giovedì 25 giugno 2020

IL SEGRETO DELLA LUNA


IL SEGRETO DELLA LUNA

parte trentadue






“Lo so che sei arrabbiato con me, che non sei più sicuro di fidarti di me ma ti dimostrerò che sbagli.” E si ritirò nella sua camera.
Gastone avrebbe voluto vedere la faccia del fabbro quando avesse scoperto che il suo “tesoro” era sparito ma sapeva che non poteva rischiare. Era soddisfatto di quello che aveva fatto e aveva già in programma di sistemare anche la figlia.
Era metà settimana e, con una scusa andò all’officina del fabbro.
Tutto sembrava normale, di sicuro non si era ancora accorto del furto. Gastone lasciò il suo attrezzo da riparare e se ne tornò alla distilleria.
In casa, con Cincia c’era più silenzio del solito. Gastone la osservava, sapeva che non lo avrebbe mai tradito ma, il solo sospetto che lei potesse credere che i sacrifici di tutte quelle ragazze avevano preservato quel maledetto paese lo lasciava esterrefatto.
Agosto stava terminando, era l’ultimo sabato del mese e Gastone aveva deciso di agire quella notte.
“Dovrai tenere Rufus con te stanotte. Io ho da fare.”
La vecchia gli rispose con un cenno del capo, sembrava che non avesse più voglia di parlare, sembrava invecchiata di dieci anni in dieci giorni e gli venne il sospetto che non stesse bene, ma non glielo chiese.
Le stelle avevano cominciato a brillare da poco e Gastone era appostato ad osservare la casa del fabbro.
Vide i due ragazzi uscire in fretta per andare ad ubriacarsi. Non dovette aspettare molto per vedere uscire il fabbro e andare nell’orto. Non si mosse dal suo nascondiglio, sentiva i rumori dell’uomo e una bestemmia che squarciò il silenzio della notte. Gastone cercò di immaginarsi la faccia di quell’uomo e dei pensieri che potevano passargli nella mente e sorrise sotto i baffi.
Sentì passi veloci e vide l’uomo rientrare di corsa in casa, ci rimase poco e ne uscì di nuovo di corsa. Era quello che si aspettava, era sicuro che sarebbe andato dal sacrestano, non poteva andare di sicuro dal marchese o da Morietti, quelli erano su un livello superiore al sacrestano e al fabbro.
Aspettò che si fosse allontanato e, con cautela entrò in casa, salì le scale facendosi luce con una piccola torcia, aprì le varie porte finché trovò quello che cercava, la camera da letto della ragazza.
Silenziosamente si avvicinò al letto, la svegliò dolcemente e le fece segno di stare zitta. Eugenia non capì subito quello che le stava succedendo, abituata da sempre ad obbedire, spalancò gli occhi e si mise a sedere sul letto. Gastone si sedette accanto a lei e le carezzò i capelli spettinati. Aveva uno sguardo da gattino sperduto, ma l’uomo non si fece intenerire, doveva agire in fretta. La prese per mano e uscirono insieme. La donna non aveva ancora detto una parola, aveva sognato talmente tante volte che un principe azzurro arrivasse a rapirla che credeva di sognare.
L’aria più fresca destò completamente la ragazza che cercò di chiedere spiegazioni allo sconosciuto ma non fece in tempo, la pozione che aveva preparato le venne versata in gola e, in pochi secondi perse i sensi.
Gastone la caricò sulle sue spalle e tornò silenziosamente al suo casotto.
Tutto era pronto per il rito che ormai conosceva bene. La distese sul ripiano, prese subito lo stiletto e, senza nessun indugio glielo conficcò nel cuore. Pochi attimi ed Eugenia era morta.
C’era poca luce nel casotto e si avvicinò al corpo della ragazza. Non era una gran bellezza e aveva le mani rovinate dai troppi lavori. Cercò di immaginare cosa provassero quelle bestie quando sacrificavano una giovane vita, e un groppo in gola gli chiuse il respiro al ricordo di sua figlia e di sua moglie. Lo avrebbe scoperto presto, il plenilunio di settembre si stava avvicinando e si era rassegnato al fatto che non poteva salvare la ragazza dai capelli rossi ma avrebbe messo fine a tutto, di questo era sicuro.
Procedette a estirparle gli occhi e li ripose in un piccolo barattolo. Le incise la stella sul petto, prese i chiodi e uscì nella notte.
Ritornò verso il paese tenendosi ben defilato. Si nascose e aspettò per un po’ prima di muoversi. Quando fu sicuro che non c’era nessuno in giro prese il cadavere e lo inchiodò sull’albero che delimitava la strada, tutti lo avrebbero visto, ed era quello che voleva. Impiegò solo pochi minuti a finire il lavoro. Cancellò ogni impronta che potesse essere riconoscibile e ritornò nel casotto. Ripulì tutto, bruciò ogni indumento macchiato di sangue e andò, come al solito a dormire.
