IL SEGRETO DELLA LUNA
parte dieci
Era impossibile
che lui si sbagliasse, quel nodo era proprio identico a quello nel suo
registro, era un punto di partenza, sapeva di essere nel posto giusto per la
sua ricerca.
“Ora devo
andare, Cincia. Ti ho lasciato del cibo e devi mangiarlo, ripasserò al più
presto a portartene altro, sei l’unica amica che ho e non voglio perderti.”
Una carezza,
ruvida e inaspettata sul suo viso lo sorprese.
“Sei un
brav’uomo, e so che nascondi dei segreti, di me puoi fidarti. Ora va, o quella
vipera della tua padrona ti farà saltare la cena.”
Gastone le
fece altre raccomandazioni e tornò nella sua stanza. Prese il registro e lo
aprì dove già ben sapeva, c’era un disegno che ritraeva una parete di quel
posto, che lui prima o poi avrebbe scoperto, e quel disegno era tale e quale al
nodo che aveva visto sulla cornice, non aveva dubbi. Un brivido lo percorse, un
piccolo passo alla volta sentiva che si stava avvicinando, doveva essere più
osservatore e non lasciarsi sfuggire nemmeno il più piccolo particolare, un
pensiero si andava formando nella sua mente. Rimise a posto il registro e
raggiunse Ermete e Mariella per la cena.
I suoi
datori di lavoro erano già seduti e lui li raggiunse. Come al solito mangiarono
in silenzio. A fine pasto, mentre Mariella cominciava a sparecchiare, Gastone
disse ai suoi padroni che aveva intenzione di trasferirsi da Giacinta, che nel
suo tempo libero avrebbe sistemato quella catapecchia prima che crollasse e
avrebbe aiutato quella povera vecchia come poteva. Loro non dovevano
preoccuparsi in quando il suo lavoro non ne avrebbe risentito.
“Se davvero
vuoi andare a vivere con quella pazza vuol dire che tu sei più pazzo di lei!”
Grugnì la donna.
“Perché? Mi
sembra soltanto una vecchia sola e malandata, potrebbe essere mia madre e a me
non costa niente darle una mano.”
“Quella vecchiaccia
è pazza da legare! Pensa che va raccontando da anni che le hanno rapito la
nipote, mentre tutti sanno che era una poco di buono e che se n’è andata con
uno ancora peggio di lei!”
Ermete si
agitava sulla sedia e questo non sfuggì a Gastone.
“Tu hai
sentito altre chiacchiere?” Chiese rivolto a Ermete.
“Sono
passati tanti anni, so che l’aveva cercata e che voleva che tutto il paese si
mobilitasse per aiutarla ma, nessuno fece niente, da allora si è isolata ed è
peggiorata diventando ancora più scorbutica. Mi sembra strano che tu le vada a
genio, ma se hai deciso di aiutarla è sicuramente una buona cosa.” Disse tutto
questo tenendo gli occhi bassi.
“Ma quale
buona cosa!” Si inalberò la moglie. “Quella nemmeno il diavolo se la piglia!”
Gastone
avrebbe voluto ribattere ma, la sua solita prudenza lo fece desistere. Ogni
giorno che passava e conosceva meglio i suoi datori di lavoro capiva quanto
bigotti, astiosi, oltre che legati al denaro erano quei due.
“Vi dovevo
solo avvisare, mi sembra che della mia vita possa ancora fare quel che voglio.”
Ermete aveva
paura di perdere un buon lavoratore e gli disse che non c’erano problemi.
Era estate
quando Gastone arrivò una bella mattina da Giacinta con la sua sacca e
nient’altro. La vecchia, quando capì le intenzioni dell’uomo sorrise
semplicemente, lo fece entrare e gli disse di mettersi dove voleva.
Iniziarono
la loro vita insieme ma si vedevano pochissimo, il lavoro teneva impegnato
Gastone ma, nei momenti liberi aveva già cominciato a riparare quella baracca.
Si costruì
un capanno dove cominciò a portare attrezzi vari e chiese a Cincia di
lasciargli quel posto e di non entrarci. Lo chiuse con un grosso lucchetto e
infilò la chiave nel manico del coltello.
Dormiva sul
sofà in cucina, le stanze di sopra non erano sicure e a lui faceva comodo
quella sistemazione.
Sistemò il
recinto degli animali, comprò due capre e altri animali con del mangime e
Cincia cominciò una nuova vita, sembrava rinata: curava gli animali, preparava
da mangiare, finalmente aveva di nuovo uno scopo nella vita ed era felice di
non essere più da sola e, anche se non l’avrebbe mai ammesso gli piaceva da
morire quella sua nuova esistenza.
