IL SEGRETO DELLA LUNA
parte dodici
“Io sono qui
per tutto quello che posso fare per te, ora vado a dormire. Il tuo cane si è
già messo accanto al sofà, si vede che ti vuole già bene ed io credo molto nei
sentimenti degli animali, se piaci a loro sei una brava persona, ricordalo
sempre. Buona notte.”
Gastone si
sdraiò sul sofà e il cane si sdraiò per terra vicino a lui. L’uomo ripensava a
quello che gli aveva detto Cincia, soprattutto degli uomini che aveva visto.
Decise che avrebbe tenuto sotto controllo il sacrestano, doveva essere molto
discreto, sapeva che se aveva ragione poteva essere pericoloso. Con un mezzo
sorriso decise che da quel giorno sarebbe diventato un assiduo frequentatore
della chiesa e delle funzioni religiose. Si addormentò in un lampo, il giorno
dopo aveva molto lavoro da fare e molte indagini da svolgere con circospezione.
I lavori nei
campi tenevano Gastone impegnato e la sera rientrava molto stanco. Si lavava
nella vasca della fontana mentre Cincia lo guardava con un leggero sorriso seduta
alla tavola apparecchiata. Era diventata una convivenza serena, e la vecchia
donna provava per quell’uomo solitario e silenzioso, un affetto che custodiva
nel cuore fin da quando era rimasta sola e che ora, finalmente sapeva a chi
indirizzare.
“Sembri
stanco.”
“Lo sono. Ho
dovuto lavorare parecchio per soddisfare le richieste di Ermete, sta
cominciando ad esagerare.”
“Già, e tu
dormi troppo poco. Anche stanotte sei rientrato che era quasi l’alba. Non puoi
continuare così o non avrai la forza né per portare avanti il tuo lavoro tanto
meno per portare a termine il tuo compito. Rimani a casa stasera e fatti una
sana dormita, un po’ di riposo ti farà recuperare le forze e riprendere il
tutto con più energia.”
Gastone
guardò quella donna vecchia e ricurva, le sorrise. Si alzò da tavola e si
sdraiò sul sofà addormentandosi subito. Il cane sdraiato vicino sembrava
vegliare su di lui, mentre Cincia gli accarezzò una guancia ispida di barba e
si ritirò senza nemmeno sparecchiare per non fare rumore.
La mattina
era già nella distilleria, doveva preparare e pulire i macchinari, presto
avrebbe iniziato a produrre un’altra partita di liquore. Era intento nel suo
lavoro e il cane fuori iniziò ad abbaiare. Non aspettava nessuno e andò alla
porta. Ermete voleva entrare ma il cane ringhiava e gli faceva un po’ paura.
Una carezza del suo padrone lo rabbonì e ritornò a cuccia.
“Devo
chiederti un grosso favore. Durante la riunione della parrocchia mia moglie si
è esposta ed ha detto che tu avresti fatto una cosa per loro.” L’uomo non
sapeva come continuare e, mentalmente maledisse sua moglie e i suoi progetti.
“La casa del
sacrestano ha bisogno di una riparazione. Vorrebbe che ci pensassi tu ma nel
tuo tempo libero.”
“Perché
proprio io?”
“Perché lo
faresti gratis e lei non dovrebbe fare l’offerta annuale alla parrocchia.”
“Lo faccio
se mi dai la metà dell’offerta annuale.”
Ermete
sapeva che non poteva pretendere troppo o quell’uomo se ne sarebbe andato. Si
era fatto una buona reputazione di gran lavoratore e non avrebbe avuto
difficoltà a trovarsi un altro posto di lavoro, lui non voleva perderlo.
Maledetta sua moglie e la sua taccagneria.
“Va bene.”
“Li voglio
prima di cominciare o non se ne fa niente.”
Pattuirono
il dovuto ed ognuno tornò ai propri lavori.
A Gastone
non pareva vero di poter entrare nella casa del sacrestano e quella sera,
consegnando a Cincia la borsa con le monete la mise al corrente dei suoi piani.
La sera
successiva si presentò dal sacrestano. Gualtiero gli mostrò il lavoro da fare,
doveva sistemare il tetto o sarebbe di nuovo piovuto nella camera da letto dei
suoi figli. Le tavole di legno erano già pronte e presero accordi per iniziare
nel tardo pomeriggio del giorno seguente e continuare fino a che la luce del
sole lo avrebbe permesso. Ci sarebbero volute un paio di settimane, sperando
che non piovesse nel frattempo. Si strinsero la mano e si salutarono.
