IL SEGRETO DELLA
LUNA
parte uno
Introduzione
Era grottesco quel corpo di donna
nuda inchiodato al tronco dell’albero. Le braccia alte sulla testa unite con un
unico grosso chiodo. Le gambe, leggermente divaricate e inchiodate alla base
dell’albero. I lunghi capelli le coprivano il volto e tutto il corpo era
ricoperto di sangue ormai secco, tanto che non si capiva quante e quali ferite
ci fossero.
Il cacciatore che lo aveva appena
scoperto era caduto in ginocchio dall’orrore e dalla sorpresa e si puntellava
al fucile per non cadere svenuto. Chi era quella ragazza? E chi poteva aver
fatto una cosa così orrenda? Non aveva il coraggio di avvicinarsi.
La foschia ancora densa in quell’alba
padana avvolgeva quel corpo come un pudico lenzuolo ma, niente avrebbe potuto
coprire quel cadavere così devastato.
Il cacciatore cercava di ritrovare il
respiro mentre pensava a cosa fare. Toglierla da quell’indecente posizione?
Andare a chiamare qualcuno? Scosse la testa cercando di schiarirsi le idee e
prendere una decisione.
Faticosamente si rialzò e decise di
avvicinarsi per scoprire se conosceva quella disgraziata.
Con mani tremanti le
scostò delicatamente i capelli incrostati di sangue dal viso e un urlo gli uscì
direttamente dal cuore.
La storia è di pura invenzione, ogni
riferimento a persone o fatti è del tutto casuale.
CAPITOLO UNO
Gastone era
giunto in quel piccolo paese proprio nel giorno della sagra paesana, era la
festa del Santo Patrono e tutta la comunità partecipava ai festeggiamenti. Alla
processione partecipavano tutti. La statua del Santo era portata a spalla da
uomini e giovanotti che si davano il cambio a suon di preghiere. Le donne,
accodate cantavano inni alla Madonna e al Santo, mentre i bambini spargevano
petali di fiori secchi e profumati. Le femminucce avevano ghirlande di fiori
nei capelli e i maschietti una cintura di pelle rossa in vita. Era l’usanza, un
rito che ogni anno, la prima domenica di ottobre veniva rinnovato quale
ringraziamento della prosperità dei campi e dei vigneti.
Gastone era
un forestiero in quel posto, vi era giunto dopo lungo vagabondare, aveva scelto
proprio quel giorno di festa per poter passare inosservato. Aveva preso
alloggio all’unica locanda, La zanna di Lupa,
ed ora era steso su uno scomodo letto a riposare. Non gli interessavano i
festeggiamenti, non era cosa che lo riguardasse, c’era un altro e ben più
importante motivo che l’aveva fatto arrivare in quel paesino praticamente
sconosciuto.
Prima di
prendere alloggio alla locanda aveva ispezionato quella zona per imprimersi
nella mente la disposizione di quel pezzo di terra. Il paese era poco più di un
borgo, un centro con la chiesa e alcune botteghe, una scuola maltenuta, tante
piccole cascine e borgate sparse sul territorio che facevano capo a quel centro
del paese dove l’unica costruzione che svettava su tutte era la chiesa affiancata
dagli uffici del municipio.
Non aveva
gran ché come bagaglio: una sacca con pochi indumenti di ricambio e il suo
fucile, dal quale non si separava mai, così pure come da un lungo pugnale che
portava infilato negli stivali, nascosto alla vista. Sembrava fosse sempre
all’erta e che la sua vita fosse costantemente in pericolo, non abbandonava mai
il suo innato e sviluppato spirito di sopravvivenza e non abbassava mai la
guardia.
Sapeva che
tutti erano alla processione e poi al banchetto e alle bevute che sarebbero
seguite, così, si rilassò un pochino e chiuse gli occhi in cerca di riposo, quel
riposo che da tempo non trovava né da sveglio né da addormentato. Posò il
fucile vicino al letto e il pugnale sotto il cuscino e andò in cerca di quel
sonno che gli mancava da troppo tempo.
I canti e i
rumori dei festeggiamenti arrivavano smorzati dentro la piccola stanza e lui,
senza accorgersene, vinto dalla stanchezza scivolò in un sonno ristoratore.
Dormire
significava anche sognare, e sognare era spesso solo una questione di incubi,
per questo dormiva pochissimo ma, era talmente stanco e in un posto sicuro,
almeno per il momento, che il suo corpo non diede ascolto alla mente e si
rilassò, ne aveva troppo bisogno, sia per la stanchezza passata che per quello
che lo aspettava nel prossimo futuro.
