IL SEGRETO DELLA LUNA
parte trentadue
“Lo so che
sei arrabbiato con me, che non sei più sicuro di fidarti di me ma ti dimostrerò
che sbagli.” E si ritirò nella sua camera.
Gastone
avrebbe voluto vedere la faccia del fabbro quando avesse scoperto che il suo
“tesoro” era sparito ma sapeva che non poteva rischiare. Era soddisfatto di
quello che aveva fatto e aveva già in programma di sistemare anche la figlia.
Era metà
settimana e, con una scusa andò all’officina del fabbro.
Tutto
sembrava normale, di sicuro non si era ancora accorto del furto. Gastone lasciò
il suo attrezzo da riparare e se ne tornò alla distilleria.
In casa, con
Cincia c’era più silenzio del solito. Gastone la osservava, sapeva che non lo
avrebbe mai tradito ma, il solo sospetto che lei potesse credere che i
sacrifici di tutte quelle ragazze avevano preservato quel maledetto paese lo
lasciava esterrefatto.
Agosto stava
terminando, era l’ultimo sabato del mese e Gastone aveva deciso di agire quella
notte.
“Dovrai
tenere Rufus con te stanotte. Io ho da fare.”
La vecchia
gli rispose con un cenno del capo, sembrava che non avesse più voglia di
parlare, sembrava invecchiata di dieci anni in dieci giorni e gli venne il
sospetto che non stesse bene, ma non glielo chiese.
Le stelle
avevano cominciato a brillare da poco e Gastone era appostato ad osservare la
casa del fabbro.
Vide i due
ragazzi uscire in fretta per andare ad ubriacarsi. Non dovette aspettare molto
per vedere uscire il fabbro e andare nell’orto. Non si mosse dal suo
nascondiglio, sentiva i rumori dell’uomo e una bestemmia che squarciò il
silenzio della notte. Gastone cercò di immaginarsi la faccia di quell’uomo e
dei pensieri che potevano passargli nella mente e sorrise sotto i baffi.
Sentì passi
veloci e vide l’uomo rientrare di corsa in casa, ci rimase poco e ne uscì di
nuovo di corsa. Era quello che si aspettava, era sicuro che sarebbe andato dal
sacrestano, non poteva andare di sicuro dal marchese o da Morietti, quelli
erano su un livello superiore al sacrestano e al fabbro.
Aspettò che
si fosse allontanato e, con cautela entrò in casa, salì le scale facendosi luce
con una piccola torcia, aprì le varie porte finché trovò quello che cercava, la
camera da letto della ragazza.
Silenziosamente
si avvicinò al letto, la svegliò dolcemente e le fece segno di stare zitta.
Eugenia non capì subito quello che le stava succedendo, abituata da sempre ad
obbedire, spalancò gli occhi e si mise a sedere sul letto. Gastone si sedette
accanto a lei e le carezzò i capelli spettinati. Aveva uno sguardo da gattino
sperduto, ma l’uomo non si fece intenerire, doveva agire in fretta. La prese
per mano e uscirono insieme. La donna non aveva ancora detto una parola, aveva
sognato talmente tante volte che un principe azzurro arrivasse a rapirla che
credeva di sognare.
L’aria più
fresca destò completamente la ragazza che cercò di chiedere spiegazioni allo
sconosciuto ma non fece in tempo, la pozione che aveva preparato le venne
versata in gola e, in pochi secondi perse i sensi.
Gastone la
caricò sulle sue spalle e tornò silenziosamente al suo casotto.
Tutto era
pronto per il rito che ormai conosceva bene. La distese sul ripiano, prese
subito lo stiletto e, senza nessun indugio glielo conficcò nel cuore. Pochi
attimi ed Eugenia era morta.
C’era poca
luce nel casotto e si avvicinò al corpo della ragazza. Non era una gran
bellezza e aveva le mani rovinate dai troppi lavori. Cercò di immaginare cosa
provassero quelle bestie quando sacrificavano una giovane vita, e un groppo in
gola gli chiuse il respiro al ricordo di sua figlia e di sua moglie. Lo avrebbe
scoperto presto, il plenilunio di settembre si stava avvicinando e si era
rassegnato al fatto che non poteva salvare la ragazza dai capelli rossi ma
avrebbe messo fine a tutto, di questo era sicuro.
Procedette a
estirparle gli occhi e li ripose in un piccolo barattolo. Le incise la stella
sul petto, prese i chiodi e uscì nella notte.
Ritornò
verso il paese tenendosi ben defilato. Si nascose e aspettò per un po’ prima di
muoversi. Quando fu sicuro che non c’era nessuno in giro prese il cadavere e lo
inchiodò sull’albero che delimitava la strada, tutti lo avrebbero visto, ed era
quello che voleva. Impiegò solo pochi minuti a finire il lavoro. Cancellò ogni
impronta che potesse essere riconoscibile e ritornò nel casotto. Ripulì tutto,
bruciò ogni indumento macchiato di sangue e andò, come al solito a dormire.
