mercoledì 27 maggio 2020

IL SEGRETO DELLA LUNA


IL SEGRETO DELLA LUNA

parte dieci






Capitolo sei
Fischiettando si diresse al fiume, la pesca lo avrebbe rilassato e lui avrebbe potuto immergersi nei suoi pensieri senza essere disturbato da nessuno e avrebbe anche portato del pesce fresco da cucinare.
Mentre percorreva il sentiero un vecchio cane randagio cominciò a seguirlo. Era vecchio e malandato, avrebbe avuto bisogno di un bagno e di tanto cibo per rimettersi in sesto, sembrava più di là che di qua. Gastone si fermò e allungò la mano verso quell’animale dagli occhi spenti. Il cane, sebbene titubante si avvicinò a lui con la coda fra le gambe e allungò il muso senza avvicinarsi del tutto. Un senso di tenerezza che non sentiva da tempo riempì il cuore dell’uomo, rivedeva se stesso in quel cane solo e triste e, visto che lui era stato fortunato a trovare una casa e un’amica decise di dare la stessa possibilità a quel vecchio cane pieno di pulci.
Gli accarezzò il muso, appoggiò la canna ad un masso che delimitava il sentiero e si inginocchiò di fronte al cane. Quello non aspettava altro che un gesto gentile e si avvicinò pieno di speranza a quell’uomo grande grosso, dando fiducia, ancora una volta ad uno di quegli esseri che tanto lo avevano maltrattato.
“Sei solo? Vuoi essere il mio cane?” l’animale gli leccò la mano e sancirono l’inizio di una bella amicizia. “Vieni con me al fiume, faremo un bagno e poi ti porto con me dalla Cincia.”
Distrattamente riprese la canna da pesca che gli scivolò sul terreno erboso. Allungò la mano per prenderla e proseguire quando si arrestò di colpo. Alla base di quel masso c’era di nuovo il nodo, lo stesso nodo che cominciava ad ossessionarlo.
Strappò l’erba che ne ricopriva la base e vide una freccia che indicava la direzione del fiume, esattamente sotto il nodo. Era inciso tutto nella pietra e il tempo lo aveva riempito di sporco, era quasi impossibile notarlo. Seguì la freccia e trovò un altro masso, stavolta piuttosto piccolo con gli stessi simboli. Ne trovò altri e seguì, fischiettando nella direzione segnalata. Erano quasi tutti nascosti dal terriccio e dalle erbacce, bisognava proprio cercarli. Fu molto attento a non lasciare tracce del suo passaggio e lasciava tutto come lo aveva trovato. Percorse un altro sentiero circondato da alberi secolari fino a che si ritrovò in una grande radura, un grande appezzamento di terreno ricoperto da soffice erba. Era strano che non fosse coltivato come gli altri campi con grano o mais, ma anche l’erba era importante per foraggiare gli animali.
Una grande costruzione si intravedeva in lontananza. Si fermò ad osservarla per capire di cosa si trattasse, non conosceva bene quelle zone ma non aveva niente da nascondere e, sempre fischiettando e col cane al fianco si avvicinò per osservare meglio.
Era impossibile non riconoscere un convento. Decise di ritornare al fiume a pescare e farsi un bagno col cane per poi chiedere a Cincia informazioni su quel posto.
Il pomeriggio di quel fine giugno era rovente più del solito. Gastone dopo aver preso alcuni grossi pesci e fatto il bagno col cane, si incamminò verso casa ancora tutto bagnato. Lui e il cane non ci misero molto ad asciugarsi e arrivarono già sudati, Cincia aspettava seduta sotto il portico.
“Chi hai portato con te? Mi sembra messo un po’ male!”
“Un nuovo amico, che ne dici? Come lo chiamiamo?”
Cincia fece una sonora risata, da quando conosceva quell’uomo le capitava spesso di ridere anche per delle sciocchezze, ma lei già si immaginava la lotta che sarebbe avvenuta con la sua gatta e rise ancora più forte.
“Lo chiamerò Rufus.” Andò alla pompa e pulì il pesce. Lo consegnò a Cincia che lo avrebbe preparato per cena.
“Intanto che tu prepari la cena io cerco di ripulire Rufus dalle pulci, entreremo in casa puliti e irriconoscibili.”
Il profumo del pesce che arrostiva arrivava fino a fuori e il cane cominciò ad agitarsi, chissà da quanto tempo non mangiava!
Era quasi buio quando entrarono per cenare. Una ciotola colma di zuppa era sul pavimento vicino al fuoco e il cane si fiondò immergendovi il muso che rialzò solo quando ebbe leccato per ben tre volte la ciotola vuota.
I due compagni mangiarono tranquilli mentre dalle finestre aperte cominciava ad entrare una lieve brezza e i grilli accompagnavano l’arrivo della notte con le loro note canterine, anche le lucciole illuminavano la sera, si stava davvero bene.
