martedì 23 giugno 2020

IL SEGRETO DELLA LUNA


IL SEGRETO DELLA LUNA

parte trenta






La pioggia iniziò a scrosciare e divenne un diluvio. Tutte le finestre delle case erano chiuse per evitare che il vento, che si era levato con forza facesse penetrare l’acqua all’interno.
Stando basso entrò nel recinto dell’orto e andò dritto verso l’albero. A mani nude scavò nella terra bagnata e, dopo poco le sue mani toccarono qualcosa di metallico. Ripulì la superficie e vide un coperchio di metallo chiuso da un grosso lucchetto. Non impiegò molto ad aprirlo e ad alzare quel pezzo di ferro. Non poteva accendere la torcia ma i fulmini che rischiaravano il cielo riuscivano ad illuminare l’interno di quella specie di cassa di metallo. Ben allineate c’erano varie sacche colme. Gastone le tastò e sentì il duro delle monete, aveva trovato il tesoro del fabbro. Ed era davvero cospicuo.
Richiuse il coperchio di metallo e lo chiuse col lucchetto, rimise la terra sopra come l’aveva trovata e ritornò a casa.
Il temporale cominciava a scemare e la pioggia aveva smesso di cadere. Le finestre delle case si riaprirono per godere di quel refrigerio, il primo temporale di agosto, come dicevano i vecchi avrebbe portato rinfresco e segnato la fine del gran caldo dell’estate.
Era fradicio quando entrò in casa e Cincia lo stava aspettando. Lo aiutò a spogliarsi e ad asciugarsi e gli porse un bicchiere colmo di vino.
“Lo hai trovato?”
“Sì. Ho trovato il tesoro del fabbro e presto me lo prenderò. Dopo di che toccherà a sua figlia.”
“Hai già un piano?”
“Non ancora ben definito ma ho qualche idea, e se ci riesco voglio farlo prima del prossimo plenilunio. Non riuscirò a salvare la ragazza dai capelli rossi ma metterò un po’ di fuoco al culo di quei bastardi.”
“Stai attento, mi raccomando. Ora è meglio se cerchi di dormire.”
Le giornate lentamente si stavano accorciando e Gastone era ansioso, doveva decidere le sue priorità, per il momento aveva rinunciato a cercare il modo di salvare la ragazza dai capelli rossi, doveva decidere se impossessarsi delle borse di monete del fabbro o di sua figlia. Di sicuro quel maledetto era più attaccato ai soldi ma, se li avesse sottratti, quel verme avrebbe aumentato la sorveglianza, mentre se avesse rapito la figlia avrebbe lasciato il suo tesoro dove si trovava.
Decise così che toccava prima alla figlia. L’aveva vista, anche se da una certa distanza. Era una donna ormai, aveva passato i trent’anni e camminava come se portasse sulle spalle il peso del mondo intero, doveva essere molto infelice.
Era metà settimana e Gastone e Margherita avevano appena concluso i loro amplessi, sempre più piacevoli e stavano mangiando qualcosa. Erano completamente nudi e i loro occhi ardevano per l’impazienza di quello che ancora li aspettava prima di lasciarsi.
Gastone portò il discorso, casualmente sulla figlia del fabbro.
“Mi è capitato di intravedere la figlia del fabbro e mi ha fatto pena, tu la conosci?”
“Eugenia, tutti la conoscono ma nessuno la conosce. Suo padre e i suoi fratelli sono molto bravi a tenerla isolata, ho l’impressione che scapperebbe volentieri da quella prigione che chiama casa. Perché me lo chiedi?”
“Io nemmeno sapevo della sua esistenza, me ne ha parlato Cincia ed io l’ho intravista mentre venivo da te, mi convinco sempre di più che l’impressione di pena che mi ha fatto sia molto azzeccata.”
“Ci sono molte voci che circolano da sempre, ma non so quanto siano vere. Dicono che suo padre abusi di lei fin da quando era piccola, addirittura si mormora che il fabbro abbia ucciso la moglie perché aveva scoperto la tresca ma, come puoi ben immaginare sono solo pettegolezzi di vecchie signore che non hanno nulla da fare. Io non li conosco, di certo mi dispiace per quella povera ragazza, non ha mai conosciuto altro che la prigione della propria casa.”
“Certo che per essere un piccolo borgo ce ne sono di stranezze qui!”
“Oh! Non immagini quante!”
Così dicendo si avvicinò all’uomo e cominciò a baciarlo. Si ritrovarono sul letto e non pensarono ad altro se non al loro piacere.
