IL SEGRETO DELLA LUNA
parte otto
I cavalli
tiravano il carro e i due uomini a cassetta rimanevano in silenzio. Il sigaro
di Ermete lasciava scie di fumo che si mischiavano ai pensieri di Gastone per
andare a disperdersi in nuvole lontane.
“Da dove
vieni?” Chiese il vecchio.
“Non vengo
da un posto preciso, ho viaggiato molto, non amo rimanere a lungo nello stesso
posto, mi sento soffocare, ho bisogno di spazi, di libertà!”
“Per quanto
tempo hai intenzione di fermarti da me? Ho del lavoro che va svolto e vorrei
essere sicuro di poter fare affidamento su di te almeno fino all’autunno.”
A Gastone
non costava proprio niente dare all’uomo la risposta che voleva e gli confermò
che sarebbe rimasto fin quando ce ne fosse stato bisogno.
Ermete,
tranquillizzato continuò a guidare il carro fino al paese. Era un grosso
agglomerato di case sparse senza una linea precisa. Ce n’erano di ogni
dimensione e la strada sterrata si fece più larga quando entrano nel villaggio.
I cavalli sembravano conoscere la loro meta e si fermarono davanti ad un grande
stabile di color verde.
Gastone
scese e cominciò a scaricare le casse e i barili. Non sapeva cosa contenessero
e non gli interessava, ma quando varcò la soglia si ritrovò nel bel mezzo di
una casa di tolleranza. Era impossibile sbagliarsi. Una bella signora salutò Ermete
con un sorriso, firmò dei documenti e lanciò uno sguardo languido a Gastone.
“Chi è il
bel giovanotto che ti accompagna, vecchio farabutto?”
“Lascialo
perdere, è impegnato in fattoria, potrà venire da te solo nel suo giorno
libero, e per ora è molto occupato.”
“Vieni
quando vuoi, bell’uomo! Qui troverai di sicuro qualche ragazza di tuo
gradimento, ti aspetto.”
I due uomini
uscirono che il sole cominciava a scaldare per bene l’aria.
“Vieni, ti
offro un boccale di birra prima di rientrare ma dobbiamo fare in fretta o mia
moglie mi farà una testa grossa così!”
La locanda
era fresca e gli avventori, a quell’ora del mattino erano pochi. Gli occhi di
Gastone osservavano ogni cosa e niente gli sfuggiva, per il compito che doveva
portare a termine aveva bisogno di non tralasciare nessun particolare.
Giunsero
alla fattoria e una donna tutta pelle e ossa era sulla porta della casa
padronale, mani sui fianchi scrutava il viottolo e un sospiro di sollievo le
sollevò il petto quando vide in lontananza il carro del marito. Si accorse di
uno sconosciuto seduto vicino a lui e corse in casa a mettere un altro piatto
in tavola.
I due uomini
sistemarono i cavalli, si lavarono le mani e le braccia ed entrarono in casa
dove un buon profumo di arrosto li accolse, invitante.
Un fuoco
scoppiettava sotto un paiolo colmo di polenta.
“Sei
arrivato, finalmente! Sedetevi che è tutto pronto.”
Gastone si
meravigliò che non chiedesse spiegazioni. Si sedette a tavola e fu servito per
primo.
Mentre
mangiavano nessuno parlò, era regola di quella casa, anzi della padrona di casa
che il pasto doveva essere consumato in silenzio.
La donna
servì una fetta di dolce e finalmente parlò.
“Chi è
questo forestiero?”
“E’ il mio
nuovo aiutante, rimarrà fino all’autunno, lo sai che ho bisogno di aiuto.”
La donna
guardò Gastone con insistenza, lo scrutava come se volesse leggergli
nell’anima, poi, finalmente, allungò la mano e si presentò.
“Io sono
Mariella, ti porgo il benvenuto e spero ti troverai bene. Se rispetterai le
nostre regole non avremo problemi, vieni ti mostro la tua stanza.”
Mentre lo
accompagnava gli elencava tutte le regole che doveva rispettare e lui
l’ascoltava cercando di tenerle a mente ma la sua testa era occupata in altre
faccende. Arrivarono ad un piccolo stabile vicino alle stalle. La donna aprì
con una grossa chiave e lo fece accomodare. C’erano due stanze, una con un
letto, un armadio e un piccolo comò e quella d’ingresso che aveva un bel
camino, un sofà, un tavolo e alcune suppellettili.
