MISHA
parte dodici
Misha aveva
poche forze, fu con grande fatica che salì tutti i gradini e, finalmente sul
carro cadde svenuta mentre Muriel la sosteneva e la lasciava dormire. Quello
che aveva fatto quel giorno la giovane guaritrice sarebbe passato alla storia
delle streghe, nessuna era mai riuscita a fare una cosa così, ed era fiera di
essere al suo fianco. Moliniana ci aveva visto giusto, ma la strada da fare era
ancora lunga, molto lunga.
Ci vollero
alcuni giorni perché Misha riprendesse completamente le forze, marzo era
cominciato e tutti aspettavano la primavera, che le giornate si allungassero per
poter tornare all’aperto, a svolgere il lavoro che più amavano: coltivare la
terra.
Nei
sotterranei del castello, il principe in persona volle assistere agli
interrogatori dei dieci riottosi. All’inizio tutti quanti posero resistenza ma,
dopo una dose di frustate accettarono di essere sottoposti al cospetto del
principe.
“Avete
deciso cosa fare? Volete continuare a stare in questo buco o tornane alla luce
del sole, ai vostri compiti al mio fianco?”
Sapeva quanto sarebbe stato importante per il popolo che ancora non lo
aveva accettato del tutto poter mostrare che al suo fianco c’era la scorta
personale del principe deposto, era un segnale per tutti.
Il loro
capitano prese la parola. Grondava sangue, come tutti gli altri, si rialzò
faticosamente. “A nome dei miei soldati …” fece una pausa “A nome dei miei
sottoposti accettiamo di essere ai vostri ordini, principe, con la umile
richiesta di poter ricoprire le stesse cariche che abbiamo avuto prima di
essere imprigionati.” Gli costò una fatica immensa dire quelle
parole, tanto era l’odio che covavano lui e i suoi compagni verso l’usurpatore.
Il principe
ancora non si fidava del tutto e pose loro una prova che avrebbero dovuto
superare.
Si rivolse
al capitano delle guardie. “Fa in modo che questi uomini ritrovino la dignità
di esseri umani, metti loro a disposizione quello che serve per ripulirsi,
consegna loro le divise delle mie guardie del corpo personali, portali in un
ambiente più consono e, appena saranno pronti, chiamami. Non voglio aspettare
molto.” Gli ordinò prima di
andarsene.
Il principe
usurpatore era pensieroso mentre risaliva quegli sporchi gradini. Si chiedeva
come avessero fatto quelle due guaritrici ad ottenere la loro resa, nemmeno la
sua strega personale ci era riuscita, poteva fidarsi? Furono pensieri fugaci, sapeva
che non avrebbero parlato, sapevano che avrebbero pagato con la loro stessa
vita se lo avessero tradito. Più tranquillo raggiunse le sue stanze e informo
sua sorella del risultato raggiunto.
Ci vollero
due settimane prima che i dieci soldati fossero resi presentabili, le ferite si
erano rimarginate, avevano mangiato a sufficienza, si erano sistemati la barba
e i capelli e indossato la divisa che tanto odiavano.
Stavano
aspettando l’usurpatore, e non attesero a lungo.
Il principe
usurpatore arrivò con la sorella e il figlio della donna. I dieci uomini erano
ben diversi da quando li aveva visti solo due settimane prima. Erano uomini che
avrebbero dovuto recuperare ancora la forma fisica ma era lo sguardo, la
postura quello che osservavano i principi.
Lo sguardo
fiero era lo stesso, ora li avrebbe messi alla prova.
Furono loro
consegnate le armi ma erano sotto stretta sorveglianza di altre guardie, non
era facile per il principe e la sorella fidarsi completamente di quegli uomini.
“Andiamo!” Ordinò il principe, e tutti si
incamminarono circondati dalle guardie.
La loro meta
era la cella del principe ereditario. Lui li sentì arrivare ma non si alzò dal
tavolo e continuò a leggere quello che aveva davanti.
“Alzati
davanti al tuo principe”. Ordinò l’usurpatore a suo fratello. “C’è qualcuno che
devi vedere e qualcosa a cui devi assistere.” Aggiunse.
Il
prigioniero alzò lo sguardo e vide tutto il drappello di uomini. Lentamente si
alzò e si avvicinò alle sbarre.
In un moto
istintivo, l’usurpatore si allontanò di scatto.
“Cosa vuoi
da me, Charles ? Vedo che ci siete tutti, anche il piccolo John. C’è qualche
manifestazione particolare? Domandò
con la sua voce calma.
“Hai proprio
ragione, William, è proprio così.”