Si era
addormentato con la mano sotto il cuscino, ben salda sul manico del pugnale
quando il suo peggior incubo si presentò: rivide il corpo di una donna
inchiodata ad un albero e risentì l’urlo che era scaturito dal suo cuore. Si
agitò e scalciò nel vuoto poi, fortunatamente riprese a dormire di un sonno
relativamente tranquillo.
Non stava
sognando, stava rivivendo la sua vita degli ultimi tre anni, tre anni nei quali
…
PARTE PRIMA
Capitolo uno
Gastone era
un guardia caccia e un esperto di piante e alberi. Non aveva studiato, aveva
imparato da suo padre e dalla sua stessa passione per gli animali e per tutto
il mondo vegetale. Viveva in un posto dove boschi, animali, colline e fiume
erano un tutt’uno con la natura e con le persone. Suo padre gli aveva trasmesso
tutto il suo amore e il suo sapere riguardante quel mondo,così lui era
cresciuto col fucile in spalla e il pugnale negli stivali fin da quando aveva
cinque anni e aveva cominciato a seguire suo padre nel suo lavoro. Era
affascinato dal modo di vivere di tutte quelle specie animali e non si
capacitava di come l’uomo potesse cacciare solo per il piacere di uccidere.
Sapeva bene che certe famiglie vivevano di caccia e pesca e lui le rispettava,
ma sapeva altrettanto bene che c’erano bracconieri e parecchi giovanotti che
uccidevano animali senza il minimo rispetto per il territorio, la natura e gli
animali stessi, i quali, lui lo sapeva bene, possedevano un’Anima spesso
migliore di quella degli umani.
Era
cresciuto nel rispetto di regole non scritte, aveva conoscenze che nessun altro
aveva in quel territorio ancora molto selvaggio. Spesso partiva da solo e se ne
stava lontano da casa per settimane intere solo per seguire la pista di qualche
animale ferito, per rendersi conto se lo poteva curare o abbattere e mai lo
faceva a cuor leggero.
Era
ritornato a casa dopo due settimane passate nei boschi, fiero di quello che aveva
fatto e fischiettava mentre si avvicinava alla sua casupola. Aveva un grosso
cesto di funghi e di frutta selvatica, sapeva che suo padre ne era ghiotto ed
era contento di averne trovato in abbondanza. Fu stupito di non vedere il fumo
uscire dal camino e si allarmò. Sua madre era morta anni prima e suo padre, se
pur vecchio godeva di buona salute e fra di loro c’era un’intesa che nessuno
avrebbe potuto scalfire. Allungò il passo per raggiungere in fretta la porta di
casa con uno strano presentimento. Entrò, si guardò intorno e sentì il gelo
entrargli nelle ossa e nel cuore, aveva capito che qualcosa di grave era
successo, suo padre sapeva del suo ritorno e non avrebbe mai lasciato morire la
fiamma nel camino.
Uscì di
corsa e bussò alla porta della prima casa che trovò. Luciana aveva gli occhi
lucidi quando aprì a quel ragazzone e lo fece accomodare davanti al fuoco con
una scodella di minestrone in mano.
“Tuo padre
se n’è andato, lo abbiamo sepolto tre giorni fa. Nessuno sapeva come
rintracciarti, ci abbiamo pensato noi.”
Gastone
abbassò gli occhi per non far vedere che anche un uomo grande e grosso come lui
poteva piangere. La carezza di Luciana gli scaldò il cuore, mai come in quel
momento sentì forte la mancanza dell’affetto di una madre. Prese la mano della
donna e se la portò alle labbra. “Grazie per quello che avete fatto, grazie di
cuore.” E se ne ritornò a casa.
Aveva
ventidue anni ed era completamente solo. Entrò in casa, accese il fuoco e passò
nelle tre piccole stanze. Cosa avrebbe fatto ora? Il primo istinto fu quello di
riprendere il fucile e andarsene ma la brutta stagione incombeva e non era
ragionevole passare nei boschi l’inverno che stava arrivando.
Le stanze si
stavano riscaldando e la gatta arrivò a reclamare del cibo.
“Siamo
rimasti solo noi, Ciufolina.” Bisbigliò mentre le accarezzava il pelo.
Mangiò
qualcosa in compagnia della gatta e distese una pesante coperta davanti al camino,
non aveva voglia di andare nella sua camera, da giorni dormiva sul nudo terreno
e avrebbe continuato a dormire in terra. Ciufolina si infilò sotto la coperta e
gli scaldò il cuore. Dormirono insieme, abitudine che non avrebbero abbandonato
presto.
