lunedì 25 maggio 2020

IL SEGRETO DELLA LUNA



IL SEGRETO DELLA LUNA

parte nove






Non era ancora ora di cena, si era già lavato e si sdraiò sul letto col registro in mano. Come spesso gli accadeva si soffermò sui visi di quelle ragazze, diciassette ragazze giovani che erano state uccise per qualche motivo, come la sua Lisa. Al pensiero di sua figlia e di sua moglie strinse le palpebre per trattenere le lacrime e continuò a sfogliare il quaderno.  Lo aveva osservato già per ore, lo conosceva praticamente a memoria ma, ogni momento libero lo dedicava a decifrare quelle figure.
Maggio arrivò col suo profumo di rose e di fiori. La signora Mariella tolse da una teca la statua della Madonna e la pose in centro al tavolo della cucina e non la toglieva nemmeno quando mangiavano. Gastone non smetteva di stupirsi di quella coppia, aveva capito che mostravano una faccia che non era la loro ma non erano affari suoi.
Andava in paese a consegnare il liquore alla casa di tolleranza ma non si fermava mai più del necessario, quello non era posto per lui.
Era domenica mattina e si stavano preparando per andare a messa. Gastone avrebbe preferito farne a meno ma doveva guidare il carretto perché Ermete si era ferito ad un braccio.
A malavoglia entrò in chiesa e, come al solito si mise in fondo, non voleva mescolarsi con gli altri, e quello era un ottimo punto di osservazione.
Non seguiva nemmeno una parola o un gesto di quello che diceva e faceva il prete, il suo sguardo osservava ogni persona, ogni gesto cercando qualcosa che lo aiutasse nella sua ricerca.
Nel pomeriggio andò a trovare Giacinta che lo aspettava seduta sulla sua sedia a dondolo e Lina sulle ginocchia.
“Sei venuto, finalmente!”
“Buongiorno, Cincia. Già, ora sono qui.” Prese un sacchetto con del cibo e lo mise sul tavolo in cucina.
La gatta aprì un occhio, lo guardò e si rimise a dormire.
“Hai avuto l’approvazione di Lina, adesso posso darti anche la mia.”
“Ha dei lavori da fare? Posso dare una mano?”
“E che vorresti fare? Solo un miracolo può tenere in piedi ancora questa vecchia baracca, lascia che crolli quando vuole, tanto non ha più nessun valore, né per me né per nessuno. Piuttosto, dimmi, cos’è che ti tormenta? Si vede lontano un chilometro che hai lo sguardo triste, e dammi del tu, potrei essere tua nonna.”
“Va bene, Cincia. Vorrei solo conoscere di più di questo posto, delle persone che ci abitano, delle storie che si raccontano, delle usanze … delle disgrazie.”
“Mi chiedi questo perché sono vecchia, ed hai ragione. Cosa ti interessa?”
Gastone non sapeva come introdurre il discorso, ancora non si fidava, nessuno doveva conoscere la sua storia e quello che voleva fare, era indispensabile il massimo riserbo, parlarne col priore era un conto, un vecchio frate chiuso in un convento ma, parlarne a persone sbagliate poteva significare mandare tutto all’aria.
“Vedo che non vuoi parlare, comincerò io, sono una vecchia sola da troppo tempo, anch’io avevo una famiglia, una bella famiglia!” I suoi occhi si accesero al solo pensiero dei suoi cari.
“Che fine hanno fatto?”
“Mio marito e morto mentre lavorava nei campi. Avevo due figli maschi, il più giovane se ne andò e non ne ho più saputo niente, credo che si sia arruolato e morto su qualche campo di battaglia. Il più grande si sposò ed ebbe una figlia, Lina. Sua moglie morì di parto e lui poco dopo dal dispiacere. Mia nipote visse con me, poi sparì e nessuno la rivide più. L’ho cercata finché ho avuto la forza, e ancora l’aspetto, ma so, so per certo che non tornerà più!”
“Doveva essere molto bella tua nipote, parlami di lei.”
La vecchia continuava ad accarezzare la gatta ed era persa in ricordi e pensieri lontani.
“Era molto dolce, timida, un carattere schivo e non amava la compagnia. Andava spesso al fiume, era una sognatrice, cantava strofe che lei stessa componeva. La sua voce era dolcissima e perfino gli uccelli si incantavano ad ascoltarla. Questo le dicevo spesso sei talmente brava che incanti anche gli uccelli. Ricordo come fosse oggi la sua risata, il suo abbraccio, era lei che consolava me e non il contrario. Aveva capelli lunghi e armoniosi, bruni come le foglie in autunno e un viso dall’ovale perfetto, tale e quale a quello della sua povera mamma. Le dicevo spesso che era il suo ritratto e che non poteva essere più bella. Se entri in casa c’è piccolo ritratto della mia povera nuora, puoi vedere da te quanto fosse bella.”
