IL SEGRETO DELLA LUNA
parte ventuno
Un’altra
torrida giornata di duro lavoro era finalmente terminata. L’afa era palpabile, ormai
tutti se erano resi conto che stava arrivando un temporale. Gli uomini nei
campi avevano lavorato alacremente per mettere al riparo il raccolto e stavano
riposando nelle loro case.
Gastone
stava mangiando con Cincia quando si sentì, in lontananza il primo tuono.
“Dovrai
prenderti cura di Rufus, io devo uscire.”
Cincia non
rispose e si sedette sul sofà con il cane ai suoi piedi.
La pioggia
scrosciava furiosa quando l’uomo uscì di casa, passando dal suo casotto per
prendere la sua sacca già pronta, lanciò uno sguardo al ripiano di metallo
appoggiato al muro, presto gli sarebbe servito.
Era fradicio
quando arrivò al convento e passò oltre la muraglia. Entrò nella cappella senza
difficoltà e si tolse gli abiti bagnati, prese dalla sacca quello che gli serviva
ed entrò nella catacomba di quei bastardi. Aveva acceso una torcia e cominciò
ad ispezionare quel posto. Già conosceva l’ubicazione delle mensole coi vasi
contenenti gli occhi, e la grande tavola con le sedie intorno. Alzò la luce
verso la grande parete che riproduceva il loro simbolo e lo osservò
attentamente. Mille pensieri e tanta rabbia gli passarono nella mente, il
dolore gli trafisse il cuore, era inutile, lui cercava di tenerlo a bada ma
quello si ripresentava in ogni istante. Ispezionò tutto con calma e trovò
quello che cercava. Una cassapanca era spostata dal muro e lui poteva starci
benissimo dietro. Era al lato destro del capo ed aveva una buona visuale,
soprattutto avrebbe potuto ascoltare tutto quello che si dicevano. Vi pose una
vecchia coperta e la lasciò lì, lui sarebbe arrivato prima della prossima
riunione, e ci sarebbe stato comodo, sapeva che, stavolta non poteva uscire
prima ma solo dopo che tutti se ne fossero andati.
Ripassò
davanti ai ripiani e si fermò a guardare gli occhi di sua figlia che
galleggiavano nel liquido dentro al vaso, avrebbe voluto allungare la mano ed
accarezzarli ma sapeva che non lo poteva fare, era ora di andarsene prima che
l’alba, e in estate sorgeva presto, lo cogliesse in quei paraggi.
Uscì, si
rivestì e ritornò a casa. Rufus lo aveva sentito arrivare e lo aspettò ai piedi
del sofà, gli era rimasto poco tempo per riposare prima di riprendere il lavoro
e sapeva di non riuscire a dormire, ancora cinque giorni e la luna sarebbe
stata nel pieno del suo splendore.
Dopo il
temporale l’aria si era fatta più respirabile e Gastone era impaziente. Arrivò
la sera del plenilunio di luglio e lui era già appostato dietro la cassapanca.
Aveva chiuso
il portone lasciandovi incuneato un piccolo pezzo di legno, sapeva che non poteva
essere fatto tutto nel modo perfetto ma sperava che, chi avesse aperto e chiuso
il portoncino non ci facesse caso. Doveva contare sulla sua precisione ma aveva
bisogno anche di fortuna.
Sentì lo
scalpiccio degli zoccoli dei cavalli e il suo respiro si accentuò. Si costrinse
a rallentare i battiti del cuore e a respirare lentamente. I rumori ora erano
famigliari, come ormai sapeva, gli otto bastardi si stavano mettendo mantello e
cappuccio, tutto in assoluto silenzio.
Uno alla
volta presero posto intorno al grande tavolo di pietra. Per un attimo ebbe
paura che potesse essere visto ma, nessuno di loro si aspettava qualcuno lì
dentro, si sentivano davvero sicuri.
Fu la
sacerdotessa, il loro capo che iniziò a parlare.
“Mi sono incontrata col nostro
incaricato, ha trovato la ragazza giusta per noi. Per il plenilunio di
settembre avremo tutto quello che ci serve. Mi ha riferito che è soltanto la
figlia di una vedova che sta morendo, perciò non dovrebbero esserci problemi o
impedimenti. C’è solo un particolare, non ha i capelli né scuri né biondi,
bensì sono rossi. Una così non l’abbiamo mai avuta, voi cosa ne pensate? Devo
dare la risposta definitiva.”
“Maledetti!” Pensò Gastone.
“Numero due, puoi parlare.”
“E’ vero, mai nessuna ragazza
sacrificata fino ad oggi aveva i capelli rossi. Io sono d’accordo. Non possiamo
andare tanto per il sottile, diventa sempre più difficile soffocare le
chiacchiere e i pettegolezzi.”
“Numero tre, puoi parlare.”
“Credo che non debba stare a noi dare
inizio a qualcosa che non c’è mai stato. Io non mi discosterei da quello che
abbiamo sempre fatto.”
“Numero quattro, puoi parlare.”
“Per me, una vale l’altra.”
Maledetto marchese. Lo riconobbe Gastone.
“Numero cinque, puoi parlare.”
