IL SEGRETO DELLA LUNA
parte 13
Capitolo sette
Stavolta non
c’era la luna a rischiarare la notte ma lampi talmente guizzanti che sembravano
tentacoli del cielo.
Correva
senza preoccuparsi troppo. Il suo cane gli stava al passo e se ci fosse stato
qualcuno lo avrebbe fiutato anche in quella bufera.
Arrivò
fradicio al punto più nascosto del convento. Lo aveva esplorato altre volte
senza trovare una via per entrare, eppure doveva esserci. L’acqua gli scendeva
sugli occhi e non rendeva agevole il suo compito. Aveva portato con sé un
cappello del sacrestano, lo fece fiutare a Rufus e lo incitò a trovare le
tracce.
Il cane
sembrava frastornato, non era la situazione ideale per accontentare il suo
padrone e, quello che seguì non fu l’odore del sacrestano ma quello che la sua
aguzza vista gli aveva mostrato.
Gastone lo
seguì e raccolse da terra un fermaglio per capelli, assolutamente femminile e
assolutamente importante, riproduceva il nodo che ricorreva spesso nelle sue
ricerche.
Cercando di
asciugarsi la faccia dalla pioggia cercò ancora di trovare un accesso, non
avrebbe avuto molte altre opportunità per farlo, se era un segreto così ben
custodito doveva per forza essere difficile scovarlo.
Era
inginocchiato accanto al cane, entrambi fradici da aver perso le loro sembianze
e la pioggia non cessava a diminuire di intensità. Cercò riparo contro il muro
cercando di riprendere fiato e riordinare i pensieri. Il cane gli saltò sulle
ginocchia e lo fece cadere. Istintivamente allungò le mani per cercare di
mantenere l’equilibrio e, senza sapere come fosse successo il mattone al quale
si era appoggiato cadde a terra in una pozzanghera di fango.
Si
inginocchiò e puntò gli occhi in quella fessura. Un lampo molto opportuno
rischiarò un piccolo cimitero. Non stette molto a pensarci, prese degli arnesi
che aveva portato con sé e decise di scavalcare la muraglia lasciando il cane a
guardia. Non era un’operazione facile sotto quel diluvio. Un latrato di Rufus
lo distrasse e ricadde a terra. Era ricoperto di fango come il cane, sarebbe
stato impossibile riconoscerli. Mancavano poche ore all’alba e lui non aveva
ancora scoperto niente di importante. Si guardò intorno e scoprì che il cane
era sparito. Un leggero guaito dall’altra parte del muro lo fece trasalire.
Come aveva fatto a passare dall’altra parte?
“Rufus,
torna qui!”
Il cane,
obbedì e fu subito dal suo padrone.
“Portami di
là!”
Gastone non
si era accorto che una piccola lapide votiva era stata sradicata dal vento e
dal fango lasciando aperto un passaggio, un piccolo passaggio. Si chinò e seguì
il cane, ben sapendo che non era da lì che le altre persone erano passate, ma per il momento non stette a
pensarci.
Sbucò nel
piccolo cimitero, doveva essere riservato solo alle suore del convento. La
pioggia gli tolse di dosso un po’ di fango e, i suoi occhi già abituati al buio
cercavano qualcosa che potesse fare al caso suo.
“Vai Rufus,
cerca per me.” Sussurrò l’uomo.
Il cane
portò il suo padrone davanti alla porta di legno di una piccola cappella. Era
chiusa con un lucchetto che fece saltare in un attimo.
Entrarono
insieme. L’interno era rischiarato da un paio di candele. Era una stanza
piccola, sicuramente adibita allo svolgimento dei funerali e dei riti delle
suore. Si guardò intorno ma era un ambiente troppo piccolo perché potesse
essere interessante.
Rufus
guaiva. Gastone lo raggiunse e vide i denti bianchi del cane mentre ringhiava
sommessamente.
“Cosa hai
visto, amico mio?”
Il cane non
smetteva di ringhiare e guardare la parete dove era poggiato un piccolo altare.
L’uomo si
avvicinò, lo osservava cercando di trovare il motivo del comportamento del suo
cane.
Il respiro
si era fatto normale e gli occhi si erano adattati al lieve chiarore. Prese il
piccolo altare di legno e lo spostò. Rufus ringhiava sempre più forte. Le mani
dell’uomo tastavano la parete, poi il pavimento e, finalmente lo trovò, un
piccolo anello di ferro sul coperchio di una botola. Non stette molto a
pensare. Sollevò il coperchio, prese una candela e scese i cinque gradini di
pietra.
