ARMANDO
parte sette
“Dove stai andando straniero?
Chi sei? Da dove vieni? Perché sei arrivato fino a qui?”
Sono molte domande tutte in
una volta, c’è qualcosa che non capisco.
“Mi chiamo Armando e sono un
viandante, vorrei conoscere il riposo vicino alla fonte del tuo villaggio.”
“Se tieni alla tua salute,
voltati e torna da dove sei venuto. C’è un’epidemia sconosciuta in paese, è
meglio per te se te ne vai.”
“Di che cosa si tratta?”
“Nessuno lo sa, ma stanno
morendo in tanti dopo atroci sofferenze e piaghe su tutto il corpo. Io sono
l’unico ad essere guarito, ma nessun altro che è stato contaminato ce l’ha
fatta. Se tu fossi un guaritore saresti il benvenuto, altrimenti è meglio se te
ne vai.”
“Voglio vedere con i miei
occhi quello che succede per poterlo poi raccontare. Che viaggiatore sarei se
mi spaventassi davanti agli imprevisti? Fammi strada e ti seguirò. Come ti
chiami?”
“Mi chiamo Paolo e sono il
fabbro del paese. Se proprio vuoi rischiare, vieni con me.”
Seguo Paolo e mano a mano che
mi avvicino all’abitato si comincia a sentire un fetore nauseante. I corpi
in decomposizione sono stati spostati e
bruciati, ma il forte odore non è sparito. Si sentono lamenti, pianti, grida e
richieste di aiuto.
“Che cosa fate per chi si è
ammalato?”
“Non possiamo fare niente. Le
persone ancora sane si sono ritirate da una parte del paese, le altre sono
confinate al lato opposto, e quelle che si ammalano vengono scacciate
immediatamente dall’altra parte. Non sappiamo cosa fare, come curare questo
male e sono morti anche gli anziani del villaggio, quelli che avrebbero potuto
aiutarci a capire qualcosa. Aspettiamo che tutto finisca.”
Io conosco alcune nozioni di medicina, ho letto di erbe che
riescono a curare, ho studiato alcune cose e altre le ho imparate strada
facendo, vorrei poter essere di aiuto a queste persone, ma non voglio
illuderle.
“E’ meglio se mi porti dalle
persone ammalate, voglio vedere con i miei occhi la malattia.”
Paolo mi guarda dubbioso,
poi, scuote le spalle e mi fa cenno di seguirlo.
L’odore della malattia e
della promiscuità si sente già in distanza. Mi copro il naso e la bocca con una
parte del mio copricapo e guardo un bambino moribondo. Il suo respiro è breve e
intenso e durerà ancora poco. Gli prendo una mano e guardo le piaghe: rosse,
vive ma molto piccole.
Non conosco questa malattia,
ma, forse si può fare qualcosa per chi non si è ancora ammalato.
“Riportami indietro, ho visto
quello che mi serve.”
Uno sguardo pieno di dolore
per quelle persone ormai quasi morte e ritorniamo sui nostri passi.
Mi pulisco le mani nella
sabbia ardente e comincio a pensare.
Se la malattia comincia dalla
pelle si può tentare di lavare e pulire ogni parte del corpo sperando di
toglierla insieme alla sporcizia. Se invece, comincia dal di dentro, ho paura
che non ci sia niente da fare.
Saranno un centinaio di
persone quelle che ci aspettano. Hanno paura ad avvicinarsi visto che veniamo
dall’altra parte del paese.
“Ho visto la malattia e vi
dico sinceramente che non la conosco. Posso dirvi che potete cercare di
rimanere sani tenendo pulita ogni parte del corpo. Passatevi sopra la sabbia
ardente, le erbe che usate per disinfettare le ferite, non abbiate timore per i
capelli o le parti intime, dovete togliere ogni residuo di sporcizia dal vostro
corpo e, forse, riuscirete a non ammalarvi. Non so cosa altro consigliarvi e vi
auguro di superare tutti questa epidemia.”
“Non puoi andartene ora,
potresti essere contaminato e portare altrove la malattia. Resta con noi per
adesso, e vediamo insieme se riusciamo a riprenderci la nostra vita.”
“Avete ragione, rimarrò in
quarantena con voi.”