Lo sguardo
del prigioniero si soffermò sulla sorella e sul nipote, lui conosceva come
stavano le cose, la sorella era dalla parte di Charles fino a quando non avesse
potuto dare il trono a suo figlio, e a quel punto la carriera di suo fratello,
in un modo o nell’altro, sarebbe finita. Era la più perfida di tutta la
famiglia, perfino suo marito era morto in circostanza misteriose.
Nel
frattempo i dieci componenti che erano stati la sua guardia particolare furono
avvicinati per dare modo al prigioniero di osservare bene.
Il suo
sguardo si soffermò su ognuno di loro, ma non fece trasparire nessuna emozione.
“Inginocchiatevi!” Ordinò il principe. “Sto aspettando.”
Quelli
obbedirono. Si erano inginocchiati uno accanto all’altro in modo che il
prigioniero potesse assistere a tutto.
“ Io,
capitano della Guardia Reale, giuro solennemente di servire, obbedire,
difendere a costo della mia stessa vita e di quella dei miei uomini, il
principe Charles, la sua discendenza e la sua famiglia. Giuro sul nostro onore
che non verremo mai meno al nostro sacro giuramento.” Terminò con gli occhi
fissi in quelli del prigioniero.
Un sorriso
beffardo comparve sul viso dell’usurpatore.
“Come vedi,
caro fratello, ora sei davvero solo e impotente. Conosci bene quanto me come
questi valorosi uomini tengano fede ai giuramenti, pensa fratellino, potrei
perfino ordinare loro di ucciderti e loro lo farebbero, e chissà che non me ne
venga voglia!” Terminò ridendogli in faccia.
Anche Mary e
suo figlio avevano capito bene quello che era successo e la donna sospirò di
sollievo accarezzando la testa dell’inconsapevole ragazzino.
“Ti lascio
alle tue letture, e spero che tu stia bene, almeno fino a quando lo vorrò io.”
E se ne
andarono tutti.
Il principe
ereditario rimase pensieroso e si sedette riprendendo a leggere il libro. Gli
risuonarono nella mente le parole sono
quella che ti salverà e sapeva, contro ogni logica che così sarebbe stato.
Il principe
non dava segni visibili della sua condizione, di quanto soffrisse per essere
trattenuto in quella cella, seppur migliore di tutte le altre, ma era pur
sempre una cella con sbarre e chiusa da un grosso chiavistello.
Si mise ad
osservare la luce del giorno che entrava ancora lieve dalla finestrella
sbarrata che era così in alto da sfiorare il soffitto. Presto sarebbe stata
primavere e quanto avrebbe voluto poter tornare a respirare l’aria fresca, la
libertà di una cavalcata. A quel ricordo gli si strinse il cuore al pensiero
che la sua dolce fidanzata se n’era andata, che non l’avrebbe più vista, e
tutto per colpa sua.
Abbassò il
viso cercando di riprendersi dai cattivi pensieri. Non sapeva cosa avesse in
mente suo fratello, mentre sapeva bene quello che voleva sua sorella. E suo
padre? Era ancora vivo? Come lo trattavano? Gli mancava da morire non conoscere
la situazione.
Nelle lunghe
giornate della sua prigionia aveva tanto tempo per pensare, e gli faceva molto
male, cercava di distrarsi leggendo ma quello che era accaduto lo tormentava e
non smetteva di darsi la colpa di quello che era successo, ben sapendo che non
avrebbe potuto fare niente, il tranello nel quale era caduto era stato ben
congegnato.
Rialzò il
viso, era il momento in cui il sole si affacciava e lui si fece accarezzare, si
passò la mano sulla fronte e non sentì la cicatrice. Il suo pensiero corse alla
ragazza misteriosa, dio come gli sarebbe piaciuto conoscerne almeno il viso.
Sospirò e
tornò a sedersi. Il libro era aperto, ma la sua mente non riusciva a
concentrarsi.
Si distese
sulla branda cercando di tornare con i pensieri indietro nel tempo, quando era
libero, felice, amato da suo padre, da una ragazza meravigliosa, dal suo popolo,
ora aveva perso tutto. Strinse i pugni, non riusciva a rassegnarsi, non poteva,
in fondo al cuore sapeva che non poteva finire così, che doveva tenere duro,
che prima o poi tutto sarebbe cambiato. Nemmeno lui sapeva da dove traeva
questa sicurezza, ma se non l’avesse avuta non avrebbe più avuto senso
continuare una vita da prigioniero, no, sarebbe tornato al suo posto e avrebbe
rimesso tutti dove meritavano di stare, lo doveva a suo padre, nonostante
tutto, al suo popolo e soprattutto a se stesso.
Romanzo di Milena Ziletti - diritti e proprietà a lei riservati - immagine dalla pagina fb di elfi, fate e mondo incantato
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