IL SEGRETO DELLA LUNA
parte dieci
Capitolo sei
Fischiettando
si diresse al fiume, la pesca lo avrebbe rilassato e lui avrebbe potuto
immergersi nei suoi pensieri senza essere disturbato da nessuno e avrebbe anche
portato del pesce fresco da cucinare.
Mentre
percorreva il sentiero un vecchio cane randagio cominciò a seguirlo. Era vecchio
e malandato, avrebbe avuto bisogno di un bagno e di tanto cibo per rimettersi
in sesto, sembrava più di là che di qua. Gastone si fermò e allungò la mano
verso quell’animale dagli occhi spenti. Il cane, sebbene titubante si avvicinò
a lui con la coda fra le gambe e allungò il muso senza avvicinarsi del tutto.
Un senso di tenerezza che non sentiva da tempo riempì il cuore dell’uomo,
rivedeva se stesso in quel cane solo e triste e, visto che lui era stato
fortunato a trovare una casa e un’amica decise di dare la stessa possibilità a
quel vecchio cane pieno di pulci.
Gli
accarezzò il muso, appoggiò la canna ad un masso che delimitava il sentiero e
si inginocchiò di fronte al cane. Quello non aspettava altro che un gesto
gentile e si avvicinò pieno di speranza a quell’uomo grande grosso, dando
fiducia, ancora una volta ad uno di quegli esseri che tanto lo avevano
maltrattato.
“Sei solo?
Vuoi essere il mio cane?” l’animale gli leccò la mano e sancirono l’inizio di
una bella amicizia. “Vieni con me al fiume, faremo un bagno e poi ti porto con
me dalla Cincia.”
Distrattamente
riprese la canna da pesca che gli scivolò sul terreno erboso. Allungò la mano
per prenderla e proseguire quando si arrestò di colpo. Alla base di quel masso
c’era di nuovo il nodo, lo stesso nodo che cominciava ad ossessionarlo.
Strappò
l’erba che ne ricopriva la base e vide una freccia che indicava la direzione
del fiume, esattamente sotto il nodo. Era inciso tutto nella pietra e il tempo
lo aveva riempito di sporco, era quasi impossibile notarlo. Seguì la freccia e
trovò un altro masso, stavolta piuttosto piccolo con gli stessi simboli. Ne
trovò altri e seguì, fischiettando nella direzione segnalata. Erano quasi tutti
nascosti dal terriccio e dalle erbacce, bisognava proprio cercarli. Fu molto
attento a non lasciare tracce del suo passaggio e lasciava tutto come lo aveva
trovato. Percorse un altro sentiero circondato da alberi secolari fino a che si
ritrovò in una grande radura, un grande appezzamento di terreno ricoperto da
soffice erba. Era strano che non fosse coltivato come gli altri campi con grano
o mais, ma anche l’erba era importante per foraggiare gli animali.
Una grande
costruzione si intravedeva in lontananza. Si fermò ad osservarla per capire di
cosa si trattasse, non conosceva bene quelle zone ma non aveva niente da
nascondere e, sempre fischiettando e col cane al fianco si avvicinò per
osservare meglio.
Era
impossibile non riconoscere un convento. Decise di ritornare al fiume a pescare
e farsi un bagno col cane per poi chiedere a Cincia informazioni su quel posto.
Il
pomeriggio di quel fine giugno era rovente più del solito. Gastone dopo aver
preso alcuni grossi pesci e fatto il bagno col cane, si incamminò verso casa
ancora tutto bagnato. Lui e il cane non ci misero molto ad asciugarsi e
arrivarono già sudati, Cincia aspettava seduta sotto il portico.
“Chi hai
portato con te? Mi sembra messo un po’ male!”
“Un nuovo
amico, che ne dici? Come lo chiamiamo?”
Cincia fece
una sonora risata, da quando conosceva quell’uomo le capitava spesso di ridere
anche per delle sciocchezze, ma lei già si immaginava la lotta che sarebbe
avvenuta con la sua gatta e rise ancora più forte.
“Lo chiamerò
Rufus.” Andò alla pompa e pulì il pesce. Lo consegnò a Cincia che lo avrebbe
preparato per cena.
“Intanto che
tu prepari la cena io cerco di ripulire Rufus dalle pulci, entreremo in casa
puliti e irriconoscibili.”
Il profumo
del pesce che arrostiva arrivava fino a fuori e il cane cominciò ad agitarsi,
chissà da quanto tempo non mangiava!
Era quasi
buio quando entrarono per cenare. Una ciotola colma di zuppa era sul pavimento
vicino al fuoco e il cane si fiondò immergendovi il muso che rialzò solo quando
ebbe leccato per ben tre volte la ciotola vuota.
I due
compagni mangiarono tranquilli mentre dalle finestre aperte cominciava ad
entrare una lieve brezza e i grilli accompagnavano l’arrivo della notte con le
loro note canterine, anche le lucciole illuminavano la sera, si stava davvero
bene.