Il sofà
cigolò mentre si sdraiava e Rufus brontolò per essere stato disturbato. Cincia
lo aveva sentito rientrare, sospirò e cercò di dormire.
Era domenica
di riposo anche per Gastone. La distilleria non aveva bisogno della sua
presenza quel giorno.
Era seduto a
tavola con Cincia quando Margherita entrò trafelata e si sedette per riprendere
fiato.
Gastone e la
vecchia la guardavano ad occhi spalancati aspettando che riuscisse a parlare.
Le misero davanti un bicchiere di acqua che quella prese con mani tremanti per
berne un sorso.
“Che ti
succede, Margherita?” Le chiese l’uomo.
La donna
riprese fiato e strinse forti le mani dell’uomo.
“Sapessi
cosa ho visto! Oh sapessi cosa ho visto!”
I due
rimanevano in attesa, preoccupati davanti a quegli occhi pieni di lacrime.
“Calmati e
raccontaci.” Le sussurrò l’uomo stringendole le mani.
“Questa
mattina sono uscita molto presto, ero sveglia e il canto degli uccelli mi ha
attirata verso il boschetto. Oddio! Non riesco nemmeno a dirlo!” E tremava come
una foglia.
Gastone si
alzò e la prese fra le braccia lanciando uno sguardo d’intesa con la vecchia.
“Calmati,
adesso sei qui con me, avanti dicci cosa è successo.”
Margherita
riprese posto sulla sedia senza lasciare andare le mani dell’uomo.
“La luce
dell’alba era bellissima e stava rischiarando la giornata coi suoi meravigliosi
colori. Esco spesso la mattina presto perché mi piace respirare quando ancora
la terra dorme. Ho visto in lontananza qualcosa di diverso appoggiato al tronco
di un albero e mi sono avvicinata, incuriosita. Oddio! Oddio! Era una ragazza
inchiodata, il capo le pendeva e i capelli le coprivano il viso. Non riuscivo a
vedere chi fosse e non riuscivo ad avvicinarmi. Mi sono messa ad urlare fino a
quando non è arrivato qualcuno, non so nemmeno chi fosse e mi ha portata via.
Sono corsa qui. Oddio che spavento! Che orrore. Quanto sangue!”
“Calmati
ora, Margherita. Hai riconosciuto la ragazza?”
“No, ma
qualcuno diceva che si trattava di Eugenia, la figlia del fabbro. Io non l’ho
vista in faccia.”
“Calmati,
Margherita, bevi un po’ d’acqua.”
“Sono corsa
qui, non sapevo cosa fare, dove andare, avevo paura perfino di tornare a casa
da sola. Dio! Chi può aver fatto una cosa simile? Come faremo a stare
tranquilli d’ora in poi?”
Margherita
non smetteva di tremare e di piangere, doveva proprio aver subito un forte shock.
“Rimani con
Cincia, vado a vedere.”
Si incamminò
veloce verso il paese. Molte persone erano radunate davanti all’albero e
qualcuno aveva già tolto il corpo della ragazza. Il fabbro e i suoi figli erano
presenti e il padre urlava come un disperato, inveiva, bestemmiava piangendo
come un bambino.
Gastone si
mescolò alla folla guardando la scena. Un lenzuolo aveva avvolto il cadavere e
i due fratelli cercavano di alzarlo da terra per trasportarlo a casa ma le loro
mani tramavano talmente forte che non ci riuscivano.
Adesso sai cosa si prova, verme
schifoso. Gastone
guardava la scena tenendo in mano il cappello. Sembrava che tutto il paese
fosse lì radunato. Arrivò un calesse e Costantino Morietti si fece largo fra la
folla. Si avvicinò al fabbro e gli parlò all’orecchio. Quello sembrava non
capire quello che gli veniva detto. Costantino chiamò due suoi lavoranti e fece
caricare il cadavere sul calesse e lo fece trasportare a casa mentre lui, a
piedi seguiva col fabbro e continuava a parlargli.
La folla
rumoreggiava, donne si facevano il segno della croce e aleggiavano paura e
sospetto.
Gastone vide
il sacrestano che osservava come ipnotizzato l’albero e gli si avvicinò.
“Che brutta
storia, proprio una brutta storia!” Così dicendo gli infilò in tasca il piccolo
barattolo con gli occhi di Eugenia.
Il
sacrestano non si era nemmeno accorto di lui, sembrava che fosse preso (e così
era) dal ricordo di sua figlia.
Sarebbe stata una domenica movimentata e la
gente si sarebbe ammassata in chiesa per la messa. Gastone si allontanò e
ritornò a casa.
Gastone
entrò in casa e vide Margherita sdraiata sul sofà.
“Era proprio
la figlia del fabbro, adesso l’hanno portata a casa.”
Cincia non
diceva niente e l’uomo si avvicinò a Margherita che si era appisolata.
“Vado a fare
un giro con Rufus, torno per l’ora di pranzo, meglio se Margherita rimane con
noi per oggi.” La vecchia gli rispose con un cenno del capo e andò nell’orto.
romanzo di Milena Ziletti - diritti e proprietà a lei riservati
Nessun commento:
Posta un commento