Gastone si
guardava attorno mentre la donna continuava a chiacchierare.
“Il
gabinetto è appena fuori dove c’è anche una grossa vasca con la pompa
dell’acqua, i pasti li prenderai con noi, qui non c’è posto per cucinare e a me
fa piacere avere qualcuno a tavola da quando non c’è più mio figlio. Adesso
metti a posto le tue cose, fra poco mio marito verrà e ti spiegherà i compiti
che ti spettano. Una cosa dimenticavo, qui la domenica si va tutti alla messa,
tutti senza eccezioni.” E uscì senza aspettare risposta.
Non ci volle
molto a Gastone per riporre le sue poche cose, nascose il fucile dietro la
biancheria dell’armadio e la borsa con i suoi preziosi scritti la ficcò sotto
il letto.
I passi di
Ermete l’avvisò che doveva sbrigarsi. Aprì la porta e lo fece entrare. Si
sedettero come due buoni amici e il vecchio lo istruì su quello che si
aspettava da lui. Gli raccomandò di seguire le regole di sua moglie che era
fissata per certe cose poi uscirono insieme.
La fattoria
aveva un grande vigneto, alcuni campi, un grande pezzo di terra coltivato ad
orto dalla signora, un allevamento di maiali e vari altri animali. C’erano due
uomini che lavoravano da tempo con lui curando gli animali. Camminavano
inoltrandosi in un boschetto ed a Gastone sembrò ritornare a casa, sentì una
fitta al cuore e continuò a camminare di fianco ad Ermete. Raggiunsero una
baracca isolata e si fermarono un poco distante.
Ermete alzò
lo sguardo e guardò il suo compagno negli occhi, era venuto il momento di
decidersi se poteva fidarsi di lui, fece un sospiro e, ben sapendo che non
aveva scelta gli chiese: “Cosa ne sai di una distilleria?”
“Ne so poco,
io sono più portato al lavoro con gli animali, ma imparo in fretta.” Aveva
capito al volo quello che gli stava chiedendo.
“Dovrai
occuparti della distilleria, non è difficile ed io ti insegnerò ogni cosa,
passerai qui dentro parecchio tempo, in solitudine. Voglio sapere se te la
senti.”
A Gastone
non parve vero di poter lavorare da solo, avrebbe avuto tutto il tempo di
pensare e studiare il registro che gli aveva dato il priore.
“Mi sta
bene, ma vorrei avere anche qualche ora da passare all’aria aperta.”
“Avrai molto
tempo anche per quello. Il lavoro qui non impegna tutte le ore del giorno,
anzi, dovrò chiederti a volte di aiutarmi anche in altri lavori.”
Entrarono
nella distilleria e il vecchio cominciò a spiegare a Gastone il procedimento da
seguire, i vari arnesi da usare, le cautele da rispettare. Tutto sembrava
abbastanza facile e la supervisione di Ermete avrebbe ovviato a qualunque
errore potesse fare, quello che al vecchio serviva era la discrezione che,
aveva capito poteva avere da Gastone.
Sorrise al
pensiero della bigotta signora Mariella, era impossibile che non sapesse cosa
faceva suo marito in quel posto, ma a lui stava bene così, avrebbe usato questo
come arma per non andare in chiesa, non aveva tempo da perdere ma, poi ci
ripensò e decise in modo diverso.
Iniziò il
suo lavoro insieme al trascorrere della primavera. All’inizio era un po’ goffo
e titubante ma gli insegnamenti di Ermete erano chiari e non era difficile
eseguirli.
La signora
Mariella si rivelò davvero una gran cuoca, una gran bigotta e molto attaccata
al denaro. Gastone non riusciva a capire quella coppia di vecchi
Ogni sera,
nella sua camera apriva il registro e cercava di capirci di più. I CAVALIERI DELLA TERRA FECONDA, doveva
essere una vecchia setta segreta dove si tramandava il posto che rimaneva
vacante, non poteva essere molto lontana da lì. Anche se la zona era vasta, di
sicuro due omicidi erano avvenuti lì vicino, quello di sua figlia e quello
della sorella del priore, ma come fare a scoprire di più? Lui era un uomo
riservato, di indole solitaria e non amava la vita di società ma, capiva che
doveva cambiare atteggiamento se voleva conoscere quei posti e soprattutto la
gente che vi abitava.