Cincia era
seduta con la gatta in braccio e Rufus si era sistemato ai piedi di Gastone,
sembrava che avessero sempre vissuto insieme, proprio vero che le Anime simili
si riconoscono.
“Esci anche
stanotte?” Chiese inaspettatamente la vecchia.
Gastone alzò
un sopracciglio e la guardò.
“Sono
vecchia ma non sorda, e poi dormo poco, sento bene quando vai o vieni, non
pensi sia giunto il momento di parlarmene? Da me non hai niente da temere.”
“Oggi mi
sono imbattuto in una grande costruzione che ho visto da lontano, sembrava un
convento, tu sai di che si tratta?”
“E’ un
antico convento di monache, ce ne sono ancora che vivono là dentro, non
ricevono molte visite, per quanto ne so, sembra che vivano fuori dal mondo ma,
se vuoi un piatto di minestra o del pane, bussi al loro grande portone e ti
sfamano. Che ci facevi da quelle parti?”
Gastone
sospirò visibilmente, aveva bisogno di risposte e sapeva che doveva dare
qualche spiegazione a quella donna.
“Sto
cercando qualcosa, qualcuno e …”
“Perché non
cominci dall’inizio?”
Gli occhi di
Gastone sfavillarono di rabbia per poi inumidirsi dal dolore. Scacciò le
lacrime represse e puntò dritto i suoi occhi in quelli rugosi di Cincia.
“Cerco chi
ha ucciso mia figlia, causando anche la morte di mia moglie, e credo siano gli
stessi che hanno ucciso tua nipote.”
I loro occhi
si fissavano e in quelli della vecchia passò un dolore immenso, sembravano
sbarrati verso ricordi lontani, strinse i pugni e la gatta saltò giù dalle sue
ginocchia.
“Sai chi è?”
“Non chi è ,
Cincia, sono più di uno e no, non so chi sono ma ho alcuni indizi ed ho bisogno
del tuo aiuto.”
“Avrai tutto
ciò che posso darti.”
“Per adesso
mi servono informazioni, se ne hai e un alibi quando mi servirà. Io sono sempre
qui con te se qualcuno ti chiedesse qualcosa.”
“Non
dubitare, cosa vuoi sapere?”
“Alcune
informazioni sul convento e … sul sacrestano.”
La donna fu
sorpresa dalla richiesta ma non fece obiezioni e cominciò a raccontargli quello
che sapeva, anche se non era molto.
“Il convento
è molto isolato e le monache hanno tutto quello che a loro serve. Aiutano e
sfamano chi si presenta al portone ma non fanno mai entrare nessuno, tranne il
prete una volta al mese per i loro inutili riti. Io ho sempre abitato qui e non
ci sono mai state voci particolari né sulle monache né su quel posto anche se …”
Gastone era
in attesa che continuasse.
“Una sera,
poco dopo la scomparsa di mia nipote ero fuori a cercarla. Non faceva ancora
buio e c’era una luna grande e bellissima, talmente luminosa che si poteva
vedere a molta distanza. A quel tempo ero giovane e i miei occhi ci vedevano
bene. Sentii dei rumori e mi nascosi, avevo paura. Sul sentiero passarono
alcuni uomini che provenivano dal convento. Mi sono sempre chiesta se quelle
sgualdrine ricevessero degli uomini di nascosto e l’ho sempre creduto, perché
successe altre volte. So che hanno un grande appezzamento di terreno che hanno
ricevuto in dono dalla comunità che circonda il convento, e non so altro. Spero
ti sia di aiuto.”
“E il
sacrestano? Lo conosci?”
“Certamente!
Da generazioni la sua famiglia si tramanda quello stupido lavoro. Qui quasi tutti
i lavori vengono tramandati di padre in figlio, anche le grandi proprietà
passano in eredità ai figli, soprattutto se maschi. Gualtiero, il sacrestano è
un uomo di potere in questo piccolo ambiente, prende mance sottobanco per molte
cose, dalla scelta del posto al cimitero, alla messa in suffragio di un morto,
dai posti migliori da distribuire in chiesa, e dalla cresta che fa sulle
offerte. Non mi piace così come non mi piaceva suo padre prima di lui. Il posto
di sacrestano doveva essere preso da suo fratello maggiore ma morì in un
incidente a cavallo e Gualtiero prese il suo posto. Maritò quella piccola oca
di Germana ed hanno una schiera di figli uno più stupido dell’altro. Perché ti
interessa? Adesso tocca a te parlare.”
“Ti fidi di
me, Cincia? Bene, anch’io mi fido di te o non sarei qui e vorrei tenerti fuori
da quello che sto facendo, sarebbe molto meglio per te.”
“Capisco.
Dimmi solo una cosa: cosa farai quando troverai le persone che hanno ucciso le
nostre ragazze?”
“Farò loro
quello che hanno fatto a noi, l’ho giurato sulla tomba di mia figlia e di mia
moglie.”
La vecchia
annuì, sicura che la vendetta dell’uomo sarebbe stata la sua vendetta.
romanzo di Milena Ziletti - diritti e proprietà a lei riservati
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