Era
un’estate come tutte le altre, le giornate erano lunghe e calde e il lavoro non
mancava. Gastone aveva cominciato ad aiutare nei campi e, ogni sera, al
tramonto rientrava, aveva alcune cose sue da fare. Si lavava, mangiava qualcosa
con la sua compagna e si ritirava nel suo capanno fino a notte fonda. Cincia lo
sentiva rientrare e sdraiarsi sul sofà che era quasi mattina, non sapeva cosa
facesse e non glielo avrebbe mai chiesto, un uomo ha diritto ad avere dei
segreti e quello, di sicuro era un uomo con uno scopo ben preciso nella vita e,
qualunque fosse lei lo avrebbe aiutato e non si sarebbe mai tirata indietro.
Era domenica
mattina e, contro voglia doveva accompagnare i suoi padroni in chiesa. Non
aveva più l’obbligo di partecipare alla messa da quando non viveva più con loro
ma dovevano consegnare del liquore e avevano bisogno di lui. Li lasciò davanti
alla chiesa e andò a fare le sue commissioni. Tornato a riprendere i due
coniugi sentì che stavano cantando uno degli inni finali e decise di entrare.
Come al solito si mise in disparte appoggiato ad una colonna appena dentro.
C’era una bella atmosfera, doveva dare atto a quel giovane prete che era
davvero bravo nel suo lavoro e tanta brava gente di quel posto affollava la sua
chiesa ogni domenica mattina. Mentre i suoi occhi si abituavano alla penombra
si guardava intorno osservando i quadri sacri appesi alle pareti. Davanti ad
uno di questi era depositata la cesta in metallo che il sagrestano usava per
raccogliere le offerte. Era ai piedi della Madonna col Bambino in braccio e,
quasi non se ne accorse: quella ciotola in metallo portava inciso lo stesso
nodo che ben conosceva.
Il suo cuore
perse un colpo. Quel simbolo in chiesa proprio non se l’aspettava. I suoi occhi
erano fissi su quell’oggetto, estrasse una moneta e si avvicinò per depositarla
e potere vedere meglio per essere sicuro, ma non aveva dubbi.
Fu data la
benedizione, il canto finale era terminato e lui era ancora con lo sguardo
incollato a quell’oggetto. La gente cominciava ad uscire ordinatamente e, il sagrestano
ritirò la ciotola.
I suoi
datori di lavoro gli passarono davanti e lo richiamarono alla realtà.
“Stavo
pregando la Madonna.” Disse a quei due, e uscirono.
Arrivò da
Cincia che la tavola era apparecchiata e mangiarono insieme.
“Cosa ti
succede?” Gli chiese la vecchia.
Gastone alzò
lo sguardo su quel viso rugoso e si immerse nello sguardo indagatore di due
occhi molto vivi e lucidi.
“Forse ho
trovato quel che sto cercando.”
Cincia
aspettò che continuasse ma, quello tacque.
“Qualunque
cosa sia, sappi che puoi contare su di me.”
“Lo so,
vecchia amica, lo so o non sarei qui.”
Cincia
sospirò e non chiese altro, sistemò la cucina e si ritirò nella sua camera,
quel giorno il caldo era soffocante e lei aveva bisogno di riposare.
Gastone aprì
il lucchetto del suo capanno. Lo aveva arredato con un bancone da lavoro, vari
attrezzi e un armadio che aveva una chiusura segreta creata da lui. Lo aprì e
tolse il diario, lo sfogliò e l’osservò per l’ennesima volta ma quella ciotola
non era riportata. Si sedette sullo sgabello da lavoro e cominciò a pensare. Quel
simbolo stava diventando davvero ricorrente e di sicuro doveva essere
importante visto che era dipinto o scolpito su una parete intera del luogo dove
quei maledetti si riunivano. Era di sicuro della chiesa, poteva essere del
prete? Pensò a quel giovane parroco arrivato da troppo poco perché potesse
c’entravi qualcosa. E se fosse stato del sacrestano? Aveva assolutamente
bisogno di sapere, la sua vendetta doveva colpire soltanto i colpevoli, nessun
innocente doveva andarci di mezzo. Doveva trovare altri indizi prima di dare
inizio a quello che aveva in mente.
Richiuse
l’armadio, prese la canna da pesca e uscì, chiudendo col lucchetto come faceva
ogni volta, anche se si allontanava per pochi minuti, lì dentro c’erano cose
che nessuno doveva conoscere, nemmeno la sua vecchia compagna di casa, anche se
sapeva che si sarebbe fatta uccidere piuttosto di tradire la sua fiducia.
romanzo di Milena Ziletti - diritti e proprietà a lei riservati
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