Gastone andò a vedere il ritratto nella cornice e se lo stampò bene nella mente, lo avrebbe confrontato con i diciassette volti del suo registro.
“E’ davvero bella con un bel porta ritratto, hai ragione era davvero una ragazza stupenda.”
“E’ il ricordo di mio figlio, il porta ritratto fu un regalo per il loro matrimonio.”
“Quanti anni aveva tua nipote?”
“Aveva sedici anni, ed era bellissima.” Giacinta si asciugò gli occhi. Il ricordo della sua dolcissima nipote non l’abbandonava mai, viveva la sua scomparsa come una colpa, toccava a lei sorvegliarla e, invece le aveva lasciato troppa libertà e lei non era più tornata.
Gastone vedeva la sofferenza su quel viso rugoso e capiva il dolore di quella vecchia donna.
“Davvero non vuoi che faccia qualche lavoretto per te? Non sono abituato a starmene con le mani in mano!”
Giacinta si alzò e gli fece cenno di seguirla.
La casupola era in penombra e il freddo del nudo pavimento si irradiava in ogni stanza. Era una casa fredda, una casa con tanti fantasmi e tanto dolore e nemmeno il camino più grande del mondo avrebbe potuto riscaldare quell’ambiente.
Gastone ebbe un brivido e si chiese come potesse ancora stare in piedi quell’ammasso di travi ed assi corrose dai tarli e dal tempo.
La vecchia condusse il suo ospite al piano superiore, lei non ci saliva da tempo. Viveva nelle due stanze al piano terra e le bastavano.
Il piano superiore aveva tre piccole stanze ricoperte di polvere e ragnatele. Giacinta aprì una porta e si fermò sulla soglia. Il suo sguardo si perdeva in qualcosa che solo lei poteva conoscere. Gastone la raggiunse e vide una piccola camera, impossibile non capire che doveva essere di Lina. C’erano un paio di orsacchiotti consumati dal tempo, un piccolo letto ricoperto da un lenzuolo colorato, un quadro della Madonna alla parete, un comò e poche altre suppellettili.
“Quando se n’è andata ha lasciato tutto così, come vedi ora. Ti sembra la stanza di una ragazza che voleva andarsene per non tornare più?”
“Cosa pensi che le sia successo?” Gastone drizzò le orecchie in attesa della risposta.
“Qualcuno me l’ha portata via, sì qualcuno l’ha rapita e poi …” Non finì la frase, non ci riuscì.
“Per quale motivo l’hanno rapita?”
La donna si voltò verso di lui e gli lanciò uno sguardo da incenerirlo. “Devi essere proprio ottuso se mi fai questa domanda, per quale motivo rapiscono una bella ragazza, giovane, vergine? Per approfittarsene, cosa credi! La usano come un giocattolo e poi la buttano via! Almeno potessi riavere il  suo corpo e darle degna sepoltura accanto ai suoi genitori!”
“Non ti sei rivolta a nessuno per denunciarne la scomparsa?”
“Pensi che mi avrebbero creduta? Che qualcuno avrebbe mosso un dito per aiutare una vecchia mezza pazza? Che a qualcuno interessasse della nostra vita? No, ci ho pensato da sola. L’ho cercata per mesi ma non l’ho più trovata, e mai più la ritroverò!”
“Anch’io ho perso mia figlia … e mia moglie!” Si lasciò sfuggire l’uomo.
Giacinta si sedette sul piccolo letto e fece segno a Gastone di sedersi vicino a lei.
“E’ questo dolore che ti tormenta, un dolore simile al mio, per questo l’ho riconosciuto subito quando ti ho visto la prima volta! Dio quanto è ingiusta la vita, perché non si è preso la mia vita invece di quella della mia giovane nipote? Non potrò mai perdonarlo, mai e poi mai, per avermi dato un dolore così grande!”
Rimasero entrambi seduti in silenzio, avvolti dal loro dolore e dalle lacrime silenziose che bagnavano il viso rugoso di Giacinta e quello scurito dal sole di Gastone.
Gastone prese la mano di Cincia e ridiscesero. Il suo sguardo si posò sul ritratto della nuora, poi capì. C’era qualcosa che lo aveva attratto, non era il ritratto della bella donna ma la cornice. Si avvicinò e la prese in mano, sfiorandola. Aveva dei disegni, dei simboli in risalto e fu attratto da uno speciale nodo che aveva più volte notato nei disegni del registro che gli aveva dato il priore.
Pose il ritratto sul tavolo, davanti alla vecchia. “Dimmi, Cincia ha qualche significato questo simbolo? E questo? E questo?” Non voleva sbilanciarsi, non avrebbe abbandonato la sua cautela, non ancora.
Gli occhi ancora umidi si alzarono per osservare quello che il suo ospite le mostrava. Passò con le dita sui rilievi di quei simboli e scosse la testa in segno di diniego.
“Non so cosa intendi, ma per me non hanno nessun significato.”


romanzo di Milena Ziletti - diritti e proprietà a lei riservati

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