Era notte fonda quando Gastone uscì per ritornare a casa. Aveva deciso cosa fare ed ora doveva solo mettere in pratica il suo piano.
Era metà mattina quando il ringhio di Rufus avvertì dell’arrivo di Ermete alla distilleria. Entrò e, come al solito si sedette sullo sgabello. Ultimamente sembrava sempre stanco.
“Domani notte dobbiamo portare il primo carico a Costantino Morietti. Dovresti preparare le botti sul carro e, alle undici andremo alla sua tenuta.”
“Va bene, era ora. Qui il posto comincia a scarseggiare. Porterò il fucile, come mi hai chiesto di fare ma non voglio che, una volta alla tenuta mi venga tolto, o io non entro in quel covo di matti armati di tutto punto!”
“Stai tranquillo, ho garantito per te. Tu fai solo quello che ti dico e non ci saranno problemi. Faremo in fretta, dovresti essere a casa in tempo per farti una bella dormita prima di riprendere il lavoro.”
“Va bene, tu porta quanto pattuito ed io farò la mia parte.”
Il vecchio Ermete sospirò, salutò e se ne tornò a casa.
Nonostante il temporale avesse portato un po’ di sollievo all’afa, il gran caldo era tornato. Mentre cenava con Cincia, Gastone la informò del viaggio che doveva fare la sera successiva.
“Non so se riuscirò a capire molto della disposizione della tenuta ma, almeno potrò entrare. Deve essere ossessivo verso la sicurezza questo Costantino Morietti, chissà quante cose ha da nascondere!”
“Io so che paga bene i suoi guardiani e pretende da loro l’assoluta fedeltà. Circolano molte voci e qualcuna sussurra che oltre alle monete metta a disposizione anche donne e orge per poterli ricattare al silenzio.”
“Ma in questo maledetto paese c’è qualcosa o qualcuno di onesto?” Si lasciò sfuggire l’uomo.
“Non lo so, davvero non lo so!”
Il carro era caricato e il buio era molto fitto. Della luna ne era rimasto uno spicchio ma non era sufficiente a rischiarare il tragitto. Ermete aveva messo delle lanterne sul carro ed erano partiti.
Restavano in silenzio con le orecchie ben tese. Un agguato era sempre possibile, quella che trasportavano era merce molto richiesta e nessuno, tranne i diretti interessati erano al corrente del viaggio.
Ci volle più di un’ora prima di arrivare alla tenuta Morietti. Due uomini a cavallo li stavano aspettando appena oltre la proprietà e li scortarono all’interno.
Li seguirono senza fiatare. C’erano alcune lanterne accese appese ai muri, ma soltanto il minimo indispensabile per non andare a sbattere da qualche parte. Il carro con il liquore seguì i due guardiani e Gastone guizzava lo sguardo per capire come fosse quel posto ma, davvero era difficile vedere oltre pochi metri.
“Fermatevi qui.” Erano le prime parole che sentivano.
Gastone discese seguito dal suo padrone. Uscirono altri due uomini e cominciarono a scaricare la merce. Gastone stava portando all’interno di un capannone una botte quando fu fermato da quello che sembrava il capo.
“Lascia qui, al resto pensiamo noi.” Il tono non era per niente amichevole.
Ci volle solo mezz’ora per scaricare tutto. Ermete e Gastone risalirono sul carro e furono riaccompagnati fuori dalla proprietà.
Ritornarono alla distilleria senza parlare.
“Mi sembra molto esagerato quel Morietti con la sicurezza. Chissà cosa teme!”
“Credo che sia un uomo che non teme nessuno! Anzi, è lui che incute timore, stai al tuo posto e non avrai niente di cui aver timore, se entri nelle sue grazie hai tutto da guadagnare. E’ un uomo molto potente e molto ricco, la sua parola conta molto da queste parti.”
“Ah sì? E come si fa ad entrare nelle sue grazie?” Disse sarcasticamente Gastone.
Ermete guardò il suo lavorante per cercare di capire se stesse scherzando o prendendo in giro, ma il buio non permetteva di vedere bene il viso.
“Lascia perdere Costantino Morietti, meglio per te e per me e i miei affari.” Così dicendo se ne tornò stancamente a casa, era notte e lui non vedeva l’ora di mettersi a dormire.
Gastone sistemò le botti vuote, girò il carro e tornò a casa anche lui.


romanzo di Milena Ziletti - diritti e proprietà a lei riservati

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