Il sofà cigolò mentre si sdraiava e Rufus brontolò per essere stato disturbato. Cincia lo aveva sentito rientrare, sospirò e cercò di dormire.
Era domenica di riposo anche per Gastone. La distilleria non aveva bisogno della sua presenza quel giorno.
Era seduto a tavola con Cincia quando Margherita entrò trafelata e si sedette per riprendere fiato.
Gastone e la vecchia la guardavano ad occhi spalancati aspettando che riuscisse a parlare. Le misero davanti un bicchiere di acqua che quella prese con mani tremanti per berne un sorso.
“Che ti succede, Margherita?” Le chiese l’uomo.
La donna riprese fiato e strinse forti le mani dell’uomo.
“Sapessi cosa ho visto! Oh sapessi cosa ho visto!”
I due rimanevano in attesa, preoccupati davanti a quegli occhi pieni di lacrime.
“Calmati e raccontaci.” Le sussurrò l’uomo stringendole le mani.
“Questa mattina sono uscita molto presto, ero sveglia e il canto degli uccelli mi ha attirata verso il boschetto. Oddio! Non riesco nemmeno a dirlo!” E tremava come una foglia.
Gastone si alzò e la prese fra le braccia lanciando uno sguardo d’intesa con la vecchia.
“Calmati, adesso sei qui con me, avanti dicci cosa è successo.”
Margherita riprese posto sulla sedia senza lasciare andare le mani dell’uomo.
“La luce dell’alba era bellissima e stava rischiarando la giornata coi suoi meravigliosi colori. Esco spesso la mattina presto perché mi piace respirare quando ancora la terra dorme. Ho visto in lontananza qualcosa di diverso appoggiato al tronco di un albero e mi sono avvicinata, incuriosita. Oddio! Oddio! Era una ragazza inchiodata, il capo le pendeva e i capelli le coprivano il viso. Non riuscivo a vedere chi fosse e non riuscivo ad avvicinarmi. Mi sono messa ad urlare fino a quando non è arrivato qualcuno, non so nemmeno chi fosse e mi ha portata via. Sono corsa qui. Oddio che spavento! Che orrore. Quanto sangue!”
“Calmati ora, Margherita. Hai riconosciuto la ragazza?”
“No, ma qualcuno diceva che si trattava di Eugenia, la figlia del fabbro. Io non l’ho vista in faccia.”
“Calmati, Margherita, bevi un po’ d’acqua.”
“Sono corsa qui, non sapevo cosa fare, dove andare, avevo paura perfino di tornare a casa da sola. Dio! Chi può aver fatto una cosa simile? Come faremo a stare tranquilli d’ora in poi?”
Margherita non smetteva di tremare e di piangere, doveva proprio aver subito un forte shock.
“Rimani con Cincia, vado a vedere.”
Si incamminò veloce verso il paese. Molte persone erano radunate davanti all’albero e qualcuno aveva già tolto il corpo della ragazza. Il fabbro e i suoi figli erano presenti e il padre urlava come un disperato, inveiva, bestemmiava piangendo come un bambino.
Gastone si mescolò alla folla guardando la scena. Un lenzuolo aveva avvolto il cadavere e i due fratelli cercavano di alzarlo da terra per trasportarlo a casa ma le loro mani tramavano talmente forte che non ci riuscivano.
Adesso sai cosa si prova, verme schifoso. Gastone guardava la scena tenendo in mano il cappello. Sembrava che tutto il paese fosse lì radunato. Arrivò un calesse e Costantino Morietti si fece largo fra la folla. Si avvicinò al fabbro e gli parlò all’orecchio. Quello sembrava non capire quello che gli veniva detto. Costantino chiamò due suoi lavoranti e fece caricare il cadavere sul calesse e lo fece trasportare a casa mentre lui, a piedi seguiva col fabbro e continuava a parlargli.
La folla rumoreggiava, donne si facevano il segno della croce e aleggiavano paura e sospetto.
Gastone vide il sacrestano che osservava come ipnotizzato l’albero e gli si avvicinò.
“Che brutta storia, proprio una brutta storia!” Così dicendo gli infilò in tasca il piccolo barattolo con gli occhi di Eugenia.
Il sacrestano non si era nemmeno accorto di lui, sembrava che fosse preso (e così era) dal ricordo di sua figlia.
 Sarebbe stata una domenica movimentata e la gente si sarebbe ammassata in chiesa per la messa. Gastone si allontanò e ritornò a casa.
Gastone entrò in casa e vide Margherita sdraiata sul sofà.
“Era proprio la figlia del fabbro, adesso l’hanno portata a casa.”
Cincia non diceva niente e l’uomo si avvicinò a Margherita che si era appisolata.
“Vado a fare un giro con Rufus, torno per l’ora di pranzo, meglio se Margherita rimane con noi per oggi.” La vecchia gli rispose con un cenno del capo e andò nell’orto.


romanzo di Milena Ziletti - diritti e proprietà a lei riservati

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