Quell’inverno
fu più duro di tutti gli altri per Gastone, per la prima volta nella sua vita
era completamente solo, riscaldato soltanto dalla sua gatta. Non c’era molto da
fare in quel periodo, la legna era già stata tagliata e sistemata, molte
provviste preparate da suo padre erano nella dispensa e nell’orto resisteva
ancora qualcosa di duro e insapore.
Usciva
spesso per andare nel bosco, sistemava qualche nido, sotterrava piccoli animali
morti per il troppo freddo e rientrava a casa prima che le fiamme del camino si
fossero spente, era tutto talmente gelato che non si poteva lasciar spegnere le
braci.
Assaporava la
solitudine ma non l’apprezzava. Non si era mai reso conto di quanto fosse
importante la compagnia di suo padre, del suo modo di affrontare la vita con allegria
senza mai farsi prendere dalla tristezza. Si chiese cosa avrebbe fatto suo
padre se fosse stato al suo posto. Come spesso succedeva era seduto davanti al
camino con la gatta sulle ginocchia e sgranocchiava del pane secco con un pezzo
di formaggio. Già, cosa avrebbe fatto suo padre? Cosa gli avrebbe detto? Rimase
pensieroso con gli occhi illuminati dalle fiamme e li distolse girando lo
sguardo per quella stanza ma aveva le pupille dilatate dalla luce del fuoco e
non riusciva a vedere quasi niente. Fu sorpreso quando gli parve di sentire la
voce di suo padre, sapeva bene che non era possibile, ma nella testa
riecheggiarono alcune parole e gli sembrò perfino di sentire la sua risata.
Con un
calcio stizzito allontanò un ciocco di legna. Era arrabbiato, aveva perso sua
madre che ancora era un ragazzino ed ora anche suo padre se ne era andato, si
sentiva abbandonato. Fece un respiro profondo e cercò di calmarsi, rimise a
posto il ciocco di legna, prese il fucile e uscì in quel pomeriggio di vento
gelido che anticipava l’arrivo della neve, si sentiva nell’aria che entro poche
ore tutto si sarebbe imbiancato.
Vagò ai lati
del bosco ascoltando il rumore dell’acqua del fiume e si sedette su un grosso
masso poggiando il fucile accanto a sé. Il fiato si condensava e formava
piccoli cristalli di ghiaccio sui suoi baffi, l’aria era davvero troppo fredda
e sembrava gelargli perfino i polmoni, era fuori da un paio d’ore ma era meglio
rientrare, i primi fiocchi di neve avevano già cominciato a bagnargli il mantello
e non voleva farsi sorprendere dal buio lontano da casa. Con passo svelto fece
rientro a casa.
Aprì la
porta sbattendo i piedi per liberarsi dalla neve che ricopriva gli scarponi, si
tolse il mantello e si diresse veloce vicino al camino, era davvero intirizzito
e aveva bisogno di calore.
Si avvicinò
al fuoco, abbassò gli occhi e rimase di stucco. Sgranò gli occhi alla vista di
quella ragazza che era raggomitolata sulla sua coperta insieme a Ciufolina.
Era proprio
una sorpresa. Chi era quella ragazza? Non sapeva che era pericoloso introdursi
nelle case di sconosciuti? Certo lui non la conosceva e di sicuro lei non
conosceva lui, come mai sfidava la sorte in quel modo? Si sedette ad osservarla
mentre dormiva, era incerto se svegliarla o lasciarla dormire ma aveva bisogno
di risposte. Poteva essere che qualcuno la stesse cercando e lui non voleva
problemi con nessuno.
Con gesto
gentile le posò la mano sulla spalla e, con un lieve tocco cercò di svegliarla.
La ragazza
aprì gli occhi assonnati ma li sgranò appena vide quel ragazzo grande e grosso
che incombeva su di lei.
Alzò
istintivamente le braccia a ripararsi il viso come se temesse di essere
percossa e Gastone capì che era una cosa alla quale era abituata, lo dimostrava
bene la sua reazione.
La
sconosciuta si mise seduta e si guardò intorno spaventata, quasi non si
rendesse conto di dove si trovasse e la gatta le saltò in grembo facendo le
fusa. Lei istintivamente l’accarezzò e sembrò che quel gesto calmasse entrambe.
romanzo di Milena Ziletti - diritti e proprietà riservati
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