martedì 11 febbraio 2020

KATRIN, LA SUA STORIA


KATRIN, LA SUA STORIA

parte novantasei






Katrin rimase ad osservare i tre personaggi che salivano le scale. Per un attimo pensò all’imbroglio che suo nonno aveva perpetrato ai danni di suo padre e si chiese se potesse farlo anche nei suoi confronti.
A differenza di lord Semple lei non anelava a ricchezze e possedimenti, lei voleva solo una vita fatta di amore, una famiglia sua, tutto il resto non era importante. Alzò le spalle e raggiunse il salone per dare istruzioni su come voleva disporre i fiori.
Erano giornate convulse, regali da scartare, l’appartamento da controllare, la sistemazione degli arredi, la sua camera matrimoniale col letto a baldacchino intagliato in legno pregiato, proprio come aveva sempre desiderato. Domani è il grande giorno. Pensò. Ricontrollò ancora tutto, nell’armadio di Robin erano già stati sistemati i suoi abiti e tutto il resto, così come nel suo. Dal giorno successivo quella sarebbe diventata la loro casa a tutti gli effetti. Sorrise mentre richiudeva la porta e raggiungeva la sua stanza. Quella sera avrebbe cenato col nonno e tutta la famiglia di suo padre, e naturalmente con Robin.
Katrin faticava a rimanere a tavola, allo stesso tavolo di suo padre, l’uomo che più disprezzava al mondo.
Lord Sheppard stava dando le ultime istruzioni per la cerimonia, ai posti che avrebbero occupati. Cristofer dava segni di noia e lady Susan sorrideva compiaciuta anche se era evidente che niente di tutto questo la interessava.
Finalmente poterono salutarsi e, con un sospiro di sollievo Katrin prese il braccio di Robin per raggiungere la sua stanza.
Permette, sir Robin? Accompagno io lady Katrin, è meno sconveniente. Chiese con un elegante inchino E un falso sorriso Cristofer.
Va bene, lord Cristofer, devo appunto dare gli ultimi ordini ai miei uomini. Baciò Katrin sulla guancia. A domani, amore mio, domani sarai solo mia e nessuno più ti accompagnerà da nessuna parte senza il mio permesso. Girò loro le spalle e raggiunse velocemente l’alloggio dei suoi soldati che gli avevano preparato una festa per l’occasione.
Sul viso della ragazza era sparito il sorriso e senza tanta grazia tolse la mano dal braccio di Cristofer.
Vedo che non sei cambiata affatto, lady Katrin. Sei sempre la stessa gatta selvatica di sempre. Ho un messaggio per te: cerca di tenerti stretto tutto quello che hai perché da mio padre non avrai mai niente. Le disse mentre allungavano il passo nei corridoi semi bui.
Katrin si fermò e lo fulminò con lo sguardo. Se avessi voluto avere qualcosa da quel lurido individuo, stai pur certo che vi avrei lasciati in mutande. Gli rispose. Meglio se raggiungo da sola la mia camera o il mio pugnale troverà quello che vuole infilzare. Aggiunse facendo apparire come per magia il pugnale.
Cristofer fece un balzo all’indietro, memore di quanto gli era successo. Sei solo una puttana. Le sputò in faccia prima di allontanarsi.
Senza altro indugio la ragazza raggiunse la sua stanza. Colette la stava aspettando. Avrebbe dormito davvero poco quella notte, alle prime luci dell’alba si sarebbe sottoposta al lungo rito di preparazione.
Si sdraiò felice. L’ultima notte in un letto solitario.
L’alba era appena spuntata quando Colette entrò a preparare il bagno. Un veloce spuntino mentre arrivavano altre cameriere.
Si sottopose al bagno, alla profumazione, alla vestizione, all’acconciatura con estrema pazienza e tanta gioia.
Si specchi, lady Katrin. Le disse Colette con gli occhi lucidi.
Katrin si mise davanti allo specchio. Era davvero una visione: l’abito, il diadema, lo sguardo felice. Sono davvero io quella? Si lasciò sfuggire.
Le cameriere erano soddisfatte del risultato del loro impegno. Si fecero intorno alla loro padrona e, con molta grazia le augurarono tanta felicità.
Era pronta ed era quasi ora. Era stata categorica con suo padre, l’avrebbe aspettata in fondo alle scale, non voleva averlo accanto un minuto più del necessario.
La campana suonò e lei ebbe un tremito. Era la sua vita che prendeva un’altra strada, quella che lei desiderava, finalmente quello che voleva.
Suo padre era impeccabile nel suo abito da cerimonia e lei gli diede il braccio. Attraversarono il cortile e mentre raggiungevano la porta della cappella una musica dolce iniziò a suonare.
Con lentezza raggiunsero l’altare e lord Semple, con un inchino lasciò sua figlia e raggiunse il suo posto.
La cerimonia fu lunga e commovente e alla fine furono dichiarati marito e moglie. Un fragoroso applauso salutò gli sposi che si baciavano.
Gli invitati uscirono mentre loro rimanevano a parlare col vescovo.
Fuori la giornata era meravigliosa, il ventiquattro aprile più luminoso che non si fosse mai visto.
Raggiunsero il salone apparecchiato per un sontuoso banchetto.
Un gran vociare allegro, tanti complimenti e la giornata si trascinò fino a sera. I due sposi erano raggianti e lord Sheppard sorrideva felice a tutti gli invitati. Era stanco ma non si sarebbe ritirato per niente al mondo. Voleva godersi insieme agli sposi quella giornata così felice.
Era molto tardi e parecchi invitati si erano già ritirati.
E’ giunta l’ora, amore mio. Le prese la mano, salutarono e, finalmente poterono raggiungere il loro nuovo appartamento.


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