugno 2021

ANNO 2050 PRIMAVERA INOLTRATA

 

Anno 2050, primavera inoltrata.



La vita è cambiata, il passato è storia remota.

Ogni mattina, quando Anna, Renato, e il loro figlio Francesco si svegliano trovano sul monitor collegato al governo quello che è loro permesso fare quel giorno.

Mentre fanno colazione scorrono le informazioni, si avvicinano al telecomando e lo passano sul braccio dove hanno il micro chip. Pochi secondi e il monitor mette in evidenza il loro numero di codice e possono leggere quello che esattamente per loro è stato programmato quel giorno. E’ una giornata bellissima. Fuori dalla finestra il sole comincia ad illuminare un parco di alberi maestosi, sembrano proprio veri, così come il canto dei passeri e dei merli che viene diramato con mini altoparlanti posizionati nelle fronde finte degli alberi finti. Beati quelli che possono vivere in campagna, loro almeno qualche albero vero ancora ce l’hanno.

La lista per questa famiglia è molto dettagliata:

colazione e igiene personale, vestirsi tutti di azzurro, non uscire di casa prima delle dieci, passeggiata nel parco tenendo ben visibile il viso per le telecamere col riconoscimento facciale, seguire la pista con le strisce azzurre che li porterà ad una fontana con la panchina prenotata per loro dalle ore 10.30 alle ore 11.00. poi dovranno seguire il percorso con la linea gialla fino alle ore 11.30, dopo di chè, seguendo la linea viola torneranno a casa. Troveranno sulla porta il cibo per il pranzo e per la cena e dovranno rimanere in casa fino alle ore 16. Potranno guardare la tv, i programmi sono pronti e preparati appositamente per loro. Alle ore 16.05 potranno di nuovo uscire e incontrare gli amici con i codici che troveranno in fondo al comunicato. Rientreranno a casa per le ore 18.30, mangeranno e riprenderanno a guardare la tv. Alle ore 21.30 Francesco deve andare a letto mentre loro potranno rimanere in piedi fino alle ore 22.30, dopo di chè tutto verrà spento. Questa sera, sarà loro permesso di fare sesso, e per questo troveranno la luce soffusa per 30 minuti.

Tutto programmato, e tutto sotto controllo, niente deve esulare da quello che il governo ha stabilito.

Vi sembra esagerato?

Anno 2020. Lucia, Claudio col figlio Andrea DEVONO, indossare la mascherina, tenere le distanze, non uscire di casa se non un solo componente per la spesa necessaria. 200 metri a disposizione all’aperto per portare fuori il cane, rientrare e guardare la tv che trasmette solo quello che il governo vuole. Vietato ristorante, vietato bar, vietato sport, vietata vita sociale. Scuole chiuse  e lezioni solo a distanza. Personale militare a controllare che tutte le regole vengano rispettate. Il lavoro solo per chi ce l’ha, e gli altri qualche spicciolo calato dall’alto. Divieti, divieti, divieti, e indottrinamento televisivo.

Anno 2021. Lucia, Claudio col figlio Andrea non si sono mai ammalati, hanno cercato di vivere una vita sana, stare all’aperto il più possibile, aumentare le difese immunitarie e non hanno guardato la tv.

Ora c’è un altro ritornello: bisogna fare il vaccino. Dal solito monitor vengono decantate le proprietà salvifiche di questo siero, anche se ancora sperimentale e una grande massa corre per farselo iniettare, ma loro tre non lo vogliono fare.

Obbligo fare i tamponi, obbligo delle maschere, obbligo mantenere le distanze, divieto abbracci, baci e ritrovi famigliari, orari del coprifuoco, ordini che arrivano come sciabolate impongono il numero dei commensali, di quante persone si possono incontrare, quante volte al giorno, in quali giorni e mai di domenica. La messa solo in tv e la chiesa complice di tutto questo per tenere sottomessa la gente. I viaggi sono proibiti perfino fra comune e comune, impensabili fra regioni o fuori dal territorio se non si è marchiati. E la gente accetta, dopotutto c’è la morte nera se non si obbedisce.

E’ cominciato tutto così, un po’ alla volta hanno ridotto il cervello delle persone a semplice ricettore di ordini tramite il chip. Robottini senza anima, senza cuore e senza cervello, docili come le pecore che nel 2050 hanno più libertà degli umani. Nessuno si ribella, il chip tiene basse le vibrazioni vitali, e il brutto è che sono state le persone stesse che lo hanno voluto, che sono accorse in massa per farselo impiantare, ed ora è irreversibile.

Primavera inoltrata dell’anno 2050, Anna e Renato, avvolti dalla luce soffusa si avvicinano e cominciano ad accarezzarsi, devono fare sesso, lo sanno che il loro chip trasmette ogni cosa, che tutto viene registrato e se disobbediscono non sanno quando potranno riavere la luce soffusa, era da un mese intero che l’aspettavano. Si amano, fanno sesso, mentre le lacrime bagnano i loro cuscini. L’emozione dell’orgasmo risveglia in loro segni vitali che ancora albergano in alcuni ricordi non cancellati del tutto. Renato asciuga gli occhi di Anna, le bacia il collo, non possono rifare ancora una volta sesso, la luce soffusa ora è stata spenta. Si tengono per mano e lui  bisbiglia come siamo arrivati a tutto questo? Anna gli stringe la mano. Lo sai benissimo, amore mio. E’ iniziato tanti anno fa e nel 2020 c’è stato l’ultima tappa, quella che ci ha portati qui. Ora siamo solo robot.

 Racconto scritto da Milena Ziletti - diritti e proprietà a lei riservati - immagine dal web