ARMANDO
parte nove
“Straniero, ti sei seduto
sotto il mio albero, fammi un po’ di posto.”
Gli lascio spazio e il mio
sguardo ritorna a quella muraglia.
“Cosa guardi straniero? Non
sai cos’è quello?”
“Non ho mai visto niente di
simile, è talmente vasto che ci possono vivere all’interno almeno cinque grandi
città, tu sai di cosa si tratta?”
“Sicuro. Io vengo proprio da
là!”
“Mi chiamo Armando e sono un
viandante, vorresti raccontarmi di cosa si tratta? E tu come ti chiami?”
“Mi chiamo Serafino e, se
vuoi, ti racconto la storia della Città Chiusa”.
“Come hai notato è un
territorio molto vasto e tutto circondato da alte e insormontabili mura,
nessuno ci può entrare, solo uscire, e per non farci mai più ritorno. Là vivono
alcune centinaia di persone e, ti assicuro, vivono una vita molto piacevole. Non
hanno bisogno di nulla dall’esterno, sono autosufficienti in tutto e ognuno
lavora per quello che vuole e per tutta la comunità. Ci sono due capi che
tengono tutto sotto controllo e fanno rispettare le loro leggi. Nella Città
Chiusa non esistono malattie, vecchiaia, tristezza o stanchezza, tutti sono
felici e vivono come vogliono. Le case sono sempre aperte, gli uomini possono
avere le donne che vogliono e anche per le donne è lo stesso. Nascono molti
bambini ma non vengono tenuti in famiglia, vengono allevati da un gruppo di
donne e nessuno sa di chi è figlio. Vengono istruiti e avranno il loro posto
già predestinato nella comunità. Se ci sono bambini malati o incapaci vengono
allontanati dalla città. Ogni mese si apre il Grande Portone e fanno uscire i
vecchi che non servono più, i malati che turbano l’armonia della loro
esistenza, perché la vita dentro
Anch’io sono uscito da quel
portone, esattamente due anni fa, quando non sono più stato in grado di fare il
mio lavoro. Se ti guardi intorno vedrai solo vecchi e storpi, tutti usciti
dalla Città Chiusa e aspettiamo la nostra fine.”
“E nessuno si è mai
ribellato?”
“E come avremmo potuto?
Questa è la legge!”
“E come si svolge la vita
nella Città Chiusa? Come viene eletto il capo? Chi fa rispettare le leggi? Chi
svolge i lavori dei campi o impasta il pane o pesta l’uva per il vino?”
“Nella Città Chiusa esiste
solo una legge: ognuno deve fare il proprio lavoro, prendersi il divertimento
che preferisce e vivere come vuole senza turbare gli altri. Il Capo non è
eletto ma è una dinastia. Tutti i lavori vengono svolti allegramente perché
ognuno sa che a fine giornata potrà fare quello che vuole: bere, ballare,
cantare, accoppiarsi con chi vuole. Ti garantisco che sono tutti molto felici,
anch’io lo sono stato.”
“Quando usciamo da quel
portone non riusciamo ad allontanarci troppo e viviamo nel rimpianto di quello
che abbiamo lasciato. Il desiderio di rientrarci è molto forte ma mai a nessuno
è stato permesso. Viviamo qui, in queste capanne, aspettando i prossimi che
escono per ascoltare le ultime novità e aiutarli a integrarsi nel nostro
piccolo gruppo. Siamo in pochi, perché vecchi e malati e terminiamo la nostra
vita con il pensiero sempre rivolto a quello che abbiamo lasciato oltre quelle
mura.”
“A me, sembra una barbarie!”
“Ma cosa dici Armando? E’ la
migliore vita che un uomo possa desiderare. Vivi alla grande e ti garantisco e
che non cambierei una virgola della mia vita.”
“Eppure ora sei qui, vecchio
e malandato, senza nessuno che si curi di te, vivendo di nostalgia e guardando
solo al passato, eppure hai ancora molti anni da vivere, cosa pensi di fare
della tua vita futura?”
“La mia vita, come quella di
tutti quelli che sono qui, è finita nel momento stesso in cui abbiamo varcato
quel portone. Qui non c’è vita, solo sopravvivenza, nell’attesa che scenda su
di noi la morte e ci riporti nella Città Chiusa sottoforma di spirito. Solo
allora potremo vivere in eterno ripetendo quello che abbiamo fatto nella
Città.”