Capitolo cinque
Era il suo
giorno libero e decise di trascorrerlo al fiume con la canna da pesca. Nella
mente sempre gli stessi pensieri, si sentiva come un prigioniero che cercava il
punto in cui scavare per fuggire, non riusciva a trovare nessuna traccia di
quello che cercava. Aveva ispezionato vari luoghi ma senza rinvenire niente di
interessante.
Stava
oltrepassando un vecchio casolare con una stalla decrepita ed un recinto
fatiscente dove pascolavano alcune capre. Si fermò incuriosito ad osservare
quel posto che un tempo doveva essere stato ben diverso. Una vecchia stava
cercando di spaccare dei grossi ciocchi di legna con una fatica, per lei, non
indifferente.
Gastone la
raggiunse e le tolse di mano l’accetta, in poco tempo spaccò un bel po’ di
legna e gliela sistemò sotto uno sgangherato portico.
Mentre
lavorava, la vecchia non aveva smesso di guardarlo ed ora, che aveva finito,
gli fece cenno di entrare in casa.
“Lavati le
mani e il viso prima di entrare.”
Gastone si
fermò alla pompa, si rinfrescò, si dissetò ed entrò in quella casa che sembrava
potesse crollare da un momento all’altro.
La vecchia
aveva messo sul tavolo del pane e della frutta, era tutto quello che aveva.
“Mangia con
me, non mi capita mai di avere compagnia. Inoltre non so come ringraziarti. Chi
sei?”
Gastone
spezzò un grosso pane e cominciò a mangiarne.
“Mi chiamo
Gastone e lavoro per il vecchio Ermete.”
“Quel
vecchio ingordo, con una moglie falsa e avida!”
La vecchia
brontolava mentre prendeva una caraffa di acqua e una bottiglia di vino da
offrire al suo ospite.
“Io sono
Giacinta, per gli amici Cincia, ma ormai non mi chiama più nessuno in questo
modo. Vivo da sola dopo la morte di mio marito e dei miei figli e maledico il
Signore ogni santo giorno,perché non mi
accoglie e non mi porta da loro. Che ci sto a fare qui? Se avessi il coraggio
mi butterei nel fiume e la farei finita!”
Gastone
capiva bene i sentimenti e il dolore di quella povera vecchia, almeno lui si
era dato un compito da assolvere o sarebbe impazzito di dolore proprio come
lei.
“Quanto anni
ha, signora Giacinta?”
“Per favore,
almeno tu, che potresti essere mio figlio chiamami Cincia. Ho settantacinque
anni, non ti sembrano giusti per andarsene?”
“Le faccio
una proposta, cosa ne dice se nei miei momenti liberi vengo a darle una mano?”
“E cosa vuoi in cambio?”
“E cosa vuoi in cambio?”
“Che mi
parli un po’ di questo posto, di chi ci abita, magari le racconterò anche della
famiglia che ho perso.”
Giacinta
guardava quel forestiero cercando di capire cosa ci fosse sotto ma, qualunque
cosa fosse a lei non importava, quello che le faceva piacere era avere un po’
di compagnia.
“Vieni quando vuoi, io sono qui con le mie
capre e la mia gatta, spero che tu le piaccia, non è molto socievole e non ama gli
estranei.”
“Grazie per
lo spuntino, vado a pesca e nel ritorno le lascerò del pesce, magari faccio
amicizia con la sua gatta.”
“Si chiama
Lina, la mia gatta si chiama Lina.” Sussurrò con gli occhi bassi stringendo le
mani.
Gastone
riprese la strada del fiume, forse aveva trovato qualcuno che potesse aiutarlo
nella sua ricerca, doveva essere prudente, come al solito.
Nel ritorno
si fermò a lasciare del pesce a Giacinta, la salutò e tornò nella sua stanza.
romanzo di Milena Ziletti - diritti e proprietà a lei riservati
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