Il lavoro
era faticoso ma uno dei figli del sacrestano lo aiutava. La moglie gli offriva
acqua fresca e pane imburrato, sembrava che in quella casa, nonostante i
numerosi figli nessuno cucinasse mai.
Era ormai la
terza sera e aveva scoperchiato tutto il tetto. Si stava asciugando il sudore
mentre Costanzo lo stava osservando. Era un ragazzo di dodici anni, molto magro
e piuttosto sveglio. Imparava con rapidità e per Gastone era un piacere averlo
vicino e istruirlo.
“Non vedo
tuo padre, avrei bisogno di alcune indicazioni.”
“Mio padre non
c’è, lo vedrai domani.”
“Non torna
stasera?”
“No, quando
esce rimane fuori tutta la notte, capita solo una volta al mese.”
“Non
importa, glielo chiederò domani. Che ne dici se per stasera finiamo prima?”
Il ragazzino
alzò le spalle e scese dalla scala a pioli.
Gastone e
Rufus ritornarono veloci a casa.
Cincia non
li aspettava così presto ma la tavola era preparata e pronta, lei aveva già
mangiato ma lo aspettava sempre per fargli compagnia.
“Non ho
tempo per mangiare, lascia tutto lì. Devo uscire di corsa.”
Andò nel suo
sgabuzzino, prese il suo fucile e, seguito dal cane uscì nella sera stellata.
Ormai
conosceva a memoria il sentiero e, nel silenzio della notte che scendeva, una
splendida luna piena rischiarava quasi come fosse l’alba, lui si avvicinava al
convento. Rufus lo seguiva ed era silenzioso come il suo padrone. Entrambi si
fermarono al limite del bosco, il vasto prato che li separava da quella grande
costruzione sembrava illuminato a giorno, non c’era verso di passare
inosservati se qualcuno era di sentinella.
Gastone
aveva già ispezionato tutta la zona da ogni lato e non c’era verso di
avvicinarsi senza essere visto, per questo decise di rimanere appostato in
attesa, al sicuro dentro il boschetto. Si pentì di non aver preso del cibo, il
suo stomaco lo reclamava ma avrebbe dovuto aspettare. Sapeva di non essere
sicuro che, quella gente sarebbe
passata proprio da lì, ma lui non poteva tenere sotto controllo tutti i lati,
sperava di essere nel posto giusto, non aveva certezze.
La luna era
talmente luminosa che l’uomo si chiese come mai non l’avesse mai osservata
prima, per lui non era altro che una grossa stella che segnava lo scorrere dei
mesi, che indicava il tempo delle semine, dei raccolti, delle cove e delle
nascite degli animali. Era davvero importante, non ci aveva mai pensato.
Rufus,
acquattato al suo fianco ringhiò sommessamente. Gastone aguzzò la vista e
rimase deluso, un gruppo di persone se ne stava andando prendendo il sentiero
più lontano da lui. Bestemmiò sottovoce, non poteva seguirli, non poteva
rischiare ma, nella sua mente già si formava un piano. La fame lo fece decidere
e ritornò a casa.
Mangiò
quello che era sulla tavola e ne diede anche al cane, si sdraiò e si
addormentò.
Passarono
alcuni giorni senza che niente cambiasse. Gastone stava solo aspettando il
momento giusto per agire e quella sembrava proprio la sera giusta.
“Presto
arriverà un grosso temporale.” Disse la Cincia.
“Per fortuna
il tetto del sacrestano è coperto, fra un paio di giorni avrò finito. Stasera
rimarrò a casa visto il brutto tempo.”
“Rimarrai a
casa?” Sorrise la vecchia. “Ti ho già preparato da mangiare, fallo subito così
poi potrai andare dove devi.”
Gastone le
rivolse un sorriso gentile, sapeva che poteva contare sempre su quella donna e,
anche se non le aveva raccontato molto, quella aveva intuito più di quello che
lui stesso sapeva.
I primi
tuoni rimbombarono in lontananza. Cincia alzò un sopracciglio in attesa. I loro
occhi si incontrarono e si capirono.
Gastone uscì
col cane, prese i sui inseparabili fucile e coltello e sparì sotto gli scrosci
furibondi della prima pioggia.
Va e trova ciò che cerchi, fallo
anche per me. Pensò
Cincia prima di coricarsi.
romanzo di Milena Ziletti- diritti e proprietà a lei riservati
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