IL SEGRETO DELLA LUNA
parte trenta
La pioggia
iniziò a scrosciare e divenne un diluvio. Tutte le finestre delle case erano
chiuse per evitare che il vento, che si era levato con forza facesse penetrare
l’acqua all’interno.
Stando basso
entrò nel recinto dell’orto e andò dritto verso l’albero. A mani nude scavò
nella terra bagnata e, dopo poco le sue mani toccarono qualcosa di metallico.
Ripulì la superficie e vide un coperchio di metallo chiuso da un grosso
lucchetto. Non impiegò molto ad aprirlo e ad alzare quel pezzo di ferro. Non
poteva accendere la torcia ma i fulmini che rischiaravano il cielo riuscivano
ad illuminare l’interno di quella specie di cassa di metallo. Ben allineate c’erano
varie sacche colme. Gastone le tastò e sentì il duro delle monete, aveva
trovato il tesoro del fabbro. Ed era davvero cospicuo.
Richiuse il
coperchio di metallo e lo chiuse col lucchetto, rimise la terra sopra come
l’aveva trovata e ritornò a casa.
Il temporale
cominciava a scemare e la pioggia aveva smesso di cadere. Le finestre delle case
si riaprirono per godere di quel refrigerio, il primo temporale di agosto, come
dicevano i vecchi avrebbe portato rinfresco e segnato la fine del gran caldo
dell’estate.
Era fradicio
quando entrò in casa e Cincia lo stava aspettando. Lo aiutò a spogliarsi e ad
asciugarsi e gli porse un bicchiere colmo di vino.
“Lo hai
trovato?”
“Sì. Ho
trovato il tesoro del fabbro e presto me lo prenderò. Dopo di che toccherà a
sua figlia.”
“Hai già un
piano?”
“Non ancora
ben definito ma ho qualche idea, e se ci riesco voglio farlo prima del prossimo
plenilunio. Non riuscirò a salvare la ragazza dai capelli rossi ma metterò un
po’ di fuoco al culo di quei bastardi.”
“Stai
attento, mi raccomando. Ora è meglio se cerchi di dormire.”
Le giornate
lentamente si stavano accorciando e Gastone era ansioso, doveva decidere le sue
priorità, per il momento aveva rinunciato a cercare il modo di salvare la
ragazza dai capelli rossi, doveva decidere se impossessarsi delle borse di
monete del fabbro o di sua figlia. Di sicuro quel maledetto era più attaccato
ai soldi ma, se li avesse sottratti, quel verme avrebbe aumentato la
sorveglianza, mentre se avesse rapito la figlia avrebbe lasciato il suo tesoro
dove si trovava.
Decise così
che toccava prima alla figlia. L’aveva vista, anche se da una certa distanza.
Era una donna ormai, aveva passato i trent’anni e camminava come se portasse
sulle spalle il peso del mondo intero, doveva essere molto infelice.
Era metà
settimana e Gastone e Margherita avevano appena concluso i loro amplessi, sempre
più piacevoli e stavano mangiando qualcosa. Erano completamente nudi e i loro
occhi ardevano per l’impazienza di quello che ancora li aspettava prima di
lasciarsi.
Gastone
portò il discorso, casualmente sulla figlia del fabbro.
“Mi è
capitato di intravedere la figlia del fabbro e mi ha fatto pena, tu la
conosci?”
“Eugenia,
tutti la conoscono ma nessuno la conosce. Suo padre e i suoi fratelli sono
molto bravi a tenerla isolata, ho l’impressione che scapperebbe volentieri da
quella prigione che chiama casa. Perché me lo chiedi?”
“Io nemmeno
sapevo della sua esistenza, me ne ha parlato Cincia ed io l’ho intravista
mentre venivo da te, mi convinco sempre di più che l’impressione di pena che mi
ha fatto sia molto azzeccata.”
“Ci sono
molte voci che circolano da sempre, ma non so quanto siano vere. Dicono che suo
padre abusi di lei fin da quando era piccola, addirittura si mormora che il
fabbro abbia ucciso la moglie perché aveva scoperto la tresca ma, come puoi ben
immaginare sono solo pettegolezzi di vecchie signore che non hanno nulla da
fare. Io non li conosco, di certo mi dispiace per quella povera ragazza, non ha
mai conosciuto altro che la prigione della propria casa.”
“Certo che
per essere un piccolo borgo ce ne sono di stranezze qui!”
“Oh! Non
immagini quante!”
Così dicendo
si avvicinò all’uomo e cominciò a baciarlo. Si ritrovarono sul letto e non
pensarono ad altro se non al loro piacere.