Cominciò così una strana
convivenza. Eravamo molto numerosi ed ognuno doveva svolgere un compito per
riuscire ad avere il minimo che ci serviva per sopravvivere. Cominciammo tutti
a lavarci e pulirci in modo maniacale, disinfettammo anche la grande struttura
che ci ospitava.
Il giorno dopo il mio arrivo
due uomini manifestarono la malattia e furono prontamente allontanati. Non
c’era molta speranza, ma nessuno voleva cedere al pessimismo.
Anche le persone ammalate
cominciarono a pulirsi e disinfettarsi, ma nessuna di loro guarì e finirono
poi, tutte incenerite.
Contai le persone
sopravvissute, compreso me eravamo in 107, quaranta uomini. Cinquantadue donne
e il resto bambini, e più nessuno si ammalò
Le giornate erano lente a
trascorrere ed io ne approfittai per conoscere le loro storie. I bambini erano
attenti ascoltatori, soprattutto quando ero io a raccontare dei miei viaggi.
Mi colpì l’attenzione che
prestava una bambina cieca, dell’attenzione che metteva in tutto ciò che
faceva, di come ascoltava e di come erano sempre pertinenti le sue domande.
“Come ti chiami piccola?”
“Il mio nome è Adele e non ho
più i genitori, sono morti in questa epidemia. Ho dieci anni e non so con chi
andrò a vivere quando tutto sarà finito, forse non ci sarà nessuno che mi vorrà
visto che sono cieca.”
“Sei una ragazzina sveglia e
intelligente e anche molto carina, vedrai che troverai un’altra famiglia,
dopotutto siete rimasti in pochi. Ormai sono passate tre settimane senza altri
contagiati e vedrai che presto ognuno ritornerà alle proprie case e ai propri
lavori.”
“E tu te ne andrai via?”
“Certamente, mi sono fermato
con voi per un po’, ma io devo andare.”
“Non stai bene con noi?
Potrei stare con te se rimanessi qui. Perché vuoi ripartire?”
“Perché sto impiegando la mia
esistenza in cerca di una cosa che non riesco a trovare. Sto cercando il senso
della vita sai? E quando l’avrò trovato lo dividerò con tutti.”
“Il senso della vita? E cosa
vuole dire? Scusa, ma io non capisco. Noi abbiamo così sofferto e lottato per
sopravvivere e non ci siamo mai chiesti il perché, volevamo solo guarire per
tornare semplicemente a vivere, poter respirare l’aria pulita, bere acqua
fresca di fonte, giocare all’aperto fra i fiori e le piante, mangiare i
biscotti appena sfornati e profumati di miele, avere ancora una mamma e un papà
che ci ama per poter rinascere a nuova vita e di nuovo far nascere vite nuove.
Riscoprire ogni giorno una nuova carezza o un nuovo dolore per essere vivi.”
“E tu pensi che sia tutto
questo il senso della vita, piccola Adele?”
“Non lo so e non mi
interessa. Io voglio solo che tutto torni come era prima dell’epidemia. E’
stato come se per un po’ di tempo fossimo stati dei morti viventi, avevamo
paura, eravamo diffidenti anche fra di noi e voglio che tutto finisca. La mia
vita, la nostra vita non vuole altro che esser vissuta con amore. Forse ti
sembrerà banale. Tu hai visitato molte terre e conosciuto molte persone e
quello che io spero di avere nella mia vita non lo riterrai importante ma, se
volessi dare una risposta alla tua domanda ti direi semplicemente che il senso
della vita è vivere senza paura.”
“Sei una piccola saggia. Ti
auguro di vivere tutta la tua vita come desideri, e mi ricorderò sempre di te.”
Ora che la quarantena è
finita posso riprendere il mio cammino. Porto con me la riconoscenza di questa
gente, parleranno di un viandante che li ha aiutati nella loro disgrazia come
io ricorderò anche questa preziosa esperienza.
Ho un nuovo bastone, la
bisaccia con molte vivande, sandali nuovi e il loro augurio di proseguire il
mio viaggio.
“Salute a tutti voi.” Giro
loro le spalle e riprendo la via.
Fiaba per adulti scritta da Milena Ziletti - diritti e proprietà a lei riservati - immagine dal web
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