lunedì 18 maggio 2020

IL SEGRETO DELLA LUNA



IL SEGRETO DELLA LUNA

parte quattro





Si risvegliò che era notte fonda. Aveva dormito per tutto il pomeriggio ed oltre. Il silenzio lo circondava come il velo di nebbia che aveva avvolto il corpo martoriato di sua figlia. Cercò di scacciare i ricordi, le emozioni e si impose di non lasciarsi sopraffare dal dolore. Si concentrò sulla sua rabbia, sulla sua sete di vendetta.
Aprì un cassetto e ne estrasse alcuni documenti. Ne aprì un altro e prese un fazzoletto colorato di sua moglie, da un altro estrasse alcuni indumenti che ficcò in una capiente sacca, poi, tenendo il lucchetto del suo cuore ben chiuso per non soffrire, entrò nella cameretta di sua figlia. Accarezzò con lo sguardo i pochi suppellettili che la ornavano. Fu difficile trattenere le lacrime ma ci riuscì. Si avvicinò al comodino e prese il piccolo angioletto di legno che lei stessa aveva scolpito, era davvero brava nel disegno e nella scultura, e lo mise in uno scomparto della sacca insieme al foulard di sua moglie. Fu tutto ciò che prese per ricordarsi di loro. Non aveva bisogno di niente, nel suo cuore e nella sua mente erano rinchiusi tutti i bei ricordi di quegli anni felici trascorsi insieme, a partire da quel giorno quando, rientrando a casa aveva trovato una ragazza addormentata davanti al suo camino. Ci fu una fitta che gli trapassò il cuore, si sforzò con tutto se stesso ma non riuscì a trattenere le lacrime al ricordo di quello splendido giorno in cui divenne padre. Con un gesto di rabbia si asciugò gli occhi e si fece una promessa, non avrebbe più pianto, mai più, perché ne era sicuro, mai ci sarebbe stato un dolore più forte di quello che provava ora.
Si mise in spalla la sacca, il fucile a tracolla e il pugnale negli stivali. Si calò il cappello sulla fronte e nascose i suoi occhi, occhi che erano pieni di odio e di rabbia, così come lo era il suo cuore e la sua anima, e solo la vendetta gli avrebbe dato sollievo, ma non ne era sicuro. Niente poteva essere più come prima, niente poteva restituirgli la sua vita, le sue donne, si sentì davvero solo come non lo era mai stato. Diede un ultimo sguardo a quelle stanze ormai prive di vita e, silenziosamente uscì.
Il platano era lì, con le sue foglie appena spuntate. Era primavera inoltrata. Si inginocchiò fra i due tumuli di terra e pose una mano su ognuna di esse e fece loro una promessa: non si sarebbe fermato fino a quando non avesse distrutto i colpevoli, sapeva che erano più di uno. Non riuscì nemmeno a dire una semplice preghiera, anche la fede era morta con le sue donne, accarezzò per l’ultima volta quella terra ancora umida, si alzò e, senza più voltarsi indietro, se ne andò.