“Io credo che la tradizione vada
rispettata, non sono poi così importanti i capelli.”
“Numero sei, puoi parlare.”
“A me basta che la tradizione non s’interrompa.”
“Numero sette, puoi parlare.”
“Per me va bene.”
“Numero otto, puoi parlare.”
“Anche per me, va bene.”
Ci furono
lunghi minuti di silenzio assoluto. Gastone aveva paura che potessero sentire
il battito furioso del suo cuore.
“Io, Sacerdotessa dei Cavalieri della
Terra Feconda, stabilisco che al plenilunio del mese di settembre procederemo
al sacrificio per purificare e rendere fertile la nostra Terra.”
Il silenzio
si protraeva, Gastone non sapeva cosa stessero facendo, non poteva vedere
niente dal suo nascondiglio e le gambe cominciavano a dolergli. Sperò che
facessero in fretta a terminare quella riunione.
“Portate vino e boccali.” Disse la sacerdotessa.
Il numero
otto, l’ultimo arrivato, (ma Gastone non poteva saperlo) si alzò.
L’uomo
nascosto sentì i passi che si avvicinavano. Strinse le dita sull’elsa del
pugnale e aspettò.
Il coperchio
della cassapanca fu sollevato e l’uomo portò al tavolo, servendo uno alla volta
i suoi compagni, bicchieri e vino.
“Qui abbiamo il sangue dell’ultima
vergine sacrificata, alcuni grammi per questa riunione e gli ultimi per la
prossima, poi avremo sangue fresco. Versatene nel vostro calice e alziamoci in
piedi.”
Gastone
aveva gli occhi pieni di lacrime e la mano ferita talmente stringeva il
pugnale. Avrebbe voluto uscire dal suo nascondiglio e pugnalarli tutti dritti a
quel loro cuore marcio. Si trattenne a stento, la promessa fatta a sua moglie e
sua figlia mentre le seppelliva era un’altra e, a costo di qualsiasi sacrificio
l’avrebbe mantenuta.
Gli otto
convenuti si alzarono in piedi.
La Luna, nostra sorella e madre, con
sangue di vergine tiene feconda la Terra. Dissero insieme, e bevvero il loro vino e sangue.
Gastone non
aveva proprio immaginato una cosa simile, doveva assolutamente impedire il
sacrificio della ragazza dai capelli rossi, ma non sapeva da dove iniziare.
I bicchieri
e la fiasca vennero riposti nella cassapanca e ritornò il silenzio.
“Chi di voi
si ferma in convento?” la Sacerdotessa guardava quegli uomini che conosceva
molto bene, sapeva tutto di loro e delle loro depravazioni.
“C’è una
stanza per ognuno di voi, con una femmina ai vostri ordini. Potete fare quello
che volete. Andate pure.”
Ecco perché
non rientravano fino al mattino! Gastone non volle nemmeno pensare a quello che
sarebbe successo di lì a poco, voleva solo uscire da lì e respirare aria pura.
I convenuti passarono nello spogliatoio.
Parlavano e ridevano fra di loro mentre riponevano i mantelli e i
cappucci.
Aspettò un
tempo che gli parve interminabile prima di muoversi. Silenziosamente si alzò e
si allungò le gambe e le braccia per riattivare la circolazione. Era sicuro che
non ci fosse più nessuno ma, senza abbandonare la sua prudenza salì gli scalini
trovando il portoncino aperto. Uscì dal cimitero tenendosi accucciato e passò
oltre le mura del convento. Attraversò il prato strisciando come un serpente
sotto una luce bellissima della luna regina di quella notte, inconsapevole
astro freddo e immortale.
Raggiunse la
sua dimora col fiatone ed entrò nel suo casotto chiudendosi dentro. Battè i
pugni contro il muro e urlò la sua rabbia e il suo dolore, la sua impotenza
davanti a tanta depravazione e cattiveria. Passarono alcuni minuti prima di
calmarsi e riprendere a respirare normalmente. Alzò gli occhi e vide il tavolo
appoggiato al muro, presto una ragazza vi sarebbe stata posta sopra per pagare
una piccola parte del male che i Cavalieri avevano fatto a tanta brava gente.
Si calmò,
per quanto poteva ed entrò in casa. Era notte fonda ma Cincia era seduta sul
sofà con Rufus ai piedi, lo guardò dritto in viso e vide tutto il dolore e la
disperazione che vi traspariva.
“Ora che sei
tornato posso andare a dormire. Cerca di riposare anche tu, ne hai bisogno.
Buona notte.”
Avrebbe
avuto davvero bisogno di riposare ma quello che aveva scoperto quella notte non
lo lasciava dormire, si chiese in quale situazione si stesse cacciando,
sicuramente pericolosa. Quella era gente facoltosa e senza scrupoli né
inibizioni, capiva inoltre la prudenza e la sorveglianza che aveva trovato
mentre pescava vicino alla tenuta di Costantino Morietti. Appena avesse
sistemato la dolce Giulia avrebbe cominciato a pensare alla famiglia Morietti,
intanto avrebbe cercato informazioni con la sua solita prudenza.
Romanzo di Milena Ziletti - diritti e proprietà a lei riservati
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