giovedì 28 maggio 2020

IL SEGRETO DELLA LUNA


IL SEGRETO DELLA LUNA

parte dodici






“Io sono qui per tutto quello che posso fare per te, ora vado a dormire. Il tuo cane si è già messo accanto al sofà, si vede che ti vuole già bene ed io credo molto nei sentimenti degli animali, se piaci a loro sei una brava persona, ricordalo sempre. Buona notte.”
Gastone si sdraiò sul sofà e il cane si sdraiò per terra vicino a lui. L’uomo ripensava a quello che gli aveva detto Cincia, soprattutto degli uomini che aveva visto. Decise che avrebbe tenuto sotto controllo il sacrestano, doveva essere molto discreto, sapeva che se aveva ragione poteva essere pericoloso. Con un mezzo sorriso decise che da quel giorno sarebbe diventato un assiduo frequentatore della chiesa e delle funzioni religiose. Si addormentò in un lampo, il giorno dopo aveva molto lavoro da fare e molte indagini da svolgere con circospezione.
I lavori nei campi tenevano Gastone impegnato e la sera rientrava molto stanco. Si lavava nella vasca della fontana mentre Cincia lo guardava con un leggero sorriso seduta alla tavola apparecchiata. Era diventata una convivenza serena, e la vecchia donna provava per quell’uomo solitario e silenzioso, un affetto che custodiva nel cuore fin da quando era rimasta sola e che ora, finalmente sapeva a chi indirizzare.
“Sembri stanco.”
“Lo sono. Ho dovuto lavorare parecchio per soddisfare le richieste di Ermete, sta cominciando ad esagerare.”
“Già, e tu dormi troppo poco. Anche stanotte sei rientrato che era quasi l’alba. Non puoi continuare così o non avrai la forza né per portare avanti il tuo lavoro tanto meno per portare a termine il tuo compito. Rimani a casa stasera e fatti una sana dormita, un po’ di riposo ti farà recuperare le forze e riprendere il tutto con più energia.”
Gastone guardò quella donna vecchia e ricurva, le sorrise. Si alzò da tavola e si sdraiò sul sofà addormentandosi subito. Il cane sdraiato vicino sembrava vegliare su di lui, mentre Cincia gli accarezzò una guancia ispida di barba e si ritirò senza nemmeno sparecchiare per non fare rumore.
La mattina era già nella distilleria, doveva preparare e pulire i macchinari, presto avrebbe iniziato a produrre un’altra partita di liquore. Era intento nel suo lavoro e il cane fuori iniziò ad abbaiare. Non aspettava nessuno e andò alla porta. Ermete voleva entrare ma il cane ringhiava e gli faceva un po’ paura. Una carezza del suo padrone lo rabbonì e ritornò a cuccia.
“Devo chiederti un grosso favore. Durante la riunione della parrocchia mia moglie si è esposta ed ha detto che tu avresti fatto una cosa per loro.” L’uomo non sapeva come continuare e, mentalmente maledisse sua moglie e i suoi progetti.
“La casa del sacrestano ha bisogno di una riparazione. Vorrebbe che ci pensassi tu ma nel tuo tempo libero.”
“Perché proprio io?”
“Perché lo faresti gratis e lei non dovrebbe fare l’offerta annuale alla parrocchia.”
“Lo faccio se mi dai la metà dell’offerta annuale.”
Ermete sapeva che non poteva pretendere troppo o quell’uomo se ne sarebbe andato. Si era fatto una buona reputazione di gran lavoratore e non avrebbe avuto difficoltà a trovarsi un altro posto di lavoro, lui non voleva perderlo. Maledetta sua moglie e la sua taccagneria.
“Va bene.”
“Li voglio prima di cominciare o non se ne fa niente.”
Pattuirono il dovuto ed ognuno tornò ai propri lavori.
A Gastone non pareva vero di poter entrare nella casa del sacrestano e quella sera, consegnando a Cincia la borsa con le monete la mise al corrente dei suoi piani.
La sera successiva si presentò dal sacrestano. Gualtiero gli mostrò il lavoro da fare, doveva sistemare il tetto o sarebbe di nuovo piovuto nella camera da letto dei suoi figli. Le tavole di legno erano già pronte e presero accordi per iniziare nel tardo pomeriggio del giorno seguente e continuare fino a che la luce del sole lo avrebbe permesso. Ci sarebbero volute un paio di settimane, sperando che non piovesse nel frattempo. Si strinsero la mano e si salutarono.