Era notte
fonda quando Gastone uscì per ritornare a casa. Aveva deciso cosa fare ed ora
doveva solo mettere in pratica il suo piano.
Era metà
mattina quando il ringhio di Rufus avvertì dell’arrivo di Ermete alla
distilleria. Entrò e, come al solito si sedette sullo sgabello. Ultimamente
sembrava sempre stanco.
“Domani
notte dobbiamo portare il primo carico a Costantino Morietti. Dovresti
preparare le botti sul carro e, alle undici andremo alla sua tenuta.”
“Va bene,
era ora. Qui il posto comincia a scarseggiare. Porterò il fucile, come mi hai
chiesto di fare ma non voglio che, una volta alla tenuta mi venga tolto, o io
non entro in quel covo di matti armati di tutto punto!”
“Stai
tranquillo, ho garantito per te. Tu fai solo quello che ti dico e non ci
saranno problemi. Faremo in fretta, dovresti essere a casa in tempo per farti
una bella dormita prima di riprendere il lavoro.”
“Va bene, tu
porta quanto pattuito ed io farò la mia parte.”
Il vecchio
Ermete sospirò, salutò e se ne tornò a casa.
Nonostante
il temporale avesse portato un po’ di sollievo all’afa, il gran caldo era
tornato. Mentre cenava con Cincia, Gastone la informò del viaggio che doveva
fare la sera successiva.
“Non so se
riuscirò a capire molto della disposizione della tenuta ma, almeno potrò
entrare. Deve essere ossessivo verso la sicurezza questo Costantino Morietti,
chissà quante cose ha da nascondere!”
“Io so che
paga bene i suoi guardiani e pretende da loro l’assoluta fedeltà. Circolano
molte voci e qualcuna sussurra che oltre alle monete metta a disposizione anche
donne e orge per poterli ricattare al silenzio.”
“Ma in
questo maledetto paese c’è qualcosa o qualcuno di onesto?” Si lasciò sfuggire
l’uomo.
“Non lo so,
davvero non lo so!”
Il carro era
caricato e il buio era molto fitto. Della luna ne era rimasto uno spicchio ma
non era sufficiente a rischiarare il tragitto. Ermete aveva messo delle
lanterne sul carro ed erano partiti.
Restavano in
silenzio con le orecchie ben tese. Un agguato era sempre possibile, quella che
trasportavano era merce molto richiesta e nessuno, tranne i diretti interessati
erano al corrente del viaggio.
Ci volle più
di un’ora prima di arrivare alla tenuta Morietti. Due uomini a cavallo li
stavano aspettando appena oltre la proprietà e li scortarono all’interno.
Li seguirono
senza fiatare. C’erano alcune lanterne accese appese ai muri, ma soltanto il
minimo indispensabile per non andare a sbattere da qualche parte. Il carro con
il liquore seguì i due guardiani e Gastone guizzava lo sguardo per capire come
fosse quel posto ma, davvero era difficile vedere oltre pochi metri.
“Fermatevi
qui.” Erano le prime parole che sentivano.
Gastone
discese seguito dal suo padrone. Uscirono altri due uomini e cominciarono a
scaricare la merce. Gastone stava portando all’interno di un capannone una
botte quando fu fermato da quello che sembrava il capo.
“Lascia qui,
al resto pensiamo noi.” Il tono non era per niente amichevole.
Ci volle
solo mezz’ora per scaricare tutto. Ermete e Gastone risalirono sul carro e
furono riaccompagnati fuori dalla proprietà.
Ritornarono
alla distilleria senza parlare.
“Mi sembra
molto esagerato quel Morietti con la sicurezza. Chissà cosa teme!”
“Credo che
sia un uomo che non teme nessuno! Anzi, è lui che incute timore, stai al tuo
posto e non avrai niente di cui aver timore, se entri nelle sue grazie hai
tutto da guadagnare. E’ un uomo molto potente e molto ricco, la sua parola
conta molto da queste parti.”
“Ah sì? E
come si fa ad entrare nelle sue grazie?” Disse sarcasticamente Gastone.
Ermete
guardò il suo lavorante per cercare di capire se stesse scherzando o prendendo
in giro, ma il buio non permetteva di vedere bene il viso.
“Lascia
perdere Costantino Morietti, meglio per te e per me e i miei affari.” Così
dicendo se ne tornò stancamente a casa, era notte e lui non vedeva l’ora di
mettersi a dormire.
Gastone
sistemò le botti vuote, girò il carro e tornò a casa anche lui.
romanzo di Milena Ziletti - diritti e proprietà a lei riservati
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