Capitolo tre
Il mattino era ancora fresco e i merli cantavano i loro inni al sole nascente, accompagnandolo nel suo cammino. Si inoltrò nel bosco e tornò là, dove aveva trovato il corpo di sua figlia. Si inginocchiò e raccolse i lunghi chiodi che aveva lasciato a terra. Ne prese uno e lo osservò attentamente. Non era un articolo che si poteva vendere in qualche bottega, qualcuno si era preso la briga di fabbricarlo. La testa del chiodo era rotonda, quasi perfetta. Gli passò sopra un dito e sentì i graffi di un’incisione. Strizzò gli occhi per vedere meglio e scorse due piccole incisioni che non riusciva a decifrare. Roteò il chiodo in varie direzioni e alla fine gli sembrò di capire che ai lati della testa rotonda del chiodo ci fossero incise due mezze lune. Non poteva esserne certo, potevano essere qualsiasi cosa. Erano ancora sporchi del sangue di Lisa ma non li ripulì. Prese i tre grossi chiodi e li avvolse in un pezzo di stoffa che ripose nella sua sacca. Era giunto il momento di controllare le orme, non per niente sapeva seguire qualsiasi tipo di animale, era un esperto in materia. Vide l’erba calpestata da diverse persone, cercò di capire quante fossero ma non ci riuscì. Poteva trattarsi di sei otto individui. Osservando il terreno quasi trattenendo il fiato, si accorse che una serie di impronte erano fiancheggiate da un foro nel terreno, come se chi avesse lì camminato avesse usato un bastone poggiandolo a terra. Estrasse dalla sacca il quaderno e la matita e cominciò a prendere appunti e fare schizzi. Osservando la corteccia dell’albero notò una cosa che gli era sfuggita mentre toglieva il corpo di sua figlia. In prossimità dei fianchi vide lo stesso simbolo che era inciso sui chiodi. Qui poté osservarlo meglio: un cerchio quasi perfetto e due mezze lune, una di fronte all’altra poste sotto il cerchio. Fece uno schizzo anche di questo e ritornò ad osservare il luogo.
Girava in tondo per non lasciare niente di inesplorato e mano a mano allargava la ricerca. Ci volle parecchio tempo, e il sole era già alto quando trovò qualcos’altro. Di nuovo lo stesso simbolo questa volta disegnato con pietre e sassi: un cerchio quasi perfetto e due mezze lune poste sotto e ai lati esterni. A prima vista sembrava una grossa testa e due braccia monche, non riusciva a capire proprio di cosa si potesse trattare ma, di sicuro era molto importante visto che era ricorrente. Si avvicinò per osservare meglio e vide che la terra al centro del cerchio aveva uno strano colore. Allungò un dito e lo immerse in quell’intruglio. Gli ci volle poco per capire che si trattava di sangue, sicuramente il sangue di sua figlia che era stato versato in quel cerchio. Non provò nulla. Rimase un attimo inginocchiato ad osservare, con estrema freddezza estrasse il quaderno e riprodusse il simbolo mettendo alcuni appunti. Si alzò in piedi e vide ciò che gli era sfuggito perché aveva solo osservato il terreno senza quasi mai alzare lo sguardo. Intorno a quel simbolo c’erano ben sette grosse pietre dove ci si poteva sedere e, un masso più grande completava il cerchio. Si avvicinò e vide lo stesso segno lasciato dal bastone, o quello che supponeva fosse un bastone. Con riluttanza si sedette su quel masso, da lì poteva vedere tutti gli altri oltre al simbolo che era visibile da tutti. Si rese conto, perciò, che le persone erano otto, ma chi potevano essere? Chi poteva essere così deviato da fare una cosa simile ad una ragazza innocente? Ebbe un attimo di smarrimento ma si riprese subito.
Aveva scoperto molte cose in poche ore, era stanco, affamato ma non voleva fermarsi. Sapeva bene che le tracce vanno seguite quando sono ancora fresche. Si rialzò e scacciò fame e sete. Riprese a seguire le orme e si ritrovò su un sentiero dove soltanto i segni delle ruote di due carri o carrozze erano visibili e si perdevano in lontananza. Le seguì ma, ad un certo punto non riuscì più a ritrovarle. Come era possibile? Non potevano essersi smaterializzate. Ritornò indietro, rifece il percorso ma non riuscì più a ritrovare nessuna traccia.
Il buio stava scendendo e lui era in piedi dall’alba, doveva riposare o non avrebbe avuto la forza di continuare la sua missione.
Ritornò verso il bosco e scelse un angolo ben riparato ma con la visuale su tutte le direzioni. Accese un piccolo fuoco e mangiò qualcosa senza sapere cosa fosse. Si mise il fucile fra le braccia e cercò di dormire, aveva iniziato da un giorno e già aveva molte informazioni che prima o poi sarebbe stato in grado di decifrare. Strinse il fucile e si addormentò con i sensi svegli e all’erta.
L’alba non era ancora spuntata ma Gastone era già sveglio. Un rigagnolo era servito per bagnarsi il viso. I merli cominciarono il loro inno al nuovo giorno e lui si mise in cammino. Ancora si chiedeva come fosse possibile aver perso le tracce dei due carri, era un mistero che avrebbe risolto, ne era sicuro. Ora, la cosa più importante era trovare qualcuno che conoscesse il significato di quel simbolo ma avrebbe dovuto essere molto discreto e attento, aveva visto quanto potevano essere pericolosi.
Camminava assorto ma con i sensi ben svegli. L’ombra degli alberi era fresca e il gioco che il sole faceva fra le foglie che dolcemente erano cullate da una leggera brezza mattutina gli feriva gli occhi. Si calò il berretto sulle ciglia cespugliose e ripensò alla famiglia che aveva perso, alle sue donne che aveva sepolto da poco e che si erano portate via il senso stesso della sua propria vita. Non aveva più nessun motivo per vivere se non restituire il suo stesso dolore ai colpevoli. Al pensiero di quello che avrebbe fatto a coloro che si erano macchiati di tale delitto sentì il sangue ribollire. Aveva tempo per pensare, per meditare mentre, solitaria figura oltrepassava il bosco. Il dolore lancinante che portava con sé gli aveva tolto ogni sentimento umano, non cercava altro che la sua vendetta e pensava al modo di renderla la più terribile possibile.


romanzo di Milena Ziletti - diritti e proprietà a lei riservati

Nessun commento:

Posta un commento