Cincia era seduta con la gatta in braccio e Rufus si era sistemato ai piedi di Gastone, sembrava che avessero sempre vissuto insieme, proprio vero che le Anime simili si riconoscono.
“Esci anche stanotte?” Chiese inaspettatamente la vecchia.
Gastone alzò un sopracciglio e la guardò.
“Sono vecchia ma non sorda, e poi dormo poco, sento bene quando vai o vieni, non pensi sia giunto il momento di parlarmene? Da me non hai niente da temere.”
“Oggi mi sono imbattuto in una grande costruzione che ho visto da lontano, sembrava un convento, tu sai di che si tratta?”
“E’ un antico convento di monache, ce ne sono ancora che vivono là dentro, non ricevono molte visite, per quanto ne so, sembra che vivano fuori dal mondo ma, se vuoi un piatto di minestra o del pane, bussi al loro grande portone e ti sfamano. Che ci facevi da quelle parti?”
Gastone sospirò visibilmente, aveva bisogno di risposte e sapeva che doveva dare qualche spiegazione a quella donna.
“Sto cercando qualcosa, qualcuno e …”
“Perché non cominci dall’inizio?”
Gli occhi di Gastone sfavillarono di rabbia per poi inumidirsi dal dolore. Scacciò le lacrime represse e puntò dritto i suoi occhi in quelli rugosi di Cincia.
“Cerco chi ha ucciso mia figlia, causando anche la morte di mia moglie, e credo siano gli stessi che hanno ucciso tua nipote.”
I loro occhi si fissavano e in quelli della vecchia passò un dolore immenso, sembravano sbarrati verso ricordi lontani, strinse i pugni e la gatta saltò giù dalle sue ginocchia.
“Sai chi è?”
“Non chi è , Cincia, sono più di uno e no, non so chi sono ma ho alcuni indizi ed ho bisogno del tuo aiuto.”
“Avrai tutto ciò che posso darti.”
“Per adesso mi servono informazioni, se ne hai e un alibi quando mi servirà. Io sono sempre qui con te se qualcuno ti chiedesse qualcosa.”
“Non dubitare, cosa vuoi sapere?”
“Alcune informazioni sul convento e … sul sacrestano.”
La donna fu sorpresa dalla richiesta ma non fece obiezioni e cominciò a raccontargli quello che sapeva, anche se non era molto.
“Il convento è molto isolato e le monache hanno tutto quello che a loro serve. Aiutano e sfamano chi si presenta al portone ma non fanno mai entrare nessuno, tranne il prete una volta al mese per i loro inutili riti. Io ho sempre abitato qui e non ci sono mai state voci particolari né sulle monache né su quel posto anche se …”
Gastone era in attesa che continuasse.
“Una sera, poco dopo la scomparsa di mia nipote ero fuori a cercarla. Non faceva ancora buio e c’era una luna grande e bellissima, talmente luminosa che si poteva vedere a molta distanza. A quel tempo ero giovane e i miei occhi ci vedevano bene. Sentii dei rumori e mi nascosi, avevo paura. Sul sentiero passarono alcuni uomini che provenivano dal convento. Mi sono sempre chiesta se quelle sgualdrine ricevessero degli uomini di nascosto e l’ho sempre creduto, perché successe altre volte. So che hanno un grande appezzamento di terreno che hanno ricevuto in dono dalla comunità che circonda il convento, e non so altro. Spero ti sia di aiuto.”
“E il sacrestano? Lo conosci?”
“Certamente! Da generazioni la sua famiglia si tramanda quello stupido lavoro. Qui quasi tutti i lavori vengono tramandati di padre in figlio, anche le grandi proprietà passano in eredità ai figli, soprattutto se maschi. Gualtiero, il sacrestano è un uomo di potere in questo piccolo ambiente, prende mance sottobanco per molte cose, dalla scelta del posto al cimitero, alla messa in suffragio di un morto, dai posti migliori da distribuire in chiesa, e dalla cresta che fa sulle offerte. Non mi piace così come non mi piaceva suo padre prima di lui. Il posto di sacrestano doveva essere preso da suo fratello maggiore ma morì in un incidente a cavallo e Gualtiero prese il suo posto. Maritò quella piccola oca di Germana ed hanno una schiera di figli uno più stupido dell’altro. Perché ti interessa? Adesso tocca a te parlare.”
“Ti fidi di me, Cincia? Bene, anch’io mi fido di te o non sarei qui e vorrei tenerti fuori da quello che sto facendo, sarebbe molto meglio per te.”
“Capisco. Dimmi solo una cosa: cosa farai quando troverai le persone che hanno ucciso le nostre ragazze?”
“Farò loro quello che hanno fatto a noi, l’ho giurato sulla tomba di mia figlia e di mia moglie.”
La vecchia annuì, sicura che la vendetta dell’uomo sarebbe stata la sua vendetta.


romanzo di Milena Ziletti - diritti e proprietà a lei riservati

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