Si ritrovò
in una vasta stanza, al momento non riusciva a vedere molto. Aprì la sua sacca
e tolse una torcia che accese, poggiò la candela su un ripiano e si accinse ad
esplorare quel luogo.
Era entrato
in una specie di atrio, c’era una fila di armadi in legno. Li contò ma già
sapeva che sarebbero stati otto. Seguì uno stretto corridoio. Aveva il cuore in
gola, sapeva di aver trovato qualcosa di importante, di molto importante.
Pochi metri
e si ritrovò in uno spazio enorme, per quello che riusciva a vedere era
grandissimo e non riusciva a distinguere quello che c’era, il buio era troppo
fitto. Vide una serie di ripiani fissati al muro, in diverse altezze. Si
avvicinò e rischiarò con la torcia quello a lui più vicino. Non era preparato a
quello che vide e si portò una mano alla bocca per impedirsi di urlare. Una
fila di vasi colmi di liquido contenevano occhi umani. Diresse la luce su quei
macabri resti. Un colpo al cuore, si morse dolorosamente la lingua per non
urlare, non poteva sbagliarsi, quelli che stava fissando erano gli occhi di sua
figlia, li avrebbe riconosciuti ovunque.
Si lasciò
cadere a terra e diede libero sfogo al suo dolore che fino a quel momento aveva
trattenuto, pianse senza ritegno mentre Rufus gli leccava via le lacrime. Sfogò
il suo dolore ma si rialzò subito dopo. Continuò a perlustrare quel posto. Più
avanti c’era un grande tavolo rotondo, sette scranni ai lati e al centro una
specie di trono. Continuò la sua ricerca e vide la parete riprodotta nel
registro che possedeva, era inciso quel maledetto nodo che doveva significare
qualcosa di importante. Osservò tutte le pareti e quando diresse la luce a
quella dietro il trono rimase senza fiato.
Il simbolo
dei Cavalieri della Terra feconda era grande tutta la parete, color giallo oro
e una scritta ben visibile era incisa fra le due mezze lune:
LA LUNA, NOSTRA SORELLA E MADRE, CON
SANGUE VERGINE TIENE LA TERRA FECONDA.
Gli occhi di
Gastone ora erano asciutti, il suo cuore era ridiventato duro e insensibile.
Aveva trovato il luogo dove si riunivano, aveva fatto il grande primo passo per
mantenere la promessa fatta alle sue donne e a Cincia. Aveva capito che si
riunivano nella notte di luna piena e lui avrebbe scoperto chi fossero. Uno lo
aveva già individuato, sarebbe stato il primo a soffrire, e molto presto.
Tolse dalla
sacca un pezzo di tela e cancellò le sue impronte e quelle del cane, accarezzò il
vaso che conteneva gli occhi di sua figlia ma non li guardò. Promise a se
stesso che li avrebbe riportati dove dovevano stare. A tempo debito, tutto a
tempo debito, finalmente era giunto il momento di dare inizio alla sua
vendetta.
Arrivò a
casa e Cincia, contrariamente al solito lo aspettava sveglia. L’uomo guardò la
vecchia e assentì col capo. La donna sospirò e si ritirò nella sua camera.
La pioggia
batteva con insistenza sui tetti della vecchia casa. Erano ore che scrosciava
senza sosta, un temporale di tal genere non si vedeva spesso e lui, dopo
essersi asciugato e cambiato era sdraiato sul divano in cerca del sonno. Sapeva
di dover dormire, era stanco ma, talmente eccitato che non riusciva nemmeno a
tenere gli occhi chiusi. Sentiva il respiro regolare di Cincia che dormiva
tranquilla nella sua stanza e si chiese come avesse fatto a sopravvivere con
quel dolore e per tutti quegli anni, lui, ne era sicuro sarebbe morto prima di
crepacuore.
Le giornate
successive furono frenetiche per il lavoro in campagna, la forte pioggia aveva
danneggiato parecchio i raccolti e gli animali che stavano di solito all’aperto
sprofondavano nel fango e avevano bisogno di essere trainati alle stalle.
Mentre
Gastone lavorava alacremente pensava a come portare avanti il suo piano di
vendetta. Il sacrestano aveva sette figli, cinque maschi e due femmine e lui si
sarebbe preso una delle ragazze, erano molto simili e quasi coetanee, per lui
l’una o l’altra non faceva differenza, avrebbe preso la prima che avrebbe
trovato da sola.
Finalmente
fu rimandato a lavorare in distilleria, il mese di giugno stava scorrendo
velocemente e lui aveva deciso che prima della successiva luna piena avrebbe
compiuto il primo atto della sua vendetta.
romanzo di Milena Ziletti - diritti e proprietà a lei riservati
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