“E tu ci credi? Quando uno è
morto è morto e basta, mi sembra solo una bella favoletta confezionata apposta
per voi.”
“Tu non puoi capire, sei
straniero, ma una volta che hai vissuto nella Città Chiusa, non puoi desiderare
altro, e ti garantisco che ci tornerò da spirito. Non pretendo che tu mi dia
ragione, ma questa è l’unico motivo che ci impedisce di impazzire.”
“Io sto cercando da molti
anni il senso della vita e dispero di riuscire a trovarlo e…”
“Armando, non puoi avere
dubbi:
“Ti ringrazio Serafino,
accetto la tua offerta e rimango un po’ con voi, sperando di capire quello che
tu e tutti gli altri portate dentro al vostro cuore. Non so se ci riuscirò, ma
tenterò di capire, perché se è come dici tu dovrò insegnarlo a tutto il mondo.”
“Bene, noi ti aiuteremo.”
La cena è veramente poca cosa
e la consumiamo tutti insieme. Saremo una cinquantina di persone e ognuno
racconta con nostalgia la vita passata oltre quelle mura. Anche qui cercano di
portare avanti le usanze che di là hanno lasciato, ma ora sono vecchi e malati e
vivono insieme e in armonia aspettando la loro morte.
Serafino mi racconta che
nella Città Chiusa era usanza festeggiare
“Ma dimmi Serafino, con il
vostro modo di procreare e crescere i bambini è logico che ci si accoppiasse
anche fra consanguinei, non è contro natura?”
“Niente fra quelle mura è
contro natura. Però è vero quello che dici e molti bambini nascono malati o già
invalidi e ne vengono allontanati molti, è per questo che servono numerose
nascite.”
“Tutto questo non mi convince
e non mi piace. Gli anziani hanno diritto ad essere accuditi, gli ammalati
devono essere curati e deve esistere l’amore coniugale e l’amore dei figli per
i loro padri. No Serafino, proprio non mi piace.”
“Che cos’è l’amore
coniugale?”
“Ah Serafino! Io proprio non
posso spiegartelo, ma è la base di tutto, è l’amore più grande, quello che
genera figli e che li ama, mi dispiace dirtelo ma a voi, anche se pensate di
avere tutto e vivere la vita più bella manca il sentimento più importante: la
devozione.”
“Beh Armando, io non conosco
la devozione o l’amore coniugale, ma ti assicuro che non mi mancano. Ho vissuto
una vita meravigliosa e aspetto che la morte mi riporti di là, cosa può esserci
di meglio?”
“Hai ragione, niente è meglio
della propria ignoranza. Ma di una cosa sono sicuro, non è quello che cerco. Mi
fermerò con voi ancora per qualche giorno, voglio vedere con i miei occhi
spalancarsi il Grande Portone e conoscere le persone che escono, poi ripartirò
e vi ringrazio della vostra ospitalità.”
Passai con loro circa dieci
giorni prima che si aprisse il Portone. Vedere quella gente, vecchia, storpia e
malata contenta ed in attesa di morire per ritornare nella Città Chiusa mi
rendeva triste. Non facevano niente, il minimo indispensabile per una grigia
sopravvivenza, il cibo era scarso e, chi poteva, continuava ad accoppiarsi
illudendosi di poter essere ancora di là.
Poi, finalmente il Portone si
aprì. Uscirono tre uomini e due donne con in braccio tre neonati malati che
sarebbero morti entro breve, perché non c’era niente che li potesse aiutare.
Fra di loro si riconobbero e
iniziarono a parlare della loro vita ed il ritornello era sempre lo stesso: il
ritorno. Non posi loro nessuna domanda, oramai sapevo già le loro risposte e,
quella sera, salutai tutti per riprendere il mio cammino.
Quella notte, nella capanna
più grande ci furono festeggiamenti e orge, mentre quei poveri neonati, uno
alla volta morivano nell’indifferenza di tutti. E questo doveva essere il senso
della vita? Ero sconvolto e addolorato e li abbandonai senza rimpianti.
Favola per adulti scritta da Milena Ziletti - Diritti e proprietà a lei riservati - immagine dal web
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