Il lavoro era faticoso ma uno dei figli del sacrestano lo aiutava. La moglie gli offriva acqua fresca e pane imburrato, sembrava che in quella casa, nonostante i numerosi figli nessuno cucinasse mai.
Era ormai la terza sera e aveva scoperchiato tutto il tetto. Si stava asciugando il sudore mentre Costanzo lo stava osservando. Era un ragazzo di dodici anni, molto magro e piuttosto sveglio. Imparava con rapidità e per Gastone era un piacere averlo vicino e istruirlo.
“Non vedo tuo padre, avrei bisogno di alcune indicazioni.”
“Mio padre non c’è, lo vedrai domani.”
“Non torna stasera?”
“No, quando esce rimane fuori tutta la notte, capita solo una volta al mese.”
“Non importa, glielo chiederò domani. Che ne dici se per stasera finiamo prima?”
Il ragazzino alzò le spalle e scese dalla scala a pioli.
Gastone e Rufus ritornarono veloci a casa.
Cincia non li aspettava così presto ma la tavola era preparata e pronta, lei aveva già mangiato ma lo aspettava sempre per fargli compagnia.
“Non ho tempo per mangiare, lascia tutto lì. Devo uscire di corsa.”
Andò nel suo sgabuzzino, prese il suo fucile e, seguito dal cane uscì nella sera stellata.
Ormai conosceva a memoria il sentiero e, nel silenzio della notte che scendeva, una splendida luna piena rischiarava quasi come fosse l’alba, lui si avvicinava al convento. Rufus lo seguiva ed era silenzioso come il suo padrone. Entrambi si fermarono al limite del bosco, il vasto prato che li separava da quella grande costruzione sembrava illuminato a giorno, non c’era verso di passare inosservati se qualcuno era di sentinella.
Gastone aveva già ispezionato tutta la zona da ogni lato e non c’era verso di avvicinarsi senza essere visto, per questo decise di rimanere appostato in attesa, al sicuro dentro il boschetto. Si pentì di non aver preso del cibo, il suo stomaco lo reclamava ma avrebbe dovuto aspettare. Sapeva di non essere sicuro che, quella gente sarebbe passata proprio da lì, ma lui non poteva tenere sotto controllo tutti i lati, sperava di essere nel posto giusto, non aveva certezze.
La luna era talmente luminosa che l’uomo si chiese come mai non l’avesse mai osservata prima, per lui non era altro che una grossa stella che segnava lo scorrere dei mesi, che indicava il tempo delle semine, dei raccolti, delle cove e delle nascite degli animali. Era davvero importante, non ci aveva mai pensato.
Rufus, acquattato al suo fianco ringhiò sommessamente. Gastone aguzzò la vista e rimase deluso, un gruppo di persone se ne stava andando prendendo il sentiero più lontano da lui. Bestemmiò sottovoce, non poteva seguirli, non poteva rischiare ma, nella sua mente già si formava un piano. La fame lo fece decidere e ritornò a casa.
Mangiò quello che era sulla tavola e ne diede anche al cane, si sdraiò e si addormentò.
Passarono alcuni giorni senza che niente cambiasse. Gastone stava solo aspettando il momento giusto per agire e quella sembrava proprio la sera giusta.
“Presto arriverà un grosso temporale.” Disse la Cincia.
“Per fortuna il tetto del sacrestano è coperto, fra un paio di giorni avrò finito. Stasera rimarrò a casa visto il brutto tempo.”
“Rimarrai a casa?” Sorrise la vecchia. “Ti ho già preparato da mangiare, fallo subito così poi potrai andare dove devi.”
Gastone le rivolse un sorriso gentile, sapeva che poteva contare sempre su quella donna e, anche se non le aveva raccontato molto, quella aveva intuito più di quello che lui stesso sapeva.
I primi tuoni rimbombarono in lontananza. Cincia alzò un sopracciglio in attesa. I loro occhi si incontrarono e si capirono.
Gastone uscì col cane, prese i sui inseparabili fucile e coltello e sparì sotto gli scrosci furibondi della prima pioggia.
Va e trova ciò che cerchi, fallo anche per me. Pensò Cincia prima di coricarsi.


romanzo di Milena Ziletti- diritti e